Considerazioni sulla riforma prevista dagli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII: l’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva» di Caterina Silvestri
Sommario: 1. Il quadro di riferimento delle riforme in corso - 2. Il «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva»: profili di riflessione.
1. Il quadro di riferimento delle riforme in corso
La riforma della giustizia civile delineata nel d.d.l. n. 1662/S/XVIII presentato al Senato il 9 gennaio 2020, per la verità di modesta prospettiva, è quanto l’attuale compagine istituzionale si è trovata a disposizione per rispondere al soverchio impegno previsto nel più ampio quadro di interventi che l’Ue chiede al nostro Paese con il programma di sostegno finanziario Next Generation EU [[1]].
La risposta dell’Italia, contenuta nel «Piano nazionale di ripresa e resilienza.#nextgenerationitalia», si snoda ridondante attraverso i risaputi limiti che da anni affliggono il funzionamento del sistema, cioè i tempi eccessivamente lunghi, e l’orizzonte di una riconquista della fiducia sia dei cittadini, sia degli osservatori e degli investitori internazionali.
Esso pone al primo posto un’impegnativa serie di riforme, tra le quali spicca quella della pubblica amministrazione e della giustizia nel suo complesso, anche ordinamentale, e una serie di missioni altrettanto ambiziose che investono molti settori: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo (missione 1), Rivoluzione verde e transizione ecologica (missione 2), Infrastrutture per una mobilità sostenibile (missione 3), Istruzione e ricerca (missione 4), Inclusione e coesione (missione 5), Salute (missione 6) [[2]].
Con riferimento al processo civile è il Piano stesso a prevedere che il metodo destinato a governare le innovazioni sia quello dello «intervento “selettivo” » espressamente diretto a «ovviare alle aree più disfunzionali» [[3]]. Detta previsione annuncia, dunque, di per sé sola, il sopravvenire di un’azione più di riparazione che di innovazione, di limitato impatto e di rimaneggiamento del vecchio, dalla quale difficilmente potrà realisticamente provenire l’effetto sperato di alleggerimento e velocizzazione della risposta giudiziale alla richiesta di tutela. Il metodo seguito dal Piano è già stato criticato da Elena D’Alessandro con rilievi del tutto condivisibili: esso è più teso a dire ciò che non vuole, piuttosto di ciò che vuole, non muove da un’analisi empirica e statistica, nemmeno si sporge oltre confine a guardare come gli altri Paesi europei hanno affrontato i problemi analoghi ai nostri, con attenzione sia a specifici istituti, sia all’approccio complessivo al problema dell’efficienza della giustizia [[4]].
L’originario d.d.l. n. 1662 ha dovuto essere irrobustito in tempi rapidissimi, inconciliabili con l’opportunità di un rinnovamento profondo e organico che l’occasione finanziaria in gioco avrebbe consentito. Gli emendamenti proposti [[5]] si sono mantenuti fedeli alla scelta dell’intervento selettivo indicata dal Piano: essi conservano invariato l’impianto dell’attuale processo ordinario, introducono un ulteriore irrigidimento del rito e degli oneri a carico delle parti prevedendo, tra gli altri, la necessità di formulare a pena di decadenza la richiesta dei mezzi istruttori sin dall’atto introduttivo [[6]], ed enfatizzando la politica del «respingimento» [[7]], in un eterno ritorno dell’uguale [[8]].
2. Il «provvedimento sommario e provvisorio con efficacia esecutiva»: profili di riflessione
In questo quadro di conservazione e aggiustamento dell’esistente, una delle novità di maggior rilievo risiede nella previsione dell’istituzione di un «provvedimento sommario e provvisorio, con efficacia esecutiva» [[9]]. La formula, tuttavia, promette di più di quanto non sia effettivamente indicato nell’articolato.
L’art. 3, punto c-decies, dell’emendamento AS 1662, prevede «che, nel corso del giudizio di primo grado, nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili: 1) il giudice possa, su istanza di parte, pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento, in tutto o in parte, della domanda proposta, quando i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate». Solo l’ordinanza di accoglimento sarebbe reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c., non destinata ad acquistare l’autorità di cosa giudicata di cui all’art. 2909 c.c., né efficace in altri processi. L’accoglimento del reclamo condurrebbe alla prosecuzione del giudizio dinanzi a un giudice diverso rispetto a quello che ha reso il provvedimento riformato.
La previsione in questione fa il paio con quella del successivo punto c-undecies, la quale prevede di affidare al giudice, «all’esito della prima udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa» e su istanza di parte, il potere di pronunciare una «ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta» sia «quando questa è manifestamente infondata», sia «se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito dall’art. 163, terzo comma, numero 3 (…), ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4) del predetto terzo comma». Anche questa ordinanza, che assimila il trattamento processuale del rigetto per motivi di merito e per motivi di rito della domanda e perciò destinata a sostituire il rilievo della nullità della citazione disciplinato dall’art. 164, quarto comma, c.p.c., avrebbe analoga disciplina di quella di accoglimento. Si tratta di provvedimenti delicatissimi, che meritano approfondimento e su cui mi limito a fare alcune considerazioni, certamente parziali.
L’emissione del provvedimento di accoglimento è modellata sulla tecnica della condanna con riserva delle difese del convenuto, come precisa la Relazione illustrativa che pure l’accosta al référé provision francese o al summary judgement inglese. L’associazione non è particolarmente felice, atteso che né il primo né il secondo presentano un impianto anche lontanamente equiparabile alla condanna con riserva. Il rilievo non è di secondo momento, atteso che il modello organizzato dall’emendamento in questione altera, rispetto ai modelli stranieri evocati, il rapporto che in quelli intercorre tra la struttura processuale e il tipo di rimedio, modificandone conseguentemente la funzionalità. Il référé provision [[10]] non è fondato sulla disarticolazione tra fatti costitutivi ed eccezioni, perché la tipizzazione dei fatti non è utilizzata in Francia quale criterio per la distribuzione degli oneri processuali tra le parti [[11]]; in esso il giudice compie una valutazione d’insieme della lite, condotta sulla ricorrenza della «percepibilità» di una situazione di «manifesta» fondatezza, infondatezza, o illiceità afferente al contenzioso, tanto da essere definito il giudice dell’evidente e dell’incontestabile; inoltre, deve rammentarsi che il référé è, soprattutto, un procedimento. Esso è autonomo rispetto al processo ordinario, deformalizzato e trova il suo più vicino parente nel nostro sistema, nel processo cautelare. Il summary judgment, dal canto suo, è essenzialmente basato sulla natura non contestata dei fatti rilevanti, anch’essi privi di una tipizzazione analoga a quella rinvenibile nell’art. 2697 c.c. Alla luce di queste diversità, che riflettono un approccio al processo meno formale e meno dogmatico, è difficile pensare a questi istituti anche solo come fonti di ispirazione per il provvedimento oggetto dell’emendamento di cui all’art. 3, c-decies.
Meglio, allora, trattare la condanna con riserva quale espressione tradizionale del nostro sistema. La tecnica in questione, come noto, conosce applicazioni che si esprimono al meglio, sia pure entro diverse strutture processuali, nella convalida di sfratto e nel procedimento ingiuntivo, le quali hanno quale comune caratteristica la «tipicità» dell’ambito di applicazione. Qualche dubbio può sorgere sulla idoneità alla generalizzazione di questa modalità di sommarizzazione e sulla sua capacità di rispondere al bisogno di misure endoprocessuali [[12]] sentita da tempo (e già frustrata dalla deludente performance delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis-ter-quater, c.p.c.). Bisogno, per la verità, che non si esaurisce in un provvedimento di accoglimento o di rigetto, ma che è ampio tanto quanto le variabili esigenze di tutela che ciascuna fattispecie può presentare: misure di attesa [[13]] e/o di conservazione e/o di anticipazione di tutto o parte della domanda, che il giudice potrebbe adottare su istanza di parte con una semplice ordinanza provvisoria, revocabile e modificabile, reclamabile, in grado anche di rispondere a esigenze di tipo propriamente cautelare, senza attivare il relativo sub procedimento, come accade adesso per le misure di questa natura richieste a processo pendente. La previsione c-decies interpreta l’esigenza di accelerazione della tutela endoprocessuale in maniera riduttiva, costringendola a un aut aut tra accoglimento o rigetto, forzando il primo entro il rigido schema della condanna con riserva.
Perché non cogliere questa occasione riformatrice per dotare anche il nostro sistema processuale di uno strumento più duttile, che possa condurre all’emissione di provvedimenti il cui contenuto risponda alle specifiche esigenze della lite pendente, proprio come avviene nel processo civile francese, tanto spesso evocato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in cui il giudice del merito può ordinare tutte le misure di cui la lite manifesti di avere bisogno, compresi i provvedimenti ordinabili con l’autonomo procedimento di référé.
La previsione del c-undecies desta, a sua volta, qualche preoccupazione sotto perlomeno un paio di profili. Il primo di questi riguarda l’utilizzo dell’ordinanza di rigetto a fronte di un vizio procedimentale, per il quale non v’è più possibilità di rinnovazione, ma solo di reclamo, in un’ottica che Capponi ha efficacemente definito di respingimento. Si tratta di un irrigidimento formale, temibilmente destinato a ingombrare i ruoli anziché ad alleggerirli proprio per il necessario impiego del reclamo che, ove confermato, costringerebbe la parte a riproporre la domanda dopo l’inutile, lungo e costoso esperimento delle vie giudiziali, sfociato in una pronuncia di puro rito (danni forse recuperabili attivando la responsabilità professionale dell’avvocato?). Dalla previsione così come formulata nell’emendamento, il processo esce ridotto nelle sue aspirazioni di essere utile strumento di tutela, mirante a un provvedimento di merito e che a tal fine organizza al suo interno meccanismi di rinnovazione che consentano il recupero di eventuali errori formali, giacché il processo non può assumere l’infallibilità degli umani che ne sono protagonisti.
Il secondo fronte di perplessità della previsione c-undecies concerne l’ordinanza di rigetto per manifesta infondatezza e tocca questioni di adeguatezza costituzionale, ma anche di carattere tecnico, che qui mi limito ad accennare. Sul piano costituzionale, v’è da chiedersi se possa considerarsi coerente con la previsione dell’art. 24 Cost., e per certi versanti anche con l’art. 3 Cost, una norma come quella in discorso che, in sostanza, si traduce nella necessità di provare il fumus della fondatezza della domanda giudiziale per accedere alla tutela ordinaria; necessità che, per certe liti, si annuncia particolarmente impegnativa, tanto da poter frustrare la pratica accessibilità al giudice come, per esempio, nei contenziosi complessi sul piano fattuale o caratterizzati da asimmetrie informative. Sul versante tecnico, la previsione si riferisce esclusivamente alla domanda di parte attrice (tanto che disciplina anche i vizi dell’edictio actionis), ma tace del tutto sui problemi connessi alla presenza di una domanda riconvenzionale, a partire dall’applicabilità alla stessa del rigetto per manifesta infondatezza.
È auspicabile il ripensamento di questi profili e l’articolazione di una modalità accelerativa esperibile sia all’interno del processo ordinario sia autonomamente a esso, deformalizzata, atipica, provvisoria, reclamabile.
[[1]] Disponibile all’indirizzo https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/recovery-coronavirus/recovery-and-resilience-facility_it.
[[2]] Il piano è disponibile all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf.
[[3]] Così si legge a pag. 57 del Piano nazionale, cit., alla nota precedente.
[[4]] E. D’Alessandro, La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo, in questa Rivista, consultabile al link: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1758-la-riforma-della-giustizia-civile-secondo-il-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-e-gli-emendamenti-governativi-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-riflessioni-sul-metodo-di-elena-d-alessandro.
[[5]] Gli emendamenti al disegno di legge AS 1662 e la Relazione Illustrativa degli stessi, sono leggibili in calce al saggio di B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, in questa Rivista, consultabile al seguente link: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi.
[[6]] Così, in particolare, G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in questa Rivista, consultabile al link https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1747-osservazioni-al-maxi-emendamento-1662-s-xviii-di-riforma-del-processo-civile.
[[7]] Così B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, cit., p. 5, cui appartiene l’espressione virgolettata: con essa l’A. si riferisce alla prevista abrogazione dell’art. 164, comma 4, c.p.c., e alla pronuncia di un’ordinanza provvisoria di rigetto della domanda senza possibilità per la parte attrice di rinnovare l’atto introduttivo; analoga affermazione può farsi con riferimento al giudizio di appello, per il quale è previsto un irrigidimento dei filtri di inammissibilità.
[[8]] Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, cit., p. 4, osserva come il maxi emendamento giochi «la carta del principio di eventualità indiscriminato». Sull’accoglimento del modello processuale dell’eventualità la dottrina si interrogò, come noto, già al momento delle riforme del processo civile di cui alla l. n. 353 del 1990; tra questi anche P.F. Luiso, Principio di eventualità e principio della trattazione orale, in Scritti in onore di Fazzalari, II, Milano, 1993, p. 207, presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi, consultabile al link ink https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_36_0.page?facetNode_1=0_10&contentId=COS334499&previsiousPage=mg_1_36.
[[9]] Questa l’espressione utilizzata dalla proposta della Commissione Luiso, cit., p. 33, ripresa pedissequamente dalla Relazione Illustrativa agli emendamenti al disegno di legge AS 1662.
[[10]] Non più all’art. 809 del Code de procédure civile come si legge nella Relazione illustrativa del maxi emendamento, cit., ma all’art. 835, c.p.c., a seguito della riforma introdotta con i decreti attuativi della loi n. 2019-222 de programmation 2018-2022.
[[11]] Esiste in Francia la sola teorizzazione del fatto generatore del diritto in Motulsky, la quale, tuttavia, non trova applicazione pratica nel processo; su questi aspetti mi permetto di richiamare C. Silvestri, Il fatto e la domanda in giudizio. Profili ricostruttivi, Napoli, 2020, p. 105 ss.
[[12]] Dubbi che già esprimeva A. Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, p. 342, il quale con riferimento alla prospettiva de iure condendo di prevedere un sistema in grado di evitare l’abuso del diritto di difesa da parte del convenuto, riteneva «Sconsigliabile il ricorso alla tecnica della condanna con riserva delle eccezioni» auspicando anche un riesame delle ipotesi già presenti nel c.p.c.; sul tema significativa anche l’analisi di G. Scarselli, La condanna con riserva, Milano, 1989, p. 75 ss. Si ricorderà, tuttavia, che lo stesso Proto Pisani, Per un nuovo codice di procedura civile, in Foro it., 2009, V, c. 31, prevedeva all’art. 2.28 la «Ordinanza di condanna con riserva» che attribuiva al giudice, su istanza di parte, di emettere «ordinanza di condanna all’adempimento della prestazione richiesta» quando i fatti costitutivi fossero incontestati o pienamente provati. Essa, tuttavia, si inseriva in un contesto molto più ricco di provvedimenti acceleratori, rispetto a quelli previsti dal nostro attuale c.p.c., e anche in una più ricca articolabilità del rito a seconda delle necessità della lite (artt. 2.19 e ss.).
[[13]] Con questa espressione mi riferisco a provvedimenti quali, per esempio, la nomina di un amministratore provvisorio, di un tutore, di un custode.