Dopo "Taricco" la Consulta non sta (più) a guardare: bonifica il sistema della prevenzione e ridefinisce i rapporti con le Corti. (commento alle sentenze Corte Cost. nn. 24 e 25 del 27 febbraio 2019) di Andrea Apollonio
Con le sentenze "gemelle" nn. 24 e 25, la Corte Costituzionale, dopo la netta - ed ulteriore - presa di posizione della Corte di Strasburgo in punto di determinatezza e "prevedibilità" delle misure di prevenzione, ed il "sorpasso" delle Sezioni Unite - che, facendo leva proprio su questa pronuncia, hanno affermato un principio sostanzialmente abrogativo dell'art. 75, co. 2, d.lgs. 159/2011 rispetto alle generiche ipotesi del "vivere onestamente" e "rispettare le leggi" - passa al contrattacco: ratifica senza più indugi le elaborazioni garantistiche di Strasburgo e si ritaglia il ruolo di principale cinghia di trasmissione dei principi sovranazionali nel diritto interno.
Sommario: 1. Correva l'anno 2016: il "caso Taricco" - 2. La sentenza De Tommaso e il revirement della Consulta - 3. La bonifica del sistema della prevenzione ad opera dei giudici costituzionali - 4. Un inedito interventismo che riconfigura i rapporti tra le Corti: linee programmatiche per il futuro
1. Correva l'anno 2016: il "caso Taricco"
Per capire tutte le sfumature delle dirompenti novità sistematiche contenute nelle sentenze Corte Cost. nn. 24 e 25 del 27 febbraio 2019, è necessario fare qualche passo indietro. Il 9 maggio 2016, su una nota rivista, Francesco Viganò scriveva: «tutt'altro che trascurabili sarebbero, in un momento di acuta crisi del progetto politico europeo, i costi di una decisione con la quale la Corte costituzionale italiana - prima fra tutte quelle degli Stati fondatori dell'Unione - dovesse sfidare così apertamente il principio del primato del diritto UE, sul quale si è finora retta la costruzione giuridica europea»[1]. Ci si riferiva alla febbrile attesa per la decisione della Consulta sul "caso Taricco", sollevato dalla Corte di Giustizia nel settembre 2015: in Lussemburgo si erano infatti individuate ipotesi di frodi tributarie che, stante il rischio di lesione degli interessi finanziari dell'UE, importavano l' obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in materia di atti interruttivi della prescrizione[2]. Una presa di posizione talmente tranchante da apparire, ad alcuni commentatori[3], un inaccettabile travaso (senza filtro) della giurisprudenza comunitaria ("creativa") nell'ambito del diritto interno, donde all'epoca molti si aspettavano che la Corte Costituzionale, tirata per la giacca da giudici disorientati - come dalla stessa Cassazione[4] - avrebbe azionato un "controlimite": quello rappresentato dall'irrinunciabile principio di legalità in materia penale di cui all'art. 25, co. 2, Cost. Sarebbe stata la prima volta nella storia della Corte Costituzionale, e ciò avrebbe innescato un corto circuito orizzontale tra Corti, senza precedenti.
Sappiamo poi com'è andata a finire: i giudici italiani hanno preferito percorrere una via "diplomatica", chiedendo - con una ordinanza interlocutoria - alla Corte di Giustizia di avallare una lettura costituzionalmente conforme della sentenza Taricco, ottenendo in risposta una modesta retromarcia[5]; l' "incidente" è stato definitivamente chiuso con la sentenza n. 115 del 2018, in cui la Corte ribadisce la non fruibilità nel nostro ordinamento della "regola Taricco".
La struttura funzionale e assiologica della legalità inter-nazionale è così rimasta immutata; ma la vicenda ha certamente segnato un punto di non ritorno delle politiche interpretative della Corte Costituzionale (e le sentenze in commento, come si vedrà, ne sono il fulgido esempio); penetrando invero anche più in profondità, arrivando ad un ripensamento dei concetti da parte di giudici e studiosi, giacché ha messo in rilievo un intreccio talmente fitto di rapporti, di impunture, tra Corti sovranazionali e giudici interni da potere questi ultimi - al limite - scavalcare, o quantomeno eludere, lo scrutinio di legittimità della Corte Costituzionale: il «giudice nel labirinto»[6] potrebbe - al limite - direttamente disporre di una potestà "disapplicativa" che gli deriva da una fonte sovranazionale, anche in materia penale.
Rievocare la vicenda, solo apparentemente diversa, è stato necessario: non si riuscirebbe altrimenti a spiegare una presa di posizione così netta da parte della Corte, espressa con due sentenze una delle quali (quella principale, che traina l'altra) vergata proprio da quel Viganò (frattanto nominato giudice costituzionale) che da autorevole esponente della dottrina aveva auspicato - nell'articolo sopra richiamato, come in molti altri - una maggior audacia della Consulta nell'integrale accoglimento dei più avanzati livelli di tutela sovranazionale.
La Corte, con queste pronunce, ha peraltro bonificato una materia - quella delle misure di prevenzione - in cui il rischio di scavalcamento delle prerogative della Consulta sembra essersi concretizzato: basti ricordare, intanto, che le Sezioni Unite, con la sentenza Paternò del 2017[7], avevano dichiarato inapplicabile il delitto di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui all'art. 75, co. 2, d.lgs. 159/2011 rispetto all'ipotesi delle violazioni delle generiche prescrizioni di "vivere onestamente" e di "rispettare le leggi"; ipotesi già censurate dalla nota sentenza De Tommaso della Corte EDU, in quanto, appunto, indeterminate: ritenendo quindi vincolanti i principi affermati a Strasburgo. Correggendo l'antinomia tra diritto interno e diritto convenzionale mediante l'interpretazione conforme - spinta però al massimo grado - ebbe ad effettuare un vero e proprio "sorpasso": o perlomeno, a lanciare un chiaro messaggio di "supplenza" alla Corte Costituzionale: la quale, con queste sentenze, adeguatamente risponde.
2. La sentenza De Tommaso e il revirement della Consulta
Se è vero che le sentenze in commento giungono a rappresentare il pendant della pronuncia della Grande Camera della Corte Edu, De Tommaso c. Italia, pubblicata il 23 febbraio 2017[8], non può prescindersi dal richiamare i principi ivi elaborati.
Invero, quella sentenza si era occupata solo delle misure di prevenzione personali (e in particolare della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno), ma da un lato non può ignorarsi che queste abbiano gli stessi presupposti di quelle patrimoniali, e dall'altro non può negarsi che i giudici di Strasburgo abbiano seguito un percorso logico-argomentativo che scandaglia i principi generali sui quali si fonda l'intero sistema della prevenzione.
La questione angolare è che un provvedimento di prevenzione, a prescindere dalla natura penale o amministrativa di cui partecipa[9], se importa una qualsivoglia limitazione dei diritti fondamentali - e l'obbligo di soggiorno importa, se non altro, una limitazione della libertà di circolazione, consacrata nell'art. 2 del prot. addiz. n. 4 della Convenzione EDU - deve avere una base legale (come ce le hanno le misure di prevenzione, previste ex lege) che sia però accessibile e prevedibile; e con riferimento a quest'ultimo requisito, la Corte, in linea con i suoi precedenti, afferma: «una norma non può essere considerata una legge se non è formulata con sufficiente precisione in modo di consentire ai cittadini di regolare la loro condotta; essi devono essere in grado di prevedere, ad un livello ragionevole nelle specifiche circostanze, le conseguenze che un determinato atto può comportare» [10]. La Corte ritiene non garantito tale aspetto sotto il profilo della tecnica di determinazione dei destinatari e del contenuto delle prescrizioni imposte con la misura (il "vivere onestamente" e il "rispettare le leggi"), in questo senso censurando la norma italiana applicata nel caso concreto[11].
Inutile dilungarsi ancora - perché, in fondo, i giudici di Strasburgo non hanno fatto altro che seguire i propri costanti orientamenti: basti sapere che è questo il principio-guida tenuto in considerazione dai giudici della Consulta, che con l'odierno posterius hanno radicalmente riveduto il loro approccio al tema della prevenzione.
Perché - ed è bene ribadirlo - fin qui la Corte aveva sempre "salvato" l'impianto di quella che prima era la legge n. 1423/1956, poi nella sostanza trasfuso - mantenendo previsioni obsolete che scontano finanche un linguaggio ormai superato - nel c.d. "codice antimafia" (d.lgs. n. 159/2011), con tutta una serie di sentenze interpretative di rigetto, in cui si collegavano le prescrizioni genericissime come il "vivere onestamente" ad altri elementi normativi contigui, siccome «per verificare il rispetto del principio di tassatività o di determinatezza della norma penale occorre non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s’inserisce» (questo è, ad es., il principio espresso da Corte Cost., sent. del 23 luglio 2010 n. 282); così attirandosi - fino a ieri l'altro - le doglianze della dottrina in ordine alla scarsa propensione all'adeguamento del diritto nazionale ai principi convenzionali[12].
Assistiamo oggi, dunque, ad un brusco cambio di rotta, che in termini eziologici deve molto allo scontro frontale tra Corti - durato, a conti fatti, un paio d'anni - del caso Taricco; evitato per un soffio, ma durante il quale sono scaturiti una congerie di micro-conflitti interni, sotterranei, a bassa intensità, tra i giudici interni e il "loro" Giudice delle Leggi, spesso tacciato - fino a ieri l'altro - di scarso coraggio nel prendere di petto le vertiginose problematiche sollevate in Europa.
3. La bonifica del sistema della prevenzione ad opera dei giudici costituzionali
Un cambio di rotta di cui sopratutto la sentenza n. 24 (quella appunto redatta dal giudice Viganò) si rende protagonista. Essa verte sulle previsioni - dichiarate anche a Roma, in linea con quanto affermato a Strasburgo, di carattere "non penale" - di cui alle lettere a) e b) dell'art. 1, d.lgs. 159/2011, che prevedono per "coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi" (lett. a), e per "coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi , sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose" (lett. b), l'applicazione - da un lato - della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, e - dall'altro - delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca.
La Corte passa anzitutto in rassegna gli sforzi della giurisprudenza di legittimità, verificando se essa sia riuscita nell'intento di conferire alle suddette fattispecie, per via esegetica, un sufficiente livello di precisione, determinatezza e prevedibilità così come richiesti da parametri costituzionali (si fa riferimento all'art. 13 Cost. in tema di libertà personale, ritenuto un più affidabile equivalente "interno" all'art. 2, prot. n. 4 CEDU) e, appunto, convenzionali, come compendiati nella De Tommaso. Questa operazione, a giudizio della Corte, è necessaria, in quanto è sì vero che «nessuna interpretazione potrebbe surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta», e «l'esistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non valga, di per sé, a colmare l'eventuale originaria carenza di precisione del precetto», ma al di fuori della materia penale - così come nel caso de quo - «non può del tutto escludersi che l'esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell'interpretazione» (§ 12).
Ebbene, un siffatto scrutinio conduce ad un differente risultato: da un lato, il vivere "abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose" (lett. b) incontra, «alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale successiva[13] alla sentenza De Tommaso», una via interpretativa che la contorni con sufficiente precisione, mentre l'espressione "traffici delittuosi" di cui alla lett. a) non sembra in grado di indicare in maniera determinata quali comportamenti criminosi possano dare luogo all'applicazione della sorveglianza speciale, apparendo «affetta da radicale imprecisione, non emendata dalla giurisprudenza successiva alla sentenza De Tommaso» (§ 12.3), e tanto - chiarisce la Corte - è dovuto anche al fatto che ad oggi convivono due contrapposti indirizzi interpretativi, che definiscono in modo differente il concetto di traffici delittuosi[14]: la norma non può, pertanto, dirsi ragionevolmente prevedibile. Di talché, è dichiarato costituzionalmente illegittimo sottoporre alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e alla misura di prevenzione della confisca dei beni le persone che «debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi».
Ancora più adesiva alla sentenza De Tommaso è la "gemella" pronuncia n. 25 che, basandosi su censure pressochè identiche (e dunque, chiudendo il cerchio di un ragionamento tutto rivolto ai principi convenzionali), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 75, co. 2, del d. lgs. 159/2011, nella parte in cui prevede come delitto la violazione delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale ove consistenti in quelle del "vivere onestamente" e del "rispettare le leggi": anche tale norma viola il canone della prevedibilità della condotta sanzionata, quale contenuto nell'art. 7 CEDU (che in tal caso si può richiamare, trattandosi questa di matière pénale) come nell'art. 2 del prot. addiz. n. 4, e rilevante, come noto, quale parametro interposto ai sensi dell'art. 117 Cost. Si estirpa quindi dal sistema penale uno dei delitti che più hanno messo alla prova la tenuta del principio di determinatezza del precetto, passando dal tipo concettuale di "nuovo" conio - perché esportato da Strasburgo in tempi piuttosto recenti - della prevedibilità della sanzione.
4. Un inedito interventismo che configura i rapporti tra le Corti: linee programmatiche per il futuro
Non è certo la prima volta che negli obiter dicta delle sentenze della Corte si affrontino - e si risolvino - questioni anche più rilevanti dello stesso petitum: accade anche nelle sentenze "gemelle" in commento, da cui si evince un notevole sforzo per rimodulare - dopo i disordini provocati dal "caso Taricco" - i rapporti con la Corte di Cassazione. Ma non solo.
La n. 25, in particolare, affronta di petto - trattandosi di questione di rilevanza, e quindi di preliminare ammissibilità, della doglianza sollevata - l'arresto, sopra richiamato, delle Sezioni Unite Paternò: e non può sottrarsi, perché l'inapplicabilità di una norma ad un fatto considerato indeterminato e quindi non più tipico, sancita dal massimo organo nomofilattico, aveva spinto un giudice di merito a chiedere alla Corte una pronuncia di illegittimità costituzionale, di modo da poter rilevare d'ufficio che il fatto contestato come delitto ai sensi dell'art. 75 co. 2 non costituisce reato. Spiega infatti la Corte - condividendo le preoccupazioni del giudice rimettente - che «l'abolitio criminis - per ius superveniens o a seguito di pronuncia di illegittimità costituzionale - è cosa diversa dallo sviluppo della giurisprudenza, essenzialmente di legittimità, che approdi all'esito (simile) di ritenere che una determinata condotta non costituisca reato» (§ 5). Insomma, con la declaratoria di incostituzionalità si regolarizza una situazione anomala[15] ed in precario equilibrio tra poteri giudiziari, che vedeva una norma di fatto abrogata per via giurisprudenziale.
Ora, questa sentenza, in uno con i numerosi richiami - effettuati nella n. 24 - ai principi della Cassazione elevati a termini di raffronto, a parametri valutativi della incostituzionalità di una previsione di legge (che implicitamente richiamano meriti definitori ma anche inappaganti divergenze ermeneutiche), così come l'oramai formale ossequio ai principi convenzionali, possibilmente da contestualizzare nei percorsi decisionali della stessa Consulta (seppur, invero, non sempre logicamente coerenti)[16], tutto questo si può ben conchiudere in un chiaro "avviso ai naviganti": in primo luogo ai giudici interni, con un occhio particolare alla Cassazione, ai quali - e alla quale - si dimostra che oggi la Corte è più attenta di prima a recepire le istanze dei principi sovranazionali di garanzia correttive di una legislazione che va nell'opposta direzione di incrementare - in funzione espansiva ed efficientista - l'area della vaghezza compilatoria; e che, per converso, fenomeni di "supplenza" da parte dell'organo nomofilattico, a cui la Corte EDU "parla" come "parla" a tutti i giudici dell'ordinamento[17], sono meno giustificabili di ieri.
Vi è poi l' "avviso" all'Europa, delle Corti e forse anche degli Stati: in un momento che sembra dominato dalle spinte centripete (politiche, non giudiziarie) ostili ad ogni progetto di europeizzazione dei sistemi giuridici nazionali, e di quelli penali in primo luogo, si accende a Roma un faro, che illuminando l'appena acquisita compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, col suo inevitabile gioco di luci e di ombre proietta ulteriori possibilità di collocazione dell'ordinamento domestico sui più elevati livelli di garanzia - e di modernità giuridica - assicurati dalle Carte sovranazionali. E' questo, di certo, il messaggio più importante da cogliere, dalle pronunce nn. 24 e 25 della Consulta.
[1] F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni, e sulla reale posta in gioco, in Dir. pen. cont. (web), 9 maggio 2016.
[2] Stiamo parlando della nota Grande Sezione, CGUE, sent. dell' 8 settembre 2015, in Dir. pen. cont. (web), 15 settembre 2015, con commento di F. Viganò, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA?; tra tutti, si veda anche il commento di M. Gambardella, Caso Taricco e garanzie costituzionali ex art. 25 Cost., in Cass. pen., 2016, p. 1462 ss.
[3] Al riguardo, parla di «senso di inquietudine» C. Cupelli, Il caso Taricco e il controlimite della riserva di legge in materia penale, in Giur. cost., 2016, p. 421; inter alios, sulla stessa linea è R. Bin, Taricco, una sentenza sbagliata: come venirne fuori?, in Dir. pen. cont. (web), 4 luglio 2016.
[4] Oltre alla Corte d'Appello di Milano, a rimettere la questione della legittimità costituzionale della legge (l'art. 2, L. 2 agosto 2008, n. 130) da cui scaturiva l'applicazione del principio affermato dalla CGUE, e quindi a sollecitare la Corte ad azionare i "controlimiti", fu Cass. pen., sez. III., ord. del 30 marzo 2016, n. 28346; sul "rimpallo" tra Corti di quel particolare frangente storico, si veda l'esaustivo volume collettaneo Il caso Taricco e il dialogo tra le Corti. L'ordinanza 24/2017 della Corte Costituzionale, a cura di Bernardi e Cupelli, Napoli, 2017.
[5] Ricalibrando l'obbligo di disapplicazione, "a meno che" non determini la lesione del fondamentale principio costituzionale di legalità: la c.d. "Taricco-bis", CGUE, sent. del 5 dicembre 2017, è pubblicata in Cass. pen., 2018, p. 106 ss., con nota di M. Gambardella, La sentenza Taricco 2: obbligo di disapplicazione in malam partem "a meno che" non comporti una violazione del principio di legalità.
[6] Il richiamo è all'affresco dell'odierna posizione mezzana, di smistamento, del giudice di V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, 2012.
[7] Cass., Sez. Un. Pen., sent. 27 aprile 2017 (dep. 5 settembre 2017), n. 40076, in CED Cass. n. 270496.
[8] Corte Edu, Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, in Dir. pen. proc., 2017, p. 1039, con commento di V. Maiello, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione.
[9] La sentenza De Tommaso afferma che la misura di prevenzione, essendo solo limitativa e non privativa della libertà personale, non ha natura penale bensì meramente amministrativa: da ciò consegue l'applicazione di un diverso statuto di garanzia, pur sempre imperniato sulla riserva di legge accessibile e prevedibile.
[10] § 108 della De Tommaso.
[11] «Ancorché tenda ad assumere un valore generale e di principio, la sentenza pronunciata dalla Corte di Strasburgo [...] resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l'ha originata» (Corte Cost., sent. del 22 luglio 2011 n. 231, in Dir. pen. cont. (web) del 22 luglio 2011 con commento di G. Leo, Presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in carcere nei procedimenti concernenti il delitto di associazione finalizzata al narcotraffico): non sussiste, pertanto, nessun automatismo di applicazione dei principi espressi dalla Corte EDU al "diritto vivente".
[12] Da ultimo, F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Dir. pen. cont., 4/2017, pp. 129-130.
[13] Ma anche - pur di poco - precedente: sono richiamate le SS. UU., sent. del 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, in CED Cass. n. 262603.
[14] La Corte dà atto che sul punto convivono i contrapposti insegnamenti della Cassazione, sentenze n. 11846 del 2018 da un lato, e n. 53003 del 2017 dall'altro.
[15] Anomala anche perché le SS.UU. Paternò, assimilando integralmente l'elaborazione sovranazionale nella propria esegesi, avevano in un certo senso "sconfessato" la Corte Costituzionale, la quale - oltre ad altri arresti precedenti, sopra richiamati - nella nota sentenza n. 49 del 2015, aveva ribadito che «il dovere del giudice comune di interpretare il diritto interno in senso conforme alla CEDU [...] è, ovviamente, subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme, poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU»: così, in Cass. pen., 2015, p. 2195, con nota di Manes, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione di innocenza.
[16] Principi, quelli di cui si discorre, «sul cui rispetto ha richiamato non solo la Corte Edu nella sentenza De Tommaso, ma anche - e assai prima - questa stessa Corte nella sentenza n. 177 del 1980»: questa, l'emblematica formula utilizzata nel § 12.3. della sentenza n. 24.
[17] L'immagine che la Corte EDU, emanando sentenze dall'efficacia "di sistema" nei confronti del Paese destinatario della decisione (così M. Ferrio, L'efficacia delle decisioni della Corte di Strasburgo nei confronti dei Paesi contraenti che non sono parte del giudizio, in www.cortecostituzionale.it, p. 4), "parli" ai giudici domestici, è contenuta in D. Tega, L'ordinamento costituzionale italiano e il "sistema" Cedu: accordi e disaccordi, in Manes - Zagrebelsky (a cura di), La convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ordinamento penale italiano, p. 239.