Guerra. Una brutta parola. Designa la cosa peggiore che gli esseri umani possono infliggere agli altri esseri umani. Ed a sé stessi. La morte non naturale, la fame, le malattie sono endemiche nella vita degli uomini, ma con la guerra tutto questo è moltiplicato, amplificato.
Liberazione. Una bella parola. È l’oppressione del male che se ne va, il sollievo dell’anima, la gioia della libertà ritrovata.
Dunque la guerra è il male, la liberazione il bene: com’è possibile che possano associarsi?
Eppure nella storia dell’umanità ciò è accaduto molte volte. Quando ai popoli oppressi, da un altro popolo o da una parte dello stesso popolo, non è data un’altra possibilità, allora la guerra di liberazione diviene inevitabile.
È ciò che accadde in Italia negli anni Quaranta del secolo scorso. Prima vent’anni di oppressione fascista, poi la guerra di aggressione di altri popoli, infine un repentino cambiamento delle alleanze, finalmente dalla “parte giusta” della Storia, ma con il nemico, straniero e italiano, in casa. Un nemico feroce, che non se ne voleva andare, che contrastava le armate alleate metro per metro.
Uno Stato dissolto, un esercito sbandato: cosa potevano fare gli italiani?
Tutti hanno subito gli eventi, alcuni hanno continuato a stare con gli oppressori, altri hanno scelto di combatterli, a Sud e a Nord della linea mobile del fronte. Come partigiani, come soldati dell’Esercito cobelligerante, come internati militari. Con le armi e senza.
L’ 8 settembre 1943 è stato il momento della scelta. E da quel momento è iniziata la guerra di liberazione, il riscatto della nazione. È durata quasi 21 mesi. È stata durissima, cattiva anche più di una guerra convenzionale. La guerra è guerra. In guerra non ci sono “buoni” e “cattivi”, ma soltanto chi è dalla parte giusta e chi da quella sbagliata.
I resistenti hanno combattuto per liberare il popolo italiano dallo straniero occupante e dalla dittatura fascista. Non è dubbio che la loro era la parte giusta.
I morti di quella guerra, come tutti i morti, meritano rispetto. Quelli, italiani e stranieri, che per la libertà hanno combattuto e combattendo sono morti meritano onore e affetto. È a loro che dobbiamo la nostra libertà; è anche per loro che abbiamo il dovere di preservarla, così come è splendidamente espressa nella Costituzione repubblicana.
Ottanta anni dopo, in un tempo incerto e pieno di ombre, la memoria dei liberatori è quanto mai – ma ancor più – viva nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Immagine: Valentino Petrelli, Milano, 26 aprile 1945 via Wikimedia Commons.
Si veda anche Il 25 aprile e la nostra Costituzione di Paola Filippi, Il 25 Aprile: un valore assoluto di Licia Fierro,Il Significato del 25 aprile di Antonella Dell'orfano.