“Non luogo a provvedere” sull’appello proposto avverso decreto presidenziale monocratico
Con il decreto 628 del 25 08 2020 il Presidente del Consiglio di Giustizia amministrativa Regione Siciliana ha dichiarato il “non luogo a provvedere” sull’appello proposto avverso un decreto presidenziale monocratico reso ai sensi dell’art. 56 c.p.a.
Nonostante l’appellabilità delle pronunce cautelari monocratiche sia testualmente esclusa dall’art. 56, c. 2, c.p.a., che qualifica esplicitamente come “non impugnabile” il decreto motivato con il quale il presidente o il magistrato da lui delegato provvede sulla domanda di parte ricorrente di concessione di misure cautelari provvisorie, non sono mancate pronunce che hanno ritenuto ammissibile l’appello di tali decreti (Cons Stato, Sez. IV, 7 dicembre 2018 n. 5971; Sez. III, 11 dicembre 2014 n. 5650; Id., 24 giugno 2019 n. 3246; Id., 30 marzo 2020 n. 1553. In dottrina per un primo commento v. M.A. Sandulli, Sugli effetti pratici dell’applicazione del’art 84 d.l. n. 18 del 2020 in tema di tutela cautelare: l’incertezza del Consiglio di Stato sull’appellabilità dei decreti monocratici, in Federalismi.it, Osservatorio emergenza Covid – 19, 31 marzo 2020).
La pronuncia del giudice di secondo grado siciliano si segnala pertanto per ribadire la chiara voluntas legis, nel senso della esclusione della possibilità di appellare il decreto cautelare monocratico.
Ma non solo.
La formulazione del dispositivo non si limita alla classica dichiarazione d’inammissibilità o irricevibilità dell’appello, ma statuisce il “non luogo a provvedere”. La motivazione ne chiarisce la ragione, sottolineando che era stato chiesto “un rimedio giuridico inesistente secondo il vigente tessuto processuale” e precisando che “sulle istanze di rimedi giuridici inesistenti non vi è luogo a provvedere, perché non vi è luogo a incardinare una fase o grado di giudizio, esulando dalle competenze presidenziali l’esercizio di qualsivoglia potere processuale non previsto da nessuna disposizione di legge, sia nel senso che non è possibile provvedere sul merito della richiesta, sia nel senso che non è possibile rimettere l’affare all’esame del collegio”.
Sul piano teorico, una pronuncia d’inammissibilità dell'appello, o anche, volendo sottolineare la mancanza di un presupposto o di un requisito essenziali per poter considerare esistente l’atto processuale, di sua irricevibilità, avrebbe a ben vedere creato meno problemi sotto il profilo del rispetto del principio della domanda o del divieto di non liquet, come normalmente avviene nel giudizio di primo grado allorquando si esclude che l’atto sia impugnabile.
L'atipicità del dispositivo non sembra peraltro trovare specifica giustificazione nella circostanza, parimenti messa in evidenza nella motivazione della pronuncia, che “il ricorso risulta depositato e iscritto a ruolo mediante una “forzatura” del sistema informatico, con attribuzione della classificazione errata quale “appello avverso ordinanza cautelare”, essendo inesistente la tipologia “appello avverso decreto cautelare””. Anche sotto questo profilo, una pronuncia di semplice inammissibilità avrebbe evitato di porre il problema della rilevanza e della esatta qualificazione della difformità dal modello di deposito predisposto dal sistema informatico, ipotesi per la quale non può a priori e in assoluto escludersi la possibilità di qualificazione anche in termini di mera irregolarità.