GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    "Il Braccialetto elettronico” e protezione vittima di violenza di genere  di Maria Monteleone

    "Il Braccialetto elettronico” e protezione vittima di violenza di genere di Maria Monteleone

    "Il Braccialetto elettronico” e protezione vittima di violenza di genere

    di Maria Monteleone 

    Il carattere emblematico della vicenda giudiziaria, oggetto delle Ordinanze del Gip, consente alcune riflessioni sulla protezione della vittima di violenza di genere e domestica, tema centrale nell’azione di contrasto, soprattutto nella fase cautelare del procedimento penale.

    Il caso all’attenzione degli inquirenti presenta, infatti, i tratti tipici di molti casi di “ordinaria violenza domestica”: una donna che subisce dal convivente abituali aggressioni fisiche, morali e psicologiche; bambini che vi assistono, restandone essi stessi vittime; un uomo, disoccupato, con precedenti penali, assuntore di alcol e stupefacenti, che si difende sostenendo che è “geloso…che vuole bene alla donna”!

    Il giudice ha ritenuto l’allontanamento dalla casa familiare, con  contestuale divieto di avvicinamento alla vittima, ai sensi dell’art. 282-bis c.p.p., misura idonea a contrastarne la pericolosità,  prevedendo – provvidenzialmente - la sorveglianza ed il monitoraggio con il c.d. “braccialetto elettronico”.

    Nel volgere di poco tempo, tuttavia, il giudizio sulla pericolosità sociale dell’indagato si è rivelato inadeguato, tanto che, a seguito della violazione delle indicate prescrizioni, è stato tratto nuovamente in arresto nella flagranza del delitto di maltrattamenti in danno della convivente, e raggiunto dalla più grave misura della custodia cautelare in carcere. 

    Lo svolgimento dei fatti, come rappresentati negli stessi provvedimenti del giudice, evidenziano una “escalation” di violenza tipica di queste forme criminali, ed è ragionevole valutare che, nel caso, l’imposizione del c.d. “braccialetto elettronico”, abbia verosimilmente scongiurato il rischio di un nuovo femminicidio.

    Il dispositivo di sorveglianza e controllo imposto all’indagato, cui il giudice ha fatto ricorso quale “modalità nuova di applicazione di misure cautelari preesistenti”[1], previsto dall’art. 275-bis c.p.p., ha fatto ingresso nel nostro sistema processuale oltre 20 anni orsono (D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla Legge 19 gennaio 2001, n. 4), allo scopo dichiarato di ridurre il numero delle persone detenute in carcere, tanto che ne era originariamente prevista l’applicazione soltanto per gli arresti domiciliari e per la “detenzione domiciliare” (art. 47-ter, comma 4-bis, L. 354/75 sull’Ordinamento Penitenziario)[2].

    Per le peculiarità tecniche che lo contrassegnano, si è rivelato nel tempo mezzo determinante  nel  contrasto al “rischio di letalità”, cui sono esposte molte donne vittime di violenza di genere e domestica.

    Ed infatti, sebbene, tra problematiche interpretative e non risolte difficoltà operative, abbia a lungo tradito le aspettative che aveva suscitato,  nel 2013 la sua applicabilità è stata estesa (ad opera della L. 15 ottobre 2013, n. 119, emanata in esecuzione della Convenzione di Istanbul)[3], dapprima alla misura cautelare dell’allontanamento dall’abitazione familiare (art. 282-bis c.p.p.) e successivamente - con la legge n. 69/2019 - al “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” (art. 282-ter c.p.p.).

    La nuova, prospettata, opportunità di utilizzo di questo dispositivo di monitoraggio e sorveglianza dell’indagato - particolarmente ampia se si ha riguardo al numero dei reati previsti nel comma 6 dell’art. 282-bis c.p.p. - riveste specifico rilievo nei casi in cui ricorra la pregnante necessità di proteggere una persona offesa “preventivamente individuata”, come tale “candidata” ad essere nuovamente vittima dello stesso indagato.

    Questi i motivi per cui anche la stessa potenziale vittima è richiesta di prestare la propria collaborazione, dotandosi di un dispositivo che monitora il rispetto del divieto di avvicinamento entro un raggio spaziale delineato, allertando le forze dell’ordine e la stessa vittima, nel caso di  violazione[4].

    La descritta modalità di controllo, non è, in effetti, applicata quanto sarebbe opportuno, anche rispetto alle sue odierne potenzialità, come confermano i dati disponibili, secondo i quali, attualmente, i dispositivi elettronici attivi sono complessivamente 4.595, e quelli c.d. anti-stalking, che consentono di monitorare il rispetto delle distanze dalla potenziale vittima, sono 850[5].

    Eppure, come conferma anche il caso in esame, l’impiego di detto dispositivo merita di essere riconsiderato, e ciò nonostante il perdurare di alcune problematiche operative, connesse – essenzialmente - ai tempi ed alle formalità  necessari per la sua attivazione[6].

    Se è pur vero che, nell’adozione di una misura cautelare, il giudice deve ispirarsi al principio del minimo sacrificio per la libertà personale dell’autore del delitto, tuttavia, quando procede per delitti caratterizzati dall’abitualità e dalla ripetitività delle condotte (il che si verifica quasi esclusivamente nei delitti di violenza di genere e domestica), esso è chiamato a valutare la natura ed il grado delle esigenze cautelari, procedendo ad una scelta "individualizzata, attribuendo rilievo specifico anche alla relazione “personale” tra l’autore e la sua vittima, “come tale spesso candidandosi ad essere nuovamente vittima dello stesso autore del reato per cui si procede”[7].

    In queste ipotesi, il ricorso alle modalità di controllo mediante mezzi elettronici, può risultare fondamentale per la tutela e la protezione della stessa vittima.

    Riguardo all’operatività della disposizione che le prevede – l’art. 275-bis c.p.p. – i giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione[8] hanno ritenuto che, a seguito della modifica legislativa di tale norma, ad opera della L. n. 10/2014[9], sono stati ribaltati i termini della valutazione del giudice in ordine all’applicazione di questa speciale forma di controllo: “Mentre prima  della novella l’operatività dei meccanismi di cui all’art. 275-bis era subordinata alla circostanza che il giudice li ritenesse “necessari”, nella nuova formulazione della norma, essi devono essere sempre ordinati a meno che si ritengano non necessari, in relazione al grado ed alla natura delle esigenze da soddisfare …..”, tanto da auspicare che i giudici si impegnino in un “adeguato sforzo motivazionale … avendo “l'obbligo di spiegare le ragioni per le quali intendano ricorrere alla misura tradizionale piuttosto che a quella elettronicamente monitorata”.

    Il monito assume un rilievo del tutto particolare, laddove il giudice ritenga di applicare una delle misure cautelari previste dagli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. le quali, in ragione del richiamo in esse contenuto alle modalità di controllo previste dall’art. 275-bis, si deve  ritenere che impongano sempre l’applicazione della misura,  a meno che il giudice ritenga "non necessario il monitoraggio elettronico del sottoposto, ma in tale caso è necessario un rafforzato obbligo motivazionale in relazione al grado ed alla natura delle esigenze da soddisfare nell'ipotesi specifica”[10].

    Proprio la richiamata valutazione (e la conseguente esplicitazione nelle motivazioni) costituisce elemento cruciale nell’azione di contrasto alla violenza di genere e domestica, e postula un’adeguata specializzazione nei giudici, condizione necessaria che garantisce anche conoscenze dei principi sovranazionali, da tenere sempre presenti nelle valutazioni da operare, anche in sede cautelare.

    Centrale, al riguardo, è la Direttiva 2012/29/UE sulle “Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato”, che riconosce a tutte le vittime il “diritto alla protezione” e, pur facendo salvi i diritti della difesa, “richiede agli Stati membri di assicurare che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazioni e ritorsioni, compreso il rischio di danni emotivi o psicologici…”.

    In questo contesto, secondo i giudici di legittimità[11] “La lettura delle norme interne alla luce delle indicazioni fornite dalla Direttiva è un obbligo che incombe sul giudice nazionale dato che le direttive, anche dopo la loro attuazione, costituiscono atti normativi di indirizzo che orientano l’interpretazione delle norme interne. Spetta al giudice nazionale dare alla legge adottata per l’attuazione della direttiva, in tutti i casi in cui il diritto nazionale gli attribuisce un margine discrezionale, una interpretazione ed una applicazione conformi alle esigenze dell’unione”.

    Ma vi è un’ulteriore riflessione che merita svolgimento, ed attiene  alla protezione delle vittime di violenza di genere e domestica che scaturisce dai principi previsti dalla Convenzione di Istanbul[12]. Dopo aver affermato - art. 2 - che le Parti “presteranno particolare attenzione alla protezione delle donne vittime di violenza di genere”,  la Convenzione precisa, al successivo art. 18, che bisogna “proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza”; circa lo svolgimento dell’azione giudiziaria, non solo richiede espressamente una cooperazione “tra le autorità giudiziarie ed i pubblici ministeri”, ma sottolinea, anche, che le misure devono “essere basate su una comprensione della violenza di genere, e concentrarsi sulla sicurezza della vittima”.

    Il legislatore convenzionale richiede, altresì (artt. 50 e seg. ), che “le autorità incaricate dell’applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza”, che offrano “una protezione adeguata e immediata alle vittime ….” che siano valutati “il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, al fine di gestire i rischi e garantire, se necessario, un quadro coordinato di sicurezza e di sostegno”.

    Tutto questo richiede, come accennato, un giudice specializzato[13] capace, quindi, di procedere tempestivamente ad una corretta valutazione di tutti gli elementi  del caso concreto, in grado di effettuare valutazioni e giudizi prognostici complessi, sin dall’acquisizione della “notitia criminis”, di individuare gli indici di rischio cui può essere esposta la persona offesa - a volte anche nella sua stessa inconsapevolezza -, e di applicare misure cautelari  adeguate a fermare l’aggressore, garantendo la sicurezza personale della sua vittima[14].

    Giudici “formati” nella rilevazione del rischio di letalità - cui sia eventualmente esposta la vittima - i quali, nell’individuazione della misura cautelare idonea, in relazione alle “esigenze cautelari” di cui all’art. 274 c.p.p., procedano nella prospettiva concreta indicata dai Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’uomo con la sentenza Talpis[15], nel cui testo si legge che “in materia di violenza domestica, il compito di uno Stato non si esaurisca nella mera adozione di disposizioni di legge che tutelino i soggetti maggiormente vulnerabili, ma si estenda ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva”, e che “l'inerzia delle autorità nell'applicare tali disposizioni di legge si risolve in una vanificazione degli strumenti di tutela in esse previsti”.

    Nell’esposizione delle problematiche tipiche della fase cautelare del procedimento penale, occorre considerare che il legislatore italiano, nel dare attuazione alle norme convenzionali e alla citata Direttiva europea, a decorrere dal 2009,[16] è intervenuto con modifiche legislative riguardanti il ruolo ed il contributo che la persona offesa può prestare per favorire la sua stessa protezione, attraverso il rafforzamento degli obblighi informativi per la vittima, ma anche prevedendo che essa possa fornire un suo contributo nello stesso procedimento cautelare.

    Tra le più significative disposizioni, l’art. 282-quater c.p.p., che rende obbligatoria la comunicazione anche alla persona offesa dei provvedimenti applicativi della misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter, e l’art. 90-ter c.p.p., introdotto dal D.Lgs. n. 212/2015, che amplia gli obblighi di comunicazione con riguardo all’evasione e alla scarcerazione del violento.

    Ruolo centrale è stato assegnato alle disposizioni dell’art. 299, comma 2-bis, c.p.p., che, attraverso ripetuti interventi normativi (a decorre da quelli introdotti con la legge n.119/2013, di esecuzione e ratifica della Convenzione di Istanbul), mirano ad assicurare una effettiva possibilità di partecipazione della vittima all’incidente cautelare.

    Il percorso ha avuto un significativo potenziamento con la recente legge n. 69 del 2019, che ha rafforzato gli obblighi informativi anche nei confronti del difensore della vittima - “ove nominato” – con riguardo sia all’applicazione delle indicate misure cautelari (art. 282-quater c.p.p.), sia ai casi di evasione o scarcerazione dell’autore di violenza (art. 90-ter c.p.p.), ovvero all’ipotesi di revoca o sostituzione delle misure cautelari (art. 299 c.p.p.).

    Trattasi di obblighi informativi dei quali non va sottovalutata la rilevanza, perché assolvono ad una funzione fondamentale, essendo “volti ad assicurare alla persona offesa, attraverso la presentazione di memorie ex art. 121 cod. proc. pen., uno strumento per offrire ulteriori elementi di conoscenza che, presumibilmente, possono essere desunti solo da un rapporto diretto tra vittima e aggressore[17].  

    Pertanto, come rilevato in altra pronuncia dai giudici di legittimità[18], il diritto di ricevere le notifiche di cui all’art. 299, comma 3, c.p.p. nei casi di delitti commessi con violenza alla persona, è fondato sul rischio di “recidiva personale” per la vittima.

    In altri termini, ricorrendo un rischio “personale”, candidandosi la vittima ad essere nuovamente vittima dello stesso autore del reato per cui si procede, la particolare relazione intercorrente tra autore e vittima, giustifica il sacrificio del diritto dell’indagato ad una rapida definizione dell’incidente cautelare a vantaggio del diritto della persona offesa a fornire il suo contributo alle decisioni in tema di libertà.

    In questo ambito normativo e giurisprudenziale, è fondata la considerazione  di carattere generale per la quale le persone offese  da questa  particolare tipologia di reati, hanno assunto un ruolo nuovo e diverso nel processo penale, dovendosi  prendere atto che esse non sono presenti  per vantare un mero diritto al risarcimento dei danni, quindi pretese di natura economica - che pure sussistono ed hanno spesso un rilievo non secondario -, ma innanzi tutto per essere salvaguardate dal rischio di reiterazione di aggressioni  violente ad opera di uno stesso soggetto, ben individuato.

    Quanto esposto legittima alcune ulteriori riflessioni sul caso  all’attenzione del giudice che ha adottato i provvedimenti esaminati.

    Innanzi tutto, il percorso giudiziario, in merito ai tempi di risposta del sistema, non si è rivelato adeguato; una prima denuncia della donna (risalente a diversi mesi prima dell’arresto dell’indagato), non risulta abbia avuto un seguito di rilievo, dopo un primo intervento delle forze di polizia presso l’abitazione del nucleo familiare, su richiesta della donna, atteso che, nella relativa annotazione, si legge che la donna “presentava evidenti escoriazioni ed ematomi sul corpo….riconducibili ad una lite con il compagno alla presenza dei figli”!

    È evidente la “confusione”, non certo lessicale, tra “lite” e “violenza”, che non dovrebbe appartenere ad un operatore di polizia giudiziaria  “specializzato”, tanto più che era anche emerso come la donna ed i bambini fossero stati costretti più volte ad allontanarsi dall’abitazione per sottrarsi alle aggressioni dell’uomo violento. 

    È stata pericolosamente ridotta al rango di “lite”, una grave forma di violenza domestica, mettendo sullo stesso piano la vittima e l’aggressore.

    In sintesi: una violenza domestica non “letta”, non individuata, malgrado presentasse, fin da subito, i tratti caratteristici di questa forma criminale; l’escalation della violenza, la sua ripetitività, caratterizzata da gravi minacce di morte alla vittima-donna.

    L’indagato, a ben considerare, presentava, sin dall’inizio, tutti i caratteri del soggetto affetto da pericolosità “specifica”, come può esserlo chi, alla presenza dei suoi tre bambini, usa sistematicamente violenza nei confronti della loro madre, non lavora, abusa di alcol e di stupefacenti,  vive con i proventi del lavoro della convivente, ha precedenti penali e giudiziari e, per di più, si dichiara “geloso”, così rientrando nei parametri del “potenziale femminicida”.

    Si consideri – in proposito – il dato statistico. Dall’indagine condotta dalla Commissione di Inchiesta del Senato sul femminicidio[19], l’analisi relativa ai 197 femminicidi commessi in Italia nel 2017/2018, riguardo agli autori dei delitti, ha rivelato che poco meno della metà degli assassini - il  46,4% -  non svolgeva alcuna attività di lavoro, mentre il 60% delle donne uccise dall’ex convivente lavorava, il 32,3 % degli uomini aveva precedenti penali o giudiziari, più di un quarto (il 27,1%) era dipendente da alcol, droghe, psicofarmaci o altre sostanze[20].

    La fattispecie in esame conferma, lo si ripete, l’esigenza, imprescindibile, di una valutazione di tipo “specialistico” da parte del magistrati, fin dall’immediatezza dell’acquisizione della notizia di reato, affinché la protezione della vittima non sia affidata al caso, alle intuizioni, più o meno fortuite o “felici”, dell’inquirente di turno[21].

    Si consideri, anche, che, nel caso, un “ruolo” determinante nelle diverse fasi della vicenda delittuosa è stato svolto da persone “vicine” alla donna, in particolare da compagni di lavoro che avevano assistito a precedenti aggressioni e minacce e, certamente, uno di essi è stato “provvidenziale” nel proteggerla nell’ultima aggressione, quella che ha determinato la carcerazione dell’indagato.

    Questa volta, una persona presente ai fatti non è rimasta “indifferente”, probabilmente ha contribuito a salvarle la vita, a conferma che la violenza - anche contro una donna - non deve mai essere considerata un fatto privato.

    I rilievi ci fanno riflettere sul diritto alla vita di una persona, tutelato proprio dall’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con L. n. 848/1955; i giudici della Corte Europea, nella citata sentenza Talpis, hanno ritenuto che questo diritto, oggetto di violazione ad opera dell’Italia, non può dipendere da mere coincidenze favorevoli: un giudice che applica correttamente lo strumento di controllo elettronico, una persona vicina alla vittima che non rimane  indifferente alla sua aggressione.

    Bisogna garantire un sistema, anche normativo, che assicuri -sempre ed in ogni fase del procedimento - la possibilità del concreto ed effettivo esercizio di tutti i diritti riconosciuti alla vittima, il primo dei quali è evidentemente quello alla vita.

    Si ritengono, pertanto, maturi i tempi per garantire nel processo penale, a tutte le persone offese da questi delitti, una difesa tecnica, che deve essere obbligatoria ed effettiva, proprio in ragione delle diverse specificità – oggettive e soggettive - ampiamente richiamate, che rendono queste persone in condizione di “particolare vulnerabilità”, soprattutto quelle affettivamente e psicologicamente dipendenti dall’autore dei reati (art. 90-quater c.p.p.).

    Difesa tecnica e specializzata, dunque, che assuma, dall’avvio del procedimento, le iniziative necessarie alla tutela della vittima vulnerabile, per la garanzia di una corretta tutela dei suoi diritti, nell’esercizio dei poteri processuali già indicati, nella prospettiva tracciata dall’art. 56 della Convenzione di Istanbul, che richiede “un'adeguata assistenza, in modo che i loro diritti e interessi siano adeguatamente rappresentati e presi in considerazione”.

    Ricordando, infine, i moniti dei giudici della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, contenuti nella sentenza Talpis: “i diritti dell’aggressore non possono prevalere sui diritti alla vita ed alla integrità fisica e psichica delle vittime”,  ma anche che gli inquirenti devono procedere con serietà ed attenzione, poiché “la mancanza di diligenza pone inevitabilmente in dubbio la buona fede degli inquirenti agli occhi dei denuncianti, perpetuandone le sofferenze”.

     

    [1]  In tal senso Cass. Sez. U, Sentenza n. 20769 del 28/04/2016 Cc. (dep. 19/05/2016) Rv. 266651.

    [2] Il comma 4-bis, aggiunto dall'articolo 17, comma 1, del D.L. n. 341/2000, è stato successivamente abrogato dall'articolo 3, comma 1, lettera f), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 febbraio 2014, n. 10.

    [3] Al riguardo si veda: Cass. Sez. U., Sentenza n. 20769 del 28/04/2016 Cc. (dep. 19/05/2016) Rv. 266651 – 01, nella quale, dopo avere evidenziato la sostanziale disapplicazione della disciplina di questo istituto, il giudice di legittimità ha espressamente auspicato il potenziamento di questa strategia da parte degli organi politici ed amministrativi coinvolti al fine di aumentarne la disponibilità .

    [4] Ci si riferisce al superamento delle iniziali riserve di diverse vittime donne a dotarsi  del dispositivo in grado di rilevare la presenza dell’aggressore nelle vicinanze, generando, nel caso di violazione, allarme immediato al centro elettro di monitoraggio, strumento  che necessariamente costituisce una limitazione della  privacy.

    [5] I dati sono stati acquisiti presso la competente struttura del  Ministero dell’interno. In argomento ulteriori elementi di valutazione sono contenuti nelle risposte a due interpellanze parlamentari, la prima del 13712/2019 (n.2-00599) e la seconda del 15/1/2021 (n.2-01022). In particolare in quest’ultima il Ministero dell’interno ha riferito che al 31/12/2020 i braccialetti attivi erano 4215 .

    Non è disponibile il dato sulle misure cautelari previste dagli artt. 282 bis e 282 ter, che sono in esecuzione ad aprile 2022  per i delitti di violenza di genere e domestica. Il dato statistico disponibile è quello pubblicato dal Ministero della Giustizia, secondo il quale nel 2018 sono state adottate complessivamente  86.697 misure cautelari e che gli allontanamenti dall’abitazione familiare –ex art. 282 bis c.p.p.- sono stati 3158.

    [6] Ci si riferisce ai tempi di attivazione dei sistemi di monitoraggio previsti che sono: 10 e 4 gg. a seconda delle concrete modalità di comunicazione tra i dispositivi elettronici di sorveglianza ed il centro elettronico di monitoraggio, a seconda che debba avvenire attraverso la rete radiomobile mediante utilizzo della SIM o con linea fissa.   

    [7] In argomento vedi: Sez. 2, Sentenza n. 17335 del 28/03/2019 Cc. (dep. 19/04/2019) Rv. 276953.

    [8] Vedi: Sez. U, Sentenza n. 20769 del 28/04/2016 Cc.  (dep. 19/05/2016 ) Rv. 266651.

    [9] La legge n. 10/2014, di conversione del D.L. n.146/2013, ha sostituito nel primo periodo del comma 1 dell’art. 275-bis in parola la locuzione “se lo ritiene necessario” con l’espressione “salvo che le ritenga non necessarie”.

    [10] C.f.r Cass. Sez. Unite 28/4/2016, n. 20769, cit.

    [11] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17335 del 28/03/2019, cit.

    [12] Legge 27 giugno 2013, n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011. (13G00122) (GU Serie Generale n.152 del 01-07-2013).

    [13] Al riguardo si veda la Delibera del Consiglio Superiore della Magistratura  del 9 maggio 2018 “sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica”,  e  la recente Delibera del 08/11/2021 prot. 20227/2021, sui “risultati del monitoraggio sull’applicazione delle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica”.

    [14] In questo contesto occorre prendere atto che, a fronte di chiare e specifiche indicazioni della legislazione Convenzionale internazionale, sulla necessità che la materia sia trattata da magistrati specializzati, siamo ben lontani da questo traguardo, come risulta dal “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria” del 17/6/2021 della Commissione Parlamentare di inchiesta del Senato sul femminicidio e dalla citata delibera del CSM dell’8/11/2021 prot. 20227/2021. Se, infatti, il 90 % circa delle procure hanno adottato un sistema organizzativo che prevede la trattazione in via esclusiva della materia da parte di sostituti specializzati, in nessun tribunale del nostro Paese è prevista un’analoga organizzazione per gli uffici del Gip, che tuttavia, nel nostro ordinamento processuale svolge un ruolo fondamentale fino dall’avvio del procedimento penale.

    [15] Corte Europea Diritti dell’uomo - Provvedimento del 02/03/2017, Numero del Ricorso: 41237/14. Caso: TALPIS contro ITALIA. 

    [16] Ci si riferisce al D.L. 23/272009 n.11 convertito nella L. 23/4/2009 n. 38 contenente misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”.

    [17]  In argomento si vedano: Sez. 2, Sentenza n. 43353 del 14/10/2015 Cc. (dep. 27/10/2015) Rv. 265094  e Sez. 6, Sentenza n. 6717 del 05/02/2015 Cc. (dep. 16/02/2015) Rv. 262272.

    [18]  Cass. Sez. , Sentenza n. 17335 del 28/03/2019 Cc. (dep. 19/04/2019) Rv. 276953 - 01.

    [19] Relazione della Commissione di inchiesta sul femminicidio su: “La risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia. Analisi delle indagini e delle sentenze . Il biennio 2017-2018”.

    [20] Una dettagliata ed interessante analisi statistica dei femminicidi avvenuti in Italia nel 2017/2018 si trova nel capitolo II della Relazione della Commissione di inchiesta citata nella nota precedente.

    [21] Una dettagliata ed interessante analisi statistica dei femminicidi avvenuti in Italia nel 2017/2018 si trova nel capitolo II della Relazione della Commissione di inchiesta citata nella nota precedente.


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    La risposta giudiziaria all’emergenza della violenza di genere e la sfida della formazione di Costantino…

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