Sommario: 1. Il caso - 2. L’ordinanza di rimessione - 3. La decisione della Corte - 4. Osservazioni.
1. Il caso
Il caso da cui origina la pronuncia d’incostituzionalità dell’art. 35 della legge 23 dicembre n. 833 del 1978, resa dalla Corte cost. con sentenza n. 76 del 30 maggio 2025, riguarda una donna che, trascorso circa un mese dalle dimissioni dall’ospedale, dopo un ricovero in regime di T.S.O., aveva proposto opposizione al Tribunale di Caltanissetta avverso il decreto di convalida del Giudice Tutelare.
Il Tribunale aveva respinto il ricorso, poiché riteneva che il grave scompenso psichico della donna e il suo comportamento oppositivo alle cure fossero idonei a integrare i presupposti per l’applicazione della misura coattiva.
La Corte d'appello nissena aveva confermato la pronuncia di primo grado, valorizzando, in particolare, a riprova della legittimità del trattamento, il fatto che la donna avesse manifestato in passato idee suicidarie e che, il giorno prima dell’esecuzione del T.S.O., avesse assunto dosi eccessive di psicofarmaci.
La sentenza della Corte d’appello era stata impugnata con ricorso per cassazione, con il quale la ricorrente lamentava di non essere stata informata del provvedimento del Sindaco, che disponeva il T.S.O. e, conseguentemente, di non essere stata in condizione di far rilevare la mancata allegazione della relazione medica richiamata dal provvedimento sindacale; inoltre, la ricorrente si doleva di non aveva ricevuto la notifica del decreto di convalida e di non aver potuto opporvisi, se non dopo la scadenza del trattamento; infine, la ricorrente deduceva di non essere stata sentita, prima della convalida, dal Giudice Tutelare, che aveva, perciò, deciso solo in base agli atti di causa, peraltro incompleti.
Nel corso del giudizio dinanzi alla S.C., la Procura Generale aveva prospettato la non conformità a Costituzione della disciplina sui T.S.O., nella parte in cui la legge non prevedeva un’adeguata e tempestiva informativa al soggetto interessato in ordine ai presupposti applicativi della misura coattiva.
Il Collegio ha ritenuto condivisibili i rilievi svolti dalla Procura Generale ed ha, quindi, sollevato la questione di costituzionalità, con ordinanza n. 24124 del 9 settembre 2024[1].
2. L’ordinanza di rimessione
La S.C. ha, innanzitutto, ricostruito il quadro giuridico di riferimento, prendendo le mosse dall’art. 32 Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale.
Focalizzando l’attenzione sul tema della salute mentale, la S.C. ha dato conto del passaggio dalla legge 14 febbraio 1904, n. 36, recante "disposizioni sui manicomi e sugli alienati", alla legge 13 maggio 1978, n. 180 (cosiddetta legge Basaglia), il cui impianto è, poi, confluito nella legge 23 dicembre 1978 n. 833.
Il Collegio, dopo aver esaminato dettagliatamente gli artt. 33, 34 e 35 della legge n. 833 del 1978, ha colto il vulnus di costituzionalità nella parte in cui la vigente disciplina non prevede che il paziente sia informato degli atti che precedono la convalida giurisdizionale del T.S.O e neppure che egli sia messo a conoscenza del provvedimento conclusivo del procedimento.
Il deficit informativo ravvisato dai Giudici di legittimità non può essere colmato per via interpretativa, trattandosi, peraltro, di materia soggetta a riserva di legge.
Da qui allora la necessità di sollevare la questione di costituzionalità.
Il T.S.O. – osserva la S.C. – è “un caso di limitazione parziale e temporanea della capacità di agire, cui si accompagna la coazione fisica e, pertanto, richiede un giudizio, assistito dalle relative garanzie e non soltanto una valutazione medica sottoposta ad un controllo giurisdizionale esterno”.
Il deficit informativo pone uno iato tra gli artt. 13 e 32 Cost., da una parte, e gli artt. 24 e 111 Cost., dall’altra, perché, senza il rispetto del contraddittorio, non può esservi diritto di difesa e controllo giurisdizionale in un procedimento che si traduce nella compressione della libertà personale e della sfera di autodeterminazione del soggetto.
In estrema sintesi, il “cuore” della questione di costituzionalità può essere compendiato nel seguente passaggio dell’ordinanza di rimessione: “si ritiene che l’attuale sistema normativo in materia di trattamenti sanitari obbligatori in condizione di degenza ospedaliera, disegnato dagli artt. 33,34 e 35 della legge n. 833/1978 non sia conforme agli artt. 2, 3,13,24, 32 e 111 della Costituzione, nonché all’art. 117 della Costituzione in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, per la mancata previsione, cui non può rimediarsi attraverso la via dell’interpretazione affidata al giudice, della notificazione dei provvedimenti, nonché di passaggi procedimentali a garanzia del diritto al contraddittorio, alla difesa e ad un ricorso tempestivo ed effettivo avverso decisioni che limitano il diritto di autodeterminarsi in materia di trattamenti sanitari e la libertà personale, compresa l’audizione del soggetto interessato”.
In conclusione, il Collegio rimettente formula la richiesta di una pronunzia additiva di incostituzionalità dell’art. 35 della legge n. 833 del 1978, tanto nella parte in cui non è prevista la notifica all’interessato, o al suo eventuale legale rappresentante, del provvedimento sindacale che dispone il trattamento quanto nella parte in cui non è prevista la notifica del provvedimento giurisdizionale di convalida.
3. L’ordinanza di rimessione
Anzitutto, la Corte definisce il trattamento sanitario in condizioni di degenza ospedaliera come un vero e proprio trattamento sanitario coattivo, in quanto disposto contro la volontà dell’interessato e incidente sulla sua libertà fisica[2].
Questo trattamento si colloca al crocevia di due valori costituzionali, compendiati nell’art. 32 Cost. e, segnatamente, la salute (comma 1) e la libertà di autodeterminazione terapeutica (comma 2).
La misura si pone, così, sul crinale tra la libertà di autodeterminazione in materia di salute e la regola del consenso, da un lato, e l’esigenza di protezione della salute della persona stessa, dall’altro, che giustifica, in via d’eccezione, un trattamento contro la sua volontà imposto mediante coazione fisica.
Peraltro, proprio l’incidenza del trattamento sulla libertà personale richiede che esso sia eseguito nel rispetto delle garanzie previste anche dall’art. 13 Cost.
Partendo dal rilievo che il ricovero coatto “non è disposto contro il soggetto a titolo di pena o di misura di sicurezza, ma, quanto meno prevalentemente, a favore di lui, a protezione della sua salute e della sua integrità fisica”[3], la Corte ne sottolinea la differenza rispetto all’assegnazione alle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), in quanto soltanto la misura di sicurezza presuppone una manifestazione della pericolosità sociale nel compimento di fatti costituenti reato e una valutazione della pericolosità stessa anche in termini prognostici, a tutela della collettività: “La «natura “ancipite”» della misura di sicurezza, la sua duplice «polarità», di cura e tutela dell’infermo e di contenimento della pericolosità sociale (sentenza n. 22 del 2022), difettano nel trattamento sanitario coattivo in degenza ospedaliera, che resta, invece, ispirato al principio personalista e finalizzato essenzialmente alla cura della persona”[4].
La Corte riconosce che, a fronte della discrezionalità del legislatore nel modulare le forme di tutela giurisdizionale, l’art. 35 della legge n. 833 del 1978 determina una significativa compressione del diritto di difesa e al contraddittorio, cioè dei contenuti minimi della tutela giurisdizionale.
Un diritto, quello di ricevere la comunicazione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, che – osserva la Corte - non è inficiato dalla condizione di alterazione psichica in cui versa la persona sottoposta a trattamento sanitario coattivo.
Infatti, l’ordinamento esclude, attraverso plurimi istituti, che la sola incapacità naturale, intesa come incapacità di intendere e di volere, momentanea o persistente, possa di per sé sola riverberarsi sulla capacità processuale[5].
La condizione di alterazione psichica momentanea, tuttavia, può essere di ostacolo all’effettiva comprensione del contenuto delle comunicazioni/notificazioni dei provvedimenti restrittivi.
Muovendo da tale considerazione, la Corte giunge, così, ad affermare che, per garantire l’effettività di tali diritti, assume particolare rilievo l’audizione della persona interessata da parte del Giudice Tutelare prima della convalida.
Secondo la Corte, l’audizione della persona sottoposta a T.S.O. assolve a diverse funzioni.
In primo luogo, l’audizione è necessaria per la verifica in concreto dei presupposti sostanziali che giustificano il trattamento ed è funzionale alla sua convalida.
In secondo luogo, l’audizione presso il luogo in cui la persona si trova – normalmente un reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura – garantisce che il trattamento venga eseguito nel rispetto dell’art. 13, quarto comma, Cost., che sancisce il divieto di violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà personale, e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana, ai sensi dell’art. 32, secondo comma, Cost.
Infine, l’audizione assume la valenza di “strumento di primo contatto”, che consente di conoscere le reali condizioni in cui versa la persona interessata, anche dal punto di vista dell’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale e di individuare il percorso in cui instradare le forme di miglior ausilio del destinatario della misura in relazione alla sua situazione soggettiva.
In conclusione, la Corte afferma che l’omessa previsione della comunicazione del provvedimento sindacale e della notificazione del decreto di convalida alla persona interessata o al suo legale rappresentante, ove esistente, nonché l’omessa previsione dell’audizione della stessa persona interessata prima della convalida, determinano la violazione degli artt. 13, 24, 32 e 111 Cost.
4. Osservazioni
La sentenza della Corte costituzionale - pur avendo apprezzabilmente innestato un surplus di garanzie a tutela del destinatario del T.S.O. in un impianto normativo ormai obsoleto e che necessiterebbe di essere ripensato ab imis dal legislatore[6] - non si sottrae a critiche “di metodo” e “di merito”.
Per quanto riguarda le prime, si è in presenza di un caso nel quale la Corte si è discostata dalla “domanda” posta dal giudice a quo ed ha finito con il pronunciarsi “oltre" il perimetro della questione di costituzionalità tracciato dal rimettente.
Un caso di ultrapetizione, per dirla come i processualcivilisti.
Si tratta, tuttavia, di una tecnica decisoria niente affatto nuova nella giurisprudenza costituzionale[7].
Occorre, subito, precisare che, pure a fronte di un orientamento[8] che impone di circoscrivere la decisione della Corte al dubbio di costituzionalità, così come questo proviene dal giudice a quo e dal caso concreto, anche per ineliminabili esigenze di tutela del contraddittorio, il Giudice costituzionale, tuttavia, non di rado interviene sul thema decidendum, allentando quel vincolo tra la "domanda" e la pronuncia, viceversa saldamente mantenuto dal lato del giudice a quo e delle parti del giudizio di costituzionalità.
Si tratta di una flessibilizzazione del “principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato”, che impone al Giudice delle leggi di pronunciarsi nei limiti dell'impugnazione, secondo quanto dispone l’art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87 e che agisce, tuttavia, in senso unidirezionale.
La Corte ha, infatti, escluso che un simile effetto possa prodursi ad opera di interventi della parte ovvero anche del giudice a quo, ma ha riservato a sé stessa un più o meno ampio margine di intervento nella definizione o ri-definizione dell'oggetto della questione di costituzionalità.
In tal modo si vuole impedire che, tramite un'interpretazione restrittiva del citato art. 27 e del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte possa essere vincolata ad una prospettazione della questione di costituzionalità, che non le consentirebbe di pronunciarsi sulla intera norma o sulla situazione normativa sospettata di incostituzionalità.
Senza indugiare ulteriormente su questioni che sono tuttora oggetto di acceso dibattito nell’ambito della dottrina giuspubblicistica[9], si vuole osservare come, nel caso in esame, la modificazione del thema decidendum da parte della Corte riguardi – per utilizzare categorie mutuate dal diritto processuale civile – la causa petendi ed il petitum della questione di legittimità costituzionale.
La “causa petendi” può ravvisarsi nel deficit informativo che, come detto, è stato sapientemente colto dalla S.C. nelle pieghe del procedimento disciplinato dagli artt. 33, 34 e 35 l. n. 833 del 1978; deficit informativo tale per cui la persona sottoposta al trattamento non ha notizia degli atti del procedimento che sfociano nella convalida giurisdizionale.
Il “petitum”, invece, può essere tratto dal dispositivo dell’ordinanza di rimessione nel quale si censurano le norme impugnate che non prevedono la notifica né del provvedimento sindacale che dispone il T.S.O. né dell’ordinanza di convalida.
Così perimetrato il thema decidendum, emerge con tutta evidenza come la Corte costituzionale non si sia limitata ad esaminare il denunciato deficit informativo ed accogliere le richieste “additive” del rimettente[10], prevedendo la “comunicazione” del provvedimento sindacale all’interessato e la “notificazione” al medesimo della convalida giurisdizionale, ma sia andata “ultra petita”, avendo introdotto anche l’obbligatorietà dell’audizione della persona sottoposta al trattamento prima della convalida.
L’audizione dell’interessato, nella prospettiva del rimettente, era concepita come oggetto di un diritto, che avrebbe potuto esercitato, volta che il destinatario della misura avesse ricevuto la notificazione del provvedimento del Sindaco, contenente un avviso ad hoc.
Ora, per effetto dell’intervento del Giudice costituzionale, questo “diritto” diventa un “obbligo”, un incombente, cioè, necessario, da espletarsi sempre e comunque (almeno così parrebbe ad una prima lettura) da parte del Giudice Tutelare, prima della convalida del trattamento.
Una questione “di metodo” - quella, cioè, relativa all’audizione prevista ex officio dalla Corte, sebbene non richiesta dal rimettente - che trasmoda in una questione “di merito”, relativa, cioè, al fatto che l’audizione, da “diritto” per l’interessato, diventa “obbligo” per il Giudice Tutelare, con prevedibili gravi ricadute di carattere pratico-organizzativo sul lavoro degli uffici giudiziari.
In particolare, la Corte introduce l’obbligatorietà dell’audizione dell’interessato nel procedimento di convalida del T.S.O. attraverso la seguente affermazione: “La condizione di alterazione psichica momentanea in cui versa la persona interessata, tuttavia, può essere di ostacolo alla effettiva comprensione del contenuto delle richiamate comunicazioni. Queste, dunque, benché necessarie, non sono sufficienti alla effettiva garanzia dei diritti costituzionali di difesa e al contraddittorio. Per l’effettività di tali diritti assume particolare rilievo l’audizione della persona interessata da parte del giudice tutelare prima della convalida”.
Dunque, secondo la Corte, l’audizione dell’interessato assume un ruolo decisivo al fine di garantire l’effettività dei diritti costituzionali di difesa (art. 24 Cost.) e di contraddittorio (art. 111 Cost.).
E, tuttavia, questa conclusione - che si traduce nella pronuncia additiva di incostituzionalità del citato art. 35 nella parte in cui non prevede che l’interessato sia sentito dal Giudice Tutelare prima della convalida del T.S.O. - non può essere condivisa nella sua assolutezza.
Potrebbe darsi, infatti, che l’interessato (o il suo legale rappresentante, se nominato[11]), abbia ricevuto la comunicazione del provvedimento sindacale e, pur essendo in condizioni tali da comprenderne appieno le ragioni, non abbia inteso opporvisi o esercitare le facoltà previste dalla legge[12].
In questo caso, l’audizione dell’interessato, intesa come strumento per garantire i diritti di difesa e di contraddittorio, non parrebbe necessaria, essendo stati tali diritti già tutelati al momento della comunicazione del provvedimento sindacale.
Potrebbe ancora darsi il caso che, per una qualsivoglia ragione, la comunicazione del provvedimento sindacale non sia giunta a conoscenza del destinatario oppure che quest’ultimo, al momento della comunicazione, fosse privo di un legale rappresentante e versasse in condizioni di totale alterazione psichica.
Ebbene, in queste ipotesi, neppure l’audizione giudiziale potrebbe valere a garantire il rispetto dei diritti di difesa e di contraddittorio dell’interessato e ciò per una duplice ragione: in primo luogo, perché ove persistessero le originarie condizioni di alterazione psichica, il destinatario della misura continuerebbe a non comprendere le ragioni per le quali è stato ricoverato in ospedale; in secondo luogo, perché la lesione dei suoi diritti si è già consumata, giacché egli è stato sottoposto coattivamente all’esecuzione del trattamento, senza aver avuto preventivamente la possibilità, siccome psichicamente alterato, di prenderne coscienza e di svolgere, conseguentemente, le relative difese, eventualmente opponendosi e chiedendone la revoca, anche prima del ricovero.
Inoltre, nessuna delle tre ragioni per le quali la Corte ritiene necessaria l’audizione – vale a dire, a) quella di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti sostanziali della misura; b) quella di garantire l’esecuzione del trattamento nel rispetto dell’art. 13, comma 4 Cost.; c) quella di fungere da “strumento di primo contatto” con il destinatario della misura – appare in collegamento con la finalità di tutela dei diritti di difesa e di contradditorio.
In sintesi, si vuol dire che si sarebbe potuta evitare la previsione di un obbligo generalizzato di audizione dell’interessato, non apparendo la stessa strettamente necessaria per rispondere al dubbio di costituzionalità del rimettente.
Piuttosto, sarebbe stato sufficiente limitarsi ad accogliere le richieste contenute nell’ordinanza della Suprema Corte, aggiungendo nel testo normativo gli obblighi di comunicazione del provvedimento sindacale e di notifica dell’ordinanza di convalida.
Alla comunicazione del provvedimento sindacale si sarebbe, poi, dovuta accompagnare la comunicazione anche dell’avviso “che il provvedimento sarà sottoposto a convalida del giudice tutelare entro le 48 ore successive e (…) che l’interessato ha diritto di comunicare con chiunque ritenga opportuno e di chiedere la revoca del suddetto provvedimento, nonché di essere sentito personalmente dal giudice tutelare prima della convalida”.
La comunicazione di tale avviso era stata molto opportunamente formulata dal Giudice rimettente ma non è stata recepita dal Giudice costituzionale, senza che di tale mancato recepimento siano state spiegate le ragioni.
Anzi, proprio l’omessa previsione dell’avviso - che, in base all’ordinanza di rimessione, si sarebbe dovuto comunicare unitamente al provvedimento sindacale - porta a ritenere che, nella logica della Corte, l’audizione non sia più soltanto un “diritto” del cui possibile esercizio l’interessato debba essere informato, ma sia divenuto un “obbligo” per il Giudice, che “deve” provvedervi, prima della convalida.
Il Giudice delle Leggi ha, tuttavia, seguito la via dell’ultrapetizione, introducendo, ex officio, l’obbligo generalizzato di audizione, anche per dare una risposta alle sollecitazioni provenienti in tal senso da vari organismi internazionali[13].
Una soluzione più ragionevole sarebbe stata, forse, proprio quella lumeggiata dal rimettente che, nel prevedere, in sostanza, un’audizione a richiesta, avrebbe contemperato le due opposte esigenze: da un lato, quelle di tutela del soggetto fragile e dei suoi diritti di difesa e di contraddittorio, e, dall’altro, quelle di un controllo effettivo sulla legittimità del procedimento, anziché un controllo meramente formale, basato soltanto sulla regolarità e tempestività degli atti.
Soluzione, quella dell’audizione a richiesta del destinatario della misura (o, eventualmente, del suo legale rappresentante), che avrebbe, inoltre, consentito una selezione “a monte” dei casi meritevoli di un più diretto e penetrante approfondimento da parte del Giudice Tutelare e che avrebbe avuto l’ulteriore, ma non secondario, pregio di ridurre le ricadute della pronuncia d’incostituzionalità sull’organizzazione del lavoro degli uffici e sul loro buon funzionamento, in termini di risposta attenta ed efficiente alle istanze di giustizia dei soggetti deboli.
[1] Per un commento all’ordinanza di rimessione sia consentito un rinvio al mio contributo, “La Cassazione solleva la questione di costituzionalità della legge sui T.S.O.”, in Nuova giur. Civ. comm., 2025, 1, parte I, 53 ss.
[2] Sulla distinzione tra trattamento sanitario obbligatorio e trattamento coattivo, che si configura ogni qual volta la legge attribuisca alla pubblica autorità non solo poteri sanzionatori in caso di inottemperanza, ma anche poteri coercitivi sulla salute individuale, si veda D. VINCENZI AMATO, Art. 32, in Comm. Cost. Branca, Zanichelli, 1976, 170; B. CARAVITA DI TORITTO, La disciplina costituzionale della salute, in Dir. e soc., 1984, 55; M. COCCONI, Il diritto alla tutela della salute, Cedam, 1998, 96. Per la tesi secondo cui l’art. 13 Cost. riguarda esclusivamente le misure che implichino un giudizio di disfavore e rivestano, in questo senso, carattere ‘‘afflittivo’’ e ‘‘degradante’’ si veda A. BARBERA, I principi costituzionali della libertà personale, Giuffre,1971, 98 ss.
[3] Corte cost., sent. 27 giugno 1968, n. 74.
[4] La REMS “costituisce così, a tutti gli effetti, una nuova misura di sicurezza, ispirata ad una logica di fondo assai diversa rispetto al ricovero in OPG o all’assegnazione a casa di cura o di custodia, ma applicabile in presenza degli stessi presupposti, salvo il nuovo requisito della inidoneità di ogni misura meno afflittiva introdotto dall’art. 3-ter, comma 4, del d.l. n. 211 del 2011, come convertito. Al punto che l’art. 1, comma 1-quater, del d.l. n. 52 del 2014, convertito nella legge n. 81 del 2014, include espressamente il «ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza» tra le «misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive»” (così Corte cost., sent. 27 gennaio 2022, n. 22).
[5] Corte cost., sent. 27 luglio 2023, n. 168.
[6] La contrapposizione ‘‘autodeterminazione’’/‘‘coercizione’’, che emerge in maniera netta dall’attuale disciplina legislativa sui T.S.O., finisce per ‘‘ingabbiare’’ in maglie, forse, troppo strette un fenomeno complesso, quale è quello della malattia mentale, spesso ulteriormente complicato dalle particolarità delle situazioni e dei contesti esistenziali, spesso drammatici, in cui si trova a vivere il malato psichiatrico. Come è stato condivisibilmente osservato da taluno in dottrina (G. RECINTO, Per una tutela ‘‘complessiva’’ e ‘‘multidimensionale’’ delle persone con disabilità, in AA.VV., Funzione amministrativa e diritti delle persone con disabilità, Editoriale scientifica, 2022, 21 ss.), l’unica prospettiva perseguibile è quella di considerare, nel solco delle indicazioni della Convenzione delle Nazioni, Unite sui diritti delle persone con disabilità, le persone fragili, e quindi anche quella caratterizzate da infermità mentale o da disturbi psichici, nella loro complessità e in una visione multidimensionale, attenta, non solo ai bisogni materiali, ma anche a quelli esistenziali, relazionali, affettivi, formativi, culturali e di contesto, in modo da garantire ad ognuno la concreta possibilità di sviluppare un percorso di vita indipendente.
[7] A questo riguardo, valga, infatti, sottolineare che la Corte costituzionale non è nuova a rivisitazioni dell'ordinanza di rimessione, specie quando si trovi a dover (e voler) decidere “questioni importanti”. Un esempio di manipolazione del thema decidendum si è avuto, di recente, in occasione del c.d. “caso Cappato", nel quale la Corte, con la sent. 22 novembre 2019, n. 242, emessa a seguito della precedente ord. 16 novembre 2018, n. 207 del 2018, ha circoscritto gli effetti del proprio intervento ablativo, allontanandosi dalla prospettazione del giudice a quo, anzitutto con riferimento alla norma oggetto dell'impugnativa del remittente. Si vedano, in tema, le acute osservazioni di M. D'AMICO, Il "Caso Cappato" e le logiche del processo costituzionale, in Quaderni Costituzionali, 2019.
[8] Si tratta di un orientamento giurisprudenziale che si afferma sin dalle prime pronunce della Corte costituzionale. Tra le molte, si vedano Corte cost., sent. 29 maggio 1957, n. 64 e sent. 25 maggio 1957, n. 80, ove il Giudice costituzionale ha affermato il principio secondo cui il giudizio della Corte costituzionale può avere ad oggetto solo le questioni proposte dall'ordinanza di rinvio, senza che sia consentito seguire le parti nei loro sviluppi ed amplificazioni e, ancora, che “la Corte esaminerà le sole questioni che sono state enunciate nelle ordinanze e nei limiti nei quali queste risultano formulate nelle ordinanze stesse, tenendo conto delie deduzioni difensive solo in quanto esse sviluppino ed illustrino il contenuto delle ordinanze e non in quanto sollevino questioni nuove” (così Corte cost., sent. 6 luglio 1962, n. 65).
[9] Si rinvia sul punto a C. NARDOCCI, Il diritto al giudice costituzionale, in Editoriale Scientifica, 2020, in particolare, pag. 218 e ss.
[10] L. ELIA, Le sentenze additive e la piú recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Scritti Crisafulli, I, Padova, 1985, 299 e ss.
[11] Al fine assicurare l’effettività del contraddittorio nella fase prodromica rispetto all’esecuzione della misura, si potrebbe pensare, in quei casi nei quali lo stato di alterazione psichica del beneficiario non gli consenta di comprendere il contenuto del provvedimento sindacale e di esercitare le facoltà che legge gli riconosce, alla nomina di un legale rappresentante ad acta, ai sensi dell’art. 405, comma 4, c.c., da parte del Giudice Tutelare, su impulso del medico che ha proposto il trattamento ex art. 33, comma 3 della legge n. 833 del 1978 o di quello che lo ha convalidato ex art. 34, comma 3, della medesima legge.
[12] Art. 33, commi 6 e 7, della legge n. 833 del 1978: “Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno. Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio”.
[13] Il riferimento è al Report del 24 marzo 2023, adottato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti disumani e degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa in seguito a una visita periodica svoltasi in Italia, e a Corte EDU, sezione seconda, decisione 8 ottobre 2013, Azenabor contro Italia).