La dirigenza condivisa
Il cammino di Area DG verso una diffusione della attitudine organizzativa.
di Graziella Viscomi
Sommario: I. Premessa. 1. La riduzione del numero dei semidirettivi. 2. L’adozione di un modello partecipato di gestione degli uffici. 3. La valorizzazione della capacità organizzativa. 4. L’obbligo di completare l’incarico direttivo o semidirettivo. 5. La durata massima per ciascun incarico direttivo e semidirettivo. II. Considerazioni conclusive.
I. Premessa.
Il tema della dirigenza negli uffici giudiziari è risultato figlio di diverse prospettive nel tempo.
Va premesso che la procedura per il conferimento di incarichi direttivi è appannaggio dell’organo di autogoverno ed è presieduta dalla garanzia della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, che si traduce nel fatto che deve essere la legge a stabilire i criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le conseguenti modalità della nomina.
In passato, era la cosiddetta anzianità senza demerito a determinare la direzione di un ufficio. Si trattava di un sistema che non solo impediva un ricambio generazionale, ma prescindeva anche dalla valorizzazione di particolari caratteristiche gestionali. Se da un lato, infatti, risultava indiscutibilmente (e rigidamente) oggettivo, dall’altro lato, partiva dal presupposto della equivalenza di tutti i magistrati ad occuparsi delle varie tematiche di gestione dell’ufficio, cosa che -l’esperienza concreta insegna- non è.
Ciò emergeva in modo tanto più chiaro quanto complessa diveniva la macchina giudiziaria ed il sistema entro cui si muove.
Dunque, si è passati ad un sistema in cui è centrale la valutazione delle attitudini dell’aspirante.
Gli incarichi di direzione (direttivi e semidirettivi) sono assegnati sulla base della valutazione del percorso professionale dei candidati - il c.d. merito- e della c.d. attitudine direttiva. Il Consiglio Superiore della Magistratura deve, cioè, valutare le capacità di organizzare e gestire l’ufficio e di programmare e gestire le risorse (art. 12 d.lgs. 160 del 2006). I generali criteri di valutazione fissati dalla legge sono poi oggetto di una disciplina adottata dal CSM d’intesa con il Ministro della Giustizia, nella quale vengono indicati gli indicatori dell’attitudine direttiva e vengono definite le fonti di conoscenza e la procedura applicabile. Attualmente la normativa regolamentare di riferimento è contenuta nel Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria di cui alla circolare n. P‐14858‐2015 del 28 luglio 2015, in costante aggiornamento.
In poche parole, ai fini della selezione, la normazione secondaria elenca i parametri di riferimento per la valutazione dei candidati; ciascun parametro, al momento dell’esame dei profili degli aspiranti è oggetto di comparazione con gli altri candidati.
Progressivamente, maggiore importanza è stata attribuita anche alla formazione del candidato.
Chiedersi che dirigenza vogliamo non è questione fine a se stessa: non si tratta, infatti, solo di prediligere un modello organizzativo, ma di pensare a tutto l’impianto normativo che, occupandosi del percorso professionale del magistrato, ne traccia tutti gli aspetti (valutazione di professionalità, pareri attitudinali, formazione, criteri di selezione), così permeando l’intero autogoverno.
Area Dg ha iniziato, mesi fa, grazie all’iniziativa promossa da Claudio Castelli, fautore di un gruppo di lavoro che si è interessato di collazionare argomenti sul tema, un percorso di studio a proposito della “dirigenza che vorremmo”.
L’arricchente contributo dei partecipanti ha fatto emergere le diverse prospettive ed i diversi modi di pensare alla dirigenza e così, si è giunti ad una sintesi con il rilascio di un documento da parte del Coordinamento Nazionale, qui oggi in commento.
Queste le proposte operative del detto documento, il cui contenuto si commenterà nelle pagine che seguono:
- la riduzione del numero dei semidirettivi;
- l’adozione di un modello partecipato di gestione degli uffici, mediante l’incentivo alla partecipazione alle scelte organizzative, senza esonero per il magistrato interessato;
- la valorizzazione della capacità organizzativa, quale parametro di valutazione professionale, anche per l’incentivazione alla partecipazione fattiva del magistrato alle scelte organizzative dell’ufficio;
- l’obbligo di completare l’incarico direttivo o semidirettivo, prima di partecipare ad un concorso per altri incarichi, con l’eventuale ritorno allo svolgimento delle funzioni giudiziarie nelle more della definizione di tali altri concorsi;
- la durata massima di sei anni per ciascun incarico direttivo e semidirettivo, senza alcuna conferma in itinere ma con la previsione di una procedura per la rimozione dall’incarico nell’ipotesi di manifesta incapacità e di una seria valutazione del lavoro svolto qualora si concorra ad altri incarichi.
Nell’ottica del miglioramento della dirigenza è stata evidenziata la necessità della riduzione/razionalizzazione degli incarichi di semi-direzione.
Il dato di partenza è l’assenza di una analisi che, alla stregua della elaborazione delle piante organiche del personale di magistratura di merito, si proponga di comprendere quanti sono gli incarichi semidirettivi veramente utili e funzionali ad assicurare l’andamento dell’ufficio.
Risulta indispensabile, dunque, sia per gli uffici requirenti che giudicanti, la necessità di oggettivizzazione delle esigenze: il numero e la qualità delle risorse da amministrare (in termini di organico, carico di lavoro, udienze, tipologie di servizi, qualità delle materie trattate) devono determinare il numero degli incarichi semi-direttivi da assegnare. Sarà necessario, dunque, formulare criteri oggettivi al fine di ancorare il numero di posti direttivi realmente funzionali ad assicurare il buon andamento dell’ufficio, coniugando efficienza, efficacia e compiti di coordinamento.
Solo a fronte di uno studio di tal fatta che esamini le concrete esigenze degli uffici dando centralità al ruolo di coordinatore che compete al semidirigente, sarà possibile dire quanti dirigenti servono.
Per quanto attiene la funzione giudicante, in particolare, è stato evidenziato che venga razionalizzato, a monte, il numero delle sezioni e che non vi sia coincidenza automatica fra il loro numero e l’individuazione dei dirigenti: appare, infatti, più razionale una previa verifica concreta.
Medesimo ragionamento deve indurre alla verifica delle effettive risorse dei gruppi di lavoro e dei servizi collaterali presso gli Uffici di Procura al fine della individuazione del numero degli Aggiunti che quelle risorse devono gestire.
Non si tratta solo di un calcolo “logico”.
Area Dg crede che sia necessaria un nuovo approccio culturale alla Dirigenza, evidenziando come vi sia circolarità di principi ed intenti.
Se l’incarico a contenuto dirigenziale (direttivo o semidirettivo) è svolto in chiave di coordinamento all’interno di una organizzazione in cui varie deleghe sono (con)divise, va da sé che più agevole sarà il compito dell’incaricato, con conseguente razionalità (e razionalizzazione) della decisione di ridurre il numero dei posti di semidirettivo.
2. L’adozione di un modello partecipato di gestione degli uffici.
Se il dibattito ha certamente rivelato la condivisa sensazione del generale miglioramento delle condizioni degli uffici rispetto al passato, d’altra parte è emersa anche necessità di superare le tante criticità da cui l’attuale modello organizzativo non è immune.
Il sistema corrente, invero, si è prestato ad una distorsione della copertura di incarichi significativi della espressione della partecipazione all’organizzazione degli uffici (rid, magrif, formatori decentrati, ecc.) che, svincolati da una valutazione dei risultati conseguiti finisce per risultare uno sterile elenco di titoli e, a monte, un procacciamento dei medesimi.
Area DG ha scelto di valorizzare la prestazione del magistrato in favore dell’organizzazione dell’Ufficio. In tal senso, nel corpo del documento si è anche riflettuto sulla necessità che le circolari che si occupano della materia diano modificate al fine di agevolare e rendere fruibile l’opportunità di occuparsi di un aspetto organizzativo del proprio ufficio, secondo le proprie attitudini ed inclinazioni.
Attualmente, le vigenti circolari (cfr. in particolare, articolo 4 della circolare sulle Procure) al fine di arginare la balcanizzazione delle deleghe funzionale allo strumentale procacciamento dei titoli, prevede il relativo conferimento solo previa accurata motivazione che dia conto delle ragioni che, sostanzialmente, giustifichino lo svolgimento in capo ai semidirettivi in servizio.
La norma ha avuto la sensibilità di stigmatizzare la frammentazione di competenze col solo fine di creare titoli ad hoc, peraltro sfuggenti a qualsivoglia forma di valutazione.
Dal confronto promosso da Area DG è emersa una volontà di superamento del sistema mediante un coinvolgimento responsabile dei magistrati alla gestione del loro ufficio. Si badi bene che l’espressione responsabile guarda, prima di tutto, ai Dirigenti i quali non saranno esonerati dalle loro competenze, né deresponsabilizzati, ma onerati di scelte adeguate e funzionali al raggiungimento di buoni risultati nell’interesse dell’Ufficio. Responsabilità è, inoltre, richiesta a coloro che assumeranno l’onere della co-gestione di un determinato aspetto della vita professionale poiché, per un verso, costituirà un quid pluris rispetto alle competenze ordinarie e, per altro verso, deve essere oggetto di specifica valutazione.
Sotto il primo profilo, sebbene il dibattito abbia evidenziato posizioni secondo cui l’esercizio di determinati incarichi postuli necessariamente il riconoscimento di un esonero dal lavoro, altra opinione, al contrario, ha evidenziato che per evitare l’effetto distorsivo dell’inseguimento del titolo deve trattarsi di un servizio ulteriore, in modo da incentivare chi è mosso da reale passione, voglia di partecipazione, desiderio di dare un contributo al miglioramento delle condizioni di lavoro.
Del resto, l’idea di Area DG della diffusione delle competenze organizzative favorisce, in nuce, una divisione equa dei compiti, già di per sé idonea a sopperire al plus di impegno richiesto: maggiore è la distribuzione, minore è l’impegno. Speculare a tale tema è la previsione necessaria dello svuotamento di compiti meramente amministrativi, da delegare solo ed esclusivamente al Dirigente Amministrativo prevedendo che tale figura vi sia in ogni ufficio.
Va da sé che l’attribuzione dei compiti debba essere preceduto da interpello.
Area DG ha scelto di offrire un modello concreto e non una mera visione utopistica. Per questo, ha scelto di accompagnare alla condivisione delle competenze organizzative una valutazione del modo in cui il magistrato le ha svolte, tenendo conto dei risultati conseguiti, non dissimilmente da quanto accade nella prospettiva dirigenziale.
Anzi, come meglio si dirà trattando, al paragrafo che segue della relativa proposta di Area DG, si è colta l’occasione per dare un senso al nuovo parametro di valutazione del magistrato, la capacità di organizzare il proprio lavoro,introdotto con la recente riforma dell’ordinamento giudiziario.
3. La valorizzazione della capacità organizzativa.
Area DG crede fortemente nel contributo che ciascun magistrato può offrire alla crescita del proprio ufficio, così come è convinta che -specularmente- il miglioramento del servizio offerto ai cittadini richieda, innanzitutto, una buona organizzazione.
Chi meglio dei soggetti dell’organizzazione può conoscere gli strumenti per migliorarla?
La prossimità di ciascun magistrato al fenomeno organizzativo determina la sua consapevolezza di ciò che funziona e ciò che non funziona. Naturalmente, ciò implica una visione non limitata al proprio personale interesse, ma alla funzionalità dell’Ufficio di riferimento nel suo complesso, finalizzata alla tutela dell’utente finale: il cittadino. Sono molteplici gli aspetti della vita di un uffizio: la necessità di aggiornamento nello studio delle ultime novità legislative e giurisprudenziali, gli aspetti informatici, il monitoraggio dei tempi delle decisioni, la verifica della tempestività dei processi di notificazione, le esigenze logistiche, l’uniformità delle decisioni, prassi e protocolli di ogni genere, ecc. ecc.
Ciascun aspetto richiede attitudini ed inclinazioni differenti la cui valorizzazione non può che giovare all’Ufficio medesimo.
Il nuovo criterio di valutazione di professionalità “la capacità di organizzare il proprio lavoro” è, fra gli aspetti più controversi della riforma dell’ordinamento giudiziario, in quanto sottratto alla tradizionale valutazione in termini di positività, non positività o negatività nell’ambito del più ampio parametro della “capacità” e divenuto oggetto, invece, di valutazione nuova e diversa, secondo le caratteristiche che la normazione secondaria potrà attribuirgli.
Area Dg, preoccupata dal rischio che l’espressione si traduca in un criterio di giudizio che imponga ai magistrati (sin dall’esordio) di burocratizzare la propria funzione, traducendo la valutazione in meri termini di smaltimento (odiosa espressione con la quale non vorremmo più confrontarci), propone, invece, di trasformare in una occasione tale nuovo parametro.
Area Dg crede fortemente che il magistrato debba sentire che il proprio lavoro includa anche l’aspetto organizzativo ed auspica, contemporaneamente, che voglia essere parte attiva fornendo il proprio contributo nella gestione.
Orbene, dare un peso alla partecipazione significa anche darle un valore concreto, mediante valutazione dei risultati conseguiti, quale indice di valutazione della capacità di organizzare il lavoro.
4. L’obbligo di completare l’incarico direttivo o semidirettivo.
La Dirigenza è un servizio. Esserne coinvolti a vari livelli non può che contribuire alla diffusione di questa cultura, per la cui diffusione Area DG intende spendersi concretamente.
Il percorso di studio intrapreso sulla dirigenza è stato reso possibile anche grazie al franco confronto con tanti dirigenti in carica, i quali hanno messo a nudo le difficoltà della funzione, orgogliosamente rivendicato la fatica e l’impegno che richiede occuparsi di organizzazione, soprattutto quando le risorse a disposizione sono scarse ed i ruoli colmi, nonché invitato alla prudenza nella ricerca di soluzioni che, appunto, non si rivelino eccentriche rispetto alle criticità che sono emerse.
Proprio l’ultimo richiamo ha determinato una riflessione su ciò che consenta di conciliare l’efficienza dell’ufficio con la caratteristica di mero possibile momento di una carriera che l’incarico dirigenziale deve rappresentare.
Ne è conseguita la necessità di una riflessione sulla temporaneità che si è rivelato meccanismo insufficiente nella misura in cui ha consentito di formare “la carriera del Dirigente”, mediante la copertura di plurimi incarichi consecutivi senza soluzione di continuità.
Area DG vorrebbe esprimere dirigenti che non perdano mai il contatto con la giurisdizione e, soprattutto, non perdano mai la passione per l’esercizio della giurisdizione medesima.
Un incarico dirigenziale è un impegno. Pertanto, deve essere portato a termine.
In quest’ottica si è proposto di codificare l’effettività del periodo di svolgimento dell’incarico prevedendo che esso debba essere portato ad esaurimento solo alla scadenza effettiva, senza legittimazioni che ne consentano la cessazione anzitempo, con ordinario ritorno alle funzioni giurisdizionali per il tempo necessario allo svolgimento di nuovi concorsi cui il magistrato aspiri.
Preme ad Area DG che il Dirigente non consideri una deminutio il ritorno in servizio, ma una mera conseguenza naturale della cessazione di un munus a termine. Un munus che arricchisce indubbiamente il magistrato e la sua professionalità con maturare di un bagaglio professionale ulteriore che, sempre nell’ottica della condivisione dirigenziale, non può che apportare benefici all’ufficio e, conseguentemente, al servizio che prestiamo per i cittadini. In quanto tale, è un bagaglio che non è disperso dal rientro in servizio, semmai patrimonio da condividere anche nella prospettiva di crescita degli altri colleghi e del loro coinvolgimento attivo.
L’effettività della proposta circa lo svolgimento effettivo dell’incarico per tutta la durata legale, richiede un ripensamento del termine di svolgimento, aspetto oggetto dell’ultimo punto della proposta e che tratteremo nel paragrafo che segue.
5. La durata massima per ciascun incarico direttivo e semidirettivo.
Non può tacersi che la concreta esperienza dimostri come la procedura di conferma sconti lungaggini che, anche nei casi patologici, laddove vi siano state segnalazioni di manifesta incapacità del Dirigente, portano all’esaurimento dell’intero ottennio anche giungendo a pareri negativi postumi e, dunque, oramai inutili.
Si tratta di una criticità sulla quale Area DG ha ritenuto di dover riflettere.
Come si è detto, inoltre, risulta importante segnare un cammino di passi effettivi verso una riforma, sì da non limitarsi a mere petizioni di principio dal facile consenso, ma concretamente inattuabili, né da -al contrario- arroccarsi su posizioni conservative ostacolo al cambiamento.
Per rendere concreta la prospettiva di effettività del termine di svolgimento dell’incarico, dunque, si rende necessario rimodulare la tempistica del medesimo.
Ecco perché, cercando di bilanciare:
- le esigenze dell’ufficio garantendo un periodo di continuità;
- le aspirazioni del Dirigente alla possibilità concreta di incidere col proprio operato sull’ufficio medesimo;
- la durata effettiva media degli incarichi dirigenziali in attesa dell’esaurimento della procedura di conferma;
- il concetto di incarico dirigenziale quale una parentesi (prestigiosa ed impegnativa) della carriera di un magistrato;
si è giunti alla conclusione che sia opportuno prevedere un termine unico di durata dell’incarico dirigenziale, di sei anni.
L’incarico deve essere, comunque, oggetto di valutazione stante anche il fatto che il giudizio è propedeutico a poter fare domanda per nuovi incarichi, ostando in radice un parere negativo.
Consapevoli che, nei casi di manifesta incapacità, tale termine non possa spirare senza che l’autogoverno reagisca, tuttavia, si è pensato che sarà necessario istituire e disciplinare una procedura d’urgenza per la rimozione dall’incarico, anche in questo caso auspicando in significative novità che la rendano effettiva (si può immaginare di mutuare la disciplina di cui all’art. 700 c.p.c adattandola al momento dell’autogoverno, anche pensando ad un organo unico che curi istruzione e decisione).
II. Considerazioni conclusive.
Area DG è consapevole che le condizioni di lavoro in molti, troppi uffici, determini la difficoltà dei magistrati di avvicinarsi (ed appassionarsi) alle competenze diverse da quelle strettamente giurisdizionali.
Così come deve segnalarsi il rischio che la cartolarizzazione del processo, soprattutto nel settore civile, nonché in grado di appello, allontani (fisicamente e moralmente) i magistrati dalla sede fisica che è luogo di incontro, confronto e, ove valorizzato, vera e propria fucina culturale.
Tuttavia, proprio una diffusa insofferenza denota che, sotto cenere, è acceso il fuoco che stimola i magistrati a percepire quali siano i problemi ed a pensare ad alternative. La presenza di dirigenti accentratori o ostili ai cambiamenti non aiuta, mentre positiva è la presenza di magistrati con compiti di direzione illuminati e propositivi.
Non può, tuttavia, lasciare che sia il caso a determinare la positività delle esperienze. Bisogna, dunque, lavorare a livello normativo (primario e secondario) ed impegnarsi a livello associativo al fine di diffondere la cultura ordinamentale, accrescere la consapevolezza che le questioni ordinamentali riguardano tutti e si inseriscono pienamente fra le mansioni del magistrato, incentivare il coinvolgimento orizzontale nella gestione dell’ufficio, assecondando l’inclinazione dei colleghi.
È impegno di Area DG camminare su questa strada.