Sommario: 1. Il meccanismo del sorteggio dei membri degli organi collegiali: la sfortunata esperienza della Boulé ateniese - 2. La mancata previsione di uno screening preliminare per il sorteggio dei componenti togati dei nuovi Consigli Superiori - 3. Le minoranze non organizzate secondo Gaetano Mosca - 4. Conclusioni: il rischio attuale della subordinazione.
1. Il meccanismo del sorteggio dei membri degli organi collegiali: la sfortunata esperienza della Boulé ateniese
Il sorteggio, previsto per l’elezione dei componenti dei nuovi Consigli Superiori della Magistratura introdotti dalla riforma costituzionale, è senza dubbio un meccanismo inusuale nella formazione degli organi costituzionali.
Guardando alla storia costituzionale, oltre a inusuale, si potrebbe trovare anche un altro aggettivo per descrivere il meccanismo del sorteggio, e cioè sfortunato.
Se la Storia è ancora magistra vitae, l’esempio principe che addurrei per dimostrare la sfortuna del metodo in commento è quello della Boulé dell’Atene nel V secolo a.C. Si tratta di un organo che – nell’impianto della democrazia riformata da Clistene – era appunto tirato a sorte tra tutti i cittadini ateniesi di pieno diritto.
La sfortuna, in questo caso, è duplice e concerne sia il suo funzionamento che la sua fine.
In effetti, nella sapienza degli antichi, il ruolo di un organo sorteggiato chiamato ad esprimere gli interessi della politeia, diveniva di fatto ancillare; e per la precisione, schiacciato tra due altri poteri: quello dell’ecclesia (cioè l’assemblea di tutti i cittadini) da un lato e – soprattutto – il collegio degli strateghi (questi sì, eletti tra tutti i demi dell’Attica), dall’altro. In sostanza, la Boulé di sorteggiati veniva a trovarsi tra l’incudine e il martello, e di fatto era destinata ad essere estromessa dall’assunzione delle decisioni politiche più significative.
Tuttavia, se dall’organizzazione della Boulé nel quadro costituzionale ateniese si può solo trarre il segno della sua debolezza istituzionale, un segno – tragico – della sua inconsistenza politica (laddove per politica si intende badi, la sua capacità di rispondere alle sollecitazioni storico e costituzionali della politeia) è rappresentato dal modo in cui fu sciolta nel 411 a.C.
Ci racconta Tucidide ateniese come, all’indomani del colpo di stato oligarchico ordito in quell’anno, prima premura dei “golpisti” (se così possono essere chiamati Antifonte e i suoi) fu quella di liquidare l’organo sorteggiato. Ai suoi membri, non senza disprezzo, fu liquidata la paga residua per il loro incarico;[1] un gesto che ai nostri occhi pare evidentemente denigratorio ed espressivo dello spregio con cui doveva essere considerata la Boulé sorteggiata; uno spregio che potrebbe anche derivare dal difetto di legittimazione con cui doveva essere percepito dagli autori della sua dissoluzione.
Le modalità di questo scioglimento avvenuto a distanza di 25 secoli dimostrano come la Boulé – come qualunque organo sorteggiato – fosse un organo essenzialmente debole, passivo, talmente inconsistente da accettare bonariamente la propria liquidazione.[2]
2. La mancata previsione di uno screening preliminare per il sorteggio dei componenti togati dei nuovi Consigli Superiori
Ora, venendo alle dolenti note della quotidianità, a me pare che il rischio che i nuovi costituendi CCSSMM divengano organi inconsistenti non sia fugato dalla riforma. Ma occorre una puntualizzazione: ad essere inconsistente sarà soprattutto (se non esclusivamente) la sua componente togata, e cioè quella che più di tutti dovrebbe esprimere la capacità di autogoverno. La scelta di individuare una maggioranza di componenti a sorte tra tutti i magistrati d’Italia (circa 10.000), renderebbe questa maggioranza sostanzialmente inconsistente. Se questo è il meccanismo di nomina dei togati, per contro, i laici saranno tirati a sorte da una lista predisposta dal Parlamento. A questo quadro si aggiungeranno i tre nominati dal presidente della Repubblica e i membri diritto. Questa impostazione fa ritenere che già oggi nell’architettura dei nuovi CCSSMM sia presente – chiaramente – la possibilità di subordinare la giurisdizione alla politica.
In effetti, occorre riflettere su un problema preliminare che le “democraticissime” istituzioni Ateniesi avevano risolto almeno in parte, cioè quello della selezione dei candidati.
Tramanda Aristotele che già fin dalle leggi di Solone tra alcuni magistrati da tirare a sorte, vi era quello che oggi chiameremmo uno “screening preliminare”, cioè la compilazione di una lista di candidati tra cui sorteggiare.[3]
La riforma del 2025, invece, prevede questa sorta di filtro solo per la componente laica, mentre la componente togata, espressione dei magistrati, verrà nominata senza nessuno screening.[4] Questo significa che - ad oggi - la lista dei papabili tra cui estrarre a sorte sarà composto da tutti i 10.000 magistrati, senza che – alcuno di questo – abbia preventivamente dato prova di sufficienti capacità organizzative, negoziali, relazionali, gestionali e – in ultima istanza – latamente politiche, necessarie per partecipare proficuamente alla vita di un organo costituzionale collegiale, ma non richieste per accedere in Magistratura, né necessarie per essere un buon magistrato.
Il rischio, in altri termini, è quello di avere due bacini diversi da cui pescare: un bacino compatto composto da quel mondo di sottogoverno di cui pullula il mondo politico, da un lato, e dall’altro la totalità dei 10.000 magistrati tra cui - com'è ovvio – si trovano personalità di tutti tipi, alcune delle quali, per forza di cose, non attrezzate per la sfida che li attenderebbe.
Questo sospetto è tanto più radicato se si considera che non risulta ancora disciplinato il modo in cui verranno selezionate le persone da inserire nella lista dei laici. Ciò significa che – in astratto – potrebbero anche essere inserite nella lista esponenti di quel mondo di sottogoverno di un unico colore politico, con l’effetto di polarizzare già da subito politicamente l’operato dell’organo.[5]
Se così dovesse accadere, a maggior ragione una controparte togata nominata nelle modalità anzidette non sarebbe capace di arginare un potere “laico” di questo tipo, proprio in considerazione della sua intrinseca debolezza.
3. Le minoranze non organizzate secondo Gaetano Mosca
Gli approdi della filosofia politica degli ultimi 150 anni, da Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca in poi, passando per Giovanni Sartori, hanno chiaramente evidenziato il ruolo condizionante che nella vita pubblica, e ancor più nel funzionamento degli organi istituzionali, hanno le cosiddette minoranze organizzate. Quella passata alla letteratura come la “legge ferrea dell’oligarchia” ha dimostrato come un’organizzazione politica ben possa essere gestita, condotta e riorganizzata da minoranze omogenee, risolute e compatte.
Scriveva Gaetano Mosca ne La Classe Politica del 1896 che “La forza di qualsiasi minoranza è irresistibile di fronte ad ogni individuo della maggioranza, il quale si trova solo davanti alla totalità della minoranza organizzata; e nello stesso tempo si può dire che questa è organizzata appunto perché è minoranza. Cento, che agiscano sempre di concerto e d’intesa gli uni con gli altri, trionferanno su mille presi ad uno ad uno e che non avranno alcun accordo fra loro; e nello stesso tempo sarà ai primi molto più facile l’agire di concerto e l’avere un’intesa, perché son cento e non mille.” [6]
4. Conclusioni: il rischio attuale della subordinazione.A riprova di questo assunto, porto le elaborazioni del pensiero politico del secolo scorso
Questi elementi ci suggeriscono che già oggi si apre lo spazio, se non per una subordinazione della Magistratura alla politica, quantomeno di una subordinazione della componente togata a quella laica. Si tratta di subordinazione che per il momento vive nei contorni non chiari e ambigui di una riforma adottata in chiara opposizione rispetto agli stakeholders istituzionali (i magistrati, appunto), e che – lo si ribadisce – apre a rischi di condizionamenti non ancora esplorati nella Storia repubblicana.
Accanto a ciò, si pone anche la difficile questione della legittimazione di un organo sorteggiato, che – come dimostra l’esperienza ateniese – oltre ad essere istituzionalmente debole, corre il rischio di presentarsi come un organo non percepito come legittimo, in quanto composto da persone che non hanno alcun titolo per sedervi, se non la buona sorte.
[1] Tucidide, VIII, 69.
[2] “Presentatisi sul posto, si avvicinarono ai consiglieri estratti a sorte che si trovavano nell’aula consiliare e suggerirono loro di accettare l’indennità e filarsela: avevano recato con sé la somma sufficiente a ripagarli per tutto il restante periodo di nomina, e la distribuivano via via che ciascuno dei prescelti si allontanava dalla sede.” Ibid.
[3] Aristotele, Costituzione degli ateniesi, VIII, passo in cui specifica questo elemento per gli arconti
[4] Art. 3 del DDL1353 approvato in prima deliberazione il 16.01.2025: Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori or- dinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge
[5] Anche se è verosimile che – come per le altre nomine – il Parlamento possa orientarsi nel senso di garantire un’equa rappresentatività delle forze politiche che lo compongono.
[6] Mosca, La Classe Politica, Pieffe Edizioni 2018.
