Reclamabilità in Corte d’appello dei provvedimenti pronunciati dal Giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno. Nota critica a Cass. S.U. n. 21985/2021 e (in)superabilità della distinzione tra provvedimenti gestori e decisori, anche de iure condendo
di Chiara Ilaria Risolo
Sommario: 1. Il caso che ha portato all’emersione del contrasto: il rimedio avverso il decreto con il quale il Giudice tutelare ha scelto e nominato un amministratore di sostegno - 2. La normativa e i due orientamenti - 3. La motivazione delle S.U. per punti e corrispondenti osservazioni - 4. Ipotesi di riforma che potrebbe superare il principio di diritto enunciato e attualità della distinzione tra provvedimenti decisori e provvedimenti gestori pronunciati da Giudice tutelare.
1. Il caso che ha portato all’emersione del contrasto: il rimedio avverso il decreto con il quale il Giudice tutelare ha scelto e nominato un amministratore di sostegno
La questione portata all’attenzione della Suprema Corte sorge da un reclamo proposto dinanzi al Tribunale di Siracusa, in composizione collegiale, con il quale il figlio una beneficiaria si doleva del provvedimento con cui il Giudice tutelare, nel dichiarare aperta l’amministrazione di sostegno a favore della madre, designava quale amministratore un terzo professionista, stante il contrasto insorto tra i parenti intervenuti in quel procedimento. Il Tribunale di Siracusa dichiarava inammissibile il reclamo, indicando la competenza a pronunciarsi sullo stesso della Corte d’Appello territoriale, sostenendo la specialità della previsione di cui all’art. 720-bis c.p.c. rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c. La Corte d’Appello di Catania, per contro, chiedeva d’ufficio regolamento di competenza, assumendo l’erronea declaratoria di competenza in capo alla Corte territoriale da parte del Tribunale, evidenziando che il reclamo non investiva l’intero decreto con cui veniva anche disposta l’apertura della misura, ma esclusivamente la designazione dell’amministratore di sostegno, escludendo così l’applicazione dell’art. 720-bis, secondo comma, c.p.c. La Sesta Sezione Civile disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, atteso che analoga divergenza si era manifestata tra diverse pronunce nomofilattiche, cui si sono attenuti rispettivamente gli uffici giudiziari di merito menzionati[1]. All’esito le Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente principio di diritto: “I decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell’art. 720-bis, comma 2 c.p.c. unicamente dinanzi alla corte d’appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio)”. L’approfondimento dei passaggi salienti della decisione e dei temi processuali e sostanziali connessi, condotto nei paragrafi successivi, consentirà di osservare la persistente problematicità del tema e l’affatto pacifico approdo degli ermellini con la risoluzione del contrasto.
2. La normativa e i due orientamenti
L’art. 720-bis c.p.c. è stato inserito nel capo II del Titolo II del Libro IV del codice di procedura civile, dedicato ai procedimenti in materia di famiglia e di persone, dalla medesima legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno, in particolare dall’art. 17, comma secondo, della legge 9 gennaio 2004, n. 6. La disposizione normativa disciplina il procedimento in materia di amministrazione di sostegno richiamando alcune delle norme già scritte nel codice in materia di rito relativo all’interdizione e all’inabilitazione, salva la clausola della compatibilità.
Al secondo comma, la disposizione stabilisce che contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’art. 739 c.p.c.
Il quesito che si è posto sin da subito, in ordine all’interpretazione di tale precetto, è se il riferimento generico al “decreto” del giudice tutelare riguardi tutti i provvedimenti assunti nella forma di decreto oppure se il singolare sia tutt’altro che accidentale e faccia riferimento, invece, al decreto di accoglimento del ricorso (o di rigetto) e solo a quello.
Mentre tra i commenti della dottrina appare essersi affermata la posizione secondo la quale tutti i decreti pronunciati dal giudice tutelare dovrebbero essere reclamati davanti alla Corte d’appello, a meno che non riguardino l’attività istruttoria[2], in giurisprudenza si è invece andato consolidando l’orientamento secondo il quale la reclamabilità in appello del decreto del giudice tutelare era ritenuta limitata ai soli provvedimenti aventi natura decisoria, come ad esempio il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno oppure quello di chiusura o di revoca della stessa. Stando all’interpretazione letterale della norma, il legislatore avrebbe utilizzato il termine “decreto” al singolare e ciò starebbe a significare che soltanto il decreto circa l’an della procedura sarebbe oggetto di reclamo dinanzi alla Corte d’Appello; stando alla ratio della disposizione di legge, le garanzie del reclamo in Corte d’appello (e del ricorso in cassazione) sarebbe riservato ai soli provvedimenti in grado di incidere sui diritti fondamentali e sulla capacità di agire della persona.
Secondo le prime pronunce di legittimità, a una simile conclusione doveva pervenirsi in considerazione della particolare natura del decreto in esame, che, pur essendo adottato all'esito di un procedimento camerale[3], non sarebbe assimilabile a quelli con cui il giudice tutelare provvede in ordine al compimento degli atti di amministrazione o di disposizione dei beni di soggetti incapaci, ma alle sentenze con cui viene dichiarata l'interdizione o l'inabilitazione; esso, infatti, in quanto attinente ad una controversia avente ad oggetto diritti soggettivi o status della persona, avrebbe carattere decisorio e sarebbe destinato ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, essendo revocabile e modificabile solo nel caso in cui vengano meno i relativi presupposti o si modifichi la situazione di fatto posta a fondamento della decisione[4]. La riprova di una simile lettura sarebbe data, sempre secondo questo orientamento, dall'art. 720 bis, comma 3, c.pc., il quale prevede che contro il decreto della corte d'appello pronunciato ai sensi del comma 2, può essere proposto ricorso per cassazione[5], che resta invece escluso dall’art. 739 c.p.c. per i decreti pronunciati dal tribunale in sede di reclamo.
L’orientamento si è praticamente consolidato per un decennio, estendendosi anche a provvedimenti autorizzativi del giudice tutelare che, in virtù della distinzione sopra tracciata, anche se apparentemente pronunciati nell’ambito dell’amministrazione in corso e nella gestione della stessa, hanno tuttavia per oggetto diritti personalissimi del beneficiario, come, per citare alcuni significativi esempi, il divieto di contrarre matrimonio[6] e l’autorizzazione a esprimere consenso o rifiuto di cure mediche[7], con conseguente competenza a conoscere il relativo reclamo alla Corte d’appello. La tesi della distinzione tra carattere decisorio e carattere ordinatorio dei decreti del giudice tutelare è stata ribadita anche in pronunce che si sono espresse circa l’ammissibilità o meno del ricorso per cassazione per i provvedimenti che hanno deciso sui reclami avverso i decreti del giudice tutelare[8].
Più di recente si è palesato un orientamento di segno contrario, secondo il quale in materia di amministrazione di sostegno, ai fini della ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso dalla corte d'appello, in sede di reclamo avverso il decreto adottato dal giudice tutelare, non occorre indagarne il carattere decisorio e definitivo, perché l'art. 720 bis, comma 3, c.p.c. ammetterebbe espressamente, e in ogni caso, detta impugnazione[9]. Secondo tale orientamento, la disposizione di cui all’art. 720-bis c.p.c. avrebbe carattere speciale e, come tale, sarebbe prevalente su quella generale risultante dagli artt. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c. e non suscettibile di diversa interpretazione se non quella di dover ammettere al reclamo dinanzi alla Corte d’appello tutti i decreti del Giudice tutelare, senza alcuna necessità di indagare sulla natura decisoria o ordinatoria dei decreti medesimi.
3. La motivazione delle Sezioni Unite per punti e corrispondenti osservazioni
Così può schematizzarsi la motivazione delle Sezioni Unite:
dell’art. 720-bis c.p.c. deve prediligersi una interpretazione letterale; la lettera della norma è il limite al quale deve arrestarsi anche l’interpretazione costituzionalmente orientata, dovendosi semmai sollevare incidente di costituzionalità;
il legislatore ha espressamente previsto quale rimedio ai decreti del Giudice tutelare pronunciati nell’ambito dell’amministrazione di sostegno il reclamo alla corte d’appello; né potrebbe essere data considerazione dirimente al fatto che il secondo comma dell’art. 720 bis c.p.c. faccia riferimento al “decreto del giudice tutelare”, e non ai “decreti del giudice tutelare”, non potendosi inferire dall’uso del singolare o del plurale una sottintesa volontà di individuare in tal modo solo il decreto con il quale si apra la procedura di amministrazione di sostegno;
viene così soddisfatta l’esigenza di assicurare un controllo del giudice tutelare da parte di un ufficio giudiziario diverso da quello cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, un tanto anche quale conseguenza della riforma del giudice unico, in forza della quale furono trasferite al tribunale le competenze delle preture, tra le quali anche quelle del giudice tutelare;
ne derivano plurimi vantaggi sul piano della semplificazione, giacché tale interpretazione assicura immediata individuazione del giudice cui indirizzare la richiesta di controllo del provvedimento impugnato;
per contro, vi sarebbe l’inconveniente della duplicazione dei mezzi di impugnazione, specialmente nel caso in cui la parte intendesse impugnare diverse parti del decreto, di diversa natura;
rimane salva dall’affermazione del principio di diritto sostenuto dalle S.U. per i provvedimenti reclamati suscettibili di ricorso per cassazione, poiché a tal fine la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale tradizionalmente elaborato dalla giurisprudenza della Corte.
Dividendo i punti motivazionali in due gruppi, un primo comprendente le lettere a) e b) e un secondo comprende le rimanenti c), d), e) e f), laddove il primo gruppo attiene all’interpretazione letterale e la ratio della disposizione normativa di cui all’art. 720-bis, secondo comma, c.p.c., mentre il secondo gruppo concerne le ulteriori considerazioni che ne derivano sul piano sistematico, possono muoversi le seguenti osservazioni.
a)- b) Per quanto concerne l’interpretazione letterale e la ratio della disciplina.
Il procedimento per l’amministrazione di sostegno è disciplinato dagli artt. 407 c.c. e 720-bis c.p.c., quest’ultimo, oltre a prevedere la reclamabilità del “decreto” del Giudice tutelare dinanzi alla Corte d’appello, richiama altresì le disposizioni relative procedimento per l’interdizione e l’inabilitazione che si applicano a quello per l’amministrazione di sostegno in quanto compatibili (e cioè gli artt. 712, 713, 716, 719 e 720, c.p.c.). La scelta del singolare da parte del legislatore, nell’indicare il provvedimento reclamabile (“il decreto”) non appare casuale né può considerarsi un refuso; nell’ambito delle norme che disciplinano il procedimento, la menzione del “decreto” all’interno della disposizione che ne disciplina la reclamabilità non può che riferirsi al provvedimento che conclude quel procedimento poco prima disciplinato, e cioè appunto il decreto di apertura o di revoca. Se ne trae conferma esaminando l’altra disciplina, quella di cui all’art. 739, c.p.c., in materia di reclamabilità dei decreti pronunciati dal Giudice tutelare all’esito non di un procedimento speciale in materia di protezione di persone prive in tutto o in parte di autonomia, come quello di cui agli artt. 407 e 720-bis c.p.c., bensì di un procedimento in camera di consiglio, previsto per quanto interessa il giudice tutelare per i procedimenti normalmente unilaterali, cioè destinati ad avere efficacia nei confronti di una sola parte, nei quali non sussiste alcuna situazione di conflitto di interesse e tramite i quali si chiede al giudice di effettuare una valutazione di mera opportunità in ordine ad un affare. L’art. 45 disp. att. c.c., infatti, stabilisce cha la competenza a decidere dei reclami avverso i decreti del giudice tutelare spetta al tribunale ordinario quando si tratta dei provvedimenti indicati negli articoli 320, 321, 372, 373, 374, 376, secondo comma, 386, 394 e 395 del codice. A parte i primi due articoli, che trovano come ambito di applicazione esclusivamente la responsabilità genitoriale e la rappresentanza e amministrazione di minore, e gli ultimi due, che concernono esclusivamente l’inabilitazione, gli altri (cioè gli artt. 372, 373, 374, 376, secondo comma, 386, c.c.) sono disposizioni che, anche se scritte con riferimento alla tutela di minori, sono applicabili anche in materia di tutela di interdetti, in forza del richiamo operato dall’art. 424 c.c., così come gli artt. 374, 376 e 386, c.c., sono applicabili anche in materia di amministrazione di sostegno, per espresso richiamo dell’art. 411, c.c., ove si prevede, tra l'altro, che tutti i provvedimenti autorizzativi (dunque anche quelli di cui all’art. 375, c.c., che nell’ambito della tutela di minori e di interdetti sono di competenza del tribunale), siano invece pronunciati dal giudice tutelare.
Non è dato comprendere, pertanto, per quale ragione per i provvedimenti autorizzativi e gestori nell’ambito di una tutela di interdetto sia prevista la reclamabilità dei decreti del Giudice tutelare dinanzi al tribunale, mentre invece per i provvedimenti autorizzativi o comunque gestori pronuncianti dal Giudice tutelare nell’ambito dell’amministrazione di sostegno in corso non possano leggersi le disposizioni legislative applicabili, come sopra richiamate, nel medesimo senso, ossia nel non ravvisarvi carattere decisorio, in quanto non vi è la risoluzione di controversie relative a diritti e status (come invece lo è il decreto che conclude il procedimento ex art. 407 c.c. e art. 720-bis c.p.c.), ma la mera gestione di interessi dell’amministrato.
Ne deriverebbe evidentemente una minore gravosità in termini procedimentali per i provvedimenti gestori pronunciati in una tutela di interdetto, che saranno reclamabili dinanzi al tribunale ordinario, mentre quelli di amministrazione di sostegno, stando al principio di diritto enunciato dalle S.U. saranno invece sempre reclamabili solo alla corte d’appello.
Considerata la diffusione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno e la sua vocazione, pacificamente riconosciuta dalle stessa giurisprudenza di legittimità, di essere uno strumento flessibile ed elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto e che dovrebbe comportare una limitazione dell’amministrato rispetto a determinate attività espressamente previste, senza che ne derivi l’incapacità totale o parziale, l’ultima interpretazione offerta sull’art. 720-bis, secondo comma, c.p.c. implicherebbe che – ad esempio – qualora si voglia reclamare un provvedimento di diniego autorizzativo/gestorio del Giudice tutelare, vi sia nel caso dell’amministrazione di sostegno il maggior onere di rivolgersi alla Corte d’Appello, mentre nel caso di interdizione rimane la prossimità e la semplificazione derivante dalla competenza del tribunale ordinario.
c), d) e) e f) Altre riflessioni di natura sistematica.
Il procedimento per l’apertura dell’amministrazione di sostegno è peculiare, trattasi cioè di un rito a natura mista, dove prevalgono gli elementi della volontaria giurisdizione con prevalente vocazione ad una efficace gestione di interessi, ma possono innescarsi, a seconda dei casi e dato il sistema di rinvii operato dal legislatore, procedimenti contenziosi con i quali si incide sui diritti soggettivi della persona, motivo per cui la difesa tecnica non è di regola necessaria, a meno che, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, incida sui diritti fondamentali della persona, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio[10]. L’opportunità di una distinzione tra provvedimenti decisori, resi all’esito di procedimento che assume carattere prevalentemente contenzioso con le dovute garanzie, e provvedimenti gestori, pertanto, permane anche a voler individuare come giudice competente la sola Corte d’appello, dal momento che il procedimento con cui si decide sul reclamo assumerà anche in quella sede le caratteristiche del procedimento in camera di consiglio, in caso di affari non contenziosi, oppure i principi generali del processo di cognizione in caso di affari di natura contenziosa, come la delimitazione dell’ambito del riesame alle sole questioni devolute con i motivi di gravame, il principio del contraddittorio, il diritto di difesa. L’immanenza di tale distinzione, ove opportunamente tracciata in favore degli operatori che gravitano attorno all’istituto, anche non professionalizzati, avrebbe consentito di semplificare in termini di costi e tempi del procedimento il riesame dei provvedimenti non decisori, mediante un più semplice accesso alla domanda di riesame e una più efficiente gestione degli interessi del beneficiario.
4. Ipotesi di riforma che potrebbe superare il principio di diritto enunciato e attualità della distinzione tra provvedimenti decisori e provvedimenti gestori pronunciati da Giudice tutelare
L’amministrazione di sostegno di sostegno veniva pensata dal legislatore di alcuni anni fa come misura di protezione volta a valorizzare il concreto grado di autonomia che ciascun soggetto che versasse in una condizione, anche temporanea, di cd. “fragilità”, poteva conservare in misura proporzionale alle proprie difficoltà, con lo scopo di limitare il più possibile la limitazione di capacità. La relativa disciplina processuale ne risulta peculiare, scritta in parte mediante regole appositamente pensate per quell’istituto e in parte mediante un rinvio fisso alle norme processuali in materia di interdizione (rinvio operato anche per le norme sostanziali), cercando, laddove possibile, di conciliare l’efficace gestione di interessi (ambito di applicazione dell’istituto, vedi art. 404 c.c.) con la piena tutela giurisdizionale dei diritti inviolabili della persona umana quando questi siano suscettibili di essere compressi da tale gestione. Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, se può offrire una risposta ad esigenze di semplificazione in un contesto di sempre maggior diffusione della misura, con diverse letture territoriali, e ampliamento delle situazioni in cui, anche nella fase gestoria, possa emergere la necessità di tutelare i diritti della persona, rischia, tuttavia, di trascurare la vocazione originaria dell’amministrazione di sostegno di prevalente gestione e composizione di interessi, con le semplificazioni che ne derivano anche in punto di reclamo (sia per la competenza, sia per il procedimento) ove si tratta di discutere solo di questi e non di diritti.
Non è detto, tuttavia, che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite sia destinato ad affermarsi nell’ordinamento giuridico, se sarà attuata anche per i decreti del giudice tutelare la delega al Governo sulla riforma del processo civile, in quanto il comma 13, lett. a) dell’art. 1 della relativa legge delega il Governo a modificare i procedimenti in camera di consiglio, prevedendo la riduzione dei casi di competenza del tribunale in composizione collegiale e consentendo sempre il rimedio del reclamo di cui all’art. 739 c.p.c. avverso i decreto emessi dal tribunale in composizione monocratica, ma competente per il giudizio di reclamo sarà in ogni caso il Tribunale in composizione collegiale e non la Corte d’appello. Stabilisce infatti l’art. 1, comma 13, lett. a, legge 26 novembre 2021, n. 206: “Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l'intervento del pubblico ministero ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni, operando i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile e consentendo il rimedio del reclamo di cui all'articolo 739 del codice di procedura civile ai decreti emessi dal tribunale in composizione monocratica, individuando per tale rimedio la competenza del tribunale in composizione collegiale”.
Vi è da osservare che, se anche il legislatore intende estendere effettivamente tale delega ai decreti pronunciati dal tribunale monocratico in funzione di giudice tutelare, stabilendo anche per questi ultimi la competenza del tribunale in composizione collegiale per provvedimenti di qualsivoglia natura, si avrebbero indubbi vantaggi, già richiamati sopra, non solo in tema di semplificazione del procedimento, ma anche a garanzia del cd. principio di prossimità della giurisdizione a favore del beneficiario, sia nel caso quest’ultimo richieda il riesame del provvedimento sia nel caso in cui ne rappresenti la parte controinteressata, dovendosi tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste; allo stesso tempo, l’eventuale futura individuazione della competenza per il reclamo del tribunale in composizione collegiale, non implicherebbe il venir meno della distinzione tra provvedimenti decisori e provvedimenti aventi carattere gestorio/amministrativo, dovendo prendere il giudice del reclamo in considerazione, chiunque esso sia, quali siano i principi processuali applicabili e le garanzie imprescindibili a seconda della natura degli interessi in gioco.
[1] Cass. civ., ord. 26.8.2020, n. 17833.
[2] Cfr., tra i tanti contributi, Cipolla, Commento all’art. 720-bis, in Picardi Nicola (a cura di), Codice di Procedura Civile, Milano, 2004; Campese, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Fam. e dir., 2004, p. 137; Chizzini, in Bonilini-Chizzini, L’amministrazione di sostegno, 2007, p. 370; Jannuzzi-Lorefice, La volontaria giurisdizione, Milano, 2006,256; Cozzi, L’amministrazione di sostegno, in Punzi, Il processo civile, Sistema e problematiche, I procedimenti speciali e l’arbitrato, 2010, 121; Pretti, Amministrazione di sostegno e provvedimenti impugnabili con ricorso per cassazione, in Fam e diritto, 2012, X, p. 912; Tommaseo, Amministrazione di sostegno: quale giudice per i reclami?, in Famiglia e diritto, 2017, XII, p. 1099; Bonilini - Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, II ed., Milano, 2018, 130 ss., 600 ss.; Ficcarelli, Le impugnazioni dei provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, in Il giusto processo civile, 2018, 125 ss.; Nascosi, Amministrazione di sostegno e decreti resi dal giudice tutelare: la parola alle Sezioni Unite, in Nuova Giur. Civ., 2020, VI, p. 1278.
[3] Cass., Sez. lav., 28 ottobre 2003, n. 16223: 22 giugno 2002. n. 9146; 28 novembre 2001, n. 15071.
[4] Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 18634 del 29/10/2012; conforme Sez. 1 - , Sentenza n. 784 del 13/01/2017. In realtà già con la sentenza Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 10187 del 10/05/2011, con nota di Pretti, Amministrazione di sostegno e provvedimenti impugnabili con ricorso per Cassazione, in Famiglia e diritto, 2012, X, p. 912, si è fatto strada questo orientamento, sebbene la questione affrontata in via principale fosse la ricorribilità in cassazione del decreti pronunciati in sede di reclamo avverso provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno: “E’ inammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell'art. 720-bis, ultimo comma, cod. proc. civ., avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma dei precedenti artt. 712 e seguenti, espressamente richiamati dal primo comma dell'art. 720-bis”; conforme Sez. 1 - , Sentenza n. 22693 del 28/09/2017; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 3493 del 13/02/2018; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 9839 del 20/04/2018; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 32071 del 12/12/2018.
[5] Ibidem, “In tale contesto, diversamente da quanto affermato nel decreto impugnato, il richiamo dell'art. 739 contenuto nell'art. 720 bis, comma 2, va correttamente riferito alla disciplina del procedimento dinanzi alla corte d'appello, che si svolge nelle forme e con l'osservanza dei termini previsti per il reclamo avverso i provvedimenti in camera di consiglio: l'impossibilità di estendere al procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno l'intera disciplina dettata per l'impugnazione di tali provvedimenti trova d'altronde conferma nell'art. 739, u.c., il quale esclude l'ulteriore impugnabilità dei decreti pronunciati dal tribunale o dalla corte d'appello in sede di reclamo, salvo il caso in cui la legge disponga diversamente”.
[6] Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2021, n. 4733.
[7] “Nei procedimenti in tema di amministrazione di sostegno, avverso il decreto con cui il giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda proposta dall’amministratore di sostegno di autorizzazione ad esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, è sempre ammesso il reclamo alla corte d’appello, ai sensi dell’art. 720-bis, comma 2, c.p.c., trattandosi di provvedimento definitivo avente natura decisoria su diritti soggettivi personalissimi”, Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, n. 14158
[8] “È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso dalla corte d'appello all'esito del reclamo su un provvedimento reso dal giudice tutelare in tema di autorizzazione alla riscossione di somme capitali, ai sensi dell'art. 374, comma 1, n. 2) c.c., da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno, dovendosi limitare la facoltà di ricorso ex art. 720 bis, ultimo comma, c.p.c., ai soli decreti di carattere decisorio, assimilabili alle sentenze di interdizione od inabilitazione, senza estensione a quelli aventi carattere gestorio” Cassazione civile, sez. VI, 13/02/2018, n. 3493; È inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di designazione o nomina di un amministratore di sostegno che sono emanati in applicazione dell'art. 384 c.c. (richiamato dal successivo art. 411, comma 1, c.c.) e restano logicamente e tecnicamente distinti da quelli che dispongono l'amministrazione, dovendosi limitare la facoltà di ricorso ex art. 720 bis, ultimo comma, c.p.c., ai soli decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze di interdizione ed inabilitazione, senza estendersi ai provvedimenti a carattere gestorio. Cassazione civile, sez. I, 16/02/2016, n. 2985; Cassazione civile, sez. VI, 23/06/2011, n. 13747.
[9] Cass. civ., Sez. 1 - , Sentenza n. 32409 del 11/12/2019, in Famiglia e diritto, 2020, VII, 707, con nota di Tommaseo. Tra la giurisprudenza di merito Corte appello Bologna, sez. I, 21/10/2014; Tribunale Modena, sez. II, 27/04/2012, n. 718; Corte appello Palermo, 10/02/2011
[10] Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 6861 del 20/03/2013, con nota di Mercuri, Autonomia di scelta del giudice tutelare, anche in relazione alla presenza del difensore, nel procedimento dell'amministrazione di sostegno, Rivista del Notariato, 2013, VI, 1412; conforme, Cass. civ. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 7241 del 13/03/2020.