Temporaneità, eccezionalità e gradualità delle misure per fronteggiare l’emergenza pandemica: la sospensione “prorogata” dell’esecuzione degli sfratti al vaglio della Corte costituzionale (nota a Corte cost. n. 213/2021)
di Francesco Taglialavoro
Sospensione dell’esecuzione degli sfratti per morosità: compressione del diritto di proprietà e solidarietà sociale alla prova dell’emergenza pandemica.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il caso - 3. La normativa di riferimento - 4. La questione di legittimità costituzionale - 4.1. I parametri evocati dai giudici remittenti - 4.2. Le considerazioni dell’Avvocatura generale dello Stato - 4.3. Ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale - 4.4. La decisione della Consulta - 5. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
Con una sentenza formalmente limitata alla sospensione dell’esecuzione degli sfratti per morosità, come da ultimo prorogata sino al 31 dicembre 2021, la Corte costituzionale fornisce parametri utili per valutare la legittimità anche di altri provvedimenti di contrasto alla pandemia da SARS COV 2.
Al contrario di quella relativa alla sospensione delle procedure esecutive per pignoramento immobiliare, dichiarata incostituzionale con la recente sentenza n. 128/2021[1], la proroga dell’esecuzione degli sfratti per morosità non contrasta con gli articoli 3, 24, 42, 77 e 111 della Costituzione poiché, a differenza della prima, rispetta i principi della temporaneità e della gradualità.
La compressione del diritto di proprietà del locatore, secondo la Corte, ha però raggiunto «il limite massimo di tollerabilità», ragione per la quale la sospensione deve ritenersi «senza possibilità di ulteriore proroga»: in altri termini, pur permanendo l’eccezionalità delle circostanze che hanno portato all’adozione della misura e anche a fronte di una eventuale nuova graduazione della stessa, un’ulteriore proroga farebbe venir meno il requisito della temporaneità, con la conseguente prevalenza, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, di quello – ad oggi parzialmente sacrificato – del locatore.
2. Il caso
La pronuncia annotata trae origine da due giudizi, rispettivamente celebratisi innanzi ai Tribunali di Trieste e di Savona.
Nel primo[2], a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di procedere alla notifica del preavviso di rilascio, il creditore ricorreva ai sensi dell’art. 610 c.p.c., richiamando il titolo costituito dall’ordinanza di convalida dello sfratto del 25 gennaio 2021 – emessa, però, in relazione ad una morosità risalente al luglio del 2019 – e chiedendo sollevarsi la questione di legittimità costituzionale della normativa che ne aveva impedito l’esecuzione.
Nel secondo[3], anche in questo caso in relazione ad una morosità risalente al 2019, la locatrice aveva ottenuto la convalida dello sfratto il 20 gennaio 2021 e ne aveva minacciato l’esecuzione il 15 marzo 2021: a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di procedere all’esecuzione, motivato richiamando la «attuale impossibilità ex lege di procedere», la locatrice ricorreva al Tribunale, deducendo l’illegittimità costituzionale del «regime di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, disposta in origine dall'art. 103, comma 6, del decreto-legge n. 18 del 2020, convertito nella legge n. 27 del 2020 e successive proroghe».
Nei casi sinteticamente descritti, dunque, gli ufficiali giudiziari avevano semplicemente applicato la legge, rifiutandosi, del tutto legittimamente, di dar corso alle minacciate esecuzioni.
Si ritiene utile, pertanto, iniziare questo commento da una schematica ricostruzione del quadro normativo, la cui evoluzione, peraltro, è stata decisiva per il rigetto della questione di legittimità costituzionale.
3. La normativa di riferimento
Nell’ambito di un più complessivo quadro di misure volte a fronteggiare l’emergenza pandemica causata dal SARS COV 2, il Governo ha disciplinato il tema della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili con diverse previsioni, tutte contenute in decreti legge poi convertiti.
L’evoluzione del quadro normativo è stata la seguente.
A) Con l’art. 103, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020[4] è stata prevista la sospensione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche a uso non abitativo, fino al 1° settembre 2020.
La latitudine del provvedimento è ampia perché, in applicazione dello stesso, sono state sospese le esecuzioni di tutti i provvedimenti di rilascio, a prescindere dalla loro fonte (che poteva essere uno sfratto per morosità, una licenza per finita locazione, l’esecuzione di un provvedimento di sequestro giudiziario, etc.).
B) Con l’art. 17-bis del decreto legge n. 34 del 2020[5] è stata prorogata la sospensione dei soli provvedimenti di rilascio pronunciati nell’ambito di procedimenti di sfratto per morosità o per finita locazione, al 31 dicembre 2020.
La norma, quindi, ha operato una prima restrizione del perimetro operativo della sospensione, escludendone l’applicabilità a tutti i provvedimenti di rilascio fondati su titoli diversi da uno sfratto per morosità o per finita locazione.
C) Con l’art. 13, comma 13, del decreto legge n. 183 del 2020[6], la sospensione della esecuzione è stata prorogata al 30 giugno 2021, limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze.
Il perimetro della proroga viene quindi ulteriormente circoscritto, espungendo dal campo di applicazione l’esecuzione fondata sugli sfratti per finita locazione.
Quindi:
- Dal primo settembre 2020 è ripresa l’esecuzione degli ordini di rilascio fondati su titoli diversi dallo sfratto per morosità o per finita locazione;
- Dal 31 dicembre 2020 è ripresa l’esecuzione degli ordini di rilascio fondati sugli sfratti per finita locazione;
- Le esecuzioni relative agli sfratti per morosità restavano sospese sino al 30 giugno 2021.
D) Con l’art. 40-quater del decreto legge n. 41 del 2021[7], riguardante la sospensione degli sfratti per morosità, è stato infine introdotto un regime di proroga differenziato in base al giorno di adozione del provvedimento di rilascio.
Nello specifico: per i provvedimenti adottati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020, la proroga si estende sino al 30 settembre 2021; per i provvedimenti adottati sino dal primo ottobre 2020 sino al 30 giugno 2021, la proroga si estende sino al 31 dicembre 2021.
Il quadro relativo ai soli sfratti per morosità è quindi il seguente:
- sfratti convalidati prima del 28 febbraio 2020: scadenza proroga 30 giugno 2021.
- sfratti convalidati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020: scadenza proroga 30 settembre 2021;
- sfratti convalidati dal 1°ottobre 2020 al 30 giugno 2021: scadenza proroga 31 dicembre 2021;
- sfratti convalidati dopo il 30 giugno 2021: nessuna sospensione.
4. La questione di legittimità costituzionale
4.1 I parametri evocati dai giudici remittenti
Il Tribunale di Trieste, ritenuta la non manifesta infondatezza delle doglianze della ricorrente, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 6, del decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, dell'art. 17-bis del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34; e dell’art. 13, comma 13, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183.
Si tratta, evidentemente, di tutta la normativa richiamata nel precedente § 3 ad eccezione dell’art. 40-quater del decreto legge n. 41 del 2021, sopravvenuto all’ordinanza di rimessione (datata 24 aprile 2021, mentre l’art. 40-quater è stato introdotto dalla legge di conversione il 21 maggio 2021).
Il Tribunale di Savona, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, ha sollevato la questione in relazione a tutta la normativa qui scrutinata, compreso l’art. 40-quater del decreto legge n. 41 del 2021, con la sola eccezione dell’art. 17-bis del decreto legge n. 34 del 2020, non reputato pertinente.
Quanto ai parametri, entrambi i giudici hanno evocato il possibile contrasto con gli articoli 3, 24, 42 e 117 della Costituzione.
Il Tribunale di Trieste ha aggiunto anche la possibile violazione degli articoli 47 e 77 mentre il Tribunale di Savona ha richiamato anche gli articoli 11, 41, 111 della Costituzione nonché l’art. 6 della CEDU e l’art. 47 della CDFUE.
Quanto all’articolo 3, entrambi i remittenti hanno segnalato l’intrinseca contraddittorietà della disciplina sottesa alle disposizioni impugnate: la sospensione dell’esecuzione dei rilasci ha, infatti, natura generalizzata e prescinde da una indagine sulla causa della morosità (che può ben risalire, al contrario, a periodi antecedenti all’emergenza pandemica[8]).
Il giudice, peraltro, non ha neppure il potere di operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi, anche in relazione all’incidenza degli effetti della pandemia nelle rispettive situazioni personali, con l’effetto di rendere la sospensione del tutto irrazionale, soprattutto quando, come nel caso posto all’attenzione del Tribunale di Savona, sia proprio il locatore a versare in situazione di difficoltà economica.
Sarebbe tutelato, in sintesi, esclusivamente il diritto del conduttore di disporre dell’immobile, senza alcun bilanciamento con il diritto del locatore.
Quanto all’articolo 11, la censura va ovviamente letta in correlazione a quella fondata sugli articoli 111 e 117 della Costituzione richiamati in relazione agli articoli 6 della CEDU e dell’art. 47 della CDFUE: secondo il Tribunale di Savona, la normativa scrutinata, impedendo la concreta realizzazione del diritto accertato in sede di cognizione, priverebbe il locatore del diritto di accesso alla giustizia.
Connessa a questa argomentazione è, intuitivamente, quella fondata sulla possibile violazione dell’articolo 24: entrambe le ordinanze hanno ritenuto che le norme scrutinate, impedendo l’esecuzione del rilascio dell’immobile, sottraggano al creditore il diritto di accesso alla tutela esecutiva che è parte essenziale della tutela giurisdizionale.
Quanto all’articolo 42, la continua proroga della sospensione dei rilasci costituirebbe un’espropriazione sostanziale senza indennizzo, con l’aggravante (aggiunge il Tribunale di Savona anche in relazione all’articolo 41), delle difficoltà per il locatore di recuperare ex post i canoni dovuti. Secondo il Tribunale di Trieste, in questo modo, si violerebbe anche la tutela del risparmio nel settore immobiliare riconosciuta dall’art. 47.
Il solo Tribunale di Trieste ha rilevato, infine, la possibile contrarietà dell’articolo 13, comma 13, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, con l’articolo 77 della Costituzione, per assenza dei presupposti di necessità e urgenza «laddove le disposizioni di legge impugnate (…) concorrono a sospendere provvedimenti di rilascio per situazioni di morosità (…) le quali si siano verificate anteriormente al manifestarsi della emergenza sanitaria per la pandemia».
Il Tribunale triestino richiama anzitutto la giurisprudenza costituzionale per la quale la violazione 77 Cost. ricorre nei riguardi di disposizioni “estranee” o addirittura “intruse” rispetto all’oggetto della decretazione d’urgenza: nel caso scrutinato, secondo il remittente, l’art. 13, comma 13, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183 sarebbe anzitutto «per se stesso inserito in una decretazione dedicata a situazioni altre e diverse (più precisamente "termini legislativi", "realizzazione di collegamenti digitali", "esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020" e "recesso del Regno Unito dall'Unione europea") rispetto alle quali la disciplina del rilascio degli immobili è sicuramente inconferente»; in secondo luogo, la proroga prevista dall’articolo scrutinato sarebbe in realtà estranea alla normativa dedicata all’emergenza epidemiologica, perché applicabile anche in relazione a morosità che – se preesistenti alla pandemia – nulla avrebbero a che vedere con la stessa.
4.2. Le considerazioni dell’Avvocatura generale dello Stato
Intervenuto in entrambi i giudizi di legittimità costituzionale, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto il rigetto dei ricorsi per manifesta infondatezza di tutte le prospettate questioni.
Nello specifico:
- quanto all’articolo 3 della Costituzione, entrambi i remittenti non avrebbero colto la ratio legis sottesa alla normativa censurata, che non consisterebbe nella tutela del conduttore incolpevole, ma andrebbe ricercata nella salvaguardia del diritto all’abitazione in una situazione emergenziale nella quale doveva essere garantito il mantenimento dell’ordine pubblico.
- quanto alle censure fondate sugli articoli 11, 111, 117 Cost., 6 CEDU e 47 CDFUE, lette anche in correlazione con la asserita violazione dell’art. 24 Cost. (ricordiamo che, in sintesi, i remittenti paventavano un possibile diniego di giustizia per impossibilità di accesso alla tutela esecutiva), secondo la difesa statale la tutela esecutiva non sarebbe impedita ma soltanto ritardata, in virtù, peraltro, di norme la cui efficacia è destinata a esaurirsi in via definitiva il 31 dicembre 2021.
Non solo: «una ripresa indistinta delle procedure esecutive di rilascio dopo la data del 30 giugno 2021, oltre a problemi di ordine pubblico e sociale, avrebbe determinato una grave sofferenza della macchina organizzativa preposta all’attuazione dei provvedimenti da eseguire».
- Quanto alla possibile violazione degli articoli 42 e 47 della Costituzione, le norme censurate non costituirebbero un’espropriazione in senso sostanziale e non si porrebbero in contrasto con la tutela del risparmio immobiliare, attesa la natura temporanea dei provvedimenti.
- Quanto, infine, alla censura fondata sull’art. 77 della Costituzione, la disposizione di cui all’art. 13, comma 13, si inserirebbe coerentemente nell’ambito del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, cosiddetto “mille proroghe” «volto, per l’appunto, a procrastinare la vigenza di alcune disposizioni normative, molte delle quali correlate, come l’art. 103, comma 6, del predetto d.l. n. 18 del 2020, all’emergenza epidemiologica da Covid-19».
Il ragionamento è semplice: l’articolo 13, comma 13, proroga la vigenza di una previsione normativa (di una sospensione, nello specifico) ed è inserita in un decreto dichiaratamente volto a prorogare una serie di disposizioni normative. Non sussiste, quindi, alcuna “estraneità” della disposizione rispetto al decreto in cui la stessa è inserita.
4.3. Ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale
Dopo una schematica ricostruzione del quadro normativo, la Consulta affronta il tema dell’ammissibilità delle prospettate questioni.
Poiché lo scrutinio deve essere circoscritto alle disposizioni in concreto applicabili (entrambi i giudizi erano relativi a esecuzioni “tentate” nel 2021), la Corte reputa inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 103, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020 (che aveva previsto la sospensione delle esecuzioni fino al 30 giugno 2020), e all’art. 17-bis del d.l. n. 34 del 2020 (che aveva prorogato detta sospensione sino al 31 dicembre 2020).
Quanto all’art. 40-quater del decreto legge n. 41 del 2021, che, come si ricorderà, non era stato censurato dal Tribunale di Trieste in quanto successivo all’ordinanza di rimessione, secondo la Consulta non occorre disporre la restituzione degli atti al giudice per un nuovo esame, poiché lo ius superveniens «ha semmai aggravato, non certo ridimensionato, il vulnus denunciato dal giudice rimettente»: le stesse questioni sollevate dal Tribunale triestino in relazione all’articolo 13, comma 13, del decreto legge n. 183 del 2020, possono quindi essere riferite anche alla disposizione sopravvenuta (comunque censurata dal Tribunale di Savona).
Quanto ai parametri, la Consulta reputa inammissibili le censure fondate sull’asserita violazione dell’art. 47 CDFUE: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea può essere infatti invocata quale parametro interposto soltanto quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata anche dal diritto europeo. La questione è dunque inammissibile poiché il remittente non ha indicato «perché, e in che termini, la fattispecie sarebbe disciplinata dal diritto europeo».
La Corte dichiara infine inammissibili le censure prospettate dal Tribunale di Savona in relazione agli articoli 11 e 41 della Costituzione in quanto «del tutto prive di motivazione, limitandosi il giudice rimettente a evocare i parametri costituzionali, senza alcuna specifica adeguata illustrazione dei motivi di censura».
Tutte le altre questioni sono ammissibili.
Ma infondate.
4.4. La decisione della Consulta
La Corte costituzionale reputa portante la censura fondata sulla violazione dell’art. 3 della Costituzione e, a questa, dedica la parte più ampia e interessante della decisione.
Si analizzeranno per prime le questioni definite complementari.
Per quanto attiene alla possibile violazione dell’art. 77 della Costituzione, la proroga prevista dall’articolo 13, comma 13, del decreto legge n. 183 del 2020, formalmente inserita in un decreto legge dal contenuto assai eterogeneo, sarebbe – secondo il Tribunale di Trieste – estranea o addirittura “intrusa” rispetto alle norme approvate per fronteggiare l’emergenza pandemica, in quanto riferibile anche a morosità che, con essa, nulla hanno a che vedere: quest’ultimo dato, peraltro, priverebbe la norma dei fondamentali requisiti della necessità e dell’urgenza.
La Consulta giudica la questione è infondata: la disposizione censurata si colloca all’interno di un provvedimento dal contenuto dichiaratamente eterogeneo, rispetto al quale la proroga dalla stessa prevista non può certamente ritenersi estranea o addirittura intrusa.
In altri termini: una disposizione che “proroga” la vigenza della sospensione dell’esecuzione dei rilasci non può certamente ritenersi estranea rispetto a un decreto legge definito, appunto, mille proroghe.
Del resto, premette la Corte, l’urgente necessità di provvedere può riguardare «una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie, complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse (sentenze n. 149 del 2020, n. 137 del 2018, n. 170 e n. 16 del 2017 e n. 32 del 2014), ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti per situazioni straordinarie venutesi a determinare».
Quanto alla possibile violazione dell’art. 42 della Costituzione, la Consulta ritiene infondata la censura perché non può dirsi sussistente un’espropriazione in senso sostanziale e senza indennizzo.
Anzitutto per la temporaneità della misura.
In secondo luogo perché, nella vigenza della sospensione, continuano comunque a maturare i canoni di locazione.
La Corte, del resto, ha costantemente ritenuto che l’ingerenza statale nel godimento dei beni sia ammissibile ove sussista un equilibrio tra il diritto sacrificato e l’interesse generale della collettività: nel caso di specie «l’emergenza pandemica, con la conseguente crisi economico-sociale, costituisce senz’altro un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare l’operatività della misura di sospensione».
Pure infondata è la censura dedotta in relazione all’articolo 24 della Costituzione (ma anche quelle sollevate in relazione agli articoli 11, 111, 117 Cost., e 6 CEDU).
Da un lato, in linea per così dire generale, il Legislatore gode di ampia discrezionalità nel conformare gli istituti processuali, col solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute e conseguente compressione ingiustificabile del diritto di azione.
D’altro lato, nello specifico, la misura censurata è temporanea e non impedisce, quindi, in via definitiva, la promozione dell’azione esecutiva.
Veniamo, infine, alla censura fondata sulla possibile violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
La normativa censurata sarebbe irrazionale perché, imponendo una sospensione generalizzata delle esecuzioni, senza alcuna valutazione della causa della morosità e non consentendo al giudice di operare un bilanciamento dei contrapposti interessi, finirebbe per sacrificare, in ogni caso, il diritto del locatore a beneficio di quello del conduttore.
Può dirsi, questo sacrificio, conforme al dettato costituzionale?
Secondo la Consulta si, ma soltanto a precise condizioni.
La Corte muove da una assai interessante ricostruzione delle esigenze che animarono i primi provvedimenti emergenziali, quelli che avevano disposto da un lato la sospensione di tutti i provvedimenti di rilascio di immobili, a prescindere, lo si ricorderà, dal titolo che ne aveva costituito il fondamento (art. 103, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020); dall’altro la sospensione di tutte procedure esecutive per pignoramento immobiliare aventi a oggetto l’abitazione principale del debitore (art. 54-ter del decreto legge n. 18 del 2020): il confronto tra l’evoluzione normativa di queste due discipline costituisce il tema portante della decisione annotata.
Analogo il punto di partenza, differenti gli sviluppi e, sia consentito, la sorte.
Il punto di partenza, comune, fu costituito dall’esplosione dell’emergenza pandemica, che colse impreparato l’intero ordinamento e, con esso, l’intera collettività: in un contesto quale quello vissuto nel marzo 2020, dominato dall’incertezza, anche scientifica, innanzi a ad un patogeno del tutto nuovo, appariva decisivo e urgente sospendere il più possibile ogni attività, ogni contatto, persino larga parte della macchina della giustizia.
Fu così, ad esempio, per la straordinaria sospensione di (quasi) tutti i termini processuali sull’intero territorio nazionale, originariamente prevista dall’art. 83 del decreto legge n. 18 del 2020 e poi prorogata, dall’art. 36 del decreto legge n. 23 del 2020, sino al giorno 11 maggio 2020.
La stasi di ampia parte del sistema giudiziario fu, peraltro, aspetto e non certo conseguenza di una più ampia sospensione delle attività che implicassero contatto fisico, con inevitabili ripercussioni sulle condizioni economiche di ampia fascia della popolazione italiana.
In questo contesto emerse, ancora più incisivamente, il dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 della Costituzione.
Emerse l’interesse dell’ordinamento ad evitare o quanto meno limitare tutte le attività che potessero creare pericolose occasioni diffusive del contagio; emerse, per quel che più specificamente riguarda la decisione annotata, l’esigenza di non privare anche piccola parte della popolazione del proprio alloggio (o della propria attività commerciale) nel perdurare di una situazione incerta e assai pericolosa per la salute pubblica.
E così, come si è accennato, i primi provvedimenti di sospensione ebbero carattere generale e assai ampio.
Due discipline corsero in parallelo: quella originariamente prevista dall’articolo 103, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020 (sospensione delle esecuzioni di tutti i provvedimenti di rilascio di immobili) e quella originariamente prevista dall’art. 54-ter del decreto legge n. 18 del 2020 (sospensione di tutte e esecuzioni per pignoramento immobiliare aventi a oggetto l’abitazione principale del debitore).
La seconda si arrestò, colpita dalla sentenza di illegittimità costituzionale n. 128 del 2021.
Perché?
Le due discipline, come visto, furono approvate nel medesimo periodo. Anzi: con lo stesso decreto legge.
La seconda, però, beneficiò di una proroga generalizzata, senza alcuna modifica del perimetro applicativo: una semplice proroga, in tal modo, di tutte le espropriazioni per pignoramento immobiliare aventi ad oggetto l’abitazione del debitore, proroga che non teneva in alcuna considerazione l’evoluzione del quadro pandemico e, con esso, della società italiana, lentamente (ma decisamente) ripresasi in seguito alla prima emergenza.
«Il bilanciamento sotteso alla temporanea sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale è divenuto, nel tempo, irragionevole e sproporzionato, inficiando la tenuta costituzionale della seconda proroga» (così, nella sentenza 128 del 2021).
È vero, ragiona la Consulta nella decisione annotata, che in periodi emergenziali il dovere di solidarietà sociale consente al Legislatore un più ampio margine di discrezionalità nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco.
Però il sacrificio per i locatori non poteva che essere temporaneo.
Così, all’inizio del par. 11.4 della sentenza annotata, manifestando anche graficamente il punto di svolta dell’argomentare e richiamando l’attenzione del lettore: in prima battuta quello del legislatore.
Le misure di contrasto alla pandemia, nello specifico quelle relative alla sospensione delle esecuzioni (espropriazioni o rilasci) devono rispettare i principi della eccezionalità, della temporaneità della gradualità: diversamente sono incostituzionali.
Eccezionalità è, nel periodare della Consulta, predicato della situazione che ha portato alla misura e non della misura medesima: questa è una riflessione importante, perché anche le emergenze si evolvono e, con esse, deve evolversi la disciplina che le fronteggia.
Di qui il ragionamento sulla gradualità e sulla temporaneità, caratteri, questi, riferiti alle misure.
Se si evolve l’emergenza, la disciplina da essa scaturita deve evolversi: ridimensionandosi o espandendosi, a seconda ovviamente dei casi: nel quadro pandemico italiano, a fronte di un progressivo miglioramento del quadro della crisi sanitaria (si pensi, ad esempio, alla mancanza persino di semplici mascherine o camici nel marzo 2020), le misure di contrasto vanno adeguate.
E dunque alleggerite.
Questa è la gradualità.
Il sacrificio di una parte della popolazione a vantaggio (anche indiretto) di un’altra, pur giustificato dai più volte richiamati doveri di cui all’art. 2 della Costituzione, non può comunque essere perpetuo: graduale la misura; temporaneo il sacrificio.
E sono queste le lenti con le quali la Corte analizza la normativa censurata.
Che ne esce indenne, a differenza di quella, semplicemente prorogata, in materia di espropriazioni immobiliari.
Si è visto: il quadro normativo si è evoluto. Dapprima una sospensione relativa a tutti i provvedimenti di rilascio, a prescindere dal titolo che li ordinasse; successivamente una limitazione del perimetro della misura escludendo dalla sospensione tutti i provvedimenti non relativi a sfratti per morosità o per finita locazione; poi la esclusione degli sfratti per finita locazione; infine la graduazione della permanenza della sospensione in ragione della data dell’ordinanza di convalida.
Condivisibile o meno questo ultimo parametro e, più in generale, il tratto della disciplina come graduata, non può revocarsi in dubbio che la normativa in questo specifico settore si sia evoluta. Come l’emergenza pandemica.
Ed è dunque rispettosa della Costituzione.
Per tornare alle parole della Consulta: «nel complesso, quindi, quanto alla proroga nel 2021 della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, sono stati introdotti «adeguati criteri selettivi» (sentenza n. 128 del 2021), che invece sono mancati nella parallela previsione della proroga della sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore. Ciò rende non irragionevole la proroga, graduata nel tempo secondo le scadenze sopra indicate, della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per morosità».
Il sacrificio del locatore, siccome temporaneo, giustificato da una situazione emergenziale e imposto da una normativa che si è adeguata all’emergenza pandemica rispetta, dunque, la Costituzione.
Ma non può, si diceva, essere perpetuo.
Anzi, ed è questo il monito col quale si chiude la decisione annotata, «questa misura emergenziale è prevista fino al 31 dicembre 2021 e deve ritenersi senza possibilità di ulteriore proroga, avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.)».
5. Considerazioni conclusive
L’emergenza, in relazione ai doveri di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione, giustifica dunque misure temporanee e graduali finalizzate al suo contenimento: è questo l’insegnamento più importante che può essere tratto dalla decisione annotata.
Se è la pandemia, dunque, la circostanza eccezionale che giustifica talune misure, le stesse devono però essere graduali e adeguante all’evoluzione della stessa.
Il sacrificio dei diritti individuali, inoltre, non può che essere temporaneo.
La decisione annotata, pur non riguardando né lo stato di emergenza né la generalità dei provvedimenti approvati per farvi fronte, offre pertanto utili spunti al Legislatore: lo stesso, chiamato a fronteggiare la pandemia, deve quindi sempre approvare e mantenere misure proporzionate e adeguate all’evoluzione della stessa.
[1] In Foro it. 2021, 9, I, 2620.
[2] Conclusosi con l’ordinanza n. 107 del 24 aprile 2021, consultabile in Rivista Giuridica dell’Edilizia 2021, 4, I, 1203 nonché sul sito internet della Gazzetta ufficiale al seguente collegamento: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-07-14&atto.codiceRedazionale=21C00155
[3] Conclusosi con l’ordinanza n. 124 del 3 giugno 2021, consultabile sul sito internet della Gazzetta ufficiale al seguente collegamento:
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2021-08-18&atto.codiceRedazionale=21C00185
[4] Come convertito nella legge n. 27 del 24 aprile 2020.
[5] Introdotto dalla legge di conversione n. 77 del 17 luglio 2020.
[6] C.d. decreto «mille proroghe», convertito nella legge n. 21 del 26 febbraio 2021.
[7] Introdotto dalla legge di conversione n. 69 del 21 maggio 2021.
[8] Si aggiunga che potrebbe verificarsi addirittura il contrario: nel caso di morosità verificatesi nel pieno dell’emergenza pandemica, ma accertate successivamente al 30 giugno 2021, infatti, l’esecuzione per il rilascio non è in ogni caso sospesa.