GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Spunti sulla condizione giuridica di parlamentari e ministri inglesi: il caso Partygate. di Mario Serio

    Sommario: 1. Il fondamento costituzionale del parlamentarismo inglese - 2. Il Committee of privileges della House of Commons – 3. L’indagine devoluta al Committee of privileges: conclusioni e proposte – 4. Le implicazioni politiche, giuridiche ed etiche del rapporto del Committee of privileges: un insegnamento ed un esempio finale. 

    Abstract: Lo studio prende le mosse dall’indagine portata a termine il 15 giugno 2023 dal Committee of Privileges della House of Commons inglese in merito all’effettiva osservanza, durante il recente periodo pandemico, da parte del Primo Ministro in carica Boris Johnson delle regole varate dal governo da lui presieduto dirette a prevenire la diffusione del Covid 19. L’accertata violazione di tali regole nel corso di riunioni non consentite svoltesi nei locali della sede governativa del numero 10 di Downing Street e la severità delle conclusioni (a schiacciante maggioranza approvate in sede di assemblea plenaria il successivo 20 giugno) cui il Committee è pervenuto rendono agevole una breve analisi della condizione giuridica del parlamentare inglese alla luce dei principi elaborati in dottrina e costantemente aggiornati dalla prassi. La conclusione è nel senso dell’esistenza di un severo apparato di regole, dalle evidenti e coerenti ricadute nel terreno dell’etica pubblica, che governa il funzionamento del parlamento ed il comportamento dei suoi componenti ispirate al senso di onore e disciplina. Apparato di tale solidità da costituire un esempio imitabile in altri contesti geografici.

    1. Il fondamento costituzionale del parlamentarismo inglese.

    Uno dei padri del costituzionalismo inglese, Albert Venn Dicey, nella sua fondamentale opera[i], dedicò allo studio del funzionamento, delle attribuzioni e delle prerogative delle due camere del Parlamento del suo paese riflessioni di duratura importanza. Egli, infatti, sublimò la teoria della tripartizione dei poteri costituzionali ponendo a suo fondamento l’idea assoluta e centrale della sovranità del parlamento in quanto espressione del potere legislativo, da nessun altro potere statale usurpabile o menomabile. L’altro grande teorico del diritto parlamentare inglese considerato in chiave costituzionale, Walter Bagehot, si era già a propria volta soffermato sulla definizione delle funzioni della House of Commons, tutte contraddistinte con l’aggettivo “dignified”, meglio traducibile come “nobili”, in quanto esercitabili in forma solenne (“stately”) ed allo scopo non di intimorire il popolo ma di utilizzare il proprio potere allo scopo di dare alla nazione governo ed indirizzo[ii]. Tali funzioni consistono: a) in quella propriamente legislativa, la più importante  ed anche  quella  soggetta al più attento controllo popolare circa la sua efficienza; b) in quella rappresentativa del pensiero e delle opinioni dei cittadini; c) in quella di orientamento e di informazione nei confronti del corpo elettorale; d) in quella consultiva a favore della Corona nelle materie al Parlamento stesso devolute al fine di prevenire la possibilità di emanazione di atti illegittimi o pregiudizievoli. La costruzione del diritto costituzionale inglese nel cavaliere tra i secoli diciannovesimo e ventesimo ha proceduto ovviamente di pari passo con la edificazione di una nozione di costituzione sufficientemente nitida da assorbire il vuoto formale dipendente dalla sua mancata verbalizzazione in un documento modellato su quello delle esperienze di altri ordinamenti europei. Fu così che se ne enucleò una composizione in termini funzionali, ossia di raccolta di ogni regola destinata a governare direttamente o indirettamente le materie riflettenti la distribuzione o l’esercizio dei poteri attinenti alla sovranità statale[iii]. Al tempo stesso Dicey si preoccupò di elaborare uno statuto critico ed interpretativo basato sull’autorità degli storici, dei giuristi, dei filosofi. Si fece così ricorso al pensiero dei maggiori pensatori giuridici della storia del diritto inglese, di cui si sfruttò la profonda capacità intuitiva dell’evoluzione dell’intero common law britannico. Edward Coke[iv] venne accreditato[v] del merito di aver dipinto il potere e la giurisdizione del Parlamento in termini di elevatezza ed assolutezza di tale vastità da non poter essere confinati, per ragioni oggettive o personali, entro alcun genere di limitazione[vi]. Conseguenza diretta di questa opera conformatrice del contesto costituzionale entro il quale si svolge l’opera del Parlamento fu la puntuale identificazione delle ulteriori attribuzioni delle sue Camere rispetto a quelle prima illustrate, tra le quali spicca il diritto alla designazione, ai fini dell’incarico conferibile dal Monarca, della persona del primo ministro e degli altri membri del Gabinetto ministeriale[vii]. Più esattamente l’opera dottrinaria dei pionieri del costituzionalismo inglese si estrinsecò nel coniare istituti da affiancare con efficacia concorrente alle norme costituzionali in senso stretto[viii]. È il caso delle convenzioni, le quali, pur non ascendendo al livello di queste, ne possiedono caratteri comuni quale quello della vincolatività[ix]: proprio il potere di designazione del governo va ascritto a tale ambito. Il passo successivo ed indefettibile nella esplicazione di una teoria parlamentare fu quello diretto a munire le due camere di uno statuto regolamentare, nonché, per le ragioni prima indicate, convenzionale, che ne preservasse la funzione e la dignità e, al contempo, proteggesse i loro componenti nella rispettiva libertà di determinazione. Gli albori del diritto parlamentare inglese, inteso come corpus normativo autosufficiente, dovettero, pertanto, fare i conti con il tema dell’area di autonomia delle sue due camere, la House of Commons e la House of Lords (quest’ultima costituita, fino al 2009, anno di entrata in funzione della Supreme Court, anche in Appellate Committee, ossia nel supremo e finale organo giurisdizionale). Tema di scottante rilevanza sia per la chiara determinazione della struttura del parlamento in quanto organo costituzionale che si inserisce nel quadro della tripartizione dei poteri statali sia per la non meno essenziale questione della condizione giuridica dei suoi componenti. Ai fini del presente studio va ricordato il fondamentale principio di autodichia secondo il quale ognuna delle due camere è dotata di competenza esclusiva con riguardo ai propri lavori ed alla tutela delle proprie prerogative nei confronti di chiunque, anche parlamentare, vi attenti o commetta atti di disprezzo (contempt, inteso quale lesione del generale statuto delle camere): in tal caso sarà la stessa camera destinataria di condotte disdicevoli, e non un’ordinaria corte di giustizia, ad esercitare i propri poteri di indagine e sanzionatori[x]. Si contrappongono così i concetti di privilegio parlamentare, inteso come immunità da misure restrittive della libertà personale nonché come insindacabilità delle opinioni espresse, e di offesa al parlamento[xi]. Esso resta giudice di entrambe le situazioni che possano interessare un suo membro. Ed è sempre stato affermato che, nel perseguire i propri compiti nel campo delle prerogative parlamentari, ciascuna camera non agisce alla stregua di un organo giurisdizionale ma in virtù di un attributo ad essa intrinseco. Il delicato concetto fu lucidamente rappresentato in un caso del 1840[xii] il cui valore fondativo dell’immunità parlamentare traspare immediatamente dalle circostanze del suo svolgimento. Si trattava di una pronuncia direttamente collegata a quella dell’anno precedente nel caso Stockdale v Hansard. Ed infatti, il presidente della House of Commons, lo Speaker, aveva tratto in arresto lo sceriffo incaricato dell’esecuzione della condanna pecuniaria pronunciata da una ordinaria corte di giustizia, la Queen’s Bench, nei confronti dell’editore dei lavori parlamentari. L’intervento del presidente dell’assemblea parlamentare, che portò all’arresto dello sceriffo, solo colpevole di aver obbedito ad un ordine giudiziale, fu disposto a tutela dell’immunità parlamentare, estesa anche all’editore dei lavori della camera dei comuni. Fu lo stesso giudice Stephen ad assoggettarsi al provvedimento parlamentare ed a chiarire che le risoluzioni di una delle due camere non sono sottoposte a revisione giurisdizionale, seppur non provengano da un organo di giustizia. Ed infatti, l’effetto del privilegio parlamentare trova la sua più compiuta espressione nel potere di ciascuna camera di regolare i propri affari interni attraverso provvedimenti di efficacia equivalente a quella delle pronunce giudiziarie[xiii]. Un corollario di questa concezione molto spiccata della sovranità parlamentare si deduce considerando il rapporto fiduciario che deve legare il governo ed i suoi ministri al parlamento: ciò comporta la rimozione dal rispettivo ufficio di quello dei ministri che non goda più della fiducia del parlamento stesso[xiv]

    2. Il Committee of privileges della House of Commons.

    L’affinamento dell’esperienza parlamentare inglese ha portato nel tempo all’istituzione di organismi interni alle camere indirizzati alla tutela dei “privileges” ed al perseguimento dei casi di “contempt”. Dal gennaio 2013 convivono all’interno della House of Commons due distinte commissioni (unificate nel periodo 1995-2013), il Committee on standards (composto anche da membri estranei alla camera e competente a fissare i modelli comportamentali che i parlamentari sono tenuti ad adottare) e il Committee of privileges. Quest’ultimo è titolare di un potere delegato dall’intera camera diretto a svolgere indagini, riferirne i risultati e proporre misure conseguenti all’autorità delegante. È composto esclusivamente da parlamentari, siede in permanenza durante l’intera legislatura e viene convocato con riferimento a specifiche vicende relative alla materia dei “privileges”: i suoi poteri di indagine hanno ad oggetto tutte le questioni afferenti alla fattispecie ad esso devoluta. Nel corso del tempo ed in virtù dei doviziosi approfondimenti condotti dal primo esperto di diritto parlamentare inglese[xv] si sono andati stabilizzando principii non più revocati in dubbio in ordine alle immunità parlamentari, via via arricchitesi di nuove figure in aggiunta a quelle tradizionali, prima menzionate, riguardanti la libertà personale[xvi] e quella di espressione del pensiero. Ad esempio, si annovera quella di autorizzare un parlamentare a lasciare la camera prima del termine di una specifica sessione di lavori (“privilege to license Mps to depart from the House before the end of the session”); allo stesso modo si è consolidata la potestà delle camere di procedere alla convalida dell’elezione dei propri membri, in attuazione delle disposizioni del Parliamentary Elections (Returns) Act del 1965[xvii]. Ed ancora, la lista delle violazioni dei privilegi parlamentari (“breaches of privileges”) contempla ipotesi disparate quali la notificazione di mandati di accompagnamento per comparire come testimoni davanti ad una corte di giustizia[xviii]. Tuttavia, nel 1999 il Joint Committee on Parliamentary Privilege suggerì l’abolizione di questa prerogativa: la proposta fu respinta quattro anni dopo dal Committee of Privileges della House of Commons. Corrispondentemente, anche l’elenco delle condotte disdicevoli dei parlamentari idonee a recare offesa alla camera di appartenenza e risolventisi in comportamenti tendenti ad impedire o ostruire, direttamente o indirettamente, il funzionamento del Parlamento si è infittito, fino ad includere, secondo una comunemente accettata formula definitoria, tutte le azioni il cui effetto sia quello di recare discredito all’autorità dell’istituzione[xix]. In questa cornice si innesta il fatto - che, come si vedrà, ha assunto notevole rilievo nel caso Partygate - di divulgare i rapporti provvisori, di natura strettamente e dichiaratamente riservata, fatti circolare agli interessati dal Committee of Privileges. Naturalmente appartengono alla casistica delle condotte costituenti “contempt” e come tali rientrano nella competenza esclusiva del Committee of Privileges, quelle che danno vita a gravi illeciti penali quali la corruzione ed il traffico illecito di influenze[xx]: il disvalore di siffatte azioni, come ricorda Erskine May[xxi], era già stato duramente evocato in una risoluzione della House of Commons del 1695 che le aveva definite come un gravissimo delitto[xxii].

    Come è apparso chiaro l’intera materia della condizione giuridica del parlamentare inglese (rispetto alla quale si dispiega la competenza del Committee of Privileges) copre uno spazio aperto al cui interno si colloca la sua generale posizione funzionale e personale. In sostanza, i termini antagonisti “privilege” e “contempt” non vengono utilizzati nella prassi quali sinonimi rispettivamente di singolari prerogative d’ufficio o di disdicevole abuso delle stesse. Essi sembrano, piuttosto concorrere a formare lo “status” di parlamentare, inteso come sintesi coordinata di situazioni attive e passive che allo stesso fanno necessariamente capo e la cui concreta valutazione spetta ad un organo delegato, quale il Committee of Privileges. In particolare, la dottrina si esprime nel senso che i cosiddetti “privileges” garantiscono al titolare determinate immunità all’espresso scopo di consentirgli di adempiere i propri doveri senza interferenze esterne[xxiii]. È incontroverso che essi facciano parte integrante del generale ordinamento giuridico e non siano intesi a porre il parlamentare al di sopra della legge. Tra essi, la prerogativa della libertà d’espressione ha un’origine particolarmente prestigiosa in quanto ascende al Bill of Rights approvato nel 1689. A propria volta il Parliamentary Papers Act del 1840, emanato all’indomani del dibattuto caso Stockdale v Hansard, attribuì la completa immunità, sia civile sia penale, agli editori dei resoconti parlamentari nonché a quanti, esterni al parlamento, ne pubblichino in buona fede estratti[xxiv]. Non può, peraltro, disconoscersi che già un semplice sguardo alla casistica prodottasi sul tema consente di ravvisare un profondo fondamento etico in ogni regola che circonda la vita del Parlamento e quella dei suoi componenti. Ed infatti, non può sfuggire che già dal punto di vista lessicale “contempt” addita condotte che sfuggono ai correnti criteri di moralità pubblica che sempre devono informare il funzionamento delle Camere. Il compito che attende l’osservatore delle varie vicende, come quella oggetto della presente ricerca, lo obbliga a verificare se il giudizio su comportamenti individuali abdichi alla propria, necessaria valutazione in termini di puro diritto, per deviare verso incontrollabili approdi extragiuridici, o se, viceversa, si spieghi lungo un virtuoso itinerario di compenetrazione di diritto e morale pubblica.

    Con questo costruttivo spirito laico è opportuno accostarsi alla vicenda che ha riguardato le numerose dichiarazioni rese davanti alla House of Commons, nella qualità di Primo Ministro in carica, da Boris Johnson nel periodo compreso tra il primo dicembre 2021 ed il 25 maggio 2022 relative allo svolgimento presso la sede governative del numero 10 Downing Street di affollate riunioni svoltesi tra il 20 maggio 2020 ed il 14 gennaio 2021 durante la vigenza delle misure per prevenire la diffusione del Covid 19 e delle relative linee guida, entrambe emanate dal governo da lui presieduto. 

    3. L’indagine devoluta al Committee of privileges della House of Commons: conclusioni e proposte.

    Nel proprio corposo rapporto (integralmente approvato dalla House of Commons il 20 giugno 2023, ossia 5 giorni dopo la sua pubblicazione, con 354 voti a favore e 7 contrari) oltre un centinaio di pagine, includenti 3 appendici ed i verbali delle sedute, il Committee of Privileges spiega dettagliatamente la genesi dell’indagine, il suo oggetto, lo scopo, le regole applicate, le conclusioni alla luce delle complessive risultanze istruttorie, le proposte finali sottoposte all’assemblea plenaria.

    In particolare, il mandato che la commissione (con una maggioranza di membri del partito conservatore, lo stesso di Boris Johnson) ha ricevuto unanimemente dalla camera riguarda l’accertamento e la qualificazione della condotta tenuta in ripetute occasioni davanti all’assemblea plenaria in qualità di Primo Ministro da Boris Johnson, eletto alla House of Commons nel collegio londinese di Uxbridge e South Ruislip. Ciò che era stato chiesto al Committee of Privileges di appurare era se egli avesse reso dichiarazioni fuorvianti (ma nella sostanza ingannevoli) e se, pertanto, si fosse reso responsabile di un’offesa al Parlamento[xxv]. Il riferimento è proprio alla veridicità delle reiterate affermazioni fatte da Johnson circa il costante rispetto della normativa antipandemica in occasione di plurimi incontri sociali nella sede governativa effettuati con la partecipazione di molte persone, anche suoi collaboratori.

    Dal punto di vista dell’inquadramento del lavoro della Commissione si rivela senz’altro maggiormente stimolante il preambolo del rapporto, che, per il suo alto esempio simbolico, merita di essere riportato per esteso: “Questa inchiesta si dirige al cuore stesso della nostra democrazia. Fuorviare la House of Commons non è una semplice questione tecnica, ma un tema di grande importanza. La nostra democrazia si fonda sull’elezione popolare di parlamentari non solo per consentire la formazione di un governo che goda del sostegno delle camere ma anche per sottoporre ad un giudizio critico il processo legislativo e chiedere all’esecutivo il conto del suo operato. La nostra democrazia dipende dalla fiducia che i parlamentari possono prestare alla veridicità delle dichiarazioni rese alle camere dai ministri. Se manca la fiducia nella veridicità delle dichiarazioni dei ministri la camera non è in grado di assolvere la propria funzione e la fiducia del popolo nella democrazia è incrinata. La democrazia funziona al meglio quando un ministro commette un errore in buona fede e successivamente lo corregge”[xxvi]. È evidente già da questa premessa introduttiva che il mandato si traducesse nella valutazione circa il corretto uso da parte del primo ministro della propria prerogativa, in quanto parlamentare, di non rispondere delle dichiarazioni e delle affermazioni rese davanti la House of Commons. È altrettanto palese che l’accertamento negativo sulla fedeltà al vero delle parole pronunciate in assemblea si sarebbe automaticamente convertito in una condotta offensiva (un “contempt”) tale da privare l’oratore dello scudo immunitario, solo disponibile a favore di chi non tenda a fuorviare, ingannandola, la camera. In questa esigenza di conformità alla verità delle dichiarazioni parlamentari si è comprensibilmente reputato risiedere l’alto valore dell’indagine, indirizzata ad impedire comportamenti capaci di comportare l’impedimento dell’attività parlamentare: in altri termini, capaci di attentare alla democrazia. Non deve, quindi, apparire enfatico o ridondante il preambolo prima riportato, perché nella semplicità e nettezza delle espressioni utilizzate spicca l’idea che un componente il governo, ancor di più chi lo guida, debba quotidianamente meritare e mantenere la fiducia del parlamento, senza tradirla con comportamenti contrari ai doveri di lealtà e verità. Perché, in fondo, ingannare il Parlamento è una sorta di inganno esponenziale al popolo che lo ha eletto.

    E la peculiarità del caso, ben si può aggiungere, risiede collateralmente nella futilità delle occasioni generatrici dell’indagine, ossia lo svolgimento di manifestazioni sociali molto partecipate nei locali del numero 10 di Downing Street durante un prolungato periodo di contenimento dei contatti interpersonali che, in alcuni, dolorosi casi, ha precluso la possibilità di porgere l’estremo saluto a familiari in punto di morte[xxvii]. Sbaglierebbe chi pensasse che la relazione del Committee of Privileges costituisca un arretramento sul piano delle guarentigie parlamentari. È, infatti, puntualmente e nuovamente enunciato, al punto 15, il principio tradizionale secondo cui i privilegi parlamentari costituiscono una forma di protezione dei deputati in relazione ai lavori della camera di appartenenza (dibattiti, commissioni, audizioni, voti, etc.) e solo indirettamente ridondano a vantaggio dei singoli che vi prendono parte. In sostanza si è in presenza di una sorta di salvaguardia tesa ad assicurare che i parlamentari, in quanto rappresentanti eletti dal popolo, siano posti in condizione di adempiere i propri doveri al meglio delle loro possibilità e, al tempo stesso, che le vitali funzioni costituzionali assegnate al parlamento vengano espletate alla stregua dei più elevati criteri possibili[xxviii]. Il rapporto prosegue aderendo alla nozione di “contempt” stratificata nel tempo, individuandola, alla luce della prospettiva dei curatori dell’ultima edizione di Erskine May[xxix], in quelle condotte che, pur non dando origine in sé a violazioni di specifici privilegi (“breaches of any specific privilege”), causino ostruzioni o impedimenti al funzionamento del parlamento o ne offendano l’autorità o la dignità, ad esempio disobbedendo ad ordini legittimamente dati ovvero recando ingiuria alla camera di appartenenza, ai suoi membri o funzionari. Viene citata, onde rendere tipiche e nominate le condotte ascrivibili a fattispecie di “contempt” la lista redatta nel 1999 dal Joint Committee on Parliamentary Privileges che nel proprio rapporto comprende il disturbo ai lavori della camera di appartenenza, l’ostacolo frapposto all’attività di un membro o di un funzionario, il deliberato fuorviamento del parlamento stesso, l’alterazione o la falsificazione di documenti parlamentari, il rifiuto, privo di legittima giustificazione, di comparire davanti ad una commissione o di rispondere alle domande da essa poste, la corruzione, consumata o tentata, di un altro parlamentare, la subornazione di testi, la diffusione di documenti riservati provenienti da una commissione.

    Sulla base di queste premesse teoriche e dei precedenti consegnati dall’esperienza la Commissione ha proceduto ad una serrata disamina della complessiva condotta dell’ex Primo Ministro, scomponendola nei vari segmenti corrispondenti alle molteplici dichiarazioni rese alla House of Commons, specialmente in occasione delle risposte alle domande formulate dagli altri parlamentari nel settimanale appuntamento del mercoledì durante il Prime Minister’s Questions.

    Ridotta alla sua essenza la questione che aveva sollecitato l’inchiesta parlamentare era riconducibile all’acclarato svolgimento durante il tempo di massima diffusione pandemica, nel quale erano in vigore (come in molti altri paesi europei), severe disposizioni in materia di distanza sociale e di divieti di assembramenti, di parecchie riunioni festive (veri e propri “parties”), a base di alcoolici e di cibo, all’interno ed all’esterno degli uffici del primo ministro cui lo stesso aveva preso parte con numerosi collaboratori. Nel corso dei vari interventi alla camera Johnson aveva sempre negato che quelle riunioni avessero infranto le previsioni amministrative in atto ed asserito che durante le stesse fossero state osservate, in quanto possibile, le proibizioni. Man mano che pervenivano le contestazioni politiche (anche da rappresentanti del proprio partito ed in particolare dalla sua dante causa alla guida del governo, Theresa May, che in suo intervento si era sarcasticamente chiesta se per Johnson valessero o meno le regole che egli stesso aveva imposto al resto della popolazione) l’ex Primo Ministro aveva pubblicamente affermato di essere stato rassicurato dai suoi collaboratori (dei quali, con un’unica eccezione, non aveva fornito alla commissione il nome) circa la perfetta rispondenza degli incontri ai canoni normativi.

    Al termine di una lunga attività istruttoria, corroborata da materiale documentario delle medesime riunioni, da dichiarazioni testimoniali scritte rese in forma di affidavits, da un prolungato esame (esacerbato da frasi molto polemiche rivolte all’indirizzo dell’imparzialità dei commissari) di Johnson da parte di tutti i componenti il Committee, questo ha depositato le proprie articolate e perentorie conclusioni, corredate dalla proposta di sospendere l’accusato dalle funzioni parlamentari per la durata di 30 giorni, che di seguito vengono riassunte.

    Triplice è stato l’accertamento compiuto dalla Commissione in ordine: alla piena conoscenza da parte di Johnson delle disposizioni relative al Covid e delle relative linee-guida; alla sua consapevolezza della loro violazione durante lo svolgimento dei parecchi incontri; all’effettivo, deliberatamente ingannevole fuorviamento della House of Commons nel corso dei vari interventi svolti sul tema. Particolarmente duro suona il rapporto nel delineare con precisione le occasioni e le modalità del “misleading” posto in essere da Boris Johnson a danno della camera. In primo luogo l’attività decettiva si è concretizzata:  nell’aver dato false assicurazioni circa l’effettiva osservanza delle regole sulla prevenzione del Covid; nell’aver taciuto la propria conoscenza della violazione delle regole durante i parties; nella reticenza circa l’identità di chi gli aveva garantito che quegli incontri si svolgevano in conformità alle regole valevoli per ogni cittadino; nell’aver dato l’inveritiera impressione che, prima di rispondere alle interrogazioni parlamentari durante i pubblici dibattiti, dovesse essere previamente esperita un’indagine interna da parte dei suoi uffici; nell’aver disatteso la promessa della successiva correzione delle proprie dichiarazioni; nell’aver capziosamente interpretato le proprie pubbliche dichiarazioni allo scopo di mistificare il loro chiaro significato letterale; nell’aver proposto letture giuridicamente insostenibili della legittimità degli incontri. La condotta dell’ex premier è stata aggravata, a giudizio del Committee of Privileges, dalla circostanza che egli, ricevuta per le sue osservazioni in forma espressamente riservata e con l’ammonimento della non divulgabilità, la versione preliminare del rapporto ne abbia fatto ampia diffusione mediatica, al tempo stesso utilizzando pesanti e diffamatori commenti critici sul lavoro e l’imparzialità della Commissione. A tale stregua è stata proposta la sospensione dalle funzioni parlamentari per 90 giorni. Poiché, nelle more della pubblicazione della versione definitiva del rapporto e dopo la ricezione di quello preliminare e provvisorio, Johnson aveva pubblicamente rassegnato le proprie dimissioni, la commissione, rigettata la richiesta di due suoi membri di adozione del massimo provvedimento espulsivo, ha suggerito che fosse negato a Johnson l’accesso (“former Members’ pass”) ai locali della House of Commons che viene generalmente riconosciuto ai parlamentari cessati dalla carica. Come ricordato, tutte le proposte istruttorie sono state approvate dall’assemblea plenaria con una larghissima maggioranza. Conclusivamente e riassuntivamente gli addebiti mossi ed accertati a carico dell’ex Primo Ministro possono così rappresentarsi: intenzionale inganno della camera di appartenenza; violazione dei doveri fiduciari nei confronti di essa; strumentale discredito propalato nei confronti dell’operato della Commissione e conseguente messa in pericolo del processo democratico parlamentare; complicità nella campagna denigratoria ed intimidatrice in pregiudizio del Committee.

    4. Le implicazioni giuridiche, politiche ed etiche del rapporto del Committee of privileges: un insegnamento ed un esempio finale.

    Il peso, destinato a lasciar indelebile traccia di sé in futuro, della capillare attività espletata dal Committee va innanzitutto colto nel già richiamato preambolo in cui è stato gettato l’espansivo seme

    dell’insopprimibile raccordo tra la condotta dei membri del governo e la fiducia di cui essi devono godere agli occhi delle Camere. Fiducia, a propria volta, insuscettibile di una concezione restrittiva e formale, ossia circoscritta al merito dell’azione politica, ed improntata, piuttosto alla presupposta certezza della lealtà e sincerità delle dichiarazioni governative davanti alle camere. In altri termini, nulla ripugnerebbe maggiormente al senso dell’etica pubblica del tradimento della ragionevole aspettativa che, un componente del governo, nell’affrontare un pubblico dibattito al cospetto dei rappresentanti eletti del popolo, non si esprima in termini di sincerità ed aderenza alla verità e che, in ogni caso, si astenga dal rettificare le proprie dichiarazioni una volta resosi conto della loro involontaria erroneità. A ben vedere, la pesante censura mossa a Johnson coinvolge negativamente un doppio profilo della sua condotta: il carattere fuorviante (e quindi ingannevole) sia della rappresentazione dei fatti rilevanti sia della rispettiva interpretazione ed il mancato, successivo ristabilimento della verità dinanzi alle insuperate contestazioni avanzate dalla Commissione. Ed è sicuro che, secondo il metro valutativo adottato da questa, la perseveranza ostinata nell’errore si sia risolta in un’autonoma lesione al prestigio degli organi parlamentari. La statuizione del Committee costituisce un faro di orientamento dell’etica pubblica. Di essa si pretende la riferibilità a parametri di oggettiva verificabilità con riguardo ai comportamenti individuali che da essa devono trarre ispirazione. Sfugge, pertanto, ai coefficienti propri della morale pubblica non solo il comportamento ingannevole commissivo ma anche quello omissivo per mancata resipiscenza rispetto all’errore. È una considerazione, questa, che combina in sé gli aspetti politici ed etici della presenza in Parlamento, quale viene percepita dal pubblico che ad essa ha il fondamentale diritto di matrice costituzionale di guardare con fiducia. Mentire al Parlamento consapevolmente, o astenersi dal correggere la dichiarazione fuorviante resa in assenza di dolo, spezza il filo di comunicazione tra Parlamento, quale luogo di rappresentanza popolare, ed esecutivo su cui si regge il principio democratico ed ideale della separazione dei poteri. C’è da chiedersi retoricamente se a questa basilare massima comportamentale si assoggettino quei governanti e quei parlamentari che, ad ogni latitudine, trascurino il proprio dovere pubblico di agire con onore e disciplina rispondendo, ad esempio, ad interrogazioni o interpellanze o durante il “question time”. Ma il delicato tema esibisce con eguale intensità profili di esclusivo interesse giuridico. E questo, sebbene il Committee of Privileges della House of Commons non eserciti, come già detto, funzioni giurisdizionali in senso stretto e tradizionalmente si avvalga con molta parsimonia della prerogativa, riconosciutale da una risoluzione assembleare del 1978, di avvalersi della propria giurisdizione penale nell’ipotesi in cui si riveli necessario allo scopo di tutelare la Camera, i deputati ed i funzionari da condotte illecite dirette ad impedire od ostruire il funzionamento dell’organo parlamentare, o ad interferirne nell’attività.

    Ed invero, il principale “thema decidendum” affidato al Committee era quello di stabilire se il complessivo contegno di Johnson realizzasse gli estremi del “contempt of Parliament”, ossia di quella figura la quale ricorre nel caso di condotte biasimevoli ostative al regolare funzionamento del Parlamento. A tal riguardo la commissione ha attinto all’autorevole opinione del Clerk of the Journals, ossia la maggior fonte di conoscenza delle procedure parlamentari e di consulenza per le camere e per i relativi componenti in materia di “privileges”. Egli, infatti, ha osservato in un allegato al rapporto della stessa commissione che le dichiarazioni fuorvianti dei Ministri costituiscono di per sé prevedibili impedimenti ai lavori parlamentari[xxx]. Muovendo da questo dato di fatto, il Committee si è dato un doppio criterio qualificativo della condotta di Johnson come di un “contempt”: la sua compatibilità con i parametri adottati in materia dalla House of Commons ed il grado dell’elemento soggettivo del suo autore. L’organo delegato ha motivatamente ritenuto che entrambe le condizioni fossero soddisfatte nella fattispecie. E ciò perché, da un canto, le dichiarazioni fuorvianti hanno precluso al Parlamento di svolgere il proprio centrale compito di scrutinare l’attività del governo e, d’altro canto, esse erano di natura tutt’altro che secondaria in quanto avevano un notevole impatto su una questione di salute pubblica, quale quella della costante obbedienza da parte del vertice governativo alle complesse ed inderogabili misure volte alla riduzione dei rischi di propagazione della pandemia che già aveva stroncato un altissimo numero di vite umane. Tenendo conto di queste circostanze il Committee si è proposto di graduare la sanzione da suggerire all’assemblea plenaria, individuandola nella penultima della scala desumibile dai precedenti della consorella Standards Committee, ossia la sospensione delle funzioni e dallo stipendio per un periodo di 30 giorni[xxxi]. Particolarmente abrasivo è il passaggio conclusivo della parte dosimetrica del rapporto. In essa, infatti, si dà atto della cospicuità delle offese inferte al Parlamento per la prima volta nella storia costituzionale inglese dal la massima figura del governo. Egli, dopo aver mentito circa la legittimità del proprio operato ed artificiosamente difeso contro ogni evidenza la tesi dell’ignoranza della perpetrata violazione delle regole, ha perfino ricusato la possibilità offertagli dal Committee di ritrattare le precedenti dichiarazioni di fronte alla House of Commons. Può giovare a gettare ulteriore luce sull’atteggiamento mostrato nel tempo da Johnson il ricordo, pur non evocato nel rapporto della commissione ma rimasto saldamente impresso nella mente degli osservatori di ogni provenienza, che egli fu impietosamente censurato nel settembre 2019 da una Supreme Court unanime che dichiarò l’invalidità del suo provvedimento di sospensione dei lavori parlamentari con chiari intenti elettorali[xxxii]. Non è difficile scorgere una disarmante continuità di atteggiamento sprezzante nei riguardi del baluardo della democrazia inglese che sembra lasciar trasparire una sorta di insofferenza verso le sue prerogative ed una plateale trascuratezza della sua funzione amplificatrice e rappresentativa della volontà popolare. Un autentico schiaffo a quell’elevato pensiero fondativo della democrazia liberale e costituzionale inglese che vede riconosciuta da parte del Sovrano del tempo nel parlamento inglese la suprema autorità legislativa del paese[xxxiii]. In diretta proporzione con tale elevato ruolo deve misurarsi il comportamento di chi con esso, in ogni qualità costituzionalmente rilevante, e massimamente in quella di capo del governo, intrattenga rapporti istituzionali: perché, a causa di deviazioni, non venga disperso lo spirito che anima la funzione di controllo sull’esecutivo svolta dalle Camere.

    La vicenda che ha condotto all’esito qui descritto si carica certamente di tinte cupe quanto al totale deragliamento dai doveri istituzionali, politici e morali di un Primo Ministro sfrontato e protervo che non ha esitato a mettere a repentaglio molte vite solo per non rinunciare all’ebbrezza (in senso etilico) di una festa imprudente ed illegale ed, ulteriormente, ha preteso dalla stragrande maggioranza dei cittadini timorosi del comando normativo il sacrificio più crudele, quello di astenersi dal  rendere il saluto d’addio ai familiari morenti.

    Ma la stessa vicenda ha saputo, altresì, offrire uno spunto rassicurante in termini di prontezza di reazione da parte dell’istituzione ferita, insorta contro l’oltraggio patito anche a difesa della sovranità popolare.

    In sostanza, una vicenda, forse replicabile in altri contesti politici ma altrettanto probabilmente con esiti differenti e più addomesticati, da incorniciare nel contesto di una democrazia costituzionale matura, tale, cioè da essere in grado di risollevarsi dal baratro contingente per riaffermare l’intramontabile primato della “rule of law”. Sta ad altre esperienze ed altri ordinamenti emularla, non sottraendosi, tramite infingimenti o parrocchiali difese di bandiera, al dovere di difendere l’integrità dell’istituzione parlamentare ed impedendo futili e mendaci scorribande ministeriali. Proprio ora, il tempo e l’occasione imminenti drammaticamente incalzano. Sarà quello il momento propizio per elevare il livello della comparazione giuridica fino alla soglia della sorveglianza diffusa sull’etica pubblica.


    [i] An introduction to the study of the Constitution, l’ultima edizione della quale, dall’autore direttamente curata, fu pubblicata nel 1915. Sempre stimolanti e ricchi sono gli studi di Torre sul pensiero del grande giurista britannico. Si veda, ad esempio, Albert Venn Dicey: un constitutional lawyer al tramonto dell'età vittoriana, in Giornale di storia costituzionale, 2007, pag. 11 ss.)

    [ii] Bagehot, The English Constitution, 2°ed. 1873, pag. 117 ss.

    [iii] An introduction, cit., pag. 22.

    [iv] Fourth part of the Institutes of the laws of England, 1644, pag. 36.

    [v] Da Blackstone nei suoi Commentaries 1765-1769.

    [vi]The power and jurisdiction of Parliament is so transcendent and absolute that it cannot be confined, either for causes or persons, within any bounds”: Coke, cit. Sul tema della “parliamentary sovereignty” merita di essere ricordata la più recente polemica tra Wade (autore del seminale The legal basis of sovereignty, in Cambridge Law Journal, 1955, pag. 172 ss.) in Sovereignty - Revolution or Evolution, in The Law Quarterly Review, 1996, pag. 568 ss. e Allan, Parliamentary Sovereignty: Law, Politics, and Revolution, nella medesima rivista, 1997, pag. 443 ss. a proposito della permanente rilevanza della teoria costituzionale in materia, dal secondo strenuamente difesa.

    [vii] Dicey, op. cit., pag. 269.

    [viii] Un importante dibattito si sviluppò in un caso del 1670, Craw v Ramsay, in cui si controverteva circa l’applicabilità nel territorio inglese delle leggi approvate dal Parlamento irlandese. La questione è attentamente esaminata da Baker, Collected papers on English legal history, vol. II, Cambridge, 2013, pag. 907 ss., che diffusamente tratta del periodo cosiddetto della Anglo-Hibernian constitution, per riferirsi agli effetti dell’unione alla maggiore, dell’altra, più piccola nazione in posizione di sostanziale subordinazione.

    [ix] Dicey, op.cit., pag. 293.

    [x] Dicey, cit., pag. 52.

    [xi] Il principio fu sancito in conseguenza del precedente del 1839 nel caso Stockdale v Hansard in cui quest’ultimo, storico editore dei lavori parlamentari, era stato ritenuto responsabile di diffamazione nei confronti di una persona alla quale si era rivolto un parlamentare, le cui frasi erano state appunto pubblicate dall’editore.

    [xii] The case of the Sheriff of Middlesex.

    [xiii] The House of Commons is not a court of justice; but the effect of its privilege to regulate its own internal concerns, practically invests it with a judicial character when it has to apply to particular cases the provisions of Acts of Parliament.

    [xiv] Dicey, cit., pag. 300.

    [xv] Erskine May, Treatise on the Law, Privileges, Proceedings and Usages of Parliament, la cui prima edizione risale al 1844 e, l’ultima la 25°, al 2019: l’opera costuisce ancora l’imprescindibile punto di riferimento per i lavori della House of Commons, come emergerà dal testo.

    [xvi] È opinione comune e ricevuta da casi del passato, a partire da Barnard v Mordaunt del 1754, che l’immunità dall’arresto si protragga fino ai 40 giorni successivi alla sospensione dei lavori della camera o al suo scioglimento. In ogni caso, dell’avvenuto arresto lo Speaker deve informare la camera di appartenenza e la relativa comunicazione va inserita nei resoconti ufficiali: Erskine May, op.cit., par. 14.3.

    [xvii] Erskine May, cit., 25° ed, par. 12.8.

    [xviii] Op.ult.cit., par. 14.10.

    [xix] Erskine May, par.15.11.

    [xx] Negli anni 2008 e 2009 la House of Commons ha approvato un codice di condotta per i parlamentari (Code of conduct) ed una guida alle regole relative ai loro comportamenti (Guide to the rules relating to the conduct of Members).

    [xxi] Treatise, cit., par. 15.28, nota 1.

    [xxii]The offer of money or other advantage to any Member of Parliament for the promoting of any matter whatsoever, depending or to be transacted in Parliament, is a high crime and misdemeanour”.

    [xxiii] Erskine May, 22° ed., 1997, pag. 65.

    [xxiv] Trattandosi di un’immunità per così dire esterna al Parlamento la dottrina suole parlare al riguardo di “qualified immunity”.

    [xxv]Whether he had misled the House and whether that conduct amounted to a contempt”.

    [xxvi]The inquiry goes to the very heart of our democracy. Misleading the House is not a technical issue, but a matter of great importance. Our democracy is based on people electing Members of Parliament not just to enable a government to be formed and supported but to scrutinise legislation and hold the Executive to account for its actions. Our democracy depends on Mps being able to trust that what Ministers tell them in the House of Commons is the truth. If Ministers cannot be trusted to tell the truth, the House cannot do its job and the confidence of the public in our democracy is undermined. When a Minister makes an honest mistake and then corrects it, that is democracy working as it should”.

    [xxvii] Drammatica è la testimonianza finale di Jonathan Coe nel suo struggente Bournville a proposito del mancato commiato alla madre.

    [xxviii] Parliamentary privilege is a protection for the proceedings of Parliament-debates, committees, hearings, votes and so on- and only indirectly for the individuals who participate in them. It is a safeguard to ensure that parlamentarians, including the public’s elected representatives, are able to carry out their duties to the best of their ability, and that all of parliament’s vital constitutional functions can be carried out to the highest possible standards.

    [xxix] 25a edizione datata 2019 del Treatise on the Law, Privileges, Proceedings and Usages of Parliament, curata da Limon e McKay.

    [xxx]Misstatements by Ministers are inherently likely to obstruct or impede the House”.

    [xxxi] Le altre possibili misure a disposizione del Committee sono: l’accertamento dell’infrazione senza irrogazione di sanzione; l’ammonizione o il rimprovero; la privazione temporanea di stipendio ed indennità, pur in assenza di sospensione; l’espulsione.

    [xxxii] Si può vedere sul punto, Serio, Prime impressioni relative alla sentenza 41/2019 della Supreme Court sulla (il)legittimità della sospensione dei lavori del Parlamento inglese, nell’edizione di questa Rivista del 30 settembre 2019.

    [xxxiii] Così si esprime in The rule of law, Londra, 2010, pag. 160, suo canto del cigno biologico ma imperituro testamento culturale e morale, Lord Bingham, illuminato giudice e Presidente dell’Appellate Committee della House of Lords: “If asked to identify the predominant characteristic of our constitutional settlement in the United Kingdom today, most of us would, I think, point to, or at any rate include in any list, our commitment to the rule of law and our recognition of the Queen in Parliament as the supreme law-making authority in the country”.

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