Il “dopo Cilfit”. Una sentenza morbida della Corte di Giustizia sul rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza-Corte giust. 6 ottobre 2021,C‑561/19-.
Con sentenza pubblicata il 6 ottobre 2021 la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha affrontato l’attesa questione della persistenza dei criteri fissati dalla sentenza Cilfit per il rinvio pregiudiziale del giudice nazionale di ultima istanza, prendendo lo spunto da un rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato italiano.
Giova ricordare che la ratio principale dell’obbligo di rinvio pregiudiziale disciplinato dall’art.267, 3^ par.TFUE, è quella di impedire il formarsi o il consolidarsi di una giurisprudenza nazionale che rechi errori di interpretazione o un’erronea applicazione del diritto UE- Corte giust. 15 settembre 2005, causa C495/03, Intermodal Transports, punto 29; Corte giust.24 maggio 1977, causa C-107/76, Hoffman-La Roche, p.5-.
Tale obbligo è commisurato alla posizione strategica di cui godono le corti supreme negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, nel rispetto del loro tradizionale ruolo di unificazione del diritto, dette corti sono tenute ad assicurare il rispetto, da parte degli altri giudici nazionali, della corretta ed effettiva applicazione del diritto eurounitario. Inoltre, esse si occupano degli ultimi ricorsi destinati a garantire la tutela dei diritti che il diritto UE conferisce ai singoli- Concl. Avv. Gen Yves Bot presentate il 24 aprile 2007 nella Causa C2/06-.
In questa prospettiva la risalente sentenza della Corte di Giustizia 6 ottobre 1982, Cilfit - ebbe a chiarire che i giudici nazionali le cui decisioni non possono costituire oggetto di ricorso giurisdizionale di diritto interno «sono tenuti, qualora una questione di diritto comunitario si ponga dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui è causa ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi».
È dunque questo il contesto nel quale matura la decisione del 6 ottobre 2021, affidata alla Grande Sezione per l'importanza del tema trattato.
Tale sentenza, preceduta dalle conclusioni dell’Avvocato generale Bobek, alla quali la Rivista ha dedicato un approfondimento – cfr.G. Martinico-L. Pierdominici, Rivedere CILFIT? Riflessioni giuscomparatistiche sulle conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa Consorzio Italian management di Giuseppe Martinico e Leonardo Pierdominici – ha affermato i seguenti principi:
L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi.
La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione.
Tale giudice non può essere esonerato da detto obbligo per il solo motivo che ha già adito la Corte in via pregiudiziale nell’ambito del medesimo procedimento nazionale. Tuttavia, esso può astenersi dal sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte per motivi d’irricevibilità inerenti al procedimento dinanzi a detto giudice, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.
Riservando a successivi interventi l’analisi approfondita della pronunzia si coglie, a prima lettura, una prospettiva di apparente continuità della Corte di giustizia rispetto ai sedimentati criteri fissati per stabilire quando il giudice nazionale di ultima istanza ha l’obbligo di rimettere la decisione interpretativa alla Corte di Lussemburgo.
Rimangono, infatti, inalterati i criteri che il giudice nazionale di ultima istanza deve considerare per astenersi dal sollevare il rinvio pregiudiziale – a) quando la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie già decisa in via pregiudiziale o nell’ambito del medesimo procedimento nazionale; b) qualora una giurisprudenza consolidata della Corte risolva il punto di diritto di cui trattasi, quale che sia la natura dei procedimenti che hanno dato luogo a tale giurisprudenza, anche in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse; c) qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi -.
La Corte di giustizia, tuttavia, compie un evidente passo in avanti, nel tentativo di circoscrivere meglio il compito del giudice nazionale, al fine di evitare che un ricorso massiccio alla Corte di Lusseburgo possa in definitiva pregiudicare la funzione ed il ruolo della Corte di Giustizia. E lo fa sviluppando in modo articolato alcune riflessioni sul “ruolo” del giudice nazionale nel sistema di protezione offerto dalla giurisdizione nazionale UE.
In questa prospettiva la Corte UE non manca di sottolineare che per verificare se l’interpretazione del diritto UE s’imponga senza lasciare adito a ragionevoli dubbi il giudice nazionale di ultima istanza “…prima di concludere nel senso dell’esistenza di una situazione di tal genere deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte”.
Irrompe, così, sulla scena una dimensione transanazionale della giurisdizione nazionale quando essa si occupa del diritto UE, la quale dovrà indossare un cappello che va ben oltre il suo ruolo di giudice interno per assumere davvero le vesti del giudice UE. Compito improbo, potrebbe sembrare, che tuttavia la Corte di giustizia prova a circoscrivere.
Dunque, il giudice dovrà valutare le caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, le particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e il rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione, senza nemmeno tralasciare le difficoltà che possono derivare dall’esistenza di divergenze linguistiche fra le disposizioni del diritto dell’Unione.
Ma la Grande Sezione si premura anche di chiarire che se un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione, lo stesso dovrà comunque tener conto delle divergenze tra le versioni di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate, senza nemmeno tralasciare di verificare se entrano in gioco nozioni autonome - regolate dal diritto UE- come anche i criteri ermeneutici proprio del diritto UE.
Solo all’esito di tali verifiche il giudice potrà ritenere l’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione e così astenersi dal sottoporre alla Corte di Giustizia una questione di interpretazione del diritto UE e risolverla sotto la propria responsabilità.
La Corte di giustizia non manca poi di aggiungere che la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di esse - alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce - appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione.
Particolare valore assumeranno, ancora, eventuali contrasti giurisprudenziali interni al giudice di ultima istanza nazionali o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale.
In definitiva, chiarisce la Corte, se l’obiettivo della procedura pregiudiziale è quello di perseguire l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione una particolare attenzione alle caratteristiche proprio del diritto UE e delle sue ricadute in altri Paesi diversi da quello in cui sorge il dubbio sul rinvio non potrà essere trascurata.
All’individuazione dei canoni da verificare per disporre o meno il rinvio pregiudiziale la Corte UE aggiunge, in chiusura, forse quello maggiormente caratterizzante, rivolto a richiedere ai giudici di ultima istanza un’ulteriore responsabilizzazione in ordine al loro ruolo di raccordo con la Corte di giustizia. Ciò si realizza richiedendo al giudice nazionale un particolare onere motivazionale sulle ragioni che lo hanno indotto a non sollevare il rinvio pregiudiziale.
Rileva infatti la Corte che “allorché un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno ritenga, per il fatto di trovarsi in presenza di una delle tre situazioni menzionate al punto 33 della presente sentenza, di essere esonerato dall’obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte, previsto dall’articolo 267, terzo comma, TFUE, la motivazione della sua decisione deve far emergere o che la questione di diritto dell’Unione sollevata non è rilevante ai fini della soluzione della controversia, o che l’interpretazione della disposizione considerata del diritto dell’Unione è fondata sulla giurisprudenza della Corte, o, in mancanza di tale giurisprudenza, che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice nazionale di ultima istanza con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.”
In chiusura, la Corte di giustizia non manca poi di fornire risposta ai dubbi espressi dal Consiglio di Stato in ordine alla possibilità/obbligo del giudice nazionale di disporre il rinvio sulla base di motivi esposti dalle parti in violazione delle regole procedurali interne, senza che il giudice di Lussemburgo abbia sul punto fornito elementi di particolare novità rispetto alla propria sedimentata giurisprudenza. Ciò che dimostra ancora di più come il rinvio pregiudiziale deciso dalla Grande Sezione abbia costituito davvero l’occasione per modificare, senza particolari scossoni e movimenti tellurici, il sistema sedimentato attorni ai criteri Cilfit, alla ricerca di un delicato punto di equilibrio fra contrapposte esigenze dei giudici di diritti UE - nazionali e della Corte di Giustizia - coinvolti a vario titolo nel dialogo fra le Corti.