Covid-19 e legittimazione a ricorrere, o la degradazione dell’interesse pubblico ad interesse legittimo [1]
di Paolo Gentili
L’emergenza ha trasformato, ovviamente in parte, il processo amministrativo non solo nel suo svolgimento, ma, sempre in parte, anche nei suoi presupposti.
Mi riferisco alla legittimazione a ricorrere, vale a dire all’interesse legittimo.
E’ emerso infatti un fenomeno nuovo; nuovo, per lo meno, come fenomeno processuale ordinario e, come tale, tranquillamente accettato. Il fenomeno dello Stato ricorrente in primo grado.
I fatti sono noti: sono i due casi nei quali la presidenza del consiglio ha impugnato avanti al Tar l’ordinanza con cui il presidente della regione Marche aveva disposto, nella primissima fase dell’emergenza, la chiusura delle scuole nel territorio regionale; e l’ordinanza con cui, nella parte finale della fase 1, il presidente della regione Calabria aveva anticipato l’apertura regolamentata al pubblico di bar e ristoranti.
Entrambe le volte la presidenza ha escluso il ricorso per conflitto di attribuzioni in corte costituzionale e ha optato senza esitazioni per il ricorso al Tar.
Lo Stato si è quindi posto tranquillamente come “amministrato” rispetto alla regione. Ed è significativo che le difese regionali, a loro volta, solo pro forma hanno eccepito l’inammissibilità di questi ricorsi. Si sono limitate, infatti, ad affermare che le controversie presentavano il cosiddetto “tono costituzionale” e per questo spettavano alla corte costituzionale. Ma non hanno eccepito che, indipendentemente da questo, lo Stato non era comunque ammesso ad impugnare quelle ordinanze, entrambe basate sul potere del presidente della regione di adottare provvedimenti urgenti in materia sanitaria (art. 32 l. 833/78), semplicemente perché non è configurabile un interesse legittimo dello Stato in rapporto a questi provvedimenti.
Se rimane vero, anche durante l’emergenza, che per proporre un ricorso al Tar occorre essere titolari di un interesse legittimo, o per lo meno affermare di esserlo, come si spiega che in queste circostanze sia emerso un interesse legittimo dello Stato, ovvero che lo Stato si sia posto in posizione di amministrato della regione?
Per essermene dovuto occupare direttamente, e per averci quindi dovuto pensare, mi sono dato questa spiegazione.
Non c’era “tono costituzionale” legittimante un conflitto di attribuzioni perché questo presuppone un riparto di attribuzioni già fissato a priori dalla Costituzione e da norme subcostituzionali attuative; e un provvedimento che, esplicitamente o implicitamente (cioè per il suo contenuto), non rispetti quel riparto.
Nei casi in questione, invece, si stratificavano attribuzioni in materia di emergenza sanitaria spettanti sia allo Stato che alle regioni, senza una determinazione preventiva dell’ambito di esercizio spettante a questo e a quelle.
Il solo criterio utile a distinguere e, soprattutto, ad individuare chi dovesse intervenire, era quindi il principio di sussidiarietà, unitamente ai subprincipi di differenziazione e adeguatezza, enunciato nel primo comma dell’art. 118 Cost.
E’ stata la prima volta che questo principio ha avuto una applicazione diretta e operativa a livello di contenzioso amministrativo.
Che cosa significa sussidiarietà? Significa che deve provvedere, tra più livelli tutti teoricamente competenti, quello “più vicino al problema”, cioè quello dotato delle maggiori e più complete conoscenze degli aspetti tecnici e di fatto del problema.
Quindi, si vede che il principio di sussidiarietà non è un criterio di riparto preventivo di attribuzioni; bensì un criterio che opera a posteriori, “a valle”, dopo che il problema si è presentato, e che consente di individuare, vista la natura del problema, quale autorità è meglio in grado di affrontarlo.
Per questo non si poneva un problema costituzionale e preliminare di attribuzioni violate, ma, in definitiva, un problema di merito, di adeguatezza della capacità istruttoria dell’autorità intervenuta di dominare il problema; e, correlativamente, di adeguatezza dell’istruttoria in concreto posta a base del provvedimento.
Le regioni non disponevano della capacità istruttoria idonea ad intervenire in quei contesti, perché non disponevano della conoscenza globale, nazionale e internazionale, del problema epidemiologico, e potevano quindi effettuare solo interventi settoriali, basati sulla sola conoscenza della situazione regionale; che non potevano armonizzare e coordinare con la situazione generale di cui la situazione regionale era solo una parte, e una parte inscindibile.
Per questo doveva intervenire lo Stato: per assicurare (almeno in tesi) una istruttoria basata sulla conoscenza completa del problema.
Il ricorso al Tar proposto dallo Stato, dopo che le regioni erano, ciononostante, intervenute, mirava allora, essenzialmente, a far valere questo profilo, ben più che a rivendicare una competenza: mirava a pretendere interventi amministrativi di emergenza sanitaria basati su conoscenze effettive e complete del problema, cioè espressivi di una istruttoria adeguata, che le regioni non potevano assicurare.
Erano, in breve e nella sostanza, ricorsi per eccesso di potere da carenza istruttoria.
Vale a dire, ricorsi che qualsiasi privato, titolare di un interesse legittimo inciso da quei provvedimenti regionali, avrebbe potuto proporre.
Ma perché, allora, li proponeva lo Stato?
Secondo i Tar, in particolare il Tar Calabria nel secondo ricorso, perché, in pratica, vi era un interesse procedimentale dello Stato ad esercitare i propri poteri senza doversi confrontare, oltre che con la gravità del problema, anche con provvedimenti regionali o municipali interferenti, di cui limitare o assorbire gli effetti.
Ma un interesse solo procedimentale non è ancora un interesse legittimo.
La risposta che mi sono dato è che l’interesse legittimo fatto valere dallo Stato era un riflesso di quello che avrebbe potuto far valere il privato interessato (il genitore del bambino a cui hanno chiuso la scuola; il vicino del ristorante che improvvisamente si affolla), e che non lo faceva valere, ecco il punto, perché c’era l’emergenza.
Un’emergenza sanitaria di questa gravità è, anche, un limite oggettivo alle possibilità di tutela giurisdizionale dei singoli, che diventano molto teoriche e nella sostanza svaniscono, perché i singoli hanno altro a cui pensare, e comunque, subiscono gravi limitazioni nella libertà di movimento, che è il presupposto anche del pieno diritto alla tutela giurisdizionale.
Per questo, accanto all’interesse legittimo dei singoli, nell’emergenza e a causa dell’emergenza è sorto un interesse legittimo dello Stato, che lo ha esercitato in pratica come legittimazione sostitutiva.
Ma solo in pratica.
Non si è avuta, infatti, alcuna sostituzione processuale, che avrebbe dovuto essere prevista in modo espresso; né tanto meno un’azione popolare al contrario (anche se il mondo dell’emergenza è tutto un mondo rovesciato), dove lo Stato si surroga al quisque de populo e non viceversa.
Si è verificato, più precisamente, il paradosso del titolo: l’interesse pubblico, che è la situazione soggettiva dello Stato, degradato ad interesse legittimo.
L’interesse pubblico, quando vi sia un concorso di attribuzioni stratificate, si concretizza, attraverso il principio di sussidiarietà, nell’interesse ad un intervento amministrativo basato su istruttorie adeguate; che è un interesse legittimo appunto perché mira ad un risultato sostanziale, ad un provvedimento ben istruito. Non è una rivendicazione di competenza fine a se stessa, mirante solo a ribadire che deve intervenire lo Stato e non la regione (o anche viceversa).
Se il titolare dell’interesse legittimo, che è il privato, non può agire per l’impedimento giuridico costituito dall’emergenza, diviene attuale l’interesse dello Stato, che altrimenti non sarebbe azionabile come interesse legittimo in un processo amministrativo. L’impedimento del privato radica l’interesse a ricorrere dello Stato, perché altrimenti non vi sarebbe tutela giurisdizionale per l’interesse sostanziale ad avere provvedimenti di emergenza sanitaria ben istruiti, come il principio di sussidiarietà impone.
E così l’interesse generale, combinando emergenza e sussidiarietà, si trasforma (paradossalmente, si degrada) a interesse legittimo e consente allo Stato il ricorso al giudice amministrativo.
E’ un effetto processuale dell’emergenza su cui vale la pena di riflettere, perché dimostra la necessarietà della tutela giurisdizionale amministrativa, enunciata dall’art. 113 Cost.
Lo Stato avrebbe infatti avuto anche altri mezzi per superare i provvedimenti emergenziali regionali adottati senza rispettare la sussidiarietà; ma si sarebbe trattato di mezzi non giurisdizionali. La degradazione dell’interesse pubblico ad interesse legittimo è stata la condizione perché anche nell’emergenza non si creassero zone franche dalla tutela giurisdizionale amministrativa.
[1] L'articolo riproduce il testo del'intervento alle Giornate di studio sulla Giustizia Amministrativa, Webinar del 30 giugno-1 luglio 2020 su “L’EMERGENZA COVID 19 E I SUOI RIFLESSI SUL PROCESSO AMMINISTRATIVO. PRINCIPI PROCESSUALI E TECNICHE DI TUTELA TRA PASSATO E FUTURO”.