L’occasione di questa nostra conversazione è la legge costituzionale recante «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare» (G.U. 30 ottobre 2025,n.253), oggetto del referendum confermativo che si svolgerà probabilmente nel mese di marzo 2026.
Come è noto, il Disegno di legge di revisione costituzionale presentato il 13 giugno 2024 dal Presidente del Consiglio dei ministri, On. Giorgia Meloni, e dal Ministro della giustizia, On. Carlo Nordio (A.C. 1917) è stato approvato, in sede di prima deliberazione, dalla Camera dei deputati il 16 gennaio 2025, e, passato al Senato, l’Assemblea dei senatori lo ha approvato definitivamente, in sede di quarta deliberazione, nella seduta del 30 ottobre 2025(disegno di legge costituzionale n.1353).
Nella seconda votazione di ciascuna delle Camere la legge non è stata approvata a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, risultando così necessario il referendum popolare confermativo/oppositivo(che, come è noto, anche se è un tema discusso, non è soggetto al raggiungimento del quorum della maggioranza dei voti validamente espressi).
Ci sono osservazioni particolari sul procedimento di revisione costituzionale adottato e sui successivi passaggi parlamentari?
A. Nappi. Nessun rilievo sul procedimento; benché la preclusione a qualsiasi emendamento rivela che l’obiettivo del Governo era il referendum in sé, non una riforma dell’Ordinamento giudiziario.
G. Spangher. La procedura appare corretta.
Anche nella esperienza parlamentare recente abbiamo assistito alla richiesta di referendum popolare confermativo da parte delle forze politiche proponenti che avrebbero interesse a far decorrere il termine previsto di tre mesi per la raccolta delle firme per arrivare alla promulgazione della legge. Così, ad esempio, è avvenuto per il referendum costituzionale confermativo del 2016 sul D.d.L. costituzionale Renzi-Boschi, per il quale l’iniziativa fu assunta anche dai partiti di maggioranza.
È un comportamento politico pienamente legittimo che esprime, però, l’intento plebiscitario della maggioranza proponente, una richiesta esplicita di legittimazione politica che, inevitabilmente, si ripercuote negativamente in caso di mancata approvazione da parte dei cittadini.
Condividete questa mia osservazione?
A. Nappi. Condivido. Infatti, se lo scopo del Governo fosse stato quello di porre rimedio a problemi di ordinamento giudiziario, avrebbe tentato un accordo con le minoranze per evitare il referendum. Non essendoci stata alcuna apertura a qualsiasi emendamento in sede parlamentare, si può concludere che il referendum era il vero obiettivo dell’operazione, perché permetterà di trascinare la magistratura al giudizio del popolo, addebitandole inefficienze ed errori che nulla hanno a che vedere con la riforma costituzionale.
G. Spangher. L’itinerario della riforma è stato lungo e ci sono stati vari momenti di interlocuzione che non hanno sortito effetto. La magistratura non è sembrata disponibile alla riforma e la politica ha temuto lo stallo e ha deciso di accelerare.
Con ordinanza del 18 novembre 2025 l’Ufficio Centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha formulato il quesito da sottoporre al voto popolare nei seguenti temini: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025?».
Si tratta del quesito proposto dai deputati di maggioranza, che hanno ripreso pari pari il titolo della legge, mentre i senatori, più avveduti, avevano proposto un quesito molto più ampio e esplicito, con riferimento anche alla separazione delle carriere.
Ritenete che sia stato fatto correttamente, essendo il tutto finalizzato alla migliore comprensione da parte dei cittadini chiamati al voto?
A. Nappi. Il problema della chiarezza del quesito si era posto anche per il referendum confermativo del 2016 sulla riforma voluta dal governo Renzi. Anche allora si sostenne che il quesito dovesse essere più esplicativo, in particolare argomentando dalla differenza tra semplice legge costituzionale e legge di revisione costituzionale. Ma anche allora la Corte di cassazione si limitò a riprodurre il titolo attribuito dal legislatore al testo normativo, come era avvenuto anche nel 2001 e nel 2006. Infatti, sia con la legge di revisione sia con quella costituzionale il quesito è lo stesso: deve descrivere l’oggetto del testo, così come indicato dal legislatore. Nel referendum abrogativo sul quesito che viene proposto dai presentatori interviene, dopo la Corte di cassazione, la Corte Costituzionale. Non è così per il quesito del referendum confermativo, sul quale la Cassazione non ha alcun potere di intervento.
G. Spangher. Condivido le osservazioni di Nappi. Inevitabile la difficoltà di comprensione, anche se la campagna referendaria dovrebbe essere finalizzata proprio alla migliore comprensione del contenuto della riforma.
La legge costituzionale, in estrema sintesi, persegue l’obiettivo di separare le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, con la previsione di due distinti organi di autogoverno, e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, unica per entrambe categorie. Per le componenti togate e parlamentari è previsto il sorteggio, congegnato, però, in materia diversa.
Prima di entrare nel merito delle norme oggetto di referendum, così come sono state riformate, Vi chiedo di illustrare, in estrema sintesi, l’attuale assetto delle norme incise dalla legge di revisione costituzionale (Parte II, Titolo IV, La Magistratura),frutto di un intenso dibattito in seno all’Assemblea Costituente.
A. Nappi. Com’è noto, in magistratura si accede per concorso, unico per giudici e pubblici ministeri. Il Consiglio superiore, eletto dai magistrati per la componente togata e dal Parlamento per quella laica, è unico e include una sezione disciplinare, composta da consiglieri eletti dallo stesso CSM tra i suoi componenti all’atto del suo insediamento.
L’art. 102 comma 2 prevede che i giudici sono soggetti solo alla legge; l’art. 107 comma 4 prevede però che «il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario». Sicché, benché l’autonomia e l’indipendenza da ogni altro potere sia garantita per tutti i magistrati dall’art. 104 comma 1, per i magistrati del pubblico ministero non è prevista quella indipendenza interna che è invece garantita per i giudici. Una legge ordinaria potrebbe prevedere una più accentuata struttura gerarchica degli uffici del pubblico ministero.
G. Spangher. La ricostruzione dell’ attuale normativa fatta da Nappi è corretta.
Questa riforma viene da lontano. Nelle scorse legislature il dibattito parlamentare si è sviluppato in più occasioni. Mi limito a indicare quelle più importanti: la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali ( c.d. Commissione D’Alema), istituita nella XIII legislatura con legge costituzionale 24 gennaio 1997,n.1, con il Comitato sul sistema delle garanzie presieduto dall’On. Marco Boato; il Governo Berlusconi II, nell’ambito della XVI legislatura, con le Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera dei deputati, con la proposizione di un disegno di legge costituzionale di sua iniziativa, A.C. 4275, avente ad oggetto una articolata riforma del Titolo IV della parte II della Costituzione; l’A. 14, di iniziativa popolare, recante «Norme per l’attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura», presentato il 31 ottobre 2017 nella XVIII legislatura.
Molti sono i punti di contatto con la riforma ora approvata. Quali sono quelli più rilevanti e in stretta connessione con essa?
G. Spangher. Al fondo c’è sempre stata l’idea della accondiscendenza del giudice alle richieste del pubblico ministero.
A. Nappi. In tutti i progetti la separazione delle carriere dei magistrati viene giustificata con la considerazione che il rapporto di colleganza con il pubblico ministero può pregiudicare la terzietà del giudice. È questo, mi sembra, l’elemento più evidente che accomuna tutte le proposte di riforma.
Dobbiamo anche considerare la tornata dei referendum abrogativi del 12 giugno 2022, che non hanno raggiunto il quorum, tre dei quali, in diversa misura, incidenti sulle materie che qui interessano: separazione delle funzioni dei magistrati e divieto del passaggio da una funzione all’altra; composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari e competenze dei membri laici che ne fanno parte; elezione dei componenti togati del Consiglio superiore della magistratura; e di quelli del 21 maggio 2000 sul procedimento elettorale del Consiglio superiore della magistratura e sulla separazione delle funzioni, per limitare il passaggio da una funzione all’altra.
Un diverso risultato, forse, avrebbe evitato lo scontro politico che si è registrato con riferimento alla attuale riforma costituzionale.
G. Spangher. Probabilmente sì, essendo difficile chiamare i cittadini a referendum sulle stesse questioni se accolte anche se migliorabili.
A. Nappi. Non credo che risultati diversi delle precedenti iniziative avrebbero avuto alcuna incidenza, perché, come ho detto, lo scopo del Governo è sempre stato quello di arrivare al referendum per sconfiggere la magistratura nelle urne referendarie. Il problema cui si intende porre rimedio non è quello della unicità di carriera di pubblici ministeri e giudici italiani, ma quello dell’indipendenza della giurisdizione, che, con il crescente svuotamento del ruolo dei parlamenti, è rimasta la sola istituzione idonea a limitare il crescente potere degli esecutivi. Si denunciano perciò invasioni di campo dei giudici, nello stesso momento in cui il Governo invade addirittura il campo di un tribunale per i minorenni.
Il primo punto rilevante della riforma introdotta dalla legge costituzionale è la modifica del primo comma dell’art. 102, Cost., che introduce le «distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti», la cui disciplina è affidata alle norme sull’ordinamento giudiziario.
La prima domanda attiene alla differenza, se differenza c’è, tra le distinte funzioni e le separate carriere.
A. Nappi. La distinzione delle funzioni attiene al processo, la separazione delle carriere attiene all’ordinamento giudiziario.
La distinzione delle funzioni tra giudice e pubblico ministero non c’era nell’originaria disciplina del giudizio pretorile, perché il pretore svolgeva appunto entrambe le funzioni. Sono dunque oltre trent’anni che uno stesso magistrato non può svolgere funzioni di giudice e di pubblico ministero all’interno dello stesso processo. Poi si è cominciato a parlare di separazione delle funzioni nel senso di separazione non irreversibile delle carriere, prevedendo l’ordinamento giudiziario limiti e condizioni al passaggio dei magistrati dall’una all’altra funzione; ovviamente non nell’ambito del medesimo processo, in quanto il codice di procedura penale prevede appunto che chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero non può esercitare nel medesimo procedimento l'ufficio di giudice (art. 34 comma 3).
G. Spangher. Puntuale la ricostruzione di Nappi.
Viene da chiedersi, anche, se non fosse sufficiente la severa limitazione del passaggio del magistrato, nel corso della sua carriera, dall’una all’altra funzione, senza dover introdurre il rigido sistema della separazione delle carriere. Mi riferisco alla disciplina introdotta dall’art. 13, D. Lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (recante «Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005,n.150»), come modificato da ultimo dalla legge 17 giugno 2022, n. 71( recante: «Deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura»), come attuato dal D. Lgs.,28 marzo 2024, n.44.
Si tratta di una distinzione più formale che sostanziale?
G. Spangher. Quando non si fanno le riforme al momento in cui sono mature e si adottano soluzioni compromissorie arriva il momento in cui il tema assume valenza dirimente in termini risolutivi e netti.
A. Nappi. Sulla differenza tra separazione delle carriere e distinzione delle funzioni ho già detto. Aggiungo che sarebbe stato certo possibile limitarsi a interdire con norma costituzionale il passaggio del magistrato dall’una all’altra funzione dopo la scelta iniziale. Ma si obietta che non sarebbe stato sufficiente, perché «attualmente giudici e pubblici ministeri sono insieme nel Csm e insieme si giudicano» (Barbera). Sicché non sarebbe solo la colleganza, ma l’appartenenza al medesimo Csm, a pregiudicare la terzietà del giudice. Ma in questa logica si sarebbe dovuto scindere in due anche l’Alta Corte disciplinare, che davvero “giudica” i magistrati di entrambe le pur separate carriere.
I sostenitori della riforma costituzionale sostengono che la separazione delle carriere è diretta, e inevitabile, conseguenza, del processo accusatorio. In paesi come la Francia e la Spagna, dove esiste la netta separazione delle carriere, non vige un completo processo accusatorio e la posizione istituzionale del pubblico ministero è assai discussa dalla pubblica opinione. Anche il processo inquisitorio può convivere con la separazione delle carriere.
Non è forse vero che lo stesso obiettivo poteva essere raggiunto portando alle estreme conseguenze la riforma c.d. Cartabia, introducendo una iniziale scelta irreversibile fra la funzione requirente e quella giudicante?
Per altro verso non comprendo la ragione di escludere quanto meno la possibilità per un magistrato giudicante di passare alla funzione requirente: ne trarrebbe giovamento la cultura della giurisdizione del pubblico ministero.
A. Nappi. È pura invenzione propagandistica la necessaria derivazione di questa riforma costituzionale dalla riforma del codice di procedura penale del 1988, posto che la separazione delle carriere si ritrova anche in sistemi processuali tuttora inquisitori, come quello francese, non solo in quelli inglese e americano, indicati quali modelli di processo accusatorio, nei quali peraltro «le radici professionali di pubblico ministero, avvocato e giudice sono comuni», come precisano nel loro documento gli studiosi di procedura penale contrari alla riforma.
Come riconosce del resto Tullio Padovani, che pure è favorevole alla riforma costituzionale, la piena attuazione del processo accusatorio esigerebbe che, anziché separare giudici da pubblici ministeri, si unissero in un unico ceto forense anche gli avvocati, come avviene appunto nei paesi di common law. Il prof. Padovani ritiene però che questa sarebbe un’autentica rivoluzione, dunque un disegno inattuabile.
La differenza tra conservatori e riformisti è nella fiducia di questi ultimi nella possibilità di progredire.
Propongo dunque la seguente riforma alternativa.
Il magistrato del pubblico ministero non può ambire a incarichi direttivi o semidirettivi se non dopo due anni di partecipazione a un collegio giudicante. Non si è ammessi a esercitare la professione di avvocato se dopo l’esame non si integra per due anni un collegio giudicante. I due anni di pratica forense sono necessari anche per la ammissione al concorso in magistratura.
In realtà, contrariamente a quanto si sostiene, non c’è alcun rapporto di implicazione tra ordinamento giudiziario e sistema processuale. Ai fini del contraddittorio, proprio del processo accusatorio, quel che rileva è che la netta distinzione di ruoli tra giudice e accusatore, con parità di "armi" tra accusa e difesa, sia garantita nel processo, quali che siano le collocazioni ordinamentali di giudici e pubblici ministeri.
G. Spangher. La settima disposizione transitoria della Costituzione prevede che si debba adeguare quella del regime in atto secondo i valori della Costituzione (così il primo comma:« Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull'ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell'ordinamento vigente».).In Italia l'ordinamento giudiziario non può restare insensibile a quanto disposto dall’art 111,Cost. a prescindere dal modello, che peraltro nel nostro paese si vorrebbe accusatorio anche se poi è misto.
La modifica più rilevante riguarda l’art. 104, Cost., interamente sostituito. Resta ferma la previsione (comma 1) della «magistratura come ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», pur nella composizione dei magistrati delle separate carriere requirente e giudicante.
È una affermazione di principio meramente formale, anche in prospettiva di diverse e future riforme, peggiorative, che mal si coniuga con il riconoscimento, nei fatti, dell’autonomia e dell’indipendenza a favore di tutti i magistrati, oppure è un insopprimibile principio sostanziale?
A. Nappi. Come ho già detto, l’autonomia e indipendenza esterna, riconosciuta ai pubblici ministeri come ai giudici, non esclude che la mancanza di una garanzia di indipendenza interna del pubblico ministero ne renderebbe possibile una riorganizzazione fortemente gerarchica anche con legge ordinaria. E un ufficio del pubblico ministero centralizzato e gerarchizzato sarebbe agevolmente controllabile dal Governo.
G. Spangher. È difficile dire degli sviluppi della materia in relazione al futuro. Molto dipenderà dal CSM dei pubblici ministeri e dalle scelte che vorranno fare. Mi pare difficile, però, un ritorno alla struttura gerarchica modello 1930.
La separazione delle carriere rende davvero inevitabile la duplicazione anche degli organi di autogoverno della magistratura, con l’istituzione di due Consigli superiori (comunque presieduti entrambi dal Presidente della Repubblica, con componenti di diritto, rispettivamente, il Primo Presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione e con la figura del vicepresidente scelto tra i componenti di nomina, rectius sorteggio parlamentare)?
G. Spangher. Mi pare ormai una domanda inutile posto che tutto dipenderà dall’esito del referendum.
A. Nappi. Come ho già detto, sarebbe stato sufficiente limitarsi a interdire con norma costituzionale il passaggio del magistrato dall’una all’altra funzione dopo la scelta iniziale. La moltiplicazione dei consigli superiori è un gesto meramente simbolico, propagandistico antieconomico. Nell’attuale CSM i pubblici ministeri sono una minoranza, sia rispetto ai giudici sia rispetto ai laici: non è dunque nemmeno immaginabile un’incidenza dei pubblici ministeri, come categoria, sulla carriera dei giudici; e per la verità non è immaginabile nemmeno l’inverso. Se le correnti dell’ANM gestiscono le carriere, lo fanno indipendentemente dall’appartenenza all’ulna o all’altra funzione.
Il punto più delicato, a sentire anche chi giudica in linea di massima tollerabile il sistema di separazione delle carriere, è il meccanismo del sorteggio per l’individuazione dei componenti togati e laici.
Si sostiene, in proposito, che si tratta di una scelta necessitata per il superamento delle correnti della magistratura; e tuttavia si può ritenere, questo sistema, davvero compatibile con la composizione di un organo di rilievo costituzionale ( come è stato chiarito in più occasioni dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 148 del 1983, n. 379 del 1992, n. 380 del 2003 e con la sentenza n. 270 del 2002, relativa alla Sezione disciplinare)?
A. Nappi. Nelle intenzioni dei riformatori il sorteggio è un rimedio contro la degenerazione delle correnti in cui si articola l’Associazione nazionale magistrati, che da espressioni di autentico pluralismo culturale e professionale si sono ridotte a centri di potere clientelare.
Sennonché la degenerazione delle correnti deriva in realtà dall’involuzione corporativa dell’ANM, un tempo impegnata nella promozione e nella tutela di interessi collettivi, ora ridotta a piccolo sindacato di categoria. Da anni si assiste infatti a una sostanziale omogeneizzazione della dirigenza dei gruppi associativi su posizioni corporative, frequentemente in palese e piena incoerenza con le proclamazioni valoriali e programmatiche.
Affidare al sorteggio la selezione dei componenti dei due Csm aggraverebbe questa involuzione corporativa, perché il solo titolo di legittimazione dei selezionati rimarrebbe appunto quello dell’appartenenza alla propria corporazione, senza alcun riferimento alle diverse idee di giustizia che ne giustifichino l’elezione. Intatti rimarrebbero comunque gli spazi di gestione dei centri di potere clientelare delle correnti, anche se la loro rappresentanza consiliare risulterebbe affidata al caso anziché al consenso, comunque conseguito.
G. Spangher. È ritenuto un profilo problematico, non lo nascondo. Tuttavia, il CSM non è un luogo di rappresentanza politica. Gli eletti non sono ricandidabili.
C’è stato un sorteggio dei collegi. Bisognerà vedere la disciplina di attuazione.
Un altro elemento di criticità del sorteggio riguarda il diverso meccanismo individuato per l’estrazione a sorte delle due componenti: temperato per i laici, nella misura di un terzo (estratti da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, compilato mediante elezione dal Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dal suo insediamento), secco per i togati, per due terzi. La previsione costituzionale per i magistrati prevede infatti l’estrazione a sorte senza previa predisposizione di elenchi o selezione in base all’anzianità, come previsto invece per i componenti laici. La legge ordinaria (torneremo anche dopo sulle leggi di attuazione), alla quale è rimesso il compito di individuare il numero degli estratti e le procedure previsti dalla legge, e non la predisposizione di elenchi, in base al brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit non potrebbe legittimamente stabilire la previa selezione dei sorteggiabili, che, dunque, sarebbero circa 8000 magistrati giudicanti e circa 2000 magistrati requirenti.
Cosa ne pensate?
A. Nappi. C’è indubbiamente una contraddizione tra i sistemi di selezione della componente togata, che è a base esclusivamente corporativa, e della componente laica, la cui base è comunque anche valoriale, essendo scelti dal Parlamento i componenti della lista dei sorteggiabili. Questa contraddizione non è tuttavia irragionevole, considerato che l’ambito dei legittimati laici è molto più ampio e vario di quello dei togati.
G. Spangher. Io invece non trovo alcuna incongruenza nei due criteri di nomina considerati i diversi bacini degli eleggibili. Per i togati bisognerà attendere la normativa di attuazione. Per i laici si spezza anche il rapporto tra sponsor ed eletto oltre a quello con il partito di riferimento.
Qualcuno ritiene che il sorteggio non sia una novità nel nostro ordinamento generale, e tuttavia, per restare al settore giudiziario è un meccanismo residuale ancorato a precise condizioni.
Qual è la Vostra opinione in proposito?
G. Spangher. Ribadisco: bisognerà vedere la legge di attuazione che il Parlamento approverà con riferimento a genere, territorialità, funzioni.
A. Nappi. Ciò che è irragionevole è appunto il sorteggio, che di solito è previsto quando occorre garantire l’imparzialità, non la rappresentatività, della selezione. Per la componente laica la selezione della lista dei sorteggiabili garantisce comunque la rappresentatività dei sorteggiati. Per la componente togata è esclusa qualsiasi rappresentatività, con un approccio da sindacalismo corporativo.
Profondamente inciso dalla riforma è l’art. 105,Cost., sulle competenze attribuite a ciascun Consiglio superiore della magistratura, soprattutto per la sottrazione della giurisdizione disciplinare (fino ad oggi attribuita ad apposita sezione interna) e la sua devoluzione a un unico organo, l’Alta Corte disciplinare, composta, peraltro, anche da magistrati di entrambe le carriere.
Ritiene legittima e necessaria, anche nello spirito della riforma, questa divaricazione delle competenze?
A. Nappi. Come ho già rilevato, la composizione mista della Corte di giustizia disciplinare si sottrae alla logica della separazione delle carriere. Non è pertanto inaccettabile, anche se rivela una palese contraddittorietà del disegno riformatore. La giustizia disciplinare domestica era e domestica rimane, come per tutte le professioni.
G. Spangher. È un organo autonomo dalla logica del CSM e quindi è istituito in modo autonomo e originale, non domestico.
A. Nappi. La giustizia disciplinare domestica era e domestica rimane, come per tutte le professioni.
Con riferimento a questo istituto, sono molti i punti di criticità rilevati da chi è contrario alla riforma. Innanzitutto, per la sola componente togata, ritorna il meccanismo del sorteggio tra gli appartenenti ad entrambe le categorie(con percentuali diverse, sei giudicanti e tre requirenti; con almeno venti anni di esercizio delle funzioni, anche di legittimità) comunque esclusi dalla presidenza di questo organo che spetta alla componente nominata dal Presidente della Repubblica o alla componente eletta dal Parlamento, attingendo, con un diverso meccanismo di sorteggio, da un elenco predisposto e compilato dal Parlamento in seduta comune.
G. Spangher. Quando si tratta di comporre un organo di garanzia i criteri di nomina possono essere diversi. Essenziale è che essi assicurino una decisione giusta. Mi pare una polemica fuori luogo se si considera oggi la composizione della sezione disciplinare del CSM.
A. Nappi. L’intervento del Presidente della Repubblica per la selezione di una parte della componente laica della corte mi sembra condivisibile. Come trovo accettabile il sorteggio della componente togata, perché qui non si tratta di garantire la rappresentatività dell’organo ma appunto la sua imparzialità.
Il secondo punto di criticità è rappresentato dal fatto che le sentenze disciplinari emesse in prima istanza possano essere impugnate, anche per motivi di merito, davanti alla stessa Alta Corte, in diversa composizione: sembra di capire in un numero limitato di componenti, se in prima istanza è l’intero Collegio che decide. Sembra esclusa l’impugnazione delle sentenze di appello avanti alla Corte di cassazione per violazione di legge, in deroga al principio generale previsto dall’art. 111,Cost.
A. Nappi. Ritengo che la previsione di questa impugnazione anche nel merito dinanzi alla stessa Corte di giustizia finirebbe per accrescere, anziché ridurre, le garanzie di difesa del magistrato incolpato, perché la possibilità di ricorrere poi per cassazione contro la seconda pronuncia dovrebbe essere comunque riconosciuta, previa dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 4 della legge per contrasto con l’art. 111 della Costituzione. È noto, infatti, che anche le leggi costituzionali possono essere dichiarate incostituzionali. È poi ovvio che a giudicare sull’opposizione dovranno essere giudici diversi da quelli che hanno pronunciato la prima sentenza.
G. Spangher. L’originalità della Corte sembra sottrarla alla logica più strettamente processuale nonché a considerazione che il legislatore, con una norma di rango costituzionale, l’ha esclusa.
Si potrebbe parlare, in proposito, di doppia conforme.
Le modifiche apportate agli artt.106, 107, 110, Cost., sono consequenziali alla separazione delle carriere e all’istituzione di due separati Consigli superiori; merita invece evidenziare che la riforma complessiva dell’ordinamento della magistratura ordinaria differenzia, in maniera rilevante quest’ultima rispetto alle altre magistrature - amministrativa, contabile, militare e tributaria - anche e soprattutto, con riferimento alla giurisdizione domestica (senza dire degli ordinamenti professionali, prima fra tutti, per omogeneità di tema, quello forense),che meriterebbe una rivisitazione complessiva.
Ritenete legittima e giustificata questa diversa regolamentazione?
G. Spangher. Credo che su questi aspetti sarà necessaria una riflessione all'esito del referendum. La discrasia, a mio avviso, non inficia la disposizione in esame.
A. Nappi. Credo che il sistema disciplinare dei magistrati debba essere in qualche misura assimilato a quello dei professionisti. Con tutti i limiti di questa assimilazione, perché è ovvio ed è indiscusso che il sistema disciplinare degli ordini professionali ha un'origine medioevale; ed era previsto anche in funzione di garanzia di un monopolio castale (ereditarietà delle professioni), ormai non riproponibile in società che si dicono aperte.
Oggi questo sistema disciplinare per gli ordini professionali ha una funzione soprattutto “pretoria”, perché gli illeciti professionali sono per lo più definiti in termini di generica contrarietà «alla dignità ed al decoro professionale». Ma anche per i magistrati la tipizzazione degli illeciti non esclude l’esigenza di far riferimento a una comune coscienza professionale.
Trovo dunque ingiustificabile, e anche per questo costituzionalmente illegittima, l’esclusione del ricorso per cassazione contro le decisioni disciplinari pronunciate dall’Alta corte nei confronti dei magistrati.
La riforma non finisce qui. L’art. 8, comma 1, del disegno di legge rinvia l’attuazione della riforma all’adeguamento delle leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione (entro un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale),senza una specifica indicazione degli atti legislativi oggetto di intervento. Si tratta, anche, di capire, come saranno modificate le procedure di accesso alla magistratura, fermo restando il sistema concorsuale, e se saranno seguiti percorsi differenziati della formazione professionale. C’è da chiedersi, anche, quali novità saranno introdotte nella composizione e nelle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari.
Ovviamente, l’aspetto di maggiore interesse riguarda forme e modi di attuazione del meccanismo del sorteggio, solo genericamente delineato nella riforma costituzionale, come abbiamo anticipato prima.
Quali sono, a Vostro avviso, i criteri direttivi principali di attuazione della legge costituzionale?
Ritenete possibile, come da qualcuno ipotizzato, che le criticità emerse in sede di legge costituzionale possano essere risolte in sede di attuazione della riforma con leggi ordinarie costituzionalmente orientate?
A. Nappi. Posto che questa legge costituzionale superi il vaglio referendario, i criteri di attuazione del nuovo sistema dipenderanno dalla maggioranza politica che dovrà provvedervi. Non sono in grado di proporre indicazioni al riguardo.
G. Spangher. Spetterà al Parlamento riempire la cornice. Qui c’è solo la proporzione ma non il numero dei componenti e le modalità con cui i magistrati saranno individuati tra i sorteggiabili nelle varie fasce aree genere.
Abbiamo cercato di esaminare, spero in maniera esaustiva, il merito di questa riforma, almeno per gli aspetti più rilevanti. Ogni riforma, però, a maggior ragione quella costituzionale, ha un merito politico, che non possiamo sottovalutare e che può incidere, in misura preponderante, sull’espressione del voto popolare. Le sollecitazioni sono tante. Giusto per fare qualche esempio: è una riforma “punitiva” della magistratura, secondo alcuni; serve a eliminare la presenza delle correnti, secondo altri; migliora, nel complesso, il servizio della giustizia e riduce in maniera considerevole gli errori dei magistrati, secondo altri ancora; allontana dalla cultura della giurisdizione il magistrato del pubblico ministero, rafforzando il suo potere, rispetto ai giudici e ai cittadini, in generale: anche questo è un argomento ricorrente, come quello della piena attuazione nel processo penale della parità delle armi di avvocati difensori e pubblici ministeri.
Qual è la Vostra opinione in proposito?
G. Spangher. Quanto detto sicuramente sarà oggetto della contrapposizione elettorale.
Ogni cittadino avrà una sua motivazione nell’esprimere il proprio voto. E, come sempre accade, l’ esito del voto e i suoi numeri saranno oggetto di letture varie nelle quali questi elementi troveranno sostenitori.
Spetterà alla politica fare la sintesi.
Comunque, l’esito non sarà neutro e i numeri peseranno.
A. Nappi. Alla separazione delle carriere non sono contrario per ragioni di principio ma per considerazioni sull’esperienza successiva al varo del nuovo codice di procedura penale del 1988.
Il nuovo codice di procedura penale ha inciso significativamente sullo status del pubblico ministero:
a) ne ha reso finalmente effettiva l’indipendenza dall’Esecutivo, con la garanzia di autonomia nella gestione della polizia giudiziaria;
b) ne ha opportunamente accresciuto le esigenze di specifica professionalità, con l’abolizione del giudice istruttore, che in precedenza conduceva le indagini più complesse;
c) prima della riforma Cartabia, gli aveva riconosciuto un criterio di determinazione, la sostenibilità dell’accusa in giudizio, che lo aveva in qualche misura affrancato dal ragionevole dubbio, che funge da criterio di decisione del giudice.
Ne è conseguita una cultura sempre più specialistica e autoreferenziale, francamente diversa da quella dei giudici, al di là della proclamata unitarietà della cosiddetta cultura della giurisdizione. Si è così legittimata la pretesa di “fare giustizia” indipendentemente da una concreta ed effettiva prospettiva giurisdizionale; e si è legittimata la cultura di un pubblico ministero che non è capace e comunque non si sente più chiamato a “mettersi nei panni del giudice”, perché quello del giudice è un lavoro che non ha mai fatto e neppure aspira a fare mai, per non disperdere le proprie prospettive di “carriera”.
Più che i limiti ordinamentali è dunque il carrierismo a precludere le residue possibilità di passaggio da una funzione all’altra, perché l’aspirazione a ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi è ormai considerata fondamentale nella vita professionale dei magistrati. Pur di ottenere questi incarichi si affrontano frequentemente trasferimenti ben più gravosi di quelli imposti dalla disciplina normativa per il cambio di funzioni.
Questa situazione sarebbe vieppiù aggravata dalla riforma costituzionale in discussione, perché si rafforzerebbero come autonoma corporazione i pubblici ministeri, mentre l’orizzonte dell’autonomia del giudice non può non includere l’effettiva consapevole partecipazione delle altre professioni in cui la sapienza giuridica si esercita. Non c’è indipendenza del giudice senza indipendenza del pubblico ministero e dell’avvocatura, quali componenti di un unico ceto professionale.
Come ho chiarito, più che separare i pubblici ministeri dai giudici, occorrerebbe promuovere un unico ceto forense inclusivo anche degli avvocati.
C’è poi chi denuncia la possibilità, ora latente, ma in futuro realizzabile, di sottoporre i magistrati al controllo del potere esecutivo; ma c’è anche chi auspica uno stretto collegamento al potere politico ( parlamentare o esecutivo) della separazione delle carriere, che risulterebbe vana cosa in assenza di questo. Ciò anche per escludere lo strapotere dei pubblici ministeri.
Qual è la Vostra opinione in proposito?
A. Nappi. Non so se a questa riforma ne seguiranno altre intese alla subordinazione del pubblico ministero all’esecutivo.
Ma credo che, se l’operazione referendum riuscirà, non saranno necessarie neppure ulteriori riforme costituzionali per contenere la giurisdizione. Una magistratura sconfitta dal popolo è una magistratura culturalmente sottomessa.
Come ho già rilevato, per quanto riguarda più specificamente il pubblico ministero sarebbe possibile una legge ordinaria che accentuasse l’organizzazione gerarchica degli uffici e il rapporto tra procure della Repubblica e procure generali.
D’altra parte, il vero obiettivo del Governo potrebbe esser anche quello di togliere al pubblico ministero «il potere di impulso sulle indagini», come ha affermato il sottosegretario Andrea Del Mastro, attuando così un progetto di riforma del codice di procedura penale risalente al IV Governo Berlusconi (2008). Con questa riforma, infatti, il pubblico ministero potrebbe investigare solo su notizie di reato presentategli o trasmessegli dalla polizia, da altri pubblici ufficiali o da privati. Si affiderebbe così alla polizia, e quindi al Governo, oltre che ai privati cittadini, l'iniziativa per l'esercizio dell'azione penale. Il pubblico ministero non potrebbe più, come avviene oggi, rilevare d'ufficio una notizia di reato, ad esempio da informazioni di stampa, e investigare al riguardo.
G. Spangher. È un pericolo che viene agitato ma lo ritengo non realistico e politicamente difficile da realizzare per la forte contrapposizione politica che determinerebbe per il contrasto non solo con la Costituzione e con le Carte internazionali, ma anche gli orientamenti delle Corti europee.
Forse anche il CSM dei giudici reagirebbe!!!
Un’altra osservazione che intendo porre alla Vostra attenzione attiene al ruolo dei magistrati e della loro associazione sindacale, l’ANM, che hanno assunto, in questa vicenda, parte attiva nella critica alla riforma. Per la verità non sono mancate, sui media e sulla stampa, anche posizioni favorevoli. Senza considerare il ruolo politico di diversi magistrati, anche nella compagine governativa.
Nel complesso viene denunciato un ruolo “politico” della magistratura, ritenuto da molti improprio e gravemente inopportuno.
È così?
A. Nappi. Nonostante l’involuzione attuale, ho sempre ritenuto, e con me molti colleghi di un tempo, che l’ANM non sia e non debba essere solo un sindacato. Si tratta, comunque, di un’associazione che opera nella società civile, e sarebbe davvero paradossale interdirle la partecipazione alla campagna referendaria sol perché formata da magistrati.
Giorgio Spangher. L’ANM come associazione può liberamente svolgere il suo ruolo culturale e di critica. Purtroppo, è diventata la cinghia di trasmissione incidente sugli equilibri di un organo di rilievo costituzionale come il CSM.
Da ultimo, una osservazione che nasce dalle impressioni di questi giorni e dall’impostazione della campagna referendaria di una parte rilevante dei soggetti interessati che hanno promosso la costituzione di vari Comitati sostenitori del “Sì” e del “ No”. Una riforma di questa portata, come tutte le riforme che incidono direttamente sulla Costituzione, ha inevitabilmente, a mio avviso, un merito politico, e un merito tecnico.
Qual è secondo Voi l’aspetto prevalente che deve essere privilegiato, soprattutto ai fini della corretta informazione pubblica?
G. Spangher. Sicuramente quello tecnico.
C’è, ovviamente, anche un risvolto politico come si vede dai comportamenti che i sondaggi innestano tra chi può vincere e chi rischia di perdere
L’esito del voto poi darà luogo a letture diverse e su queste si innesteranno varie idee sulle riforme della giustizia che verranno.
A. Nappi. La scelta è ovviamente politica, altrimenti non sarebbe indetto un referendum, che chiama i cittadini al voto. Ma la politica presuppone la conoscenza dei problemi e l’intenzione di porvi rimedio. Prevarrà invece la propaganda, che i problemi li usa senza la minima intenzione di risolverli.
Si parlerà dunque di errori giudiziari e di invasioni di campo, inondando la pubblica opinione di slogan fasulli contrabbandati per analisi tecniche.
Risulterebbe meno dannosa la soluzione tecnica di un sorteggio tra il “Sì” e il “No”.
Immagine: Andrea Gabbriellini, Vibrazioni blu, 2004.
