GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto  di Bruno Nascimbene

    Il dibattito lanciato da Giustizia Insieme con l'editoriale L'estremo saluto al Protocollo 16 annesso alla CEDU, dopo gli interventi di Antonio Ruggeri - Protocollo 16: funere mersit acerbo? - Cesare Pinelli - Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale Elisabetta Lamarque - La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa Carlo Vittorio Giabardo - Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courtsEnzo Cannizzaro - La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n.16 - Paolo Biavati - Giudici deresponsabilizzati ? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16 Sergio Bartole - Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare - si arricche con il saggio del Prof.Bruno Nascimbene, già professore ordinario di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea.

    La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto

    di Bruno Nascimbene *  

    Sommario. - 1. La mancata ratifica del Protocollo n. 16. La ratifica e l’entrata in vigore del Protocollo n. 15. – 2. Il rinvio consultivo alla Corte EDU previsto dal Protocollo n. 16: analogie con il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. – 3. L’intreccio fra rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale. Dialogo fra giudici, ruolo del giudice nazionale. – 4. La tutela dei diritti del singolo. Casi pratici e soluzioni. – 5. L’obbligo di rinvio pregiudiziale e la facoltà di rinvio consultivo. La necessità di assicurare un coordinamento fra strumenti e sistemi. – 6. Considerazioni conclusive. Una valutazione positiva del Protocollo n. 16 nel contesto della cooperazione e del dialogo fra giudici.

    1. La mancata ratifica del Protocollo n. 16. La ratifica e l’entrata in vigore del Protocollo n. 15

    La mancata ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU, diversamente dalla ratifica del Protocollo n. 15 che consentirà l’entrata in vigore del Protocollo (l’Italia era l’ultimo dei Paesi membri del Consiglio d’Europa a non averlo ratificato), ha suscitato e continua a suscitare un vivace dibattito, soprattutto dopo le audizioni alla Camera dei deputati di professori, giudici, esperti[1]. Lo “stralcio” del ddl di ratifica del Protocollo n. 16, a seguito di emendamenti approvati il 29 luglio e il 23 settembre 2020 (veniva espunto dal testo e dal titolo dell’articolato ogni riferimento al Protocollo[2]) ha fatto sì che i percorsi siano stati diversi, consentendo per il n. 15 che introduce alcuni emendamenti alla Convenzione (diversamente dal n. 16, che è di completamento), la ratifica e, quindi, l’entrata in vigore, per  la quale, diversamente dal n. 16, è prevista l’unanimità degli Stati contraenti (c.d. clausola si omnes)[3].  In sintesi, il n. 15 modifica la Convenzione in questi termini: a) aggiunge un “considerando” al preambolo della Convenzione, che contiene un riferimento espresso al principio di sussidiarietà e al margine di apprezzamento degli Stati; b) riduce il termine, da sei a quattro mesi, entro cui il ricorso deve essere introdotto; c) elimina la seconda condizione di ricevibilità di un ricorso relativa all’esame, debitamente compiuto da un giudice interno (resta la prima condizione del pregiudizio significativo, salvo che il rispetto dei diritti umani esiga un esame del merito); d) priva le parti di un processo, della possibilità di opporsi alla decisione di una Camera di declinare la propria competenza a favore della Grande Camera; e) modifica il limite di età (prima di settanta anni) per essere eletto giudice, prevedendo che i candidati abbiano meno di sessantacinque anni alla data in cui la lista dei tre candidati viene comunicata all’Assemblea parlamentare[4].

    Lo “stralcio”, tuttavia, dovrebbe comportare un rinvio, non già un abbandono, come invece molti auspicano[5]. Il dibattito sulla ratifica resta comunque aperto, anche in considerazione, come si è detto, della diversa sorte del Protocollo n. 15, e della ripresa dei negoziati per l’adesione dell’Unione europea alla CEDU interrotti dopo il primo parere negativo n. 2/13 espresso dalla Corte di giustizia[6]. I negoziati sono in corso e oggetto della discussione è anche il Protocollo n. 16, più precisamente il confronto fra Corte EDU e parere consultivo reso ai sensi del Protocollo, da un lato, e Corte di giustizia e sentenza pregiudiziale pronunciata ai sensi dell’art. 267 TFUE, dall’altro lato[7]. Anche se il Protocollo, dalla data della sua firma (2 ottobre 2010, in vigore dal 1 agosto 2018) è stato ratificato da un numero limitato di Stati (quindici; nove appartenenti all’Unione europea), merita attenzione sotto più profili[8]. Perché esso si colloca nel più ampio contesto del dialogo fra giudici europei e fra giudici nazionali ed europei, nonché della protezione o maggior protezione dei diritti della persona,  e perché questo nuovo strumento di collaborazione internazionale-europea è l’occasione per svolgere alcune riflessioni su analogie e differenze fra il “tradizionale” rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e il rinvio previsto dal Protocollo[9]

    2. Il rinvio consultivo alla Corte EDU previsto dal Protocollo n. 16: analogie con il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia

    Il Protocollo consente alle più “Alte giurisdizioni” di una Parte contraente di chiedere alla Corte EDU dei pareri consultivi su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli (art. 1)[10]. Se lo scopo è chiarire, in termini di interpretazione e applicazione, i profili giuridici di questa o quella norma del sistema europeo di protezione dei diritti della persona, non si può negare una qualche analogia con il rinvio pregiudiziale, con i limiti, tuttavia, di a) applicabilità materiale, b) di non utilizzabilità da parte di tutti i giudici nazionali, c) di non vincolatività della pronuncia della Corte EDU (come si dirà). Un’analogia parziale, che ha fatto ritenere, erroneamente, che sia nata, per via convenzionale, una sorta di nuovo rinvio pregiudiziale, qualificabile tale anche se di carattere “speciale” perché riguarda la tutela dei diritti della persona[11].

    È dunque inevitabile chiedersi se questo rinvio alla Corte EDU si coordina, o non, con il rinvio ex art. 267 TFUE, se sia utile e vantaggioso per la tutela dei diritti della persona e, soprattutto, se possa in qualche modo pregiudicare quel meccanismo o strumento di grande successo per la collaborazione fra giudici e fra sistemi, rappresentato dal rinvio pregiudiziale: definito, com’è noto, la “chiave di volta del sistema giurisdizionale”[12].

    All’indomani della sua entrata in vigore ( grazie alla ratifica francese) il Presidente della Corte EDU dell’epoca così si espresse: «L’entrée en vigueur du Protocole n. 16 va renforcer le dialogue entre la Cour européenne des droits de l’homme et les juridictions supérieures nationales. C’est une étape fondamentale dans l’histoire de la Convention européenne des droits de l’homme et un développement majeur de la protection des droits de l’homme en Europe. C’est aussi un nouveau défi pour notre Cour »[13].

    La Corte EDU si rafforza, l’opportunità di dialogo viene definita (forse con un eccesso di ottimismo) storica, ma certamente si tratta di una “sfida” per un sistema giurisdizionale europeo che richiede collaborazione e intesa fra giudici. Non deve rappresentare occasione di contrasto né con i giudici nazionali, né tanto meno con la Corte di giustizia. Se esiste un “concorso”, questo deve intendersi in senso positivo, non potendo pregiudicare le competenze nazionali o addirittura la sovranità dello Stato, come è stato sostenuto da alcuni autori (ed esperti), ma soprattutto da alcuni politici in sede di discussione del ddl di ratifica[14]. Tale preoccupazione non è giustificata. È lo stesso “Rapport explicatif” del Protocollo che spiega, pur rivendicando “le rôle constitutionnel de la Cour”, in primo luogo che la domanda di parere è posta soltanto dai giudici di ultima istanza e dai giudici costituzionali; in secondo luogo, che “une telle demande d’avis […] serait toujours facultative et l’avis rendu par la Cour n’aurait pas de caractère obligatoire”[15]. Rilievi, questi, che da soli differenziano il “rinvio CEDU” dal “rinvio UE”, peraltro tesi a giustificare la ratio e l’utilità degli orientamenti di principio che verranno forniti.

    Ci si può chiedere, peraltro, quale sia l’utilità di tale strumento, e anche quali siano le ragioni di tanto contrasto, cui è seguito lo “stralcio” di cui si è detto[16], se è vero che non solo non vincola il giudice che se ne avvale, ma anche gli altri giudici, né di ultimo grado, né di grado inferiore. Inoltre, il fatto che il giudice nazionale non è obbligato a conformarsi al parere, può offrire l’occasione per proporre un motivo di doglianza da parte di chi, rimasto pregiudicato dalla sentenza del giudice nazionale non conforme al parere, intenda ricorrere alla Corte EDU una volta esaurite le vie di ricorso interne[17].

    3. L’intreccio fra rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale. Dialogo fra giudici, ruolo del giudice nazionale

    L’intreccio fra rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e rinvio consultivo alla Corte EDU (solo sfiorato, considerata la sua tecnicità, nel dibattito parlamentare, ma di sicuro interesse anche di carattere pratico) può porre qualche problema al giudice nazionale.

    a) Il giudice nazionale può chiedere un parere e, poi, rivolgersi alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE. La Corte terrà conto del parere, non diversamente da come tiene conto della giurisprudenza della Corte EDU (senza pregiudicare, come più volte ha ricordato la Corte di giustizia, “l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia”)[18]. E se viene in rilievo la Carta dei diritti fondamentali, precisamente le disposizioni della stessa che contengono diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi, come prevede la clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 52, par. 3 Carta, sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU. Fatta salva la competenza della Corte a riconoscere una protezione più estesa, prevista dal diritto dell’Unione (che “non preclude” tale protezione) per i diritti che vengono in rilievo[19].

    b) Il giudice nazionale può chiedere un parere alla Corte EDU dopo la pronuncia in via pregiudiziale. E la Corte EDU, malgrado l’orientamento espresso nella nota sentenza Bosphorus circa il livello di tutela dei diritti umani fornito dall’ordinamento dell’Unione, ritenuto equivalente a quello della CEDU (pur non essendo l’Unione una parte della stessa), sarebbe legittimata a fornire un’interpretazione diversa da quella della Corte di giustizia[20]. Il problema di compatibilità, tuttavia, si porrebbe per il giudice nazionale, vincolato alla sentenza della Corte di giustizia e al rispetto del principio del primato del diritto UE[21]. Si tratta di una situazione di non facile soluzione, che potrebbe determinare il giudice nazionale ad effettuare un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per chiedere chiarimenti oppure (nel nostro ordinamento) a rivolgersi alla Corte costituzionale, considerato il possibile contrasto fra obblighi che discendono da due fonti diverse, la CEDU e i Trattati UE, e considerato il precetto contenuto nell’art. 117, 1° comma Cost., che impone il rispetto, quanto all’esercizio della potestà legislativa, “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”[22].

    c) Per completezza, si ricorda anche una terza ipotesi: un rinvio contemporaneo alla Corte EDU e alla Corte di giustizia. Si tratta di un modus operandi sicuramente vantaggioso sotto il profilo temporale della durata del processo, ma che potrebbe creare maggiori incertezze per il giudice nazionale qualora le due interpretazioni fossero divergenti, pur non essendo vincolante quella della Corte EDU. L’intreccio, come si vede, è complesso e la durata del processo, se fossero esperiti entrambi i rinvii, si allungherebbe in modo sensibile. La protezione di diritti fondamentali, tuttavia, può giustificare una maggiore durata (in termini ragionevoli) del processo, ma la durata non sembra di per sé elemento sufficiente, e dirimente, ad escludere l’opportunità della ratifica[23]

    4. La tutela dei diritti del singolo. Casi pratici e soluzioni

    Qualche caso pratico merita attenzione anche per offrire ipotesi di soluzione quando, nella pratica, fonti diverse sono applicabili. In un caso in cui un giudice comune (italiano) si è rivolto prima alla Corte di giustizia, e poi alla Corte costituzionale, la quale, tuttavia, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità, ben avrebbe potuto, o potrebbe, se fosse una “alta giurisdizione”, ai sensi del Protocollo, rivolgersi alla Corte EDU. Nella specie era venuta in rilievo la diversa interpretazione, in materia di ne bis in idem, dell’art. 50 della Carta e dell’art. 4, Protocollo n. 7 della Convenzione. La sentenza resa dalla Corte di giustizia in via pregiudiziale (Menci) distingue il diritto UE dalla CEDU e dichiara di non ignorare la giurisprudenza della Corte EDU, che espressamente menziona, ma dichiara espressamente che essa “non incide” sulla propria decisione, distinguendo, appunto, il sistema UE di tutela giurisdizionale da quello CEDU[24]. Una distinzione, questa, ripetuta in altra sentenza della Corte di giustizia in cui veniva in rilievo (in Austria) la riapertura di un processo penale a seguito di violazione della CEDU, ma non a seguito della violazione di una norma di diritto UE. La Corte, in tale occasione (XC, YB, ZA), ribadendo quanto affermato nel parere 2/13, ha sottolineato l’importanza del rinvio pregiudiziale nel “quadro costituzionale” rappresentato dal sistema di diritto UE. La Corte sottolinea, in tale quadro, in cui deve essere assicurata la tutela effettiva dei diritti al singolo, il ruolo dei giudici nazionali ai quali è conferita la facoltà o obbligo, a seconda dei casi, di proporre un rinvio pregiudiziale ogniqualvolta ne ritengano la necessità o l’opportunità”[25]. L’avvocato generale (nella causa ricordata XC, YB, ZA), svolgendo rilievi sulla distinzione fra diritto UE e CEDU, sulle garanzie giurisdizionali e l’effettività dei diritti, precisa che, per quanto vi possano essere analogie fra i due sistemi, il rinvio pregiudiziale presenta “tre differenze principali”, poiché a) il “meccanismo” previsto dal Protocollo n. 16 consente il rinvio solo alle più alte giurisdizioni; b) la Corte EDU esercita un controllo preventivo di ricevibilità delle domande (art. 2 Protocollo); c) i pareri consultivi non sono vincolanti (art. 5 Protocollo)[26].

    Differenze importanti, dunque, che rivendicano (per così dire) la differenza fra sistemi. La Corte EDU, quasi a voler replicare alla Corte di giustizia nella materia ricordata relativa all’interpretazione e applicazione del principio del ne bis in idem, si limita (sentenza Nodet c. Francia) a dare atto della giurisprudenza della Corte di giustizia, citando i passaggi maggiormente rilevanti di alcune sentenze di detta Corte (soprattutto la sentenza Menci), ma senza trarne alcuna conseguenza al fine del decidere[27]. Considerazione reciproca fra Corti e rispettiva giurisprudenza, dunque, senza contrasti, nel rispetto di una valutazione distinta seppur ispirata ai medesimi valori di fondo. 

    5. L’obbligo di rinvio pregiudiziale e la facoltà di rinvio consultivo. La necessità di assicurare un coordinamento fra strumenti e sistemi

    Considerato che il giudice nazionale di ultima istanza (“avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”, art. 267, 3°comma TFUE) ha l’obbligo di rivolgersi alla Corte di giustizia e che la mancata motivazione del rinvio assume rilievo anche sotto il profilo della CEDU, come ha recentemente sottolineato la Corte EDU (sentenza Sanofi Pasteur c. Francia), in conformità ad un precedente orientamento, ha ritenuto violato l’art. 6, par. 1 perché la Corte di Cassazione francese nel decidere di non rinviare una questione di interpretazione del diritto UE alla Corte di giustizia (come avrebbe dovuto ex art. 267, 3°comma) non aveva motivato la non necessità del rinvio secondo i criteri fissati nella nota sentenza Cilfit[28]. Nei casi in cui si pone una sorta di concorso fra rinvio pregiudiziale e rinvio ai sensi del Protocollo 16, la soluzione preferibile, se non imposta (come si dirà poco oltre) dal primato del diritto UE e dalla necessaria coerenza fra Carta e CEDU, è adire prima la Corte di giustizia e poi, se del caso, alla luce del criterio di corrispondenza fra norme, contenuto nell’art. 52, par. 3 Carta, adire la Corte EDU. Il coordinamento insomma è possibile, e anche sotto questo profilo vengono meno le ragioni di contrasto alla ratifica del Protocollo.

    Il parere della Corte di giustizia sull’adesione dell’Unione europea alla CEDU (il cui contenuto, come si è accennato, è stato ribadito nella giurisprudenza successiva della Corte)[29], indica, peraltro, questa soluzione di possibile coordinamento. Il parere ben distingue il rinvio pregiudiziale dal rinvio ai sensi del Protocollo e censura il progetto di accordo di adesione perché non contiene alcuna disposizione sull’ “articolazione del meccanismo istituito dal Protocollo n. 16 con la procedura di rinvio pregiudiziale contemplata nell’art. 267 TFUE”, giudicando l’accordo come “idoneo a pregiudicare l’autonomia e l’efficacia di tale procedura” e, quindi, “suscettibile di pregiudicare le caratteristiche specifiche del diritto dell’Unione e l’autonomia di quest’ultimo[30].

    Il “rischio di elusione della procedura di rinvio pregiudiziale”[31] a vantaggio del meccanismo di cui al Protocollo è messo in evidenza, soprattutto, nella presa di posizione dell’avvocato generale Kokott, anche nel caso in cui l’Unione non aderisse alla CEDU, poiché il giudice di uno Stato membro che ratifica il Protocollo può disporre il rinvio indipendentemente dall’adesione. I giudici nazionali non possono comunque sottrarsi agli obblighi posti dal diritto UE. L’art. 267, 3°comma “prevale sul diritto nazionale e dunque anche su un accordo internazionale eventualmente ratificato da singoli Stati membri dell’Unione”. Il primato del diritto UE ha per conseguenza che i giudici “laddove chiamati a decidere su una controversia rientrante nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, devono sottoporre eventuali questioni attinenti ai diritti fondamentali prioritariamente [alla] Corte e prioritariamente conformarsi alle decisioni di quest’ultima”[32].

    Insomma, l’autonomia del diritto dell’Unione nonché della Corte di giustizia non può essere pregiudicata, anche se il parere reso dalla Corte EDU è facoltativo[33]. Il rapporto fra i due sistemi, se considerati in sede di dibattito circa la ratifica del Protocollo, avrebbe potuto portare a queste conclusioni, fondate sulla distinzione, appunto, fra i due sistemi, che non esclude, anzi richiede il coordinamento, a favore della miglior tutela dei diritti della persona.

    Quanto all’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale, diversamente dalla facoltatività del rinvio ai sensi del Protocollo, sembra opportuno ricordare le affermazioni della Corte di giustizia in occasione di un procedimento di infrazione (contro la Francia). Il Conseil d’Etat, giudice di ultima istanza, avrebbe dovuto adire la Corte “al fine di evitare il rischio di un’errata interpretazione del diritto dell’Unione”. L’interpretazione fornita da detto giudice circa norme di diritto UE (nella specie gli artt. 49, 63 TFUE) che erano state oggetto di una precedente interpretazione pregiudiziale della Corte, non era conforme, non essendo stata data piena attuazione alla sentenza della Corte da parte del Conseil d’Etat. Esisteva, dunque, un “dubbio ragionevole”, tale da imporre (secondo quanto affermato dalla giurisprudenza Cilfit) il rinvio.  L’interpretazione accolta dal Conseil d’Etat “delle disposizioni del diritto dell’Unione nelle sentenze [precedenti] non si impone[va] con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio”[34].

    La Corte ha avuto, dunque, l’occasione di confermare la ratio dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, cioè “evitare che in qualsiasi Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme di diritto dell’Unione”[35]. Un rischio ricordato, di recente, dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, che ha posto tre questioni pregiudiziali che investono la propria competenza a giudicare, ex art. 111, 8°comma Cost., su sentenza resa dal Consiglio di Stato in violazione del diritto UE, non essendosi conformato alla giurisprudenza della Corte di giustizia, e non avendo motivato il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte[36]

    6. Considerazioni conclusive. Una valutazione positiva del Protocollo n. 16 nel contesto della cooperazione e del dialogo fra giudici

    A fronte dei vantaggi che il rinvio ai sensi del Protocollo offre, primo fra i quali la possibilità per il giudice nazionale di conoscere l’orientamento interpretativo della Corte EDU e prevenire-impedire la violazione della CEDU da parte dello Stato ovvero della giurisdizione nazionale, sembrano oggi  prevalere, come si è detto, alcuni motivi di preoccupazione: la dilatazione della durata del processo; la creazione di una sorta di subordinazione del giudice nazionale di ultimo grado (“Alta giurisdizione”) alla Corte EDU; il non facile coordinamento con il rinvio pregiudiziale e con le competenze della Corte di giustizia. Non vi è dubbio che il rinvio possa fornire l’occasione di ricorrere a tecniche dilatorie da parte dei soggetti in causa, considerato che la c.d. Alta corte sarebbe legittimata sia al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sia al rinvio ai sensi del Protocollo, e che se non si trattasse di rinvio contemporaneo, come già si è ricordato[37], quello alla Corte EDU potrebbe precedere quello alla Corte UE, oppure una volta effettuato quest’ultimo, potrebbe manifestarsi la necessità di adire la Corte EDU.

    Vi è tuttavia da chiedersi quanto graverebbe, in ordine di tempo, un doppio rinvio e se tale dilatazione della durata rispetto alla tutela dei diritti in gioco, non sia comunque giustificata, ragionevole e proporzionata. Non lo sarebbe qualora i meccanismi di diritto interno, considerata la sospensione del processo nazionale, fossero complessi e non tempestivi, pregiudicando, alla fine, la tutela effettiva della persona. Ma non sarebbe questo un buon argomento per non ratificare il Protocollo cui non sono imputabili lacune o deficienze del diritto interno[38].

    Il giudice nazionale, ma anche le parti del procedimento nazionale, potrebbero trarre un vantaggio dal rinvio per parere consultivo in tutti i casi in cui la giurisprudenza della Corte EDU non fosse chiara o suscitasse dubbi nell’affermazione di principi: sono, d’altra parte, le questioni di principio (e solo queste, non già le vicende del caso concreto) ad essere oggetto di esame da parte della Corte. L’orientamento della Corte sarà, certamente, utile a indirizzare il giudice nazionale (giudice di ultimo grado, ma anche Corte costituzionale) ed evitare una violazione della Convenzione. Proprio perché il parere consultivo non è vincolante, resta al giudice nazionale la competenza di valutare la “risposta” della Corte EDU, e di non adeguarsi, rischiando la violazione della Convenzione da parte dello Stato. Un rischio calcolato, tuttavia, che dipende non dal Protocollo, bensì dal giudice, dalla sua valutazione autonoma.

    Altro sarebbe se il parere fosse vincolante, poiché il giudice nazionale si dovrebbe adeguare, ma non sarebbe legittimato a farlo qualora si ponesse in contrasto con la Costituzione: una situazione di conflitto che provocherebbe una questione incidentale di costituzionalità con rinvio da parte dell’ “Alta giurisdizione” nazionale alla Corte costituzionale o sulla quale si pronuncerebbe la Corte costituzionale  stessa se fosse il giudice nazionale davanti a cui si pone la questione. Anche in tal caso non è imputabile al Protocollo la conseguenza di eventuali conflitti di carattere costituzionale, poiché esso non incide sulla competenza e funzione del Giudice delle leggi, che non potrà mai consentire l’ingresso di norme e principi in contrasto con i valori fondamentali del nostro ordinamento. Il Protocollo “non toglie” sovranità allo Stato e ai suoi giudici[39]. Rappresenta un complemento alla CEDU, come afferma il suo preambolo[40]. Se questa fosse una delle ragioni per non ratificarlo, ci si dovrebbe chiedere, allora, per quale motivo si è rinunciato alla sovranità a favore della ratifica della CEDU, pur in presenza di ragioni giustificatrici, rappresentate dall’art. 11 Cost. che, com’è noto, “consente […] alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” e che prevede che siano promosse e favorite “le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, quale è il Consiglio d’Europa nel cui contesto è stata stipulata la CEDU (e successivamente i vari Protocolli) e dall’art. 117, 1°comma Cost. che impone, come già si è ricordato, il vincolo del rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e di quelli internazionali quali sono gli obblighi della CEDU e dei suoi Protocolli. Obblighi, norme e contesto generale che ben sono state inquadrati e definiti nella loro ratio e storia dalle note sentenze “gemelle” n. 348 e n. 349 della Corte costituzionale[41].

      

    * Già professore ordinario di diritto internazionale e di diritto dell’Unione europea.

    [1] Sulla audizione e sulla discussione alla Camera dei deputati, sul dibattito ospitato da questa Rivista, si vedano l’editoriale L’estremo saluto al Protocollo n. 16 annesso alla CEDU, in questa Rivista, 2020, ivi i contributi di A. Ruggeri, Protocollo 16: funere mersit acerbo?; C. Pinelli, Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale; E. Lamarque, La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa; C.V. Giabardo, Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts; E. Cannizzaro, La singolare vicenda della ratifica del protocollo n. 16; P. Biavati, Giudici deresponsabilizzati? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16; nel 2021 il contributo di S. Bartole, Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare. Si vedano inoltre A. Cannone, Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione dei Protocolli 15 e 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: audizioni parlamentari, in Rivista di diritto internazionale, 2020, p. 859 ss.; G. Zampetti, Ordinamento costituzionale e Protocollo n. 16 alla CEDU: un quadro problematico, in Federalismi.it, n. 3/2020: E. Crivelli, The Italian debate about the ratification of Protocol n. 16, in eurojus, 2021. Il testo delle audizioni è leggibile in https://www.camera.it/leg18/1104?shadow_organo_parlamentare=2803&id_tipografico=03. Si vedano, in particolare, le opinioni espresse da M. Luciani, Note critiche sui disegni di legge per l’autorizzazione alla ratifica dei Protocolli n. 15 e n. 16 della CEDU, in Sistema penale, 2019; G. Cerrina Ferroni, Il disegno di legge relativo alla ratifica dei Protocolli 15 e 16 recanti emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in Federalismi.it, n. 5,/2019; F. Vari, Sulla (eventuale) ratifica dei Protocolli n. 15 e 16 alla CEDU, in Dirittifondamentali.it, 2019. In senso diverso R. Sabato, Sulla ratifica dei Protocolli n. 15 e 16 della CEDU, in Sistema penale, 2019. Per una rassegna delle opinioni espresse e per rilievi sull’utilità della ratifica, R. Conti, Chi ha paura del Protocollo n. 16 e perché?, in Sistema penale, 2019( in precedenza, dello stesso si veda anche La richiesta di “parere consultivo” alla Corte europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU ed il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, in Consultaonline, 2014): A. Guerra Il rinvio consultivo alla Corte EDU, in F. Ferraro, C. Iannone, Il rinvio pregiudiziale, Torino, 2020, p. 355 ss.

    [2] Si vedano i riferimenti alle sedute delle Commissioni riunite alla Camera II (Giustizia) e III (Affari esteri e comunitari) del 29 luglio e del 23 settembre 2020 in www.camera.it/leg18/824?tipo=IG&anno=2020&mese=07&giorno=29 e in www.camera.it/leg18/824?tipo=IG&anno=2020&mese=09&giorno=23; sui lavori in Assemblea (sedute del 28 e 30 settembre 2020 cfr.  www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0399&tipo=stenografico#sed0399.stenografico.tit00190, www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0401&tipo=stenografico#sed0401.stenografico.tit00120, nonché L’estremo saluto cit. Come si legge nel resoconto della seduta del 23 settembre 2020, soltanto la Commissione Politiche dell’Unione europea, pur esprimendo parere favorevole alla espunzione, invitava “le Commissioni ad addivenire quanto prima anche alla ratifica del Protocollo n. 16 al fine di potersi avvalere di nuovi strumenti atti a favorire ulteriormente l’interazione e il dialogo tra i giudici nazionali e la Corte europea dei diritti dell’uomo, in coerenza con l’obiettivo di una maggiore armonizzazione ed efficacia della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali contemplati nella Convenzione e nei suoi Protocolli”. Sulla procedura di ratifica cfr. anche il documento della Camera dei deputati, Servizio Studi, Documentazione per l’esame di progetti di legge, A.C.35, A.C.1124, Dossier n. 83 del 21.1.2019, in http://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/testi/ES0083.htm.

    [3] Cfr. la legge 15.1.2021,  di ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, fatto a  Strasburgo il 24 giugno 2013, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

    [4] Sugli emendamenti alla Convenzione si veda il Rapport explicatif del Protocole n° 15 portant amendement à la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (STCE n° 213), nonchè la discussione avvenuta alla Camera in occasione della ratifica del Protocollo (cfr. i riferimenti alla nota 2). L’entrata in vigore del Protocollo (art. 7) è il primo giorno del mese successivo alla scadenza di tre mesi dopo l’ultima ratifica; la riduzione a quattro mesi del termine per proporre ricorso decorre sei mesi dopo l’entrata in vigore (art. 8, par. 3): non riguarda, quindi, i ricorsi relativi a decisioni definitive pronunciate prima dell’entrata in vigore.

    [5] Si vedano le opinioni espresse in occasione delle audizioni e del dibattito parlamentare, riferimenti alle note 1 e 2, nonché 14.

    [6] Su tale parere cfr. la nota 12.

    [7] Sulla ripresa dei negoziati nel 2019 fra i “47+1”, cioè fra i membri del Consiglio d’Europa e la Commissione UE (gruppo ad hoc del CDDH-Comitato direttivo per i diritti dell’uomo, avente il compito di condurre i negoziati) si veda più recentemente I. Anrò, B. Nascimbene, The devil in the details: does the end of Protocol n° 16 to the ECHR lie in the wrinkles of EU accession to ECHR process?, in eurojus, 2021 con i riferimenti, in particolare, alle sedute svoltesi nel 2020 (sesta e settima). Fra gli argomenti in discussione, indicati in cinque “panieri”, vi sono il meccanismo del convenuto aggiunto (Stato membro o Unione europea) e della sua responsabilità, e la procedura di coinvolgimento della Corte di giustizia quando siano in discussione questioni di diritto UE (temi su cui si è pronunciata la Corte nel parere n. 2/13).Iin discussione vi è, in particolare, la possibile sospensione, su richiesta dell’Unione, del procedimento di parere consultivo, al fine di verificare se la richiesta di parere possa pregiudicare il rispetto del diritto UE e, quindi, l’autonomia del sistema e la competenza pregiudiziale della  Corte di giustizia.

    [8] Sullo stato delle firme e delle ratifiche del Protocollo cfr. https://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/214/signatures?p_auth=YGajAR9E (i Paesi membri della UE che l’hanno ratificato sono Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia). Fra i molti commenti al Protocollo si vedano, in epoca più recente, quelli in Les défis à l’entrée en vigueur du Protocole 16 à la Convention européenne des droits de l’Homme, in Actes de la journée d’étude de l’Institut de Recherche Carré de Marré de Malberg, 29 janvier 2019, en ligne sur https://univ-droit.fr/actualites-de-la-recherche/manifestations/30400-les-defis-lies-a-l-entree-en-vigueur-du-protocole-16-a-la-convention-europeenne-des-droits-de-l-homme, di F. Benoît-Rohmer, Le Protocole 16 ou le renouveau de la fonction consultative de la Cour européenne des droits de l’Homme ; L. Blanku, La Cour européenne des droits de l’Homme et le Protocole 16 ; A. Rivière, Le renvoi préjudiciel en interprétation : un modèle pour la procédure de demande d’avis consultatifs du Protocole 16 ; C. Giannopoulos, En guise de synthèse : les avantages et les inconvénients du Protocole 16, pp. 1, 10, 58, 80 ss. ; M. Lipari, Il rinvio pregiudiziale previsto dal Protocollo n. 16 annesso alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): il dialogo concreto tra le Corti e la nuova tutela dei diritti fondamentali davanti al giudice amministrativo, in Federalismi.it, n. 3/2019; S. O’Leary, T. Eicke, Exposé à l’occasion de l’ouverture de l’année judiciaire de l’Europe, 2019, Cour européenne des droits de l’homme, 2020, p.33 ss. (a p. 52 un « addendum » di aggiornamento sul primo parere della Corte) ; C. Masciotta, Il Protocollo n. 16 alla CEDU alla prova dell’applicazione concreta e le possibili ripercussioni sull’ordinamento italiano, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2020, p. 183 ss.; L. Pierdominici, Genesi e circolazione di uno strumento ideologico: il rinvio pregiudiziale nel diritto comparato sovranazionale, in Federalismi.it, n. 20/2020; A. Ruggeri, Protocollo 16 e identità costituzionale, in Rivista di diritti comparati, 7.1.2020. Si permette inoltre di rinviare al nostro Le Protocole n° 16 en tant qu’instrument de collaboration entre juges nationaux et européens, in L.-A. Sicilianos, I.A. Motoc, R. Spano, R. Chenal (eds.), Regards croisés sur la protection nationale et internationale des droits de l’homme / Intersecting Views on National and International Human Rights Protection, Liber Amicorum Guido Raimondi, Tilburg, 2019, p. 657 ss. Per una illustrazione del Protocollo e delle sue ragioni cfr. il Rapport explicatif du Protocole n° 16, anche per i riferimenti alle proposte sia del “Groupe de sages” incaricato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa di approfondire il tema del controllo del rispetto dei diritti dell’uomo, sia al Document de réflexion sur la proposition de l’élargissement de la compétence consultative de la Cour predisposto dalla Corte EDU. Si vedano inoltre le Lignes directrices concernant la mise en œuvre de la procédure d’avis consultatif prévue par le Protocole n° 16 à la Convention (tel qu’approuvé par la Cour plénière le 18 septembre 2017.

    [9] Su analogie e differenze si vedano i rilievi e i riferimenti nei parr. 4 e 5.

    [10] Per una illustrazione del Protocollo e delle sue finalità si vedano i riferimenti nella nota 1.

    [11] Analogie e differenze sono sottolineate, in genere, dalla dottrina che ha esaminato il nuovo Protocollo: si vedano in particolare gli autori citt. alle note 1, 8, e sulla qualificazione di “pregiudiziale”, M. Lipari, Il rinvio pregiudiziale cit.; M. Luciani, Note critiche cit., pp. 6-10; R. Conti, Chi ha paura cit., p. 10; A. Rivière, Le renvoi cit. Cfr. inoltre, nel passato, E. Cannizzaro, Pareri consultivi e altre forme di cooperazione giudiziaria nella tutela dei diritti fondamentali: verso un modello integrato?, in E. Lamarque (a cura di), La richiesta di pareri preventivi da parte delle più alte giurisdizioni nazionali, Milano, 2015, p. 81 ss.; F.G. Jacobs, Le renvoi préjudiciel devant la Cour de justice – un modèle pour d’autres systèmes transnationaux?, in La Cour de justice de l’Union européenne sous la présidence de Vassilios Skouris (2003-2015), Liber Amicorum Vassilios Skouris, Bruxelles, 2015, p. 282 ss.

    [12] In questi termini il parere 2/13 del 18.12.2014, EU:C:2014:2454, par. 176; per alcuni rilievi sul parere con particolare riguardo alla tutela dei diritti fondamentali (e al quadro costituzionale di cui si dirà oltre, par. 4) cfr. H. Labayle, F. Sudre, L’avis 2/13 de la Cour de Justice sur l’adhésion de l’Union européenne des droits de l’homme. Pavane pour une adhésion défunte ?, in Revue française de droit administratif, 2015, p. 3 ss. ; F. Picod, J. Rideau, L’avis 2/13, morceaux choisis, in Revue des affaires européennes, 2015, p. 7 ss.; J.L. da Cruz Vilaça, De l’interprétation uniforme du droit de l’Union à la « sanctuarisation » du renvoi préjudiciel. Etude d’une limite matérielle à la révision des traités, in Liber Amicorum Antonio Tizzano, Torino, 2018, spec. p. 252 ss. Sui vari aspetti del rinvio pregiudiziale si vedano, più recentemente, i contributi in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), Il rinvio cit.; per alcuni rilievi si permette rinviare al nostro La tutela dei diritti fondamentali in Europa: i cataloghi e gli strumenti a disposizione dei giudici nazionali. (cataloghi, arsenale dei giudici e limiti o confini), in eurojus, 2020.

    [13] Si veda il communiqué de presse du Greffier de la Cour, CEDH 276 (2018) dell’1.8.2018.

    [14] Si vedano le riserve e le critiche espresse, a proposito della progettata ratifica, in particolare da M. Luciani, Note critiche cit., spec. p. 8 sul contrasto con l’art. 101, 2° comma Cost., e sull’incidenza del parere consultivo per quanto riguarda il libero convincimento del giudice, e quindi sul pregiudizio apportato da quella sorta di rinvio pregiudiziale “mascherato” alla sovranità del giudice nazionale, mettendo in discussione anche la sovranità nazionale. Cfr. anche i rilievi di G. Cerrina Ferroni, Il disegno cit., p. 5; F. Vari, Sulla (eventuale) ratifica cit., p. 5; R. Bin, Chi è il giudice dei diritti? Il modello costituzionale e alcune deviazioni, in Rivista AIC, n. 4, 2018; E. Malfatti, La Cedu come parametro, tra Corte costituzionale e giudici comuni, in Riv. del Gruppo di Pisa, 2019, p. 159 ss. Sul dibattito svoltosi alla Camera si vedano i riferimenti alla nota 2; in particolare sulla negatività della ratifica, pur prospettando un rinvio al futuro, si ricorda l’affermazione della relatrice on. Ehm secondo cui il Protocollo presenta “profili di criticità connessi al rischio di erosione del ruolo delle alte Corti giurisdizionali italiane e dei principi fondamentali del nostro ordinamento”.Secondo l’on. Dalmastro delle Vedove, la ratifica del Protocollo, “sciagurato”, rappresenterebbe “una pietra tombale sulla sovranità giuridica italiana sull’autonomia del diritto italiano”; sulle conseguenze “di una dilatazione certa della lunghezza dei processi”, sulla “deriva europeista in campo giuridico” e ( in senso critico all’opinione espressa dall’on. Boldrini nei confronti dei “cattivi sovranisti”, ricordando invece a favore della propria tesi “importanti professori universitari”) e sulla preoccupazione di “andare verso una super Corte costituzionale europea” creando “una sovranità sovra costituzionale, sovranazionale”, si veda l’intervento dell’on. Di Muro.

    [15] Cfr. il  Rapport explicatif cit., par. 1.

    [16] Cfr. il par. 1.

    [17] Sulla non vincolatività e sulle conseguenze del parere in ordine alla proposizione del ricorso alla Corte EDU, si vedano i nostri rilievi in Le Protocole n° 16 cit., p. 8 s.; cfr. pure gli autori citt. alle note 1 e 8. Sembra opportuno ricordare, a conferma della non vincolatività del parere, che la Corte di Cassazione francese, dopo avere attivato la procedura, per la prima volta successivamente all’entrata in vigore del Protocollo (rinvio alla Corte EDU disposto con sentenza del 5.10.2018, n. 368), ha tenuto conto del parere (pronunciato il 10.4.2019, GC, P16-2018-001), ma se ne è discostata (sentenza del 4.10.2019, n. 648). La richiesta riguardava, in sostanza, gli effetti e le conseguenze di precedenti sentenze della Corte EDU, Mennesson c. Francia e Lebasu c. Francia del 26.6.2014 in tema di maternità surrogata e di trascrizione di atti di nascita di minori nati all’estero da maternità surrogata (valutazione del margine di apprezzamento dello Stato con riferimento all’art. 8 CEDU, quanto al diritto alla vita familiare dei genitori e a quello dei figli). La Corte ha ritenuto che nel supremo interesse del minore deve essere riconosciuto il rapporto di filiazione (tra la madre designata come tale nell’atto di nascita e il figlio nato da maternità surrogata), lasciando agli Stati la discrezionalità circa le modalità del riconoscimento, non sussistendo un obbligo di trascrizione dell’atto, perché tale fine può essere conseguito tramite l’adozione o altri mezzi previsti dal diritto nazionale (purché le modalità garantiscano il diritto del minore, conformemente al suo superiore interesse). La Corte di Cassazione, considerato il tempo trascorso nella fattispecie (vent’anni circa), ha ritenuto pregiudizievole il ricorso ad una procedura di adozione e ha privilegiato il riconoscimento della filiazione in base alla trascrizione (che non deve, quindi, essere annullata, ma confermata). Per alcuni rilievi sulla conclusione del caso, R. Russo, Il caso Mennesson, vent’anni dopo. Divieto di maternità surrogata e interesse del minore, in questa Rivista, 2019; nel senso che il giudice nazionale si è discostato dal parere della Corte EDU, offrendo una tutela superiore, R. Conti, Chi ha paura cit., p. 9. Si vedano in argomento, fra gli altri, A. Gouttenoire, F. Sudre, Protocole 16. L’audace d’une première demande d’avis consultatif à la Cour EDH, in La Semaine Juridique Edition Générale, 12 novembre 2018; I. Anrò, Il primo parere reso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi del Protocollo n. 16 alla CEDU: il nuovo strumento alla prova del dialogo sul delicato tema della maternità surrogata, in SIDIBlog, 2019; O. Feraci, Il primo parere consultivo della CEDU su richiesta di un giudice nazionale e l’ordinamento giuridico italiano, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019J. Houssier, L’affaire Mennesson ou la victoire du fait sur le droit, in Actualité juridique. Famille, 22019, p. 592 ss.; L. Poli, Il primo (timido) parere consultivo della Corte europea dei diritti umani: ancora tante questioni aperte sulla gestazione per altri, in Diritti umani e diritto internazionale, 2019, p. 418 ss.; P. Pustorino, Maternità surrogata e prima applicazione del Protocollo n. 16 alla CEDU, in Liber Amicorum Angelo Davì, Napoli, 2019, vol.II, p.1985 ss.; M. Sarzo, La nuova procedura consultiva prevista dal Protocollo n. 16 alla luce del parere della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di surrogazione di maternità, in Rivista di diritto internazionale, 2019, p. 1158 ss. La Corte EDU, 19.11.2019, C e E c. Francia (spec. punti 22,39), decidendo su una questione già oggetto del proprio parere, considera il predetto parere in modo non diverso da una sentenza pronunciata a seguito di ricorso. Sembra utile ricordare che la sentenza della Corte cost.,4.11.2020,n.230 ha fatto riferimento al parere, punto 6 del “Considerato in diritto”, senza porsi il problema della non ratifica del Protocollo da parte italiana, e quindi della non vincolatività dello stesso. Un secondo parere è stato reso su richiesta della Corte costituzionale armena, il 29.5.2020 (su una norma del codice penale relativa al rovesciamento dell’ordine costituzionale, in riferimento all’art. 7 CEDU), su cui si vedano i rilievi di S. Giordano, La ragionevole prudenza della Corte Edu: tra prevedibilità e accessibilità del precetto. Considerazioni a caldo sul parere della Corte (CEDH 150) del 29.5.2020, in questa Rivista,2020. Un terzo e un quarto parere sono stati chiesti rispettivamente dalla Corte amministrativa suprema della Lituania il 5.11.2020 (sulle norme in materia di impeachment, in riferimento al Protocollo n. 1, art. 3); dalla Corte suprema della Slovacchia il 19.11.2020 (sulle norme relative alle denunce contro le autorità di polizia, in riferimento agli artt. 2, 3, 6, par. 1 CEDU).

    [18] Cfr. Corte di giustizia, 15.2.2016, C-601/15 PPU, N., EU:C:2016:84, punto 47; 23.3.2018, C-524/15, Menci, EU:C:2018:197, punti 20-22; in precedenza il parere 2/13, punti 179-180, le sentenze 24.4.2012,C-571/10, EU:C:2013:233, punto 60; 26.2.2013, C-617/10, Åkerberg Fransson, EU:C:2013:105, punti 44,45 (ivi riferimenti), nonché 26.2.2013, C-399/11, Melloni, EU:C:2013:107, punti 50,59-60.

    [19] Si vedano le “Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali”, con particolare riguardo all’art. 52 (le “Spiegazioni”, come si afferma nella premessa all’illustrazione delle singole norme, “Benchè non abbiano di per sé status di legge […] rappresentano un prezioso strumento d’interpretazione destinato a chiarire le diposizioni della Carta”). Nella “Spiegazione all’art. 52” si precisa che “Il riferimento alla CEDU riguarda sia la convenzione che i relativi protocolli” e che “Il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo di questi strumenti, ma anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea”; un riferimento alla giurisprudenza, di entrambe le Corti, è anche nel preambolo della Carta. Per alcuni rilievi sulla rilevanza della Convenzione nella giurisprudenza della Corte di giustizia e sulla “coesistenza” fra le due Corti, cfr. I. Anrò, L’adesione dell’Unione europea alla CEDU, Milano, 2015, p. 68 ss. (rifer. ivi). Sui rapporti fra le due Corti, fra gli altri, K. Lenaerts, La CEDH et la CJUE: créér des sinergies en matière de protection des droits fondamentaux, intervention pour l’Ouverture de l’Année judiciaire à la CEDH, 2018, in www.echr.coe.int/Documents/Speech_20180126_Lenaerts_JY_FRA.pdf.; G. Raimondi, Cour de justice de l’Union européenne & Cour européenne des droits de l’homme: « condamnées à s’entendre et à coopérer »?, in Liber Amicorum Antonio Tizzano cit., p. 797 ss. Per alcuni rilievi sull’art. 52 (anche con riferimento all’art. 47 della Carta e alla c.d. “presunzione Bosphorus”, di cui poco oltre, F. Picod, Les limites au droit à une protection juridictionnelle effective devant les juridiction nationales, in Liber Amicorum Antonio Tizzano cit., pp. 730, 802 ss.  Sulla considerazione, da parte della Corte di giustizia, della CEDU e dei suoi Protocolli, con specifico riferimento al Protocollo n. 7, cfr. la sentenza Menci cit., punti 60-62; cfr. pure la sentenza Åkerberg Fransson cit., punto 44.

    [20] Cfr. sulla presunzione di protezione equivalente (o “presunzione Bosphorus”) la sentenza della Corte EDU, 30.6.2005, GC, Bosphorus c. Irlanda, spec. parr. 156-157; e con riferimento alle condizioni cui la presunzione è sottoposta, 6.12.2012, Michaud c. Francia, parr. 112-115; 23.5.2016, GC, Avotiņš c. Lettonia, parr. 105-125. Secondo tale principio si presume che le istituzioni dell’Unione assicurano un livello di protezione equivalente a quello proprio della CEDU; in casi eccezionali, quando sia accertata una carenza nazionale, anche per quanto riguarda il controllo giurisdizionale della tutela dei diritti fondamentali, la Corte può giudicare il comportamento degli Stati in sede di attuazione delle norme di diritto UE. Cfr. i rilievi in V. Zagrebelsky, R. Chenal, L. Tomasi, Manuale dei diritti fondamentali in Europa, 2°ed., Bologna, 2019, p. 91 ss.

    [21] Sul vincolo per il giudice a quo cfr., fra le altre, Corte, 16.6.2015, C-62/14, Gauweiler, EU:C:2015:400, punto 16 (ivi riferimenti); sugli effetti obbligatori al di fuori del contesto processuale nazionale che ha provocato la sentenza (giudici nazionali diversi, giudici di altri Paesi membri, amministrazioni nazionali, soggetti privati), dovendo essere applicate le norme di diritto UE così come interpretate dalla Corte, cfr. fra le altre Corte cost., 13.7.2007, n. 284, punto 3 del “Considerato in diritto”. Per una disamina di diritto comparato circa l’obbligo , per il giudice nazionale, di rinvio pregiudiziale si vedano i vari contributi dans L. Coutron (sous la direction de), L’obligation de renvoi préjudiciel à la Cour de justice: une obligation sanctionnée?, Bruxelles, 2014. Sull’obbligo del rinvio e le conseguenze del mancato rinvio, F. Ferraro, Le conseguenze derivanti dalla violazione dell’obbligo di rinvio, G. Grasso, Il rinvio pregiudiziale nel diritto interno; F. Spitaleri, Facoltà e obbligo di rinvio pregiudiziale, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), in Il rinvio cit., pp. 139, 307, 113 ss.; ivi, p. 199 ss., sugli effetti della sentenza della Corte, A.Maffeo, Gli effetti della sentenza pregiudiziale. Si veda anche la nota 28.

    [22] Sulla possibilità di esperire un nuovo rinvio alla Corte di giustizia (non, però, con riguardo alla validità della sentenza), Corte, 5.3.1986, ord., 69/85, Wünsche, EU:C:1986:104, punti 11-14; 11.6.1987, 14/86, Pretore di Salò, EU:C:1987:275, punto 12. In precedenza, fra le altre, 27.3.1963, cause riunite 28, 29 e 30/62, Da Costa, EU:C:1963:6 (parte “In diritto”, si distinguono le funzioni del giudice nazionale e la sua ampia facoltà di rinvio da quelle della Corte). Quanto alla duplicità delle fonti, alla diversa natura e rilevanza delle norme di diritto UE rispetto a quelle CEDU, nonché degli ordinamenti cui appartengono (UE, Consiglio d’Europa) si vedano le note sentenze “gemelle” della Corte cost., 24.10.2007, n. 348 e 24.10.2007, n. 349; più recentemente, anche sull’esclusione di una “comunitarizzazione” (o “lisbonizzazione”) della CEDU da parte del Trattato di Lisbona, Corte cost., 11.3.2014, n. 80. Sulla diversità delle fonti per la protezione dei diritti dell’uomo, pur dovendosi realizzare una “integrazione fra le tutele” offerte e una valutazione complessiva del “sistema”, evitando comunque “un’interpretazione frammentaria delle disposizioni normative che potrebbe finire “per contraddire le stesse loro finalità di tutela”, cfr. Corte cost. 15.1.2013, n. 1 (punto 8.1. del “Considerato in diritto”); 28.11.2012, n. 264 (punti 4-5 del “Considerato in diritto”). Per alcuni rilievi in proposito e per altri riferimenti sui rapporti fra “pregiudizialità comunitaria” e “pregiudizialità nazionale”, anche con riferimento alla CEDU, cfr. i contributi di R. Mastroianni, P. Mori, B. Nascimbene, in occasione dell’intervista di R.G. Conti, pubblicata con il titolo “La Carta UE dei diritti fondamentali fa gola o fa paura?”, in R.G. Conti (a cura di), Il mestiere del giudice, Milano, 2020, p. 39 ss.; sulla doppia pregiudizialità, più recentemente, G. Tesauro, P. De Pasquale, La doppia pregiudizialità, in F. Ferraro, C. Iannone (a cura di), Il rinvio cit., p. 289 ss.

    [23] Sul profilo della durata, valutato nella discussione relativa all’opportunità, o non, della ratifica, si vedano gli autori citt. nelle note 1, 8 e gli interventi citt. nella nota 14.

    [24] Cfr. la sentenza Menci cit., punto 62. Per alcune riflessioni sull’orientamento della giurisprudenza cfr. A. Tizzano, Il ne bis in idem nel dialogo tra le Corti europee, in L.-A. Sicilianos, I.A. Motoc, R. Spano, R. Chenal (eds.), Regards croisés cit., p. 935 ss.

    [25] Cfr. la sentenza 24.10.2018, C-234/17, XC, YB, ZA, EU:C:2019:283, spec. punti 37-48, ove è richiamata, oltre alla sentenza 5.2.1963, Van Gend en Loos, 26/62, EU:C:1963:1, pag. 23, il parere 2/13, EU:C:2018:2454, punti 175-177. Sul ruolo dei giudici nazionali cfr. i punti 42-44, ove sono richiamate, fra le altre, le sentenze 5.7.2016, Ognyanov, C-614/14, EU:C:2016:514, punto 17; 9.9.2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C-160/14, EU:C:2015:565, punto 37; 9.3.1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punti 21-24. Precisa la Corte, sentenza XC, YB, ZA, loc. cit., che i giudici nazionali sono “liberi di esercitare tale facoltà in qualsiasi momento da essi ritenuto opportuno”, dovendo garantire, “nell’ambito delle loro competenze […] la piena efficacia” delle norme di diritto dell’Unione “disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione nazionale, senza chiedere né attendere la previa soppressione di tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale”.

    [26] Conclusioni dell’avvocato generale H. Sangmandsgaard Øe, causa XC, YB, ZA, EU:C:2018:391, punti 81-83.

    [27] Sentenza della Corte EDU, 6.6.2019, Nodet c. Francia, parr. 31-32

    [28] Sentenza della Corte EDU, 13.2.2020, Sanofi Pasteur c. Francia, parr. 68-80. Sull’obbligo di rinvio, salvo alcune eccezioni, e sulla violazione dell’art. 6, par. 1 si vedano le sentenze della Corte EDU 20.9.2011, Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio, parr. 54-63; 10.4.2012, Vergauwen e altri c. Belgio, dec., parr. 89-90; 8.4.2014, Dhabi c. Italia, parr. 31-34; 21.7.2015, Schipani e altri c. Italia, parr. 69-72; 8.9.2015, Wind Telecomunicazioni spa c. Italia, dec., parr. 34-37 (si afferma, in particolare, che pur mancando un qualunque riferimento, nella sentenza della Corte di Cassazione, alla domanda di rinvio pregiudiziale, era tuttavia deducibile, per via implicita, la motivazione del rigetto, perché la questione posta non era pertinente); cfr. pure la sentenza Avotiņš cit., par. 110; 16.4.2019, Baltic Master LTD c. Lituania, parr. 41-43. Per alcuni rilievi cfr. S. Fortunato, L’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, par. 3: una disciplina in continua evoluzione, in Liber Amicorum Antonio Tizzano cit., p. 356 s. Sui “criteri Cilfit”, che giustificano il mancato rinvio pregiudiziale, cfr. la sentenza 6.10.1982, C-283/81, Cilfit, EU:C:1982:335, spec. par. 2.1.; si veda anche la nota 21. Si ricordi, peraltro, che la l. 13.4.1988, n. 117 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati prevede, all’art. 2, comma 3-bis, un’ipotesi di responsabilità del magistrato per violazione manifesta del diritto dell’Unione europea quando non sia stato osservato l’obbligo ex art. 267, 3°comma TFUE, e quando l’atto o provvedimento sia in contrasto con l’interpretazione espressa dalla Corte di giustizia.

    [29] Si veda la sentenza XC, YB, ZA, punti 40-46.

    [30] Cfr. il parere 2/13, punti 198-200.

    [31] Cfr. il parere 2/13, punto 198.

    [32] Presa di posizione dell’avvocato generale Kokott nel procedimento 2/13, punti 140-141.

    [33] Si vedano sulla necessità che in materia di diritti fondamentali non possa essere pregiudicato il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione, nonché sulla necessità di coerenza fra Carta e CEDU, le sentenze ricordate alla nota 10 e, in precedenza, quanto si è detto nel par. 3 con riferimento all’art. 52, par. 3 e, quindi, alle “Spiegazioni”.

    [34] Sentenza 4.10.2018, C-416/17, Commissione c. Francia, EU:C:2018:811, punti 105-114, ricordando, sull’obbligo di rinvio, la sentenza 15.3.2017, C-3/16, Aquino, EU:C:2017:309, punto 42. Per rilievi sulla sentenza Commissione c. Francia, J.D. Lefeuvre, L’arrêt de la CJUE du 4 octobre 2018, Commission c. France, vertus et limites du dialogue des juges au Palais Royal, in  www.gdr.elsj.eu/2018/10/17/informations-generales/.

    [35] Sentenze Aquino, punto 33; Commissione c. Francia, punto 109.

    [36] Sull’ordinanza della Corte di cassazione, S.U. 18.9.2020, n. 19598,fra i molti commenti, cfr. i più recenti di R. Baratta, Le pregiudiziali Randstad sull’incensurabilità per cassazione della violazione di  norme europee imputabile al giudice amministrativo, in eurojus, 2021; M. Santise, L’eccesso di potere giurisdizionale delle sezioni unite, in Questione giustizia, 2021, F. Francario, Quel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in questa Rivista, 11 novembre 2020, e con riferimento a successiva pronuncia delle Sezioni Unite, P. Biavati, Il rilievo della questione pregiudiziale europea fra processo e giurisdizione (nota a Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107), in questa Rivista, 2021. Per alcuni rilievi si permette rinviare anche a B. Nascimbene, P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?, in questa Rivista, 2020.

    [37] Si veda in proposito  il par. 3.

    [38] Si vedano, in proposito, i rilievi nel par. 2 e i riferimenti nella nota 14.

    [39] Per rilievi in tal senso cfr. i riferimenti nella nota 14.

    [40] Afferma il preambolo, terza frase, che “l’estensione della competenza della Corte a emettere pareri consultivi permetterà alla Corte di interagire maggiormente con le autorità nazionali consolidando in tal modo l’attuazione della Convenzione, conformemente al principio di sussidiarietà”.

    [41] Cfr. le sentenze n. 348/2017 e n. 349/2017 citt. nella nota 22 e per alcuni riferimenti, anche con riguardo all’adeguamento al diritto UE e alla differenza, pur nel medesimo contesto di vincoli posti da norme internazionali, i contributi di R. Mastroianni, P. Mori, B. Nascimbene, in R.G. Conti (a cura di), Il mestiere cit.

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