Tra le attribuzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, quella di carattere consultivo in favore del legislatore non è tra le più studiate e, pur tuttavia, è tra le più controverse, per l’ambito, i modi, l’oggetto. A riportarla di attualità, pur in assenza di contrasti paragonabili a quelli del passato, sono alcune operazioni di revisione critica in ordine alle interferenze dell’attività giurisdizionale nella sfera di pertinenza di altri poteri dello Stato e al ruolo del governo autonomo dei magistrati. Le posizioni esistenti su questi temi influenzano le letture divergenti dell’art. 10, comma 2, della legge 195/1958. Per quanto questa vi si presti, nella sua concisione, esistono però una prassi consiliare, avalli istituzionali autorevoli e punti fermi dottrinali che non possono essere dimenticati.
Sommario: 1. Il dibattito consiliare. 2. Il dato normativo. 3. Leale collaborazione e buon andamento degli uffici giudiziari. 4. A chi si indirizzano i pareri. 5. L’oggetto. 6. Il parere sulla conformità a Costituzione. 7. Gli atti su cui il CSM esprime i pareri. 8. Il parere espresso d’iniziativa.
1. Il dibattito consiliare.
L’approvazione recente di un parere sullo schema di conversione di un decreto legge è stata l’occasione per dibattere in adunanza plenaria dei limiti riconosciuti al Consiglio Superiore della Magistratura nell’esercizio dell’attribuzione consultiva rispetto ai rapporti col legislatore [1]. Nella circostanza v’è stato chi ha mosso critiche alla delibera perché il parere che si proponeva di votare avrebbe esorbitato dal perimetro consentito; lo sconfinamento sarebbe sorto dal fatto che il parere non si limitava a trattare in modo neutro delle ricadute che la nuova disciplina avrebbe avuto sull’organizzazione degli uffici giudiziari, ma esprimeva pure valutazioni negative su singole disposizioni ritenute lacunose o asistematiche.
Nel caso specifico la delibera è stata poi approvata dal Plenum a larga maggioranza (tre astensioni).
Il dibattito ha messo in luce più che in altre recenti occasioni l’esistenza di posizioni molto difformi in seno al Consiglio Superiore. Si tratta di divergenze certamente favorite dall’esistenza di nodi storicamente irrisolti, nella dottrina, nella lettura del dato normativo che assegna al CSM questa attribuzione, ma vistosamente riconducibili a visioni diverse sul ruolo del Consiglio e dei suoi rapporti con il Ministro della giustizia. Non pare casuale che esse emergano nella fase storica in cui gli effetti stessi dell’esercizio dell’attività giudiziaria vengono (ri)messi in discussione con argomenti che investono l’orizzonte della separazione dei poteri.
Intervenendo il 30 novembre nel Plenum straordinario convocato per la sua visita, il Ministro della giustizia ha espresso la volontà di incrementare la richiesta al CSM di pareri su testi che siano non solo di legislazione primaria, ma anche regolamentari. È possibile che questa apertura a un fecondo dialogo giuridico tra Istituzioni stemperi le divergenze emerse settimane prima.
Tuttavia, esse vivono anche al di fuori del CSM, frutto e al contempo causa del tentativo di delimitare con la massima precisione possibile i ruoli degli organi protagonisti dello scenario istituzionale, col risultato inevitabile di valorizzarne alcuni a discapito di altri. Questa operazione, per certi versi comprensibile nel suo intento di prevenire occasioni di possibile frizione tra le istituzioni, rischia di travolgere alcuni paletti che parevano ormai solidamente sistemati; ogni delimitazione di confine, pur se mossa da commendevoli ragioni di certezza, può rivelarsi ancora più dannosa, se non sia basata su mappe e tracciati sicuri.
2. Il dato normativo.
Senza coltivare la pretesa di arrivare a risolvere gli aspetti più controvertibili, conviene dunque ricordare quei punti fermi, per evitare che anche le certezze ormai acquisite vengano travolte da uno spirito revisionista del tutto contingente e non sufficientemente meditato.
Come noto, l’art. 10 della legge n. 195/1958, dopo avere elencato le materie su cui al Consiglio spetta di deliberare, aggiunge, al secondo comma, che “può fare proposte al Ministro per la grazia e giustizia sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Dà pareri al Ministro, sui disegni di legge concernenti l'ordinamento giudiziario, l'amministrazione della giustizia e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie”.
L’ultimo comma è norma di chiusura, giacché aggiunge che il CSM “delibera su ogni altra materia ad esso attribuita dalla legge”.
È venuta così a configurarsi una funzione propulsiva e consultiva, di carattere tecnico-giuridico, attraverso la quale il Consiglio instaura un dialogo con gli organi titolari dell’indirizzo politico e che si esprime attraverso tre tipologie di atto: proposte (art. 10, co. 2, prima parte); pareri (art. 10, co. 2, seconda parte); relazione sullo stato della giustizia (art. 43 del regolamento interno del CSM).
È bene precisare che quest’ultima, per quanto non prevista da norma primaria, trova fondamento in una pratica sorta negli anni sessanta del secolo scorso, prima ancora della sua codificazione nella regolamentazione dell’attività consiliare. Viene ricordato in proposito l’ordine del giorno approvato dal Senato della Repubblica il 29 gennaio 1969, in cui si valutava “sommamente opportuno” che il Ministro presentasse una relazione annuale sullo stato della giustizia accludendovi “analoga relazione del Consiglio superiore della magistratura” [2].
3. Leale collaborazione e buon andamento degli uffici giudiziari.
L’idea di un collegamento tra CSM e legislatore ha quindi una storia condivisa e radicata nel tempo. Già questo sola constatazione basterebbe a inficiare l’ipotesi di un’illegittimità dell’art. 10, secondo comma, della legge 195/1958, avanzata sulla base del fatto che l’espressione dei pareri non sia inclusa tra le potestà elencate espressamente dall’art. 105 della Costituzione [3].
Storicamente i contenuti della relazione tra CSM e Ministro della giustizia, in particolare, vengono maggiormente focalizzati con l’aumentare dell’attenzione verso l’attuazione delle disposizioni costituzionali (specialmente in materia di indipendenza e autonomia dei magistrati) e, in epoca più recente, per l’esigenza di perseguire il buon andamento dell’amministrazione della giustizia [4].
Per quanto concepito come organo di garanzia dell’indipendenza dei magistrati, il Consiglio esercita una funzione di amministrazione della giurisdizione [5] nel quadro costituzionale. Perciò le sue competenze in materia di assetto degli uffici giudiziari (si pensi alle delibere su tabelle e progetti organizzativi) o relative al percorso professionale dei magistrati non possono essere esercitate con riferimento al mero rispetto di regole formali, ma implicano anche valutazioni di adeguatezza delle attività e delle soluzioni, dovendo guardare all’efficienza dell’organizzazione.
Anche sull’estensione delle competenze in tema di organizzazione e funzionamento dei servizi attribuite al Ministro della giustizia (art. 110 Cost.) le opinioni dei costituzionalisti sono varie, non meno di quanto siano quelle relative alle funzioni affidate al CSM. Tutti concordano, però, sul fatto che entrambe queste istituzioni presiedano al sistema giudiziario nell’ambito di poteri che incidono a loro volta sull’amministrazione della giustizia. Da ciò deriva l’ineludibile necessità di una loro cooperazione diretta all’unico scopo, racchiusa nella locuzione “leale collaborazione”.
Questo concetto è stato approfondito dalla giurisprudenza costituzionale soprattutto in riferimento all’istituto del concerto, richiesto al Ministro sulla proposta di conferimento di funzione da parte del Consiglio (art. 11, co. 3, l. 195/58), e racchiude in sé le “regole di correttezza nei rapporti reciproci e di rispetto dell’altrui autonomia” [6], le quali impediscono a ciascuno dei due soggetti di “dare luogo ad atteggiamenti o comportamenti dilatori, pretestuosi, incongrui o contraddittori o insufficientemente motivati” [7].
Una volta che è stata costituzionalizzata la ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2), il principio del buon andamento è andato progressivamente a identificarsi, almeno nel dibattito pubblico, con quello di efficienza del servizio; questo passaggio ha reso ancora più evidente l’esigenza di una collaborazione tra i due vertici dell’organizzazione giudiziaria, poiché, se è vero che l’efficienza chiama in causa in prima battuta il Ministero, quale organo deputato a dotare la macchina giudiziaria dei mezzi necessari, nondimeno pressoché ogni iniziativa dell’Amministrazione diretta a innovarne i servizi impatta sull’esercizio della giurisdizione, sicché il Consiglio non può risultarvi estraneo.
L’espressione, da parte di quest’ultimo, dei pareri sugli interventi legislativi e delle proposte normative rientra pertanto in un tale assetto relazionale.
4. A chi si indirizzano i pareri.
L’interrogativo che si è posto in ordine alla destinazione di tale funzione riguarda la possibilità che il CSM indirizzi i pareri e le proposte, almeno in caso specifici, anche al Parlamento, oltre che al Ministro. La prassi non è in questo senso e, probabilmente, non a caso. I regolamenti delle due Camere, infatti, non menzionano il Consiglio come loro possibile interlocutore, diversamente da altri soggetti istituzionali. In difetto di ciò, è difficile ravvisare l’eventualità di una stabile procedura di collegamento tra le Camere e il Consiglio, trattandosi di materia che l’art. 64 Cost. riserva alla disciplina dei regolamenti medesimi [8].
Lo stesso ordine del giorno approvato dal Senato il 29.1.1969, come s’è detto, auspicava una relazione da parte del CSM come mero allegato di quella ministeriale. Anche il regolamento dell’attività consiliare, quando ancora prevedeva la redazione della propria relazione sullo stato dell’amministrazione della giustizia “in conformità” a quell’ordine del giorno, ne disponeva comunque la trasmissione al solo Ministro per la grazia e la giustizia [9]. Dal 2016 quel riferimento è scomparso dal regolamento interno. La relazione sullo stato dell’amministrazione della giustizia continua a essere distribuita, per la sua discussione in seduta plenaria, esclusivamente al Ministro oltre che ai componenti del Consiglio (art. 43, co. 2, reg. int.).
Per altro verso la stessa commissione Paladin giudicava insoddisfacente, rispetto allo scopo dell’atto, l’assenza di un meccanismo che vincoli il Ministro a trasmettere alle Camere la relazione consiliare sullo stato dell’amministrazione della giustizia. È segno, questo, della riconosciuta utilità, per l’istituzione parlamentare, di un apporto del C.S.M. nonché della necessità che la collaborazione tra questo e il Ministro della giustizia sia improntato a lealtà.
In coerenza con questa ricostruzione si ritiene dunque che la funzione consultiva del Consiglio non sia esercitabile nei confronti del Parlamento senza la mediazione ministeriale [10].
5. L’oggetto.
L’art. 10, secondo comma, della legge n. 195/1958 rende evidente che il Consiglio non può dirigere il proprio intervento verso ogni iniziativa normativa e che, anzi, gli è preclusa la possibilità di esprimersi su alcuni terreni che pure toccano l’attività giudiziaria.
L’attribuzione risulta invero limitata a due ambiti specificamente nominati: “ordinamento giudiziario” e “amministrazione della giustizia”.
L’ordinamento giudiziario designa quel settore dell’ordinamento giuridico statale che disciplina, sotto il profilo organizzativo, le attività dei giudici, dei pubblici ministeri e dei loro collaboratori [11]. Si può quindi concludere che la prima locuzione normativa è riferibile a un complesso di norme. Da ciò consegue che il C.S.M. è chiamato a esprimere pareri sulle attività di riforma che incidano sull’assetto e il funzionamento degli organi che esercitano la giurisdizione.
Meno immediata appare l’interpretazione della seconda locuzione. La “amministrazione della giustizia” è astrattamente riferibile, infatti, tanto a un nucleo di elementi materiali e funzionali, che costituiscono l’apparato amministrativo di settore, quanto a un’attività, rappresentata dall’esercizio della giurisdizione.
La prima opzione è contraddetta da due rilievi.
In primo luogo, ci troveremmo di fronte a un concetto sostanzialmente sovrapponibile a quello della prima locuzione normativa, poiché, pur nella sua superiore astrattezza, la complessiva disciplina coincidente con l’ordinamento giudiziario già riguarda l’organizzazione dell’attività giudiziaria, alla quale è dedicata la macchina amministrativa del Ministero della giustizia. Attribuendo quel significato alla seconda espressione si finirebbe dunque per depotenziare del tutto l’efficacia descrittiva del binomio normativo.
In secondo luogo, va considerato che la locuzione integrativa seguente (“.. e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie”) chiarisce come i due concetti precedenti vadano a identificarsi con una materia. Ma l’amministrazione della giustizia, intesa nella sua dimensione statica, quale complesso di beni e servizi non è definibile come “una materia”. Lo è, viceversa, l’ordinamento giudiziario.
Molto più convincente, dunque, è la seconda opzione interpretativa, la quale porta a concludere che l’amministrazione della giustizia dell’art. 10, secondo comma, l. 195/1958 altro non è che la iurisdictio.
Una volta che sia stato così chiarito, il dato normativo porta ad affermare quindi che al Consiglio è affidata l’espressione di pareri sugli interventi legislativi che riguardano, da un lato, l’organizzazione e il funzionamento degli organi giudiziari e, dall’altro, l’esercizio concreto della giurisdizione. Da qui l’identificazione del loro possibile oggetto.
Cade dunque in errore chi – anche tra coloro che sono intervenuti nel dibattito plenario menzionato in premessa – ritenga l’attribuzione consultiva del CSM limitata ai pareri sulle sole norme incidenti l’organizzazione giudiziaria.
Vi rientrano, invece, le disposizioni che regolano il (o incidono sul) funzionamento degli organi giudiziari e quelli di natura processuale.
Vi rientrano altresì le norme di natura sostanziale che condizionino l’attività giurisdizionale, per le loro ricadute sul piano organizzativo, su quello processuale o, a maggiore ragione, su entrambi (si pensi all’introduzione di misure amministrative suscettibili d’influire sui flussi processuali).
Quanto al contenuto del rilievo che il CSM è chiamato a muovere, va considerato che l’interpretazione della legge è l’operazione più intimamente connessa alla giurisdizione, la prima, dunque, che, per la sua frequenza, influisce sull’andamento della giustizia e sulla ragionevole durata dei processi. Una norma oscura o aperta a più significati o distonica rispetto agli obiettivi enunciati dal legislatore si espone al rischio di decisioni tra loro contrastanti e dunque a un vulnus al valore della loro prevedibilità in funzione di uno stabile assetto dell’ordinamento giuridico sul quale i cittadini possano confidare [12].
È, pertanto, nella responsabilità del Consiglio superiore – esprimendo pareri improntati alla leale collaborazione che gli è richiesta – evidenziare al legislatore simili imperfezioni, nella misura in cui siano suscettibili di rendere imprevedibili, se non il quadro normativo [13], i risultati dell’attività giurisdizionale che lo interpreterà.
6. Il parere sulla conformità a Costituzione.
Di qui al rilievo di possibile costituzionalità del testo esaminato il passo è breve. Ma è un passo che entra nel territorio riservato alle attribuzioni del Presidente della Repubblica, in via preventiva, e della Consulta, in fase successiva.
La prassi ha conosciuto numerosi pareri in cui il Consiglio ha valutato la conformità a Costituzione di proposte normative. Vi è un drastica opinione contraria a tale facoltà, espressa dal Presidente Giorgio Napolitano: “non può esservi dubbio od equivoco sul fatto che al CSM non spetti in alcun modo quel vaglio di costituzionalità cui, com’è noto, nel nostro ordinamento sono legittimate altre istituzioni” [14]. Nel messaggio si coglie evidente la preoccupazione che una presa di posizione consiliare possa generare un conflitto istituzionale con gli organi ai quali quel controllo è stabilmente affidato.
Eppure anche gli autori meno propensi a una lettura estensiva della funzione consultiva del CSM ritengono dubbia una soluzione che gli neghi ogni valutazione di costituzionalità, soprattutto quando il parere venga espresso su richiesta del Ministro [15]. Altri, invece, non intravedono limiti in questa facoltà [16].
La questione è quindi delicata, poiché, se è difficile immaginare che il Consiglio debba astenersi da rilevare un vizio di legittimità, soprattutto se macroscopico, presente eventualmente in una norma, è altrettanto chiaro che un simile intervento può sconfinare nella sfera di attribuzioni non dell’organo cui il parere è rivolto, bensì di un’istituzione terza, titolare del controllo per Costituzione.
La soluzione potrebbe raggiungersi ricordando l’esigenza generale di salvaguardia della sistematicità e della stabilità dell’ordinamento giuridico. Il Consiglio potrebbe quindi riconoscersi investito del vaglio di costituzionalità di una disposizione, alla stregua della sua ragionevolezza, quando questa sia commisurata al più ampio quadro normativo, nel quale andrà a inserirsi, e al pericolo che l’interpretazione consequenziale possa minarne l’assetto.
Può cioè fondatamente sostenersi che il parere possa avanzare dubbi di compatibilità costituzionale (o di conformità all’ordinamenti euro-unitario) della disposizione in esame ogni volta in cui dal possibile contrasto con una norma sovraordinata possano derivare scelte ermeneutiche tra loro contraddittorie o confliggenti con l’obiettivo stesso enunciato dal legislatore: nel primo caso viene messa in discussione la stabilità del quadro normativo; nel secondo gli effetti delle decisioni giudiziali potrebbero rivelarsi asistematici. In entrambe le situazioni si avrebbe un risultato applicativo incerto che il Consiglio deve segnalare.
7. Gli atti su cui il CSM esprime i pareri.
L’art. 10, co. 2, menziona soltanto i “disegni di legge”, dunque gli atti di iniziativa governativa (art. 87, co. 4, Cost.); il che confermerebbe, tra l’altro, che il Consiglio Superiore dialoga col legislatore solo per il tramite del Ministro della giustizia.
Non sembra dubbio però il fatto che esso possa esprimersi anche sui regolamenti, nella forma dei decreti ministeriali, quando siano adottati in attuazione o siano comunque previsti dalla legge, se, ovviamente, abbiano per oggetto le materie di competenza. Sarebbe del tutto irragionevole, in effetti, che questa possibilità fosse preclusa al Consiglio (e che il Ministro non la attivasse, richiedendo lo specifico parere), dato che, come spesso accade, è il regolamento, più che la norma di legge generale, a impattare sull’organizzazione o sull’amministrazione della giustizia.
Si pone se mai una questione di effettività dell’attribuzione consiliare, quando il tempo a disposizione per fornire il parere sia in concreto inadeguato rispetto alla complessità delle questioni.
È in corso, per esempio, il dialogo istituzionale sull’attuazione delle infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni telefoniche. L’art. 2, co. 3, d.l. 105/2023 (conv. nella legge 137/2023), che le ha istituite, ne ha demandato la realizzazione al Ministro attraverso almeno tre decreti (commi 2, 3 e 5); su ciascuno il Consiglio deve essere sentito – al pari del Garante per la protezione dei dati personali e del Comitato interministeriale per la cybersicurezza – “entro venti giorni dalla richiesta, decorsi i quali il provvedimento può essere adottato” (art. 2, co. 9, d.l. 105/2023). In ordine ai primi due decreti i venti giorni sono resi di fatto perentori dalla circostanza che al Ministero stesso siano dati termini insuperabili entro cui provvedere (sessanta giorni nel secondo comma e novanta nel terzo).
A chi conosca le procedure di deliberazione consiliare risulta evidente che venti giorni per esprimere un parere su temi altamente specialistici e settoriali – quali i requisiti tecnici specifici per la gestione (accesso, conservazione, trasferimento) dei dati relativi ai flussi delle conversazioni intercettate e per le garanzie di sicurezza delle relative infrastrutture – rappresentano una scadenza ben difficilmente conciliabile con una valutazione ponderata e approfondita.
La rilevanza conferita a tale funzione è testimoniata del resto dall’iter dei pareri, sistematicamente preceduti da una proposta della sesta commissione e previa consultazione formale dell’ufficio studi e documentazioni, mai emessi, per converso, per deliberazione diretta del Plenum [17], sebbene il regolamento consiliare lo consenta in via d’urgenza.
Perciò, quando la ristrettezza dei termini è destinata a comprimere i tempi della deliberazione, deve soccorrere la leale collaborazione tra le istituzioni, fatta anche di interlocuzioni preliminari che pongano il Consiglio nella condizione di rendere la propria consultazione effettiva e non formale.
La clausola di chiusura dell’art. 10, co. 2, l. 195/58 (“e su ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie”) consente infine di affermare che la funzione consultiva del CSM non è circoscritta ai soli disegni di legge e ai regolamenti che vi danno attuazione. L’oggetto è più ampio; il limite viene dalla materia, non dalla forma dell’atto.
Al Consiglio non è preclusa pertanto l’espressione di pareri sulle proposte di legge di origine parlamentare quando investano l’ordinamento giudiziario e l’esercizio della giurisdizione. Ciò vale, innanzi tutto, per gli atti di conversione dei decreti legge, stante l’impossibilità di un parere prima che il provvedimento d’urgenza sia adottato.
Ma ciò non può non estendersi anche al testo delle altre proposte legislative, una volta che questo si trovi formalmente depositato presso una delle Camere e l’iter di approvazione parlamentare sia stato avviato.
8. Il parere espresso d’iniziativa. La facoltà di esprimere pareri anche sulle proposte di legge di origine parlamentare si collega alla questione del possibile esercizio di questa attribuzione consultiva non su richiesta del Ministro, bensì per iniziativa del Consiglio.
V’è una prassi consolidata in tal senso, avallata autorevolmente anche da più di un Presidente della Repubblica [18], difesa espressamente da più di un vicepresidente del C.S.M. [19] e, pur tuttavia, non esente da critiche [20].
Va osservato, in primo luogo, che la legge non prevede alcuna richiesta.
A quello letterale si aggiungono peraltro altri argomenti a conforto della prassi consiliare, alcuni dei quali valgono a contrastare l’obiezione legata alla sua invadenza nella sfera legislativa: innanzi tutto il parere non è vincolante, sicché può fornire un contributo tecnico-giuridico, ma mai interferire con l’autonomia deliberativa del Parlamento, che lo può liberamente disattendere; secondariamente, la “collaborazione” istituzionale ha un contenuto ineludibile di doverosità, che richiede al Consiglio di fornire quel contributo ogni volta in cui ravvisi nell’attività legislativa in corso un intervento che interessi le materie affidate al suo governo. L’iniziativa del CSM pertanto, va letta non come intromissione, ma come ausilio nella ricerca della più efficace soluzione normativa sull’oggetto e rispetto alla linea di orientamento che il legislatore adotta nella più piena e incomprimibile autonomia politica.
D’altronde, se dovesse ritenersi che i pareri possano darsi solo a richiesta, si ammetterebbe la possibilità di una paralisi della funzione consultiva anche rispetto alle proposte di legge, poiché il Ministro stesso potrebbe omettere di richiederli. La storia, da questo punto di vista, insegna. Non convince al riguardo l’obiezione per cui il CSM. ha un’ampiezza di funzioni non azzerabili da un’ipotetica inerzia ministeriale: quella consultiva, infatti, è un’attribuzione specifica e singolare, dai contenuti e dagli effetti infungibili con quelli delle altre riconosciute al Consiglio; essa è l’unica idonea a favorire la formazione di leggi adeguate ai bisogni dell’ordinamento e della giurisdizione.
Collegata a questa considerazione è, infine, la questione dei contenuti dei pareri del CSM; periodicamente vengono commentate con avversione le espressioni di analisi critica che vi sono riportate, quasi che ogni manifestazione di dissenso determini di per sé un conflitto istituzionale.
È invero, invece, il contrario. La lealtà è propria di chi agisce con sincerità; e la sincerità giustifica la sottoposizione al pubblico dibattito e alla dialettica con le altre istituzioni delle problematiche che la legiferazione può comportare nella sfera della giurisdizione.
Altra cosa è il tono del dissenso e su questo non si può concordare con chi ha osservato che la nettezza di un’asserzione vada misurata non solo rispetto al ruolo dell’interlocutore, ma anche al livello del difetto che si intende censurare; perciò, ad esempio, se il C.S.M. intenda evidenziare un possibile profilo d’incostituzionalità, dovrà farlo avendo presente i possibili sconfinamenti della sua attribuzione rispetto al ruolo di altre cariche dello Stato. Ma questo è un problema di misura, non di limiti della funzione istituzionale.
[1] Il dibattito è avvenuto nel corso dell’adunanza plenaria del 25 ottobre 2023 e può essere riascoltato dal sito www.radioradicale.it/scheda/711669/consiglio-superiore-della-magistratura-plenum.
[2] Cfr. S. Gava, La crisi della giustizia. Discorso pronunciato al Senato nella seduta del 29 gennaio 1969 in risposta a varie mansioni, Tipografia delle Mantellate, 1969.
[3] Tesi “non peregrina”, secondo T. E. Frosini, I confini costituzionali del CSM e la riforma del sistema giustizia”, in www.federalismi.it 14, 2008, che richiama la ben più netta affermazione di E. Caianiello, in Istituzioni e liberalismo, Rubbettino, 2005, 56.
[4] Per giurisprudenza costituzionale consolidata, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile agli organi dell'amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è estraneo all'esercizio della funzione giurisdizionale (così, tra le altre, Corte cost. 174/2005, 272/2008, 66/2014, 44/2016, 91/2018 e 90/2019).
[5] L’espressione si deve ad A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia. La magistratura nel sistema politico e istituzionale, Einaudi, 1990, 95.
[6] Corte cost., 27 luglio 1992, n. 379. La sentenza viene commentata con riferimento ai rapporti più generali tra C.S.M. e Ministro della giustizia in N. Zanon e F. Biondi, Diritto costituzionale e dell’ordine giudiziario, Status e funzione dei magistrati alla luce deli principi e della giurisprudenza costituzionale, Giuffré, 2002, 15.
[7] Corte cost., 30 dicembre 2003, n. 380.
[8] In tal senso si esprime testualmente la commissione Paladin, istituita il 26 luglio 1990 dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per rendere un parere sulla posizione istituzionale del Consiglio, reperibile in www.csm.it, pag. 159.
[9] Artt. 21, reg. int. approvato il 26 marzo 1976, e 28, reg. int. del 6 aprile 1988.
[10] N. Zanon, I pareri del Consiglio Superiore della Magistratura tra leale collaborazione e divisione dei poteri, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2009, 3; F. Biondi, Profili costituzionali e ordinamento giudiziario: il ruolo del Csm, in www.air.unimi.it, 2010, 6.
[11] Così F. Dal Canto, in Lezioni di ordinamento giudiziario, Giappichelli, 2020, XV, secondo cui l’o.g. è altrimenti definibile come “quella parte del diritto pubblico che si occupa, da un punto di vista statico, dell’insieme di principi, regole ed istituti strumentali al funzionamento degli organi che esercitano l’attività giurisdizionale”.
[12] Sul “dovere costituzionale funzionale dei giudici di assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto” cfr. G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, I, 1998, 88.
[13] Cfr. Corte cost., 24 gennaio 2017, n. 16, per cui l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica è “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto”.
[14] Si tratta della lettera di G. Napolitano indirizzata l’1 luglio 2008 al vicepresidente N. Mancino, in www.archivio.quirinale.it/aspr/comunicati, e riferita al parere espresso dal C.S.M. sul c.d. “decreto sicurezza” (d.l. 23 maggio 2008, n. 92).
[15] Ci si riferisce a N. Zanon, I pareri del Consiglio Superiore della Magistratura tra leale collaborazione e divisione dei poteri, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2009, 13.
[16] Così C. Salazar, in Il Consiglio Superiore della Magistratura e gli altri poteri dello Stato: un’indagine attraverso la giurisprudenza costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, 2007, 13. Secondo E. Fortuna, I pareri del C.S.M. e i disegni di legge di sospetta incostituzionalità, in La magistratura, 2008, 241, “mai si sono posti dubbi sulla legittimità e opportunità di esprimersi anche sulla costituzionalità della norma, se ciò appariva necessario o utile al fine di stabilire fino a che punto fosse prevedibile una ricaduta positiva o negativa sull’organizzazione o sul funzionamento della macchina giudiziaria”.
[17] Ci si riferisce all’art. 23, co. 2, del vigente regolamento interno del CSM.
[18] Cfr. il discorso di C. A. Ciampi del 26 maggio 1999, in www.csm.it, e la lettera di G. Napolitano, già citata.
[19] Ci si riferisce agli interventi pubblici di N. Mancino, su La stampa dell’1 luglio 2008, Il Csm boccia la blocca processi. Napolitano, richiamo ai giudici, in www.lastampa.it/politica/2008, e di V. Rognoni, sul Corriere della sera del 7 luglio 2008, Perché i pareri del Csm sono legittimi, riportato in 19luglio1992.com/rassegna-stampa-7-luglio-2008.
[20] N. Zanon, I pareri, cit., 7 ss., il quale evoca per il Consiglio l’immagine della “terza Camera” che interviene, spesso con contenuti fortemente critici, magari dopo che una disegno di legge sia stato già approvato da un ramo del Parlamento, mettendo “in campo profili di rapporto tra poteri, che presentano una loro oggettiva «pesantezza»”.
[21] E. Paciotti, I tempi della giustizia, in I Quaderni di Astrid, Il Mulino, 2005, depreca proprio il fatto che “troppo spesso il Governo e lo stesso Parlamento hanno adottato innovazioni legislative in tema di ordinamento giudiziario e di giustizia senza che fosse richiesto in modo corretto ed effettivo il previsto parere del Consiglio superiore della magistratura. Il decreto sulla competitività, i decreti legge, e le relative leggi di conversione, in materia di proroga dei magistrati onorari, di proroga del procuratore nazionale antimafia, di trasferimento di competenze al giudice di pace, di prescrizione dei reati sono frutto di politiche di breve periodo e, spesso, addirittura emergenziali, che hanno finito per accrescere in via generale le difficoltà operative degli uffici giudiziari ed hanno ostacolato la programmazione dei lavori del Consiglio superiore della magistratura: l’intera politica sulla giustizia è stata sviluppata dal governo in modo profondamente autoreferenziale. Occorre, dunque, che su tutte le iniziative legislative che hanno ricadute in materia di ordinamento giudiziario, ivi comprese le disposizioni processuali di natura sistematica, il Ministro provveda a richiedere al Consiglio superiore un parere che, per le caratteristiche dell’organo da cui proviene, è in grado di fornire indicazioni e valutazioni potenzialmente di grande utilità”.
[22] Così ancora N. Zanon, I pareri, cit., 10.
[23] Così B. Giangiacomo, Le funzioni dei Consigli superiori della magistratura, in www.foroplus.it, 2011, 3.
[24] In tal modo può leggersi l’osservazione di N. Zanon, I pareri, cit., 14.