Il processo amministrativo nell’emergenza. Oralità, pubblicità e processo telematico
(intervento alle Giornate di Studio sulla Giustizia Amministrativa, 30 giugno - 1 luglio 2020, "L’emergenza Covid e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro".[1]
di Paola A.G. Di Cesare
Sommario 1. Introduzione - 2.Principi della pubblicità e oralità - 3. L’udienza telematica - 4. Conclusioni e prospettive
1.- Introduzione
Mi propongo di focalizzare le mie riflessioni sui seguenti punti: 1) sul valore del processo nell’emergenza; 2) sui principi della pubblicità e oralità dell’udienza; 3) sull’udienza telematica; 4) sulle prospettive dell’esperienza dell’udienza telematica.
C’è da interrogarsi sul perché l’emergenza sanitaria (dichiarata con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 sino al 31 luglio 2020) abbia ridestato l’interesse allo studio del processo.
L’allarme della dottrina e della giurisprudenza (Cons. St., VI, 21 aprile 2020, nn. 2538 e 2539) sul processo cartolare coatto introdotto dall’art. 84 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, è stato recepito subito dal legislatore dell’emergenza con l’introduzione dell’udienza da remoto “ad oralità mediata”[2] (art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28).
Quanto accaduto è sintomatico della preoccupazione dei giuristi per il rischio di smarrimento dei principi frutto di un secolo di studi.
D’altra parte, come affermato da Carl Schmit[3], secondo il quale “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”, “lo stato di eccezione ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia”. I giuristi hanno sempre intuito, assieme all’importanza, la difficoltà di comprendere il tema, di decostruirne il senso sul piano sistemico tramite i modelli del giusnaturalismo classico, che cerca di comprendere il diritto fondato sullo stato di eccezione come fonte normativa extra ordinem ossia insieme dentro e fuori dell’ordinamento stesso, non includibile nell’ordinarietà delle fonti normative e non legittimabile se non sulla base di un criterio che non sia esso stesso fattuale e a posteriori, come quello dell’effettività[4].
Ed è assai sintomatico che in un momento emergenziale il tema del Convegno di Modanella, saltato quest’ anno a causa della pandemia, sia stato dirottato sullo studio dei principi processuali e delle tecniche di tutela nel processo dell’emergenza.
Ma il problema- come osservava Salvatore Satta nella relazione al Congresso internazionale di diritto processuale civile di Firenze nel 1950 “è vecchio ed eterno, perché sempre si è cercato di mantenere aderente il processo alla sua funzione, di organizzarlo in modo che l’esigenza ineliminabile del processo non torni in danno di colui che dal processo attende la tutela del proprio diritto….”. Oggi come allora si avverte l’esigenza di evitare “quella naturale scissione che il processo comporta tra il diritto e la sua tutela…oggi ha degenerato in una dissociazione …tra diritto e processo, con la fatale conseguenza che il processo non ci appare più in funzione del diritto, ma il diritto in funzione del processo”).[5]. Dopo questa amara consapevolezza, così come Salvatore Satta nella sua lezione affermava che i processulisti continuavano a sentire il processo come un valore, allo stesso modo noi studiosi oggi, riunendoci per affrontare il tema della tutela del diritto nel processo, crediamo ancora che il processo sia un valore.
2. Principi della pubblicità e oralità
I principi cardine del processo, tra i quali audiatur et altera pars, il diritto di difesa, la parità delle parti, il giusto processo, sono stati duramente minati soprattutto nella prima fase del rito emergenziale. Ne sono espressione il rito cartolare senza discussione orale, la sospensione dei termini processuali c.d. “mutilata” (fino al 3 maggio 2020 operata dall’art. 36 del D.L. 23/2020) ovvero prevista solo per la notificazione dei ricorsi (intesi in senso ampio come qualsiasi domanda che in introduca un nuovo thema decidendum e quindi anche ricorso incidentale e domanda riconvenzionale[6].
Invero, la regola della pubblicità delle udienze è implicitamente prescritta dal sistema costituzionale quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale.
Nell'iter formativo della Costituzione repubblicana il principio venne esplicitamente enunciato nel progetto dell'art. 101 presentato all'Assemblea costituente il 31 gennaio 1947 (secondo comma: "le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti"); ma poi, come risulta dai lavori preparatori, una espressa enunciazione fu ritenuta superflua, in quanto si ritenne che la pubblicità delle udienze fosse implicitamente prescritta dal sistema costituzionale quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale, esercitato appunto, come recita l'art. 101, in nome del popolo.
Coerentemente tutte le leggi processuali hanno mantenuto o introdotto la regola della pubblica udienza.
L’art. 87 c.p.a. prevede che “le udienze sono pubbliche a pena di nullità, salvo quanto previsto dal comma 2, ma il presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume”.
Il principio della pubblica udienza è stato affermata dalla Corte Costituzionale, 24/07/1986, n. 212 in relazione al vecchio contenzioso tributario del 1973 dove era prevista solo la trattazione in camera di consiglio. La Corte affermando la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie ha imposto al legislatore di intervenire onde adeguare il processo tributario all'art. 101 Cost, e quindi prevedere l’udienza pubblica.
Nel processo tributario il d. l.vo 546 del 1992 (art. 33, co.1) infatti prevede di norma la camera di consiglio, salvo celebrazione dell’udienza pubblica, se c'è richiesta di una delle parti.
Anche tale disciplina è stata sottoposta al vaglio della Consulta, in merito alla compatibilità costituzionale della disciplina del processo tributario, laddove introduce il principio dell’alternatività della pubblica udienza. La Corte (23 aprile 1998, n.141) sulla scorta della natura documentale del processo tributario “nel senso che si svolge attraverso atti scritti mediante i quali le parti provano le rispettive pretese o spiegano le relative difese (ricorsi, memorie)” non ha ritenuto irragionevole la previsione di un rito camerale condizionato alla mancata istanza di parte della discussione della causa. Ciò sull’assunto che “in assenza della discussione, infatti, la trattazione in pubblica udienza finirebbe per ridursi alla sola relazione della causa e cioè ad un atto che, in quanto espositivo dei fatti e delle questioni oggetto del giudizio, é comunque riprodotto nella decisione e reso conoscibile alla generalità con il deposito della stessa”.
Non solo la Corte costituzionale, ma anche la Corte EDU, nell’interpretazione dell’art. 6 evidenzia l’importanza del principio sancito dall’art. 6 § 1 C.e.d.u. a proposito della pubblicità dell’udienza, sottolineando come esso protegga gli accusati dai pericoli di una giustizia segreta sottratta al controllo del pubblico e costituisca, anche, uno strumento per preservare la fiducia del singolo nei riguardi degli organi giurisdizionali. Si tratta di un diritto fondamentale dell’individuo necessario per la realizzazione di un processo equo e deve trovare realizzazione in tutte le società democratiche.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo, pur ribandendo il principio della pubblicità dell’udienza, ha comunque ammesso deroghe al canone della pubblicità, purché ragionevoli e funzionali alla tutela di preminenti valori.[7]
Il principio della pubblicità dell’udienza è rinvenibile anche nel Trattato del 2004, che adotta un Costituzione per l’Europea, la quale, al di là della mancata entrata in vigore, dovuta, come si ricorderà, all’esito referendario negativo in Francia e in Olanda, contiene comunque principi frutto di orientamenti consolidati già presenti nelle elaborazioni della Corte di Giustizia UE ed è quindi collettorre dell’acquis comunitario, nel senso di livello minimo indefettibile di previsioni che cosituiscono parametro per i soggetti tenuti ad applicare il diritto comunitario.[8] L’art. II-107, comma 2, prevede che l’esame della controversia sia effettuato in condizioni di serenità (intesa in senso ambientale), nel contraddittorio delle parti e in pubblica udienza quale garanzia di trasparenza dell’iter decisionale e di controllo pubblico sull’esercizio del potere giurisdizionale, che solo eccezionalmente può esplicarsi in camera caritatis.
Esistono però diversi casi nell’ordinamento in cui la regola dell’udienza pubblica è stata trasformata in eccezione.
Ad esempio in Corte di Cassazione vige un giudizio di legittimità a doppio binario: da un lato le controversie con valenza nomofilattica, destinate alla trattazione in pubblica udienza ed alla definizione con sentenza; dall'altro quelle - la maggioranza - prive di rilevanza sul versante dello ius constituzionis che dovranno essere trattate in camera di consiglio e motivate con ordinanza, secondo tecniche redazionali più snelle. Il giudizio della dottrina è stato tuttavia molto critico.[9]
L’art. 26, comma 2, della legge n. 87 del 1953 e l’art. 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale, per le questioni in via incidentale, ammette che il giudizio possa essere definito in Camera di consiglio con decisione del Presidente qualora non si costituisca alcuna parte o in caso di manifesta infondatezza.
Quindi l’ordinamento ammette significativi temperamenti alla trattazione orale in pubblica udienza.
Anche nel processo amministrativo vi sono riti camerali trattati fuori dalla pubblica udienza, indicati dall’art. 87, comma 2, c.p.a (silenzio, accesso, opposizione a decreto di liquidazione del giudice, opposizione ai decreti di improcedibilità o di estinzione, ottemperanza, giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali).
La regola dell’udienza pubblica, quindi, non è assoluta, ma subisce dei temperamenti.
Peraltro, nella pratica, i ruoli dei grandi Tribunali non consentono discussioni troppo ampie, a tacer della constatazione che la discussione, se meramente ripetitiva degli scritti difensivi, non giova a nessuno degli attori del processo.
Ma ciò non può significare minare le basi del principio fondamentale della pubblica udienza.
Nella mia esperienza ricordo, peraltro, molti casi ove un intervento o un chiarimento chiesto dal relatore o dal Presidente ha consentito di meglio circoscrive il thema decidendum o acceso un faro per un diverso convicimento rispetto a quello formatosi sullo studio delle carte.
3. L’udienza telematica
L’udienza “da remoto” non rappresenta una novità per l’ordinamento italiano.
Negli anni l’Italia ha recepito una serie di norme internazionali e, in conseguenza, adattato quelle domestiche contrastanti.
Uno dei primi riferimenti ai «procedimenti audiovisivi» (annoverati «tra i mezzi di protezione» dei testimoni) è contenuto nella risoluzione del Consiglio dell’Unione europea, datata 23 novembre 1995, relativa alla protezione dei testimoni nella lotta contro la criminalità organizzata internazionale.
Successivamente, la Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, resa conforme con atto del Consiglio dell’Unione europea datato 29 maggio 2000, ha sdoganato, agli artt. 10 e 11, rispettivamente, la possibilità di «audizione mediante videoconferenza» e di «audizione dei testimoni e dei periti mediante conferenza telefonica».
Tale Convenzione è stata ratificata in Italia soltanto nel 2016 attraverso la l. 21 luglio 2016 n. 149 e poi il legislatore delegato vi ha dato attuazione dapprima con il dlgs. 5 aprile 2017 n. 52, che ha disciplinato (artt. 13, 14 e 15) rispettivamente l’«audizione mediante videoconferenza richiesta da uno Stato Parte», la «richiesta di audizione mediante videoconferenza in uno Stato Parte» e l’«audizione dei testimoni e dei periti mediante conferenza telefonica richiesta da uno Stato Parte».
Poi, il d.l.vo 3 ottobre 2017 n. 149, recante le «disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere», ha inciso direttamente il corpus processuale penale, inserendo gli artt. 726 quinquies, intitolato «audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva» e 729 quater, che consente l'audizione e la partecipazione all'udienza in videoconferenza della persona sottoposta ad indagini, dell'imputato, del testimone o del perito che si trovi all'estero e che non possa essere trasferito in Italia.
Al di fuori della materia penale, va ricordato il regolamento n. 1206/2001 del Consiglio dell’Unione europea, datato 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.
Anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo (sent. 5 ottobre 2006, ricorso n. 45106/04) ha ritenuto che la partecipazione di un soggetto, imputato in procedimento di natura penale, alle udienze mediante videoconferenza persegue «scopi legittimi rispetto alla Convenzione, ossia la difesa dell’ordine pubblico, la prevenzione del crimine, la tutela dei diritti alla vita, alla libertà ed alla sicurezza dei testimoni e delle vittime, nonché il rispetto dell’esigenza del “tempo ragionevole” di durata dei processi giudiziari».
Ed è proprio sulla scorta dei medesimi obiettivi di sicurezza e tutela della salute pubblica ed al fine di garantire la ragionevole durata del processo, l’udienza telematica introdotta dall’art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28 assicura il principio di oralità, ma non è un’udienza pubblica.
Non è infatti prevista la possibilità di collegamento da remoto di chiunque abbia interesse ad assistervi.
Il legislatore, nel bilanciamento degli interessi, ha ritenuto di sacrificare il principio democratico di controllo dell’esercizio del potere giurisdizionale da parte della collettività, al principio di celerità e ragionevole durata del processo. Peraltro, nell’urgenza di dotarsi di un sistema che consentisse l’accesso degli avvocati all’udienza da remoto, è mancato il tempo necessario ad organizzare e predisporre un sistema idoneo a garantire l’accesso del pubblico (ad esempio tramite la pubblicazione di un link di collegamento) in piena sicurezza, al riparo da attacchi informatici.
L’udienza telematica è stata condivisibilmente definita come un’udienza ad oralità mediata.[10] Ne consegue che il presidente dovrà valutare l’alternativa tra udienza da remoto e udienza dal vivo dopo il 31 luglio. E il presidente effettuerà inevitabilmente una valutazione discrezionale sulla opportunità o meno, in base alla complessità della controversia e alla peculiarità della situazione, di sentire le parti dal vivo oppure addirittura di respingere sia l’istanza di udienza da remoto sia l’istanza di udienza dal vivo. Tale valutazione potrebbe essere effettuata anche in relazione a situazioni di digital divide.
4. Conclusioni e prospettive
Quali spunti possiamo trarre dall’esperienza emergenziale?
La storia umana procede per moti inerziali (un concatenarsi di azioni) e per “salti”, legati a fenomeni collettivi dirompenti (guerre, carestie, epidemie). Come la rivoluzione industriale, la Guerra mondiale hanno cambiato la società, anche questa pandemia ha determinato una accelerazione tecnologica.
Bisogna allora prendere atto che questo “salto” non è un elemento muto. Non possiamo né ignorarlo né subirlo passivamente. Ma possiamo trarre da questa esperienza uno slancio per ripensare l’organizzazione del sistema giudiziario.
Il giurista, nella sua opera di astrazione, comprende (nel senso etimologico del termine: cum e prehendere) i fenomeni della realtà, li fissa e li organizza. Tuttavia, dobbiamo evitare il rischio di capovolgere le posizioni ovvero che dalla superficie diritta si passi alla superficie rovesciata e quindi si aboliscano le due superfici. Va evitato che i concetti “acquistino una assolutezza tale da divenire generatori di realtà, in luogo di essere generati…”. [11]
Occorre quindi evitare di creare, una volta finito lo stato di emergenza sanitaria, un processo virtuale e inumano regolato da un algoritmo o da una macchina, al quale gli uomini, che popolano il processo, devono piegarsi.
Non dobbiamo cedere alla tentazione di sacrificare i valori della tutela del diritto (e quindi del processo) sull’altare dell’economicità e dell’efficienza (mi riferisco ai risparmi dei costi degli spostameni degli avvocati, degli uffici dei giudici).
Non si deve ridurre la patologia (il processo cartolare coatto, la sentenza semplificata in deroga all’obbligo di avviso previsto dall’art. 60 c.p.a., rispettivamente previsti per la fase emergenziale dal comma dall’art. 84 del D.L. 18/2020) a fisiologia del processo.
Nessuno ha interesse a trasformare il processo in un algoritmo matematico o in una slot machine. Tuttavia, Non possiamo però ignorare il “salto” determinato dall’emergenza Covid, così come non possiamo ignorare l’esistenza del fattore tecnologico, che consente di evitare l’incontro fisico, laddove questo comporti dei rischi sanitari, dei costi straordinari o altri gravi problemi.
Come affermato dalla Prof.ssa Maria Alessandra Sandulli, “l’intelligenza umana ci consente e ci impone però di trarre lezioni anche dagli eventi più negativi e trovarvi spunti di riflessione utili al progresso del sistema, facendo tesoro di questa atroce esperienza per migliorare ulteriormente il nostro processo”. [12]
Insomma, tra il modello del Foro romano, del Tribunale periferico, del grande Tribunale e quello del processo telematico, si può trovare una soluzione intermedia che contemperi tutti gli interessi in gioco.
L’udienza in presenza è sicuramente insopprimibile, così come è insopprimibile il contatto umano tra giudici e avvocati, nonché il contatto umano dei giudici tra loro, necessario per l’affiatamento del Collegio.
Il virus che viene dalla natura tuttavia ci costringe a ripensare il modello di “società fabbrica” e la “città opificio”, purché ciò non sia lesivo dei diritti fondamentali.
Parlando in modo empirico, possiamo evitare che l’avvocato prenda l’aereo da Lecce per andare in udienza a Milano solo per rappresentare al giudice che non è ancora in possesso della cartolina di ricevimento della notifica del ricorso o per chiedere un rinvio dell’udienza, ad esempio per la necessità di proporre motivi aggiunti, oppure per mandare la causa in decisione. In altri termini, l’udienza in presenza e i costi che essa comporta si potrebbero evitare per tutti casi in cui la discussione della causa non è necessaria ovvero per quelli situazioni risolvibili nelle cosiddette “preliminari d’udienza”, prassi quest’ultima, peraltro, non codificata.
De iure condendo occorre trovare un punto di equilibrio nel trade off tra efficienza ed equità: tra coloro che considerano il processo come strumento efficienza di giustizia ossia come uno strumento per apprestare una piena e tempestiva tutela e coloro che vedono il processo come valore che risponde all’esigenza di assicurare i presupposti utili ad una soluzione corretta della causa al fine di realizzare la giustizia distributiva.[13]
L’udienza in presenza potrebbe essere rimessa ad una scelta selettiva ed insindacabile di tutti gli attori del processo: degli avvocati e del giudice.
L’udienza telematica , invece, che dovrebbe prevedere l’accesso del pubblico con la messa a disposizione della collettività di un link per l’accesso da remoto, potrebbe costituire la regola per tutti gli altri casi, se non diversamente disposto. Ma in caso di udienza da remoto è sempre preferibile che l’avvocato veda il giudice in aula d’udienza e ciò non solo, come più volte ripetuto in questo periodo dalla maggior parte dei commentatori, per conservare la sacralità del processo (secondo la sopra citata tendenza a teologizzare i concetti), ma soprattutto per evitare l’alienazione e la solitudine del giudicante.
Così come il processo telematico, con la completa digitalizzazione del fascicolo processuale, ha introdotto un sistema più efficiente, allo stesso modo i collegamenti da remoto e l’udienza telematica potrebbero diventare un ausilio valido per realizzare un sistema processuale più agile e moderno. Così come abbiamo scoperto il vantaggio dei fascicoli telematici (è materialmente impossibile, infatti, avere a disposizione sulla scrivania tutti i fascicoli cartacei di un intero archivio) possiamo trarre vantaggi da questa esperienza e riservare, ad esempio, l’udienza in presenza nei casi che necessitano della vera e propria discussione orale.
E ciò senza dimenticare l’insegnamento degli antichi maestri (Carnelutti, Capograssi): il processo è un fatto umano, quando si parla del processo si parla anche del quidam che passa e delle sue cose.
Concludo riportando la lezione di Capograssi, secondo il quale la scienza del diritto fa parte interante dell’esperienza giuridica, aiuta l’esperienza giuridica a formarsi, senza di essa l’esperienza giuridica non si formerebbe. Così come i vecchi giuristi “sentivano tutte le esigenze della vita, che il diritto esprimeva che il diritto doveva aiutare” e “cercavano di aiutare la difficile barca del diritto nel difficile mare dell’esperienza” anche noi dobbiamo tenere la ricerca scientifica “in contatto organico con la vita…”. Ed “in questo mondo in cui il nuovo rischia di sopprimere l’umano, la scienza del diritto… ripensando giuridicamente il nuovo, deve riportarlo a quelle che sono le certezze essenziali e le permanenti strutture dell’esperienza giuridica”. Occorre “cogliere e quindi registrare ed elaborare il nuovo, perché il nuovo è la vita, ma non farsi assorbire dal nuovo… riportare il nuovo all’eterno fondamento umano che non cambia…”, proprio “perché il nuovo per essere vita umana deve fondarsi su questo fondamento: questa è più che mai la funzione della scienza del diritto. Una funzione di civiltà: anzi si può dire- anzi deve dire a se stessa la scienza- che la civiltà, cioè la coscienza sempre attiva sempre presente sempre operante, in tutti i piani della vita, della umanità cioè della spiritualità della vita, è soprattutto ad essa affidata. Appunto la scienza deve aiutare la barca dell’umanità insidiata e negata da tante parti!”. [14]
* * *
[1] Lo scritto costituisce la rielaborazione, ampliata e corredata di note, dell’intervento al webinar Modanella 2020 su L’emergenza Covid e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro, svoltosi nei giorni 30 giugno e 1 luglio 2020 nell’ambito delle Giornate di Studio sulla Giustizia amministrativa.
[2] G. Grasso, Sull’opposizione alla discussione e allegazione documentale alternativa nel regime della oralità mediata eventuale, in www.giustizia-amministrativa. it.
[3] F. Rimoli, Stato di eccezione e trasformazioni costituzionali: l’enigma costituente, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 30 aprile 2007.
[4] V. Zagrebelsky, Proteggere il diritto alla salute, in quotidiano La Stampa del 10 febbraio 2020, chiarisce che “le norme interne e quelle internazionali autorizzano i governi ad assumere i provvedimenti che in questi giorni i vari governi stanno adottando. Si tratta di restrizioni anche rigorose ai diritti e alle libertà personali, che non potrebbero essere imposte se non vi fossero leggi che attribuiscono alle autorità pubbliche un simile potere”. Avverte l’A. che “se si tratta di provvedimenti che implicano trattamenti sanitari interviene il principio costituzionale secondo il quale la legge, quando sia in gioco la salute pubblica, può superare la regola del necessario libero consenso. Il diritto alla salute, che la Costituzione qualifica come fondamentale, è infatti al tempo stesso un diritto dell’individuo e un interesse della collettività. E le restrizioni che non si traducono in trattamenti sanitari, come quelle che limitano i movimenti e impongono di rimanere in ambienti ristretti, sono anch’esse possibili se sono consentite dalla legge ed è previsto il controllo del giudice”. Lo stesso autore, nell’articolo Più discrezione sul ricorso all’esercito. Adesso i blindati non sono necessari, in quotidiano La Stampa del 25 marzo 2020, pur riconoscendo le difficoltà del decisore politico e “il dovere di guardare con rispetto chi è chiamato a decidere e decide” e l’assenza del Parlamento, avverte che, in ogni caso, “non bisogna abdicare al dovere, che è proprio anche della libera stampa, di segnalare problemi e pericoli. Gli ordinamenti giuridici vivono anche dei precedenti che si creano nella vita delle istituzioni. E precedenti negativi possono, in condizioni diverse, dar luogo a lesioni intollerabili di principi e valori…Adesso non c’è ragione di allarmarsi, ma è utile la vigilanza, più per il futuro che per l’oggi”.
[5] S. Satta, Il mistero del processo, p.62, Adelphi ed., 1994.
[6] Cons. St., comm. spec., 10 marzo 2020, n. 571 – Pres. Mastrandrea, Est. Neri Il collegamento da remoto per lo svolgimento dell’adunanza è conseguentemente modalità alternativa allo svolgimento in aula dei lavori purché sia garantita la riservatezza del collegamento e la segretezza.Il periodo di sospensione dei termini dall’8 al 22 marzo 2020, previsto dall’art. 3, comma 1, d.l. n. 11 del 2020, riguarda esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.) e non anche i citati termini endoprocessuali. Nel parere si chiarisce che tale modalità consente di tutelare la salute dei magistrati componenti la Sezione, o la Commissione speciale, senza pregiudicare il funzionamento dell’Ufficio (che continuerà ad operare a pieno regime), rispondendo altresì alle direttive impartite dal Governo, proprio in questa fase di emergenza, in materia di home working o smart working, senza oneri per le finanze pubbliche. Tale conclusione risulta peraltro in linea con quanto stabilito dall’articolo 1, comma 1, lett. q), d.P.C.M. 8 marzo 2020 (pubblicato sulla g.u. 8 marzo 2020 n. 60, nella parte in cui stabilisce che «sono adottate, in tutti i casi possibili, nello svolgimento di riunioni, modalità di collegamento da remoto»), ora esteso all’intero territorio nazionale dall’art. 1, d.P.C.M 9 marzo 2020.
[7] Corte europea dei diritti dell’uomo, 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia; Grand Chamber, 23 febbraio 2017, De Tomaso c. Italia.
[8] M.P. Chiti, La giustizia amministrativa serva ancora? La lezione degli altri, in Riv. Dir. pubbl. com., 206, P. 503.
[9] Secondo B. Sassani, “Da Corte a Ufficio Smaltimento: ascesa e declino della "Suprema", in www.judicium.it, la Corte è stata degradata ad ufficio smaltimento dei ricorsi. Al fine di perseguire lo scopo della semplificazione e dello snellimento dei giudizi in Corte di cassazione un giudizio può essere definito in Camera di consiglio (senza trattazione orale) nelle diverse ipotesi previste dall’art. 375 c.p.c. nelle forme previste dall’art. 380 bis c.p.c., che comprende, oltre ai casi di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e del ricorso incidentale, delle pronunce sui regolamenti di competenza e di giurisdizione, di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso, anche la fattispecie in cui la trattazione in pubblica udienza non sia resa opportuna dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare.
[10] G. Grasso, in www. giustizia-amministrativa. it., afferma che la facoltà di opporsi all’udienza telematica non può essere intesa come compressione del diritto-riconosciuto dall’art. 55, comma 7 e 73, c. 2 c.p.a.- alla discussione orale, chiesto dall’altra parte o come definizione della lite “allo stato degli atti”, ma come opposizione all’udienza in modalità da remoto, perciò si afferma che “l’opposizione va acquisita (in positivo) come richiesta di discutere “in praesentia”.
[11] S. Satta, op. cit., p. 95.
[12] M.A. Sandulli, “Cognita causa”, in www. giustiziainsieme.it, testo tratto dall’intervento al webinar Modanella 2020 su L’emergenza Covid e i suoi riflessi sul processo amministrativo. Principi processuali e tecniche di tutela tra passato e futuro, svoltosi nei giorni 30 giugno e 1 luglio 2020 nell’ambito delle Giornate di Studio sulla Giustizia amministrativa organizzate da F. Francario e M.A. Sandulli.
[13] S. Tarullo, Giusto processo, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, pag. 380.
[14] G. Capograssi, Giudizio processo scienza verità, in Riv. dir. proc. , n. 1, pag. 1, 1950.