1. Oggetto della delibera oggi sottoposta all’esame del plenum è la disciplina contenuta nel d. leg. n. 44 del 2024 per la parte in cui introduce il test ed il colloquio psico-attitudinali quale prova di accesso per i concorsi in magistratura, a partire da quelli banditi nel 2026.
La proposta è il risultato di ampie discussioni avvenute in seno alla sesta commissione e della audizione di esperti scelti tra docenti e professionisti, specialisti in psicologia, psichiatria, psicometria e medicina del lavoro.
Il legislatore delegato ha seguito la tecnica della integrazione normativa, intervenendo sul testo dell’art. 1 del d. leg. 160/2006 e specificamente sui commi 4, 5 e 6 dello stesso.
Nella sostanza viene introdotta una ulteriore materia, per quanto come dirò particolare, all’elenco di quelle oggetto della prova orale: alle lettere da a) a m), si aggiunge una lettera m-bis. La nuova materia ha ad oggetto “un colloquio psico-attitudinale”, il quale dovrà essere preceduto da una prova scritta, consistente in un “test psico-attitudinale”.
Il test viene inserito dopo le tre prove scritte, solo in caso di loro superamento e prima della prova orale, senza attribuire allo stesso alcun effetto impeditivo della medesima, ma “esclusivamente ai fini dello svolgimento del colloquio psico-attitudinale”.
Il colloquio si tiene davanti alla commissione o sottocommissione competente per la prova orale – integrata da un docente universitario titolare di insegnamenti in materia psicologica - alla quale spetta la valutazione della idoneità psico-attitudinale del candidato.
“La insufficienza (sic!) nel colloquio psico-attitudinale è motivata con la sola formula ‘non idoneo’”, al pari di quanto avviene per il colloquio sulla conoscenza della lingua straniera.
Certamente importanti, ed anche assai complessi, sono i compiti assegnati in proposito a questo Consiglio, in particolare:
a) individuare le “condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria”, la cui “assenza” è prefigurata quale elemento necessario per poter svolgere la professione di magistrato.
Da sottolineare, per quanto questo consiglio dovrà decidere, l’utilizzo da parte del legislatore delegato di due negazioni “assenza di condizioni di inidoneità”, in luogo del più lineare “presenza di condizioni di idoneità”. Per questo, se vogliamo attribuire un significato alla lettera della legge, non dovremmo individuare le condizioni di idoneità, bensì le condizioni di inidoneità, che pare denotare la volontà di riconoscere alle stesse natura del tutto eccezionale.
b) individuare i test psico-attitudinali, i quali dovranno essere utilizzati solo come dato dal quale partire e sul quale fondare il colloquio. Il risultato del test, qualunque ne sia l’esito, non determina, come detto, in alcun caso una esclusione dal concorso che può derivare esclusivamente dall’esito del colloquio.
2. Detto questo dovremmo porci il problema di specificare come noi intendiamo affrontare il tema dei test e colloquio psicoattitudinali.
Al Consiglio, come noto, l’art. 10 legge 195/1958 attribuisce il potere di “fare proposte al ministro della giustizia su tutte le materie riguardanti l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, nonché di dare “pareri al ministro sui disegni di legge concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie”.
Provo di conseguenza a prefigurare tre possibili diverse posizioni che potremmo assumere:
1) limitarsi ad individuare i due aspetti di cui sopra (sub a) e b);
2) far presenti al ministro, in spirito di leale collaborazione, i problemi applicativi che potranno derivare dalla applicazione della normativa sopra ricordata, avanzando anche, quando sia il caso, possibili soluzioni ai problemi evidenziati;
3) avanzare proposte modificative della normativa, giustificate in particolare dal fatto che questo Consiglio non è stato posto nelle condizioni di esprimere in proposito il proprio parere.
Lo schema di decreto legislativo presentato dal ministro e sul quale questo Consiglio ha espresso il suo parere non conteneva infatti la introduzione del test e colloquio psicoattitudinali, che è avvenuta solo successivamente. Da qui la impossibilità di dare ascolto ai 414 magistrati che ci chiedevano di esprimere un “motivato e deciso parere contrario”, giudicando una simile ipotesi “inutile, dannosa, incoerente, pericolosa, preoccupante ed offensiva”.
Difficile non valutare il comportamento del governo come poco ispirato al principio di leale collaborazione tra organi istituzionali, non potendosi certo ritenere l’introduzione dei test psico-attitudinali un elemento di dettaglio o secondario della disciplina che si andava ad approvare.
Della previsione di un test cui sottoporre gli aspiranti magistrati se ne parla infatti da molti anni nel nostro paese. Essa era infatti contenuta nel programma eversivo predisposto da Licio Gelli e poi nella più recente legge Castelli (previsione eliminata dalla successiva Legge Mastella), oltre a far parte del programma politico dei governi Berlusconi.
3. Qualora dovessimo optare per la prima ipotesi (sub 1), il ruolo del Consiglio – al di là del riconoscimento fatto dal legislatore delegato – sarebbe limitato, dal momento che la individuazione delle “condizioni di inidoneità”, stante la genericità della previsione e la molteplicità e diversità delle funzioni attribuite ai magistrati, credo non possa che risolversi nella segnalazione di astratte condizioni come tali difficilmente accertabili, mentre l’individuazione dei test psico-attitudinali non potrà che essere in concreto realizzata da docenti di psicometria.
Gli esperti auditi dalla sesta commissione hanno posto in maniera assolutamente chiara la distinzione che corre tra un test psico-attitudinale (capacità di controllare le proprie emozioni, di gestire situazioni di stress, coscienziosità, equilibrio, apertura mentale, capacità di risolvere i problemi) ed un test psico-diagnostico, tendente a rilevare situazioni di malattia psichica (stati depressivi o di ansia, schizofrenia, disturbi ossessivi compulsivi, delirio).
Il carattere un poco improvvisato della scelta operata dal governo pare evidenziato dal fatto che alcuni esponenti dell’area governativa, tra i quali lo stesso ministro Nordio, all’indomani della approvazione delle disposizioni in oggetto - tradendo forse la loro reale volontà, non supportata però dalla lettera della legge da loro stessi votata - hanno fatto riferimento al noto test Mimnesota, il quale è stato senza dubbio alcuno qualificato dagli esperti che abbiamo ascoltato come test di tipo psico-diagnostico.
Da qui la scelta, espressa nella relazione illustrativa della nostra proposta, di seguire l’interpretazione letterale di “test e colloquio psico-attitudinale”, al di là di quella che potrebbe essere stata la reale volontà del legislatore delegato.
4. Assai più interessante se dovessimo orientarci per le altre due ipotesi.
Per quella relativa alla individuazione di problemi applicativi (sub 2), un primo problema riguarda a mio avviso specificamente l’effetto che si intende riconoscere al giudizio di “inidoneità”.
La legge, di recente modificata, ha esteso a quattro le possibili prove di accesso al concorso per magistrato ordinario alle quali l’interessato può partecipare.
A fronte di test e colloquio psico-attitudinali che hanno dato come risultato la inidoneità del candidato a svolgere funzioni giudiziarie, se è vero – come ci hanno detto gli esperti auditi - che i tratti della personalità sono per definizione stabili (altrimenti non potrebbero essere definiti come tali), viene infatti da chiedersi quali siano gli effetti di un simile risultato nei riguardi del candidato che intenda ripetere la prova.
Facile capire come rimediare ad una insufficienza nel diritto civile o nel diritto penale o anche nella conoscenza di una lingua straniera, ma come rimediare ad una non motivata “inidoneità alla funzione giudiziaria”?
Ritengo che sarebbe più logico specificare che chi ha mostrato, a seguito di attendibili prove psicoattitudinali, la presenza di condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria non possa ripetere l’esame.
Qualora invece si dovesse accedere all’idea che nel tempo le “condizioni di inidoneità” possono cambiare ed essere superate, parrebbe preferibile sottoporre il candidato al test ed al colloquio in via preliminare rispetto alle altre prove, scritte e orali.
La natura del tutto particolare di un simile accertamento, che lo distingue nettamente da quello svolto sulla preparazione tecnico-giuridica del candidato, potrebbe anche suggerire che - in caso di esito negativo del colloquio psico-attitudinale ed a differenza di quanto accade per il medesimo giudizio sulle prove orali vertenti sulle specifiche materie giuridiche – il candidato che ha superato le prove scritte ed è stato escluso per inidoneità, al successivo concorso sia nuovamente sottoposto solo al test e colloquio ed alle prove orali.
Sulla base del dettato normativo l’accertata condizione di inidoneità alla funzione giudiziaria esclude comunque, a prescindere da ogni altra valutazione, che il soggetto possa svolgere le funzioni di magistrato.
Per questo logica vorrebbe che il colloquio si tenesse prima dell’orale vero e proprio e che l’accertata inidoneità fosse preclusiva all’esame orale sulle discipline giuridiche. Ciò ad evitare la situazione un po' paradossale di un candidato che supera a pieni voti tre prove scritte in diritto civile, penale ed amministrativo, che altrettanto fa con le diciassette materie giuridiche previste per l’orale, salvo poi, in base al risultato del colloquio psicoattitudinale, alla fine ricevere il giudizio immotivato di “inidoneità alla funzione giudiziaria”.
Infine un ulteriore aspetto concerne il raccordo con la riforma costituzionale – qualora dovesse superare il referendum oppositivo della prossima primavera – per la parte in cui prevede la separazione delle carriere.
Il legislatore ordinario dovrà innanzi tutto stabilire se il concorso di ammissione alla magistratura sarà unico oppure ci saranno due concorsi distinti. Di conseguenza nel primo caso il test ed il colloquio saranno identici per magistrati giudicanti e requirenti, mentre nel secondo caso si dovrà decidere se diversificare o meno pure i test psico-attitudinali.
5. Ancora più interessante ovviamente se il Consiglio dovesse accedere alla terza ipotesi (sub 3) e, ad evitare le solite reazioni, preciso che essa non significa affatto che il Consiglio intenda sostituirsi al legislatore, ma solamente che vuol esercitare, come detto, una funzione di semplice “proposta” ad esso specificamente riconosciuta dalla legge.
Ribadito quindi che il Consiglio è tenuto ad agire nel rispetto della legge vigente, ritengo non ecceda i propri limiti di competenza e sempre nello spirito di leale collaborazione, la segnalazione, per eventuali futuri interventi del legislatore, di una situazione di sospetta incostituzionalità della normativa di cui ci stiamo occupando.
La legge delega, in coerenza con la finalità esplicitata di ridurre i tempi per l’accesso alla magistratura, aveva posto tra i principi e criteri direttivi rivolti al governo quello di ridurre le materie dell’orale, indicandone alcune come insopprimibili.
Il governo ha ritenuto di non accogliere questa indicazione del parlamento, sostenendo nella relazione illustrativa che “tra le materie della prova orale non si opera alcuna espunzione, non dando seguito a questo criterio della delega. Infatti non si è ritenuto che le materie della prova orale fossero ulteriormente comprimibili”.
La risposta del governo già di per sé appare non rispettosa della chiara indicazione del legislatore, ma ad aggravare un supposto eccesso di delega il decreto legislativo aggiunge, come detto, una ulteriore prova, scritta ed orale.
In sostanza al principio direttivo che chiedeva di ridurre le materie orali, allo scopo di accelerare i tempi di svolgimento delle prove di accesso alla magistratura, il governo risponde non solo rifiutandosi di farlo, ma addirittura stabilendo una ulteriore prova.
Parrebbe sinceramente un caso di scuola da citare agli studenti di un corso di diritto costituzionale per spiegare in cosa possa consistere l’ipotesi di eccesso di delega.
A ciò si aggiunga un dubbio di costituzionalità che potrebbe riguardare la ragionevolezza della scelta del legislatore delegato, sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe. Mi riferisco al fatto che il test e colloquio psicoattitudinali vengono previsti solo per i magistrati (e non estesi ad esempio ad altre professioni parimenti “sensibili”, quali quelle degli insegnati di ogni ordine e grado e del personale medico solo per citarne alcune) e solamente per i magistrati ordinari, con esclusione delle giurisdizioni speciali.
Un aspetto da segnalare, ai fini di una eventuale modifica della normativa vigente, è la collocazione dei test dopo che il candidato ha superato le tre prove scritte e non, come segnalato da molti degli esperti ascoltati dalla sesta commissione, prima delle stesse (con finalità selettiva) o dopo il periodo di tirocinio, durante il quale certe anomalie di comportamento possono risultare meglio evidenziate.
Un altro elemento messo in rilievo dagli esperti convocati dalla sesta commissione riguarda le modalità di svolgimento del colloquio, il quale, per la sua natura e per rispetto dell’intimità del candidato, parrebbe doversi svolgere in una sede apposita e davanti al solo esperto, anziché di fronte ad una commissione di giuristi cui spetta di esprimere il giudizio sulla inidoneità allo svolgimento della funzione giudiziaria.
Un ulteriore ipotesi di modifica, pure questa emersa dalle audizioni, concerne la previsione secondo cui il giudizio negativo – credo si tratti solo di infortunio del legislatore delegato l’utilizzo nel nostro caso del termine “insufficienza” – sia motivato “con la sola formula ‘non idoneo’”.
Sembrerebbe infatti necessario che il candidato possa sapere per quali ragioni è stato giudicato inidoneo alla funzione giudiziaria, sia ai fini di un eventuale ricorso in sede giudiziaria o della sua ripresentazione, sia anche per il fatto che una simile valutazione potrebbe pregiudicare il candidato per altri concorsi diversi da quello per la magistratura ai quali egli intenda presentarsi.
6. La previsione di un test psicoattitudinale ottiene comunque a mio avviso un risultato nel breve periodo e potrebbe costituire un grave rischio per l’indipendenza della magistratura a più lunga scadenza.
Nel breve periodo la misura si inserisce nel processo in corso di delegittimazione della magistratura agli occhi dei cittadini, specie attraverso l’accusa di politicizzazione e di volersi sostituire alle scelte spettanti al legislatore.
Prevedere un test psicoattitudinale per l’accesso alla magistratura ordinaria non può non far pensare alla presenza nella stessa di soggetti psichicamente instabili o mentalmente disturbati.
Del resto recentemente il ministro Nordio, a proposito di un magistrato che aveva espresso una sua opinione sull’azione del governo, ha affermato che “in qualsiasi paese del mondo avrebbero chiamato gli infermieri”, insinuando appunto problemi di salute mentale del magistrato in questione.
Una verifica fondata, per le ragioni che ho cercato di evidenziare, su elementi dai contorni sfuggenti e per niente oggettivi e relativi a caratteri attinenti alla personalità può rischiare, in tempi più lunghi, di trasformarsi in un pericoloso strumento per escludere persone non conformiste e per incidere negativamente sulla selezione degli aspiranti magistrati.
Detto questo certamente anche tra gli appartenenti alla magistratura è dato riscontrare – al pari di quanto accade per qualsiasi altro ambito professionale e, per mia esperienza diretta, posso confermarlo per i professori universitari – la presenza di soggetti con problemi di natura psichica o comportamentale, ma per l’ordine giudiziario, più che per altre professioni, esistono già gli strumenti per far fronte a tali situazioni, specie a livello di controllo di professionalità e pure disciplinare, mentre l’istituzione del test e colloquio psico-attitudinali non mi pare affatto destinata a risolvere questi problemi, ma solo ad essere utilizzata come strumento propagandistico, di scarsa o nessuna efficacia reale.
