GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Intervista a Genantonio Chiarelli, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    ​Intervista a Genantonio Chiarelli, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    Intervista a Genantonio Chiarelli, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022 

    di Donatella Palumbo

    Genantonio Chiarelli, detto Geno, è in servizio dal settembre 2010 presso la Sezione Penale del Tribunale di Brindisi, da due anni con funzioni di giudice coordinatore della Sezione dibattimentale. Dopo il tirocinio svolto presso gli uffici giudiziari di Bari, ha ricoperto la funzione di Pretore a Potenza e presso la Pretura di Viggiano per i primi tre anni, dal 1997 al luglio 2010, ha prestato servizio prima come Pretore e poi come giudice penale presso il Tribunale di Taranto. Nel corso del quadriennio 2016/2020 è stato componente del Consiglio Giudiziario del distretto di Corte d’appello di Lecce. Il 18 e il 19 settembre 2022 si vota per il rinnovo della componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura e Genantonio Chiarelli propone la sua candidatura per la categoria giudici di merito nel collegio 4.

    Il 7 dicembre 2001 da giovane giudice del Tribunale di Taranto hai pronunciato la prima sentenza di condanna contro il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ilva per una vicenda di mobbing ai danni di alcuni dipendenti del centro siderurgico, non allineati alla dirigenza e per questo relegati nella palazzina Laf, inutilizzata e priva di impianti di lavorazione. Hai potuto sperimentare, quindi, sin da subito la solitudine del giudice di fronte a casi anche di rilievo mediatico e a orientamenti innovativi della giurisprudenza di merito, condizione che accomuna molti dei magistrati di prima nomina nelle sedi di piccole e medie dimensioni. Come dovrebbe operare il Consiglio Superiore della Magistratura per migliorare le condizioni di lavoro dei magistrati e soprattutto dei giovani nelle sedi periferiche?

    Mi fai venire in mente uno dei momenti più intensi della mia vita professionale, quando da giovane Pretore portai a compimento un complesso processo per una lunga serie di episodi delittuosi integranti un sistema umiliante e strutturato di mobbing aziendale, di vero e proprio confino cui erano stati sottoposti un centinaio di dipendenti rei di non aver accettato, nell’ambito della ristrutturazione aziendale allora in atto, il loro demansionamento professionale. Letta anche con il senno di poi, quella esperienza mi ha fatto toccare con mano il valore dell’essere un magistrato libero, autonomo, scevro da condizionamenti esterni, non legato a vincoli di mera produttività quantitativa. E così è stato possibile reggere il peso della solitudine, l’ingombrante presenza mediatica, la forza di imputati “eccellenti” e del potente collegio difensivo, la difficoltà della qualificazione in termini penalistici delle condotte oggetto di contestazione. Sono certo che oggi ripercorrerei la stessa strada. Ma forse sarebbe più difficile, dovrei lottare con la paura di fornire una interpretazione dei fatti fuori dal coro, avrei timore di annullamenti nei successivi gradi di giudizio, potrei temere ripercussioni per la mia valutazione di professionalità, non so. E veniamo al cuore della questione. L’autonomia della magistratura è valore costituzionale, è tutela dei diritti dei cittadini, è coraggio di adottare nuove soluzioni interpretative. E le recenti riforme legislative non sembra corrano in questa direzione. Si impone, dunque, una forte reazione a questa possibile deriva, occorre attenzione alle scelte organizzative, utili a garantire il lavoro dei giovani colleghi e a favorire un percorso di confronto all’interno dell’ufficio, capace di far sentire ogni magistrato parte significativa di un tutto. Ma occorre anche recupero del nostro entusiasmo e del nostro orgoglio, nella consapevolezza dell’importanza della funzione che svolgiamo ogni giorno in nome del popolo italiano.

    Il conseguimento degli obiettivi del P.N.R.R. e l’improcedibilità dell’azione penale in grado di appello e in cassazione impongono una attenta riflessione sulla distribuzione e gestione delle risorse anche in relazione alle piante organiche dei distretti. Quali strumenti dovrà azionare il Consiglio Superiore della Magistratura affinchè vi sia una più efficace allocazione e valorizzazione delle risorse disponibili ai fini del raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi, garantendo al contempo massima attenzione alla qualità della giurisdizione e non solo alla mera quantità rilevabile dalla statistica?

    Il tema, complesso, coinvolge vari aspetti. Consentitemi in primo luogo di ribadire che la filosofia di fondo di alcuni interventi collegati al P.N.R.R. ha un orizzonte temporale limitato e prescinde da progetti di più ampio respiro e proiettati nel futuro. Una casa che non funziona bene si ristruttura prima dalle fondamenta e poi ci si preoccupa del resto; e ristrutturare dalle fondamenta il nostro settore significa, in primo luogo, riempire al più presto i vuoti di organico nella magistratura e nel personale, oltre che intervenire con interventi normativi tesi alla semplificazione dei processi penali e civili, con conseguente accelerazione dei tempi. Nell’ultima relazione allegata al programma di gestione ho ribadito, numeri alla mano, quella che mi sembra una banalità, ma che tale non è, e cioè che se la sezione penale che coordino avesse avuto la piena copertura, che se non avessimo avuto problemi nel celebrare le udienze per assenza di personale e per carenze di aule, avremmo certamente ottenuto brillanti risultati in termini di smaltimento dell’arretrato. Tornando al punto. L’atteggiamento critico nei confronti di alcuni interventi normativi non ci esime dal dovere di cogliere ogni opportunità fornitaci, per es., quella relativa alla gestione dell’Ufficio del Processo: ho avuto occasione di constatare troppe differenze nell’applicazione della riforma, a volte attuata con occhio miope e conservativo, quando invece l’elaborazione di moduli virtuosi può produrre un effettivo beneficio nello smaltimento del lavoro. Ragionare, appunto, in termini di “ufficio del processo”, in termini collettivi, di struttura e di non di mero ausilio alla cancelleria o ai singoli magistrati, rappresenta un percorso che vale la pena percorrere. Purché si sia consapevoli che i fattori di criticità ci sono, hanno natura oggettiva (si pensi anche solo a dove allocare fisicamente queste risorse e di quali strumenti dotarli) e verosimilmente impediranno di raggiungere gli ambiziosi obiettivi quantitativi declamati con troppa enfasi (e non certo per inefficienza della magistratura). La definizione delle piante organiche è stata oggetto di recenti interventi, mi pare di poter dire deludenti, in quanto conclusisi sostanzialmente con una distribuzione a pioggia e non in relazione alle reali esigenze degli uffici. Ciò non toglie che il C.S.M. possa farsi carico di una operazione di periodico monitoraggio basato su dati statistici il più possibile significativi, anche dal punto di vista qualitativo; e possa poi garantire attenzione particolare agli uffici, tanti, troppi, di più modeste dimensioni: nelle procedure di tramutamento, per es., l’applicazione di criteri matematici in proporzione alla scopertura rischia di trasferire le risorse nelle sedi più grandi e lasciare le sedi periferiche ai magistrati con minore esperienza, ponendo le premesse per un continuo avvicendamento, dannoso per l’efficienza dell’ufficio e dannoso per i magistrati che ci lavorano, sopportando  enormi sacrifici personali.

    Nel corso del quadriennio 2016/2020 sei stato componente del Consiglio Giudiziario del distretto di Corte d’appello di Lecce. Ritieni utile coltivare un’interlocuzione costante tra Consiglio Superiore della Magistratura e Consiglio Giudiziario e in che modo può avvenire questo collegamento, in tal modo riverberandosi positivamente anche sulla comunicazione istituzionale fra organo centrale e organi periferici dell’autogoverno?

    Ho vissuto con entusiasmo la campagna di presentazione di Elisabetta Chinaglia per le elezioni suppletive, partecipandovi attivamente, anche per l’intima convinzione della bontà del suo messaggio politico, nella parte in cui poneva in risalto il valore dell’autogoverno. Autogoverno, nell’accezione forse più atecnica, significa contributo dal basso di ciascuno di noi alla migliore organizzazione dell’ufficio nel quale si opera, con i propri comportamenti quotidiani: ogni magistrato deve essere consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, e partecipare in maniera responsabile alla resa di un servizio, dignitoso ed efficace, quanto più possibile rapido. Ho sempre sostenuto la necessità di un diverso approccio da parte di ciascuno di noi alle dinamiche ordinamentali, sollecitando il più possibile i colleghi a manifestare il proprio punto di vista anche nelle forme delle “osservazioni”. Termine che evoca troppe paure, quando invece dovrebbe essere vissuto come mera occasione di confronto, come nobile forma di manifestazione del proprio pensiero sulle questioni organizzative in sede locale. Forse basterebbe modificare il termine da “osservazioni”, che implica un giudizio di rimprovero, a “suggerimenti”, che si ricollega ad intenti propositivi, per aiutare questo auspicato cambio di passo. Quanto all’esperienza vissuta al Consiglio Giudiziario, non posso che ricordarne il carattere altamente formativo: essa ha consentito di acquisire gli strumenti per la conoscenza  delle varie tematiche ordinamentali, complesse ed articolate, ha imposto l’abitudine al confronto, interno al gruppo, ma anche con i dirigenti degli uffici e  con i  colleghi  portatori di diverse sensibilità, in un lavoro non sempre agevole, ma indispensabile ai fini del corretto funzionamento di ogni organo collegiale. Quale articolazione locale dell’autogoverno, è assolutamente auspicabile che il rapporto fra consiglio giudiziario e C.S.M. sia sempre più stretto, in modo da garantire un flusso quanto più possibile continuo di informazioni reciproche, utili ad adottare delle decisioni motivate e ponderate, in un contesto quanto più possibile poco burocratizzato. Ogni moderna forma di organizzazione si basa più sul metodo improntato al dialogo/confronto che non sul metodo bocciatura/approvazione. Fermo restando che trattasi di questioni che richiedono modifiche normative, vedrei di buon grado un rafforzamento dei poteri dei consigli giudiziari, il riservare loro dei poteri non solo consultivi, per una serie di pratiche più snelle che potrebbero essere definite già in sede locale: il che porterebbe a sgravare il lavoro del C.S.M. e a responsabilizzare maggiormente i singoli consigli giudiziari (che finirebbero per assumersi direttamente la paternità di alcune decisioni).

    La tua candidatura è nata nell’assemblea distrettuale leccese del gruppo di Area Democratica per la Giustizia. La base degli iscritti e dei simpatizzanti ha apprezzato, oltre che le tue doti professionali e di impegno costante nella giurisdizione, anche il lato umano, essendoti mostrato aperto al confronto, talvolta anche aspro, ma sempre franco e diretto in ordine ai problemi degli uffici e alle esigenze dei territori. Quanto è importante, anche per un consigliere superiore, il rapporto con la realtà concreta degli uffici giudiziari?

    Tale rapporto, non   è importante, è fondamentale. Quello del confronto leale, anche aspro, come dici tu, forse memore di alcune assemblee vissute insieme, è stato sempre il metodo da me praticato nella organizzazione del mio lavoro, nell’esperienza al Consiglio Giudiziario, nel lavoro di coordinamento della sezione, nelle assemblee e negli incontri con i colleghi. Ritengo possa essere l’unico metodo, per un Consigliere del C.S.M., che consenta di stare vicino alle realtà degli uffici, di comprenderne le esigenze, di valutare le soluzioni, elaborando quelle di propria competenza; e poi di spiegarle e di verificarne la portata. Sulle candidature al C.S.M. va ribadito il valore politico del metodo democratico, non declamato ma praticato e del quale dobbiamo essere fieri, seguito da Area Democratica per la Giustizia per la selezione dei candidati, partita dalle assemblee distrettuali, ove ampio è stato il confronto, e conclusa con le primarie.    

    Qual è il modello di Consiglio Superiore della Magistratura che hai sempre immaginato e che vorresti contribuire a realizzare?

    Sono in parte restio a parlare di modelli. Certamente non penso ad un C.S.M. semplice amministratore del “condominio giustizia” e delle “carriere dei magistrati”, men che meno un luogo deputato soltanto alla nomina dei dirigenti degli uffici (come purtroppo sta accadendo nell’errato immaginario collettivo). Come già detto e scritto in vista delle primarie, il C.S.M. deve essere ben attento al suo ruolo “politico” come disegnato dalla Costituzione nell’assetto dei poteri dello Stato: quindi attento a proteggere l’autonomia ed indipendenza quale mezzo per garantire la funzione di verifica della legalità e quindi non il privilegio della corporazione; preoccupato dell’efficienza dell’organizzazione giudiziaria e della sua concreta efficacia non dimenticando che la risposta alla domanda di giustizia non è solo quantità ma anche qualità; vicino alle esigenze concrete dei magistrati ma attento ad una crescita della deontologia, non solo professionale, e ad una verifica, seria e non propagandistica, delle cadute deontologiche; trasparente nelle sue decisioni nella consapevolezza che si tratta di un organo collegiale in cui nessuno è portatore esclusivo di verità; capace, quale organo elettivo e, dunque, di rappresentanza dei magistrati, di ripudiare, senza ipocrisie di facciata, la logica delle appartenenze; scrupoloso nella valutazione anche della pratica all’apparenza più banale, dietro la quale c’è sempre un magistrato che attende, e capace di contemperare esigenze collettive ed esigenze individuali; consapevole della necessità di raggiungere il livello più alto di efficienza possibile, efficienza intesa anche come rapidità delle decisioni. E soprattutto un C.S.M. pronto a  leggere la realtà politica e capace di  affrontare quella che sarà verosimilmente  una sfida  gravosa, nel prossimo contesto parlamentare, con ogni probabilità lontano anni luce dal modo di intendere la giurisdizione da parte della magistratura progressista: sfida per affrontare la quale, occorrerà ribadirlo in “campagna elettorale”, ritengo  significativa e importante la risposta  altamente politica che un gruppo unitario come Area Democratica per la Giustizia sarà  in grado di dare, ancora più rilevante se, come non è escluso, ci troveremo di fronte ad una componente togata del C.S.M. molto  frammentata.

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