Al Signor Presidente della I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati
Oggetto: audizione informale in relazione ai Disegni di legge costituzionali 23, 434,806 e 824 recanti modifiche all’art.87 e al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura.
Ringrazio anzitutto il Presidente e la Commissione per l’onore che mi viene fatto dando la possibilità di fornire il mio contributo basato sull’esperienza professionale.
Devo anzitutto osservare come i disegni di legge costituzionali in questione non si limitino a prevedere la separazione delle carriere tra la magistratura giudicante e quella requirente, ma intervengano in modo molto più profondo delineando una magistratura, ma oserei dire una giurisdizione, radicalmente diversa da quella realizzata dalla Costituzione.
Difatti al di là della separazione delle carriere verrebbe prevista, sia pure con qualche differenza tra i diversi testi:
- la creazione di due Consigli Superiori: uno della Magistratura giudicante ed uno della Magistratura requirente, ciascuno composto per metà da magistrati e per metà da nominati dal Parlamento.
- i magistrati che ne fanno parte non sarebbero più “eletti” “da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle diverse categorie”, ma “scelti” o “nominati” tra i magistrati;
- la competenza dei C.S.M. riguarderebbe unicamente assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari, potendo essere attribuite altre materie solo con legge costituzionale;
- la nomina a tutti i livelli della magistratura giudicante di avvocati e professori universitari di materie giuridiche senza concorso;
- l’abrogazione della norma (art. 107 co.3 Costituzione) che afferma che i magistrati si distinguono tra di loro solo per diversità di funzioni;
- l’obbligatorietà dell’azione penale viene temperata e l’azione penale andrà esercitata nei casi e nei modi previsti dalla legge.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la giusta pretesa di imparzialità e terzietà da parte del giudice. Pretesa che a dire il vero già oggi risulterebbe soddisfatta se il tasso di assoluzioni è del tutto fisiologico arrivando al 50% e non rivelando alcun cedimento in senso accusatorio.
Quanto viene esplicitata è piuttosto una reazione alla crescita del giudiziario che alla fine del secolo scorso ha caratterizzato tutte le democrazie occidentali. Come viene puntualmente descritto nella relazione a tre dei DDL “il problema è quello della presenza di un giudice che oramai governa con le proprie decisioni, non solo i nodi essenziali dei diritti e delle garanzie individuali, ma anche quelli dell’economia, dell’ambiente e dello sviluppo tecnologico, sostituendosi di fatto al ruolo che un tempo esercitava la politica, improvvisando così soluzioni sul caso concreto”. Espansione del giudiziario che si è verificata in tutti i Paesi occidentali, indipendentemente dagli ordinamenti, radicalmente diversi ivi esistenti, per la crescente complessità della nostra società e per la sempre più viva domanda di diritti, cui è corrisposta l’incapacità degli altri poteri, in particolare di quello legislativo, di dare risposte tempestive. Crescita del giudiziario comunque ormai superata e anch’essa oggi in crisi, come sono in crisi tutte le professioni giuridiche, a fronte di una politica che tende a riprendere spazi e dell’onnipresenza dell’economia e delle logiche di mercato.
In Italia poi si avrebbe una magistratura “onnivora” “che confonde quella che dovrebbe essere la cultura del limite con la lotta ai poteri criminali”. Proprio l’esito dei processi, con l’alto tasso di assoluzioni e la capacità di Corti di appello e Cassazione di rivedere con serenità le decisioni dei gradi precedenti, dicono che il nostro sistema tiene e assicura adeguate garanzie. Tant’è che quanto viene giustamente lamentato sono i tempi delle decisioni che lasciano troppo spesso la persona accusata in balia dell’incertezza, tempi su cui la presente proposta di riforma costituzionale non inciderebbe e che anzi rischierebbe di peggiorare.
Quello che viene di fatto attuato è un riequilibrio di poteri ai danni del potere giudiziario con la frammentazione in due Consigli Superiori che avranno meno prestigio e autorevolezza, con una maggiore presenza politica nei Consigli Superiori e con una riduzione delle competenze dei Consigli Superiori tassativamente limitate.
I Consigli Superiori perdono le caratteristiche che sinora hanno avuto di organi di governo autonomo unendo magistrati eletti da tutti i magistrati con professori universitari e avvocati di esperienza nominati dal Parlamento. Da un lato la presenza paritaria di nominati di origine politica incide sull’autonomia dell’organo, dall’altro il fatto che i magistrati siano scelti (da chi?) e non più eletti indebolisce l’organo e la sua autorevolezza. Il timore di sconfinamenti politici che porterebbe a delimitare tassativamente le materie di competenza dei Consigli non è adeguato al tempo presente: settori che apparivano marginali sono oggi diventati centrali. Così è per l’organizzazione degli uffici (materia tabellare e criteri di organizzazione delle Procure) che rientrano tra i poteri impliciti che esercita il C.S.M. derivando, oltre che dalla legge, dal rapporto diretto che la materia ha con le assegnazioni. E così è per l’impatto che le nuove tecnologie sino ad oggi e l’intelligenza artificiale domani hanno avuto ed avranno sull’organizzazione degli uffici e sulla stessa giurisdizione.
Ingessare le competenze impedendo una loro evoluzione è quindi pericoloso per la stessa funzionalità del sistema.
Lascia anche quantomeno perplessi la norma che rende possibile la nomina di professori universitari e avvocati nella magistratura giudicante senza concorso. Se, come personalmente auspico, si approdasse a una formazione comune di base (inevitabilmente selettiva) per coloro che intendono accedere alle professioni giuridiche si potrebbe giungere a forme di osmosi e passaggio, ovviamente rigorosamente regolate, tra le diverse professioni giuridiche. Ma sempre sulla base del concorso pubblico, garanzia di professionalità e di imparzialità.
I limiti oggettivi che oggi ha l’obbligatorietà dell’azione penale dovrebbero essere affrontati a monte, evitando la proliferazione di norme penali che ne impediscono di fatto la concreta applicabilità. Alcune proposte erano state avanzate nel passato per cercare di porre rimedio a quello che sicuramente è un problema serio, ovvero una finta obbligatorietà, quale quella della riserva di codice, onde evitare il proliferare di leggi speciali contenenti fattispecie penali. L’idea di temperare l’obbligatorietà “nei casi e modi previsti dalla legge” non risolve il problema.
Francamente molti degli interventi preconizzati non hanno nulla a che fare con la separazione delle carriere e delineano una magistratura giudicante debole e suscettibile, grazie all’abrogazione dell’art 107 co.3 Costituzione, di una gerarchizzazione incompatibile con l’efficienza e con la stessa natura della giurisdizione, dato che il giudice deve essere soggetto solo alla legge e alla propria coscienza.
Quanto francamente preoccupa è che con una vera e propria eterogenesi dei fini questa riforma che vorrebbe aumentare le garanzie avrebbe invece un effetto fortemente giustizialista, rafforzando enormemente i poteri dei Pubblici Ministeri e il loro peso nei confronti dei giudici.
Separarli sia come reclutamento, sia come organo di governo autonomo significa creare un potere fortissimo, del tutto slegato dai giudicanti con cui si vivrà un rapporto di inimicizia e antagonismo. In un Paese con tradizioni autoritarie come il nostro e con una cultura, specie massmediatica, che già oggi valorizza spesso in modo abnorme il ruolo dell’accusa, è facile prevedere che non solo la magistratura requirente avrà una crescita autoreferenziale, ma subirà una crescente torsione come puro organo di accusa, teso a incastrare (più che a trovare le prove anche a favore) l’imputato, molto più forte del giudice, soggetto ai richiami dell’allarme sociale e alle pressioni dell’opinione pubblica, attento più al risultato da perseguire che alle garanzie.
La strada maestra per dare risposta alla domanda di garanzie, ma anche alla crescente crisi che oggi attanaglia le professioni giuridiche, é opposta ed è quella di unire invece che dividere, tornando all’idea di una formazione comune obbligatoria per magistrati e avvocati per creare un’osmosi ed una cultura comune. Oggi se vogliamo una giurisdizione moderna e proiettata verso il futuro occorre puntare sulla formazione, sulla specializzazione e sul governo delle tecnologie che riguardano tutte le professioni giuridiche che devono puntare su di un orizzonte comune e non su divisioni e separazioni.
Brescia, 13 dicembre 2023
(Immagine: Frederick Sargent, The Tichborne Trial (1873-1899), oil on canvas, Hampshire County Council Museums Service, Winchester, England, via Wikimedia Commons)