GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il dissesto finanziario degli enti locali tra tutela dei creditori, “diritto a un tribunale” e tutela della finanza pubblica (nota a Cons. Stato, Adunanza Plenaria n. 1/2022)

    Il dissesto finanziario degli enti locali tra tutela dei creditori, “diritto a un tribunale” e tutela della finanza pubblica (nota a Cons. Stato, Adunanza Plenaria n. 1/2022)

    di Andrea Crismani 

    Sommario: 1. Il “diritto della crisi pubblica” e la dinamica dei dissesti -  2. Le criticità del dissesto e la rimeditazione ex art. 99, c. 3, c.p.a. - 3. Aspetti ricostruttivi sul dissesto - 3.1. Prima fase: il dissesto gestito dall’ente stesso. Il dissesto come procedura interna di risanamento - 3.2. Seconda fase: la netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente. Il dissesto come procedura concorsuale atipica - 3.3. Terza fase: il suo perfezionamento - 3.4. Quarta fase: l’incertezza: l’abbandono della disciplina, il venir meno della garanzia dello Stato e la sua ripresa - 3.5. Quinta fase: nuovi strumenti e i vincoli di finanza pubblica dopo la l. cost. n. 1/2012. Il dissesto guidato. Il c.d. predissesto o la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale - 4. L’antitesi Stato-mercato e i contro-limiti nella Plenaria n.1/2022. 

    1.  Il “diritto della crisi pubblica” e la dinamica dei dissesti

     Da un recente studio della Camera dei deputati[i] emerge che i comuni che hanno fatto ricorso alla procedura dal 1989 al 2019 sono 607, circa l’8% sul totale dei comuni italiani. Nell’arco del trentennio 45 comuni sono ricorsi per due volte alla procedura del dissesto. La distribuzione dei dissesti presenta una forte caratterizzazione geografica: l’82,4 % delle procedure di dissesto (537) riguarda comuni del Sud Italia, l’11,2 per cento comuni del Centro Italia e appena il 6,4 per cento comuni del Nord

    Il Rapporto Ca’ Foscari sui comuni 2020[ii], con un’analisi accurata di raccolta di dati e documentazione, evidenzia come la dinamica dei dissesti, in pratica azzerata tra il 1996 e il 2007, ha ripreso la crescita a partire dal 2008, con la grande crisi finanziaria: i comuni in dissesto che hanno deliberato la procedura tra il 2015 e il 2019 sono 147.

    Evidenzia poi la Corte dei Conti in una sua recente relazione come i dissesti attivi, deliberati tra il 2016 e il 2020, sono 154 con una significativa concentrazione territoriale in Calabria (42 casi), Campania (35 casi) e Sicilia (40 casi). Nel complesso la popolazione dei Comuni in dissesto ammonta a 2.261.765 abitanti. I centri maggiori in dissesto sono: Catania, il più grande comune italiano in dissesto dal 2018 (311 mila abitanti), Terni (111 mila), Caserta (75 mila), Casoria (74 mila), Cosenza (66 mila), Benevento (59 mila), Marano di Napoli (59 mila) e Ardea (49 mila)[iii].

    La correlazione tra crisi finanziaria e diritto in generale è oramai una costante e sta portando verso una riconfigurazione di alcune branche del diritto[iv]. Essa è in grado di provocare effetti modificativi sul diritto in generale e nello specifico su quello pubblico (ci si riferisce per gli aspetti considerati al diritto costituzionale e al diritto amministrativo e per quelli trattati al diritto finanziario e contabile, e al diritto dell’economia[v]). 

    La gestione della crisi e dell’insolvenza s’inserisce in un processo per materie che riguarda materie riferite ai sistemi di finanziamento e di contabilità, alla governance, ai sistemi di pagamento, alla disciplina del rapporto di lavoro, alle regole del mercato e della concorrenza, alla disciplina dei contratti pubblici, alle politiche di finanziamento fino ad arrivare agli aspetti patologici che incidono sull’operatività e sull’esistenza del soggetto stesso[vi].

    In tale contesto si colloca l’istituto del dissesto degli enti locali che è uno strumento di risanamento. Di recente è stata definito dalla Corte dei conti come un microcosmo normativo[vii]. Il dissesto è quella fase patologica e irreversibile della vita finanziaria dell’ente territoriale che si verifica quando l’ente non è più in grado di assolvere le funzioni ed i servizi indispensabili ovvero quando esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi, certi ed esigibili di terzi cui non si può trovare valida copertura finanziaria, a norma di legge, con mezzi di finanziamento autonomi dell’ente senza compromettere lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili. 

    È un microcosmo perché racchiude le disposizioni che regolano, nel dettaglio, l’intera attività dell’organo straordinario di liquidazione ed al quale va riconosciuto un proprio statuto informato al principio della par condicio creditorum e alla tutela della concorsualità, da presidiarsi proprio da detto organo quale “dominus esclusivo della peculiare procedura finalizzata al risanamento dell’ente”, il quale nel tempo ha assunto una propria specificità, connotandosi sempre più quale organo sostitutivo di quelli ordinari dell’ente, titolare di elevati poteri organizzatori[viii]

    2. Le criticità del dissesto e la rimeditazione ex art. 99, c. 3, c.p.a.

     La disciplina giuridica sul dissesto può considerarsi un caso di “stortura” e “incertezza” giuridica che è culminata a seguito dell’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001 e della conseguente infinita attesa di attuazione del c.d. federalismo fiscale. 

    Per molto tempo, infatti, è mancata una visione unitaria e coordinata tra l’indebitamento e il risanamento dell’ente locale che sono da annoverarsi tra gli aspetti fondamentali dell’esistenza amministrativa e finanziaria degli stessi. 

    Mancava altresì una altrettanto unitaria e coordinata visione tra la qualifica odierna dell’amministrazione pubblica intesa come operatore del mercato (che regola le attività economiche) e come operatore nel mercato (che svolge attività di tipo economico in alternativa o in concorrenza con i soggetti privati, ma soprattutto oggi si pone come un consumatore ottimale che necessita di approvvigionamento, di fornitura di beni e servizi, di opera di beni) e tra la qualifica classica dell’amministrazione come operatore giuridico il cui agire deve essere improntato alla cura dell’interesse collettivo, inteso quale interesse alieno, e al rispetto, sul piano finanziario-contabile, delle garanzie obiettive della collettività alla destinazione del danaro pubblico al fine pubblico e alla correttezza dei criteri di gestione[ix]

    La disciplina sul dissesto è una materia relativamente nuova che nel corso dei decenni ha subito importanti interventi non solo dal legislatore, costituzionale e ordinario, ma anche dalla stessa Corte costituzionale, dalla Cedu, dall’Adunanza Plenaria e dal giudice amministrativo in generale nonché dalla Corte dei conti.

    La disciplina sul dissesto ha spesso rappresentato terreno di confronto su una serie di questioni che vanno da quelle di natura finanziaria (chi paga?), a quelle costituzionali (di chi è la competenza legislativa?[x] quali limiti ha lo Stato nel garantire i debiti degli enti locali?), fino a alle questioni obbligazionarie (come sono soddisfatti i creditori?) e a quelle procedurali (a chi spetta la gestione della crisi?).

    Il recente dibattito si è concentrato sulla questione della soddisfazione dei creditori tra sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo e dell’Adunanza plenaria e così la conformità della normativa sul dissesto con la Convenzione Edu e la Costituzione. 

    La sezione V del Consiglio di Stato, con ordinanza 21 aprile 2021, n. 3211, ha chiesto che l’Adunanza plenaria rimediti la questione già affrontata con la sentenza n. 15 del 5 agosto 2020[xi] e di considerare i principi non affrontati nella precedente pronuncia n. 15/2020 e, in particolare, quelli emersi della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Quest’ultima già nella sentenza n. 43780/2004 del 24 settembre 2013, De Luca c/o Italia ha affermato che l’avvio della procedura di dissesto finanziario a carico di un ente locale e la nomina di un organo straordinario liquidatore, nonché il successivo d.l. n. 80/2004 che impediva i pagamenti delle somme dovute fino al riequilibrio del bilancio dell’ente, non giustificano il mancato pagamento dei debiti accertati in sede giudiziaria, poiché lesive dei principi in materia di protezione della proprietà e di accesso alla giustizia riconosciuti dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo[xii].

    La pronuncia della Corte aveva come presupposto una situazione di ritardo nella soddisfazione delle pretese e che di fatto assumeva le connotazioni di una espropriazione violando i principi della tutela della proprietà, dell’accesso alla giustizia e della ragionevole proporzione tra i rimedi messi a disposizione. Infatti, secondo la Corte, lo stato di dissesto di un comune dichiarato nel 1993, a fronte del riconoscimento di un credito con sentenza del 2003, ancora paralizzato al momento della pronuncia del 2013, aveva virtualmente privato il ricorrente del suo diritto di accesso a un tribunale per un periodo eccessivamente lungo, con il conseguente venire meno del ragionevole rapporto di proporzionalità che deve esistere tra i mezzi impiegati e lo scopo prefisso.

    Il principio espresso dalla Plenaria n. 15/2020 consisteva invece nel sostenere che sono attratti nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione, e non rientrano quindi nella gestione ordinaria, non solo le poste passive pecuniarie già contabilizzate alla data della dichiarazione di dissesto, sia sotto il profilo contabile sia sotto il profilo della competenza amministrativa, ma anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta e immediata di atti e fatti di gestione pregressi alla dichiarazione di dissesto[xiii].

    La differenza non è di poco conto in quanto ove i crediti rientrino nella massa liquidatoria si applica il principio della concorsualità, della par condicio creditorum con probabilità di riduzione dell’importo e la regola del blocco delle esecuzioni, nell’altra ipotesi invece l’obbligazione rientra nella gestione ordinaria con pieno riconoscimento della pretesa.

    Sulla posizione della Plenaria n. 15/2020 è stata chiesta una rimeditazione, ai sensi dell’art. 99, c. 3, c.p.a., e in particolare sull’interpretazione del combinato disposto dell’art. 252 c. 4, d.lgs. 267/2000, nonché dell’art. 5 c. 2 del d.l. 80/2004 convertito nella l. n. 140/2004 in un’ottica costituzionalmente orientata e anche conforme ai principi dettati dalla Cedu[xiv].

    Nel caso di specie, il Comune resistente aveva dichiarato il dissesto in data 19 giugno 2017 e il decreto ingiuntivo era stato emanato dopo tale dichiarazione, pur riferendosi a fatti che precedevano lo stato di dissesto, con la conseguenza che la pretesa dei creditori non avrebbe potuto trovare accoglimento, alla luce di quanto affermato dalla Plenaria n. 15/2020.

    I creditori dopo aver ottenuto l’ingiunzione di pagamento attivavano la richiesta di adempimento con giudizio di ottemperanza avanti al Tar Lazio. Quest’ultimo aveva dichiarato il ricorso inammissibile considerato che il Comune aveva dichiarato lo stato di dissesto finanziario e che, ai sensi dell’art. 248, c. 2 TUEL dalla data della predetta dichiarazione e sino all’approvazione del rendiconto di gestione da parte dell’organo straordinario di liquidazione, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza del predetto organo straordinario (cfr. in ultimo Tar Lazio, II bis, n.1768 del 2019)[xv]

    L’analisi storica dell’istituto del dissesto ci permette comprendere meglio la fattispecie in quanto l’impostazione e il modello funzionale del dissesto basato sulla separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva, dopo un percorso importante, e come lo ribadisce la stessa Plenaria n. 1, ha assunto una fisionomia analoga al fallimento privatistico, il quale, come è noto, non è sottoposto a termini finali certi senza che, per questo, si sia dubitato della sua legittimità costituzionale, trattandosi peraltro di un istituto diffuso a livello comunitario.

    3. Aspetti ricostruttivi sul dissesto

    3.1. Prima fase: il dissesto gestito dall’ente stesso. Il dissesto come procedura interna di risanamento. 

    Il testo unico della legge comunale e provinciale, il R.d. n.383/1934, ha ignorato del tutto l’argomento, a lungo trascurato anche dopo l’instaurazione dell’ordinamento repubblicano. Dapprima la giustificazione si poteva rinvenire nel modello statocentrico dove i comuni e province erano considerati organi di amministrazione indiretta dello Stato, a base territoriale, che perseguivano interessi coincidenti con quelli statali e quindi da assoggettare a un penetrante controllo, di legittimità e di merito, in ossequio al principio dell’unitarietà dell’azione amministrativa.

    A seguito della riforma tributaria degli anni Settanta del Secolo scorso fu instaurato un sistema caratterizzato dall’accentramento delle entrate, lasciando in vita solo pochi tributi locali, e dal decentramento della spesa[xvi]. La trasformazione della finanza locale in finanza pressoché interamente derivata, cioè composta prevalentemente da trasferimenti statali, e in minor misura anche regionali, ha comportato una certa propensione degli enti locali, in specie del Comune, a spendere risorse che più non erano onerati a procacciarsi: in ogni caso il rifinanziamento dello Stato, attraverso il Ministero dell’Interno, sarebbe sempre intervenuto a risolvere le situazioni finanziariamente più delicate[xvii]

    Nel corso degli anni il comportamento scarsamente responsabile delle amministrazioni locali si è tradotto soprattutto nell’assumere in pianta stabile spese eccedenti: ne è un esempio lampante l’ampliamento spesso irragionevole delle piante organiche, con conseguente abnorme incidenza delle spese di personale sulle spese correnti (talvolta oltre il 60%).

    Il fenomeno del dissesto incominciava, dunque, ad assumere proporzioni preoccupanti e sembrò evidente l’insufficienza, almeno nel lungo periodo, del ricorso all’aiuto statale: fin dalla fine degli anni Settanta del Secolo si pose l’esigenza di correggere e di regolamentare appropriatamente la gestione finanziaria degli enti locali.

    Il d.P.R. n. 421/1979 ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio: ma tale obbligo, anziché sortire una maggiore oculatezza e responsabilizzazione nei comportamenti finanziari locali, venne fin da subito facilmente eluso. Infatti, il pareggio di bilancio magicamente si materializzava attraverso una sovrastima delle entrate ed una sottostima delle spese e poco importava che, dato il carattere meramente formale di questo pareggio, i fondi prima o poi, durante la gestione, si esaurivano, costringendo le amministrazioni all’indebitamento per far fronte ai sempre più numerosi debiti fuori bilancio.

    Il grave fenomeno dei debiti fuori bilancio fu rappresentato per la prima volta dal d.l. n.318/1986, convertito in l. n. 488/1986, il cui art. 1 bis, rubricato “Controllo di gestione” ammoniva gli enti locali al rispetto degli equilibri di bilancio ed al pareggio di bilancio.

    Il suddetto articolo 1 bis non riuscì a contrastare con efficacia le più gravi forme di indebitamento spesso derivanti da attività anche formalmente illegittime. Il legislatore statale decise di dettare le prime sostanziali norme in materia, quelle contenute negli artticoli 23, 24 e 25 del d.l. n. 66/1989 convertito nella l. n.144/1989[xviii].

    L’art. 25 l. n. 144/1989 introduceva, per la prima volta, il concetto di dissesto per quegli enti locali che non erano in grado di sanare la propria situazione debitoria. Esso affidava la gestione del risanamento allo stesso ente locale che aveva dichiarato lo stato di dissesto[xix]. In questa prima versione dell’istituto del risanamento, l’ente dissestato adottava, a mezzo dei propri organi istituzionali, un unico strumento denominato piano di risanamento finanziario, e destinato sia a regolare i rapporti pregressi che a gettare le basi per una futura corretta conduzione finanziaria. 

    La normativa sul dissesto prevedeva un intervento eccezionale dello Stato, nel caso in cui gli enti non potessero far fronte ai debiti con l’autofinanziamento, ma chiedeva all’ente locale di contribuire al risanamento attraverso l’adozione di provvedimenti del pari eccezionali. Lo Stato infatti consentiva all’ente dissestato di contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo per il finanziamento dell’indebitamento pregresso[xx] il cui onere era a totale carico dello Stato stesso. Lo Stato assicurava l’adeguamento dei contributi correnti alla media pro-capite della fascia demografica di appartenenza, nel caso degli enti sottodotati, nonché il rimborso degli oneri del personale posto in mobilità e la conservazione per sempre dei relativi fondi.

    In un primo momento alcuni enti dichiararono il dissesto con una certa leggerezza, allettati dal rilevante contributo statale, e convinti che non fossero poi così stringenti i provvedimenti da adottare. In effetti così non era. Nonostante questi innegabili vantaggi i provvedimenti da adottare in materia di personale e di tributi locali erano ritenuti così pesanti che gli enti arrivavano alla dichiarazione di dissesto solo quando, a seguito delle azioni esecutive dei creditori, non era più possibile pagare gli stipendi al personale dipendente.

    3.2. Seconda fase: la netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente. Il dissesto come procedura concorsuale atipica

    Con l’art. 21, d.l. n. 8/93, conv. in l. n. 68/93, si è proceduto alla separazione delle competenze tra la gestione della situazione pregressa affidata ad un Organo straordinario di liquidazione e la gestione ordinaria che l’ente locale doveva impostare in modo innovativo, redigendo un’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. 

    Con il d.l. n. 8/93, si passa quindi ad una netta separazione di compiti e competenze tra la gestione passata e quella corrente. In tal modo l’amministrazione locale deve esclusivamente occuparsi del bilancio risanato dal quale iniziare una nuova vita in modo da non ricadere nel disavanzo.

    Lo scopo della normativa sul dissesto è liberare gli enti locali dall’indebitamento pregresso e assicurare condizioni di stabile riequilibrio della gestione finanziaria[xxi]. Originariamente la disciplina del risanamento degli enti locali dissestati mostrava una maggiore attenzione agli interessi degli enti ponendo in secondo piano le ragioni dei creditori. In tempi più recenti, anche a seguito di pronunce della Consulta[xxii], il legislatore ha mostrato maggiore attenzione al bilanciamento degli opposti interessi del risanamento dell’ente locale e della piena tutela della posizione dei creditori evidenziando la par condicio creditorum.

    In particolare, spicca l’accostamento, sul piano della struttura della procedura, alle procedure concorsuali applicabili al settore delle imprese.

    Il fallimento si propone di soddisfare i creditori del debitore insolvente, applicando nella maniera più ampia possibile il principio della par condicio creditorum e destinando la totalità dell’attivo alla totalità dei creditori: la sorte dell’impresa fallita è la sua cancellazione dal mondo giuridico[xxiii].

    La normativa in materia di risanamento, invece, se, da un lato, mira a quantificare i debiti esistenti alla data della deliberazione di dissesto, a reperire la massa attiva ed a distribuirla ai creditori - in ciò si ravvisa, dunque, una chiara analogia con le procedure concorsuali - dall’altro, si propone uno scopo ulteriore, e decisamente qualificante, che è la correzione dei guasti della precedente gestione finanziaria, al fine di rimettere l’ente in grado di funzionare senza squilibri e di svolgere i compiti per i quali esso è costituito[xxiv].

    La somiglianza della procedure con quella del fallimento privatistico si rinveniva nel fatto che il contributo dello Stato per il pagamento dell’indebitamento pregresso veniva quantificato in rapporto alla popolazione dell’ente dissestato, ma, sempre in rapporto a tale popolazione, e così veniva fissato un importo massimo accordabile.

    3.3. Terza fase: il suo perfezionamento 

    Con il d.P.R. n. 378/93 è stato approvato il regolamento recante norme sul risanamento degli enti locali, la cui disciplina oggi può ritenersi in gran parte superata dalle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 77/1995, ed ora dal t.u. ord. enti locali[xxv].

    Poi con il d.lgs. n. 336/1996 seguirono ulteriori modifiche, che hanno previsto una esaustiva definizione di dissesto finanziario.

    Infatti, fino a quel momento non poche incertezze ruotavano attorno alla definizione stessa del dissesto. Lo stato di dissesto, secondo la normativa richiamata, consiste nella situazione in cui l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero quando esistono nei confronti dell’ente crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa far validamente fronte[xxvi]. Si esclude qualsiasi discrezionalità per quanto riguarda la declaratoria di dissesto dell’ente, il quale, in presenza di dati obiettivi, è “obbligato” a dichiararla.

    L’ intera disciplina del risanamento finanziario, infine, è confluita nel t.u. ord. enti locali (il d.lgs. n. 267/00).

    Sono poi intervenute, in materia procedurale il d.l. n. 13/02, conv. in l. n. 75/02 e il d.l. n. 50/03 conv. in l. n. 116/03 che hanno aggiunto nuove disposizioni al presente t.u. ord. enti locali (artt. 268 bis e 268 ter). Infine, entrambi gli articoli citati sono stati ulteriormente modificati ed integrati dal d.l. n. 44/05 conv. in l. n. 88/05.

    3.4. Quarta fase: l’incertezza: l’abbandono della disciplina, il venir meno della garanzia dello Stato e la sua ripresa

    L’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ha innescato una serie di sconvolgimenti nell’istituto del dissesto finanziario. In attesa dell’ attuazione Titolo V della parte II Cost. Si è proceduto, in un primo momento all’abrogazione delle disposizioni del titolo VIII della parte II t.u. ord. enti locali ed in particolare la soppressione della contribuzione statale sul relativo onere di ammortamento.

    La l.f. per il 2003 (art. 31, comma 15, l. n. 289/02), a seguito delle modificazioni apportate al Titolo V della parte II Cost. ed in attesa della fissazione dei nuovi principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, in un primo momento, ha disposto l’abrogazione delle disposizioni del titolo VIII della parte II t.u. ord. enti locali che disciplinano l’assunzione di mutui per il risanamento degli enti locali dissestati, nonché la contribuzione statale sul relativo onere di ammortamento.

    Successivamente, con la l. f. per il 2004 (art. 4, comma 208, l. n. 350/03) si è sostituita l’abrogazione con la non applicazione di detta normativa e si è eliminata la previsione che le disposizioni continuassero ad applicarsi per i dissesti deliberati antecedentemente alla riforma costituzionale. 

    Sorsero non pochi dubbi sulla capacità degli enti dissestati di poter trovare le risorse per risanarsi, ma è pur vero che il pregresso sistema, probabilmente, deresponsabilizzava in maniera eccessiva gli enti stessi[xxvii]. La disciplina, necessariamente condizionata dal divieto della garanzia statale sull’indebitamento degli enti locali introdotto dall’art. 119, ult. c. Cost, consente l’assunzione di oneri da parte dello Stato non inferiori a quelli che assicurino l’erogazione di livelli essenziali di prestazioni a favore dei cittadini degli enti in dissesto, ferma l’opportunità di procedure di controllo, monitoraggio e segnalazione che evidenzino anticipatamente situazioni di difficoltà finanziaria[xxviii].

    Attualmente l’intervento sussidiario dello Stato è previsto sotto varie forme.

    L’art. 15-bis, l. n. 160/2016 di modifica dell’art. 256, c. 12, TUEL. prevede che in caso di massa attiva incapiente, tale da compromettere il risanamento dell’ente il Ministro dell’interno può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti, in questo caso senza tuttavia oneri a carico dello Stato.

    L’articolo 53, c. 1, d.l. n. 104/20 ha istituito un fondo, con una dotazione di 100 milioni di euro per il 2020 e 50 milioni per il 2021 e il 2022, finalizzato a favorire il risanamento finanziario dei comuni che presentano un deficit strutturale, non derivante da patologie organizzative, bensì dalle caratteristiche socio economiche della collettività e del territorio, in attuazione della sentenza n. 115/2020 della Corte costituzionale che ha voluto affermare il profilo dell’equità intergenerazionale. La sentenza stabilisce, in un obiter dictum, che le misure statali di risanamento finanziario in favore degli enti territoriali possono giustificarsi in presenza di deficit strutturale, imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio, e non a patologie organizzative, come nel caso di inefficienze amministrative legate alla riscossione dei tributi.

    Con D.M. 11 novembre 2020 sono state ripartite risorse del fondo (200 milioni di euro nel triennio 2020-2022) . 

    La legge di bilancio 2021 n. 178/2020, art. 1 c. 775-777, ha incrementato la dotazione del fondo per il sostegno ai comuni in deficit strutturale.

    Il d.l. n. 34/2019,  art. 38, c. 1-septies, ha previsto l’istituzione di un fondo per il concorso al pagamento del debito dei comuni capoluogo delle città metropolitane[xxix].

     3.5. Quinta fase: nuovi strumenti e i vincoli di finanza pubblica dopo la l. cost. n. 1/2012. Il dissesto guidato. Il c.d. predissesto o la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale.

    L’ulteriore evoluzione è rappresentata dalla costruzione di un sistema di contenimento della crisi in base al principio della proporzionalità, della precauzione e della gradazione degli strumenti di risoluzione delle crisi al fine di ampliare le possibilità per gli enti locali di correggere gli squilibri finanziari ed evitare le conseguenze negative del dissesto che è l’ultima ratio.

    In tale ottica sono stati introdotti il dissesto guidato e il predissesto.

    Il dissesto guidato è stato introdotto dall’art. 6, c. 2, d.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149 nel quale assumono un ruolo centrale le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. Tale procedura è finalizzata a prevenire situazioni di squilibrio finanziario e a fare più facilmente emergere i casi di dissesto finanziario. In particolare, la norma prevede che qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario, la Corte dei conti assegna all’ente un termine ai fini dell’adozione delle misure correttive necessarie.

    Qualora l’ente non provveda, entro il termine assegnato dalla Corte dei Conti, ad adottare le

    misure (o comunque le misure adottate non siano ritenute soddisfacenti), la Corte trasmette gli atti al Prefetto (e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica), il quale, accertato (entro trenta giorni) il perdurante inadempimento dell’ente locale e la sussistenza delle condizioni di grave squilibrio, assegna al Consiglio un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto. In caso di inerzia del Consiglio, il Prefetto nomina un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto, dando così corso alla procedura di scioglimento del consiglio dell’ente ai sensi dell’art. 141 TUEL.

    Gli articoli 243-bis e seguenti del TUEL, inseriti dal d.l. n. 174 del 2012, invece, hanno introdotto la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (c.d. predissesto) degli enti locali che versano in una situazione di squilibrio strutturale del bilancio, in grado di provocarne il dissesto finanziario, allo scopo di evitare, a tali enti, la dichiarazione di dissesto.

    La condizione giuridico finanziaria è rappresentata dalla condizione di squilibrio rilevante il si individua nell’incapacità dell’ente di adempiere alle proprie obbligazioni esigibili a causa della mancanza di risorse effettive a copertura delle spese e, solitamente, della correlata mancanza o grave carenza di liquidità disponibile; tale squilibrio è "strutturale" quando il deficit – da disavanzo di amministrazione o da debiti fuori bilancio – esorbita le ordinarie capacità di bilancio e di ripristino degli equilibri e richiede mezzi ulteriori, extra ordinem (in termini di fonti di finanziamento, dilazione passività, ecc.). 

    La peculiarità dell’istituto del cd. predissesto risiede nel fatto che la procedura è avviata autonomamente dell’ente, con l’obiettivo di valorizzare la responsabilità degli organi ordinari nell’assunzione delle iniziative per il risanamento.

    La disciplina del predissesto, ha subito numerose integrazioni e modifiche normative, principalmente volte a consentire agli enti locali, la facoltà di riformulazione e/o rimodulazione dei piani di riequilibrio, per lo più legate all’esigenza di coordinamento tra i contenuti del piano di riequilibrio e gli eventuali effetti peggiorativi derivanti dall’adozione degli adempimenti previsti per il passaggio al sistema  di contabilità armonizzata, introdotta dal d.Lgs. n. 118/2011. 

    Specifiche disposizioni sono state adottate, inoltre, a seguito della crisi connessa all’emergenza epidemiologica da Covid-19. 

    Sul punto era intervenuta la Corte costituzionale con sent. 14 febbraio 2019, n. 18 censurando l’art. 1, c. 714, l. n. 208/2015 sost. dall’art. 1, c. 434, l. n. 232/2016 in quanto l’ammortamento sulle anticipazioni di liquidità che consentono agli enti locali in predissesto di finanziare il disavanzo di parte corrente, spalmato su un arco temporale di trent’anni, viola il principio dell’equilibrio dinamico del bilancio al quale tutte le pubbliche amministrazioni sono costituzionalmente soggette, e si pone in contrasto con il principio di responsabilità politica degli amministratori locali di fronte ai propri elettori e contraddicono elementari principi di equità tra le generazioni presenti e future

    Sentenza importante anche per aver riconosciuto la legittimazione delle Sezioni regionali ad adire il Giudice delle leggi nell’ambito del controllo di legittimità-regolarità sui bilanci degli enti territoriali e, in particolar modo, nell’esercizio dei poteri di vigilanza sull’adozione e sull’attuazione delle misure di riequilibrio finanziario. 

    4. L’antitesi Stato-mercato e i contro-limiti nella Plenaria n.1/2022

    La sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1/2022 si innesta in questa trama ed è chiamata a rimeditare la posizione assunta nella precedente n. 15/2020 sul rapporto tra la procedura di liquidazione straordinaria e sulla collocazione dei crediti nella procedura di dissesto. 

    La Plenaria ha comunque confermato la precedente posizione assumendo una posizione di tutela dei conti pubblici senza però pregiudicare la posizione dei creditori privati e le loro pretese.

    La trama è data dalla collocazione del dissesto finanziario all’interno dell’antitesi Stato-mercato.

    La motivazione della Plenaria a mio avviso è chiara e logica, quasi non necessaria se non per il fatto di essere messa di fronte alla pronuncia della Cedu n. 43780/2004 del 24.9.2013 (De Luca c/o Italia, orientamento che secondo la Plenaria non risulta completamente consolidato a livello di Corte dei diritti dell’uomo).

    La Cedu giustamente afferma che un credito certo, liquido ed esigibile, com’è quello derivante da una sentenza passata in giudicato, è un bene e pertanto il mancato pagamento di quel credito reca offesa al diritto al rispetto dei beni del creditore e che la mancanza di risorse di un comune non può giustificare la mancata soddisfazione di un credito certo, liquido ed esigibile derivante da una sentenza passata in giudicato; pertanto, trattandosi di una collettività locale, cioè di un organo dello stato, è quest’ultimo che risulta obbligato a pagare”. 

    E più incisivamente ribadisce che ne consegue l’obbligo per lo Stato di appartenenza di pagare le somme dovute dagli enti locali nei termini e secondo le modalità prescritte dalla convenzione

    Tuttavia sulla scorta di questa sentenza si vorrebbe applicare senza riserve un tale assunto imputando all’apparato pubblico (ente locale e in ultima istanza allo Stato) l’obbligo di pagare in ogni caso e non solo nelle ipotesi emerse in quella situazione concreta descritta dalla sentenza Cedu n. 43780/2004 (v. sopra) che era di sostanziale espropriazione del credito per effetto dell’eccessiva durata della procedura.

    Non si vede la ragione per la quale lo Stato dovrebbe in ogni caso pagare considerate le previsioni degli artt. 81, 97 e 119 Cost. sull’indebitamento e sulle garanzie statali.

    La costruzione del sistema del dissesto caratterizzato dalla separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva, attesta una fisionomia analoga al fallimento privatistico, il quale blocca le azioni esecutive, instaura una procedura liquidatoria competitiva a garanzia della par condicio creditorum e non è sottoposto a termini finali certi senza che, per questo, si sia dubitato della sua legittimità costituzionale, trattandosi peraltro di un istituto diffuso a livello eurocomunitario.

    Inoltre nel caso del dissesto, a differenza dalla posizione storica ante riforma del Titolo V della Costituzione e della l. cost. n. 1/2012, è comunque previsto un intervento, sia pure non illimitato, dello Stato, con funzione tipica di “pagatore di ultima istanza” all’interno del sistema di finanza pubblica che da esso promana. 

    Nota, infatti, la Plenaria che a ciò si contrappone un regime dei debiti commerciali dell’ente locale proprio delle transazioni tra imprese, in cui non sono ordinariamente previsti interventi di sostegno pubblico contro l’insolvenza.

    La questione, come è stato notato[xxx], è forse un’altra e riguarda essenzialmente il rapporto delle norme interne con quelle euro-unitarie e internazionali, potendosi ravvisare sul punto e sulla teoria dei contro-limiti una differenza di vedute tra le recenti posizioni della Corte di giustizia UE e del Consiglio di Stato.

    In effetti la Corte di giustizia UE, Grande sezione, 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad Italia s.p.a.  ha ritenuto, in via generale, che tutte le norme di diritto interno, anche costituzionali, non possono pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione e gli effetti di tale principio si impongono a tutti gli organi di uno Stato membro, senza che le disposizioni interne relative alla ripartizione delle competenze giurisdizionali possano opporvisi[xxxi].  

    Invece la Plenaria n. 1/2022 assume la posizione secondo la quale ove si ravvisi un contrasto della legge nazionale con i parametri della CEDU, la soluzione non può essere l’applicazione diretta della stessa e l’unica strada consentita all’interprete è rimettere la questione alla Corte costituzionale perché valuti la costituzionalità della legge alla luce del parametro interposto descritto dall’art. 117, comma 1, Cost.[xxxii]

    Talché le norme internazionali – che assumono nel giudizio di costituzionalità la consistenza di parametro interposto ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost. – prima di poter essere applicate dal giudice nazionale quale fonte del diritto, devono essere valutate come conformi alle disposizioni della Costituzione e non solo ai principi costituzionali fondamentali[xxxiii].

    Per quanto riguarda l’aspetto sostanziale sulla compatibilità della disciplina la Plenaria riconosce che le caratteristiche del procedimento di dissesto siano espressive di un equilibrato e razionale bilanciamento, a livello normativo, con la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili per la comunità locale, e, dall’altro lato, di tutelare i creditori

    L’equilibrio così delineato sul piano della vigente normativa, secondo la Plenaria, rende evidente e manifesto che la disciplina sullo stato di dissesto non può ritenersi contrario ad alcun parametro costituzionale, né in via diretta né attraverso il meccanismo della norma interposta ex art. 117, comma 1, Cost.

      

    [i] Camera dei deputati, Servizio studi, XVIII legislatura, Dissesto e procedura di riequilibrio finanziario degli enti locali, 10 febbraio 2022, in https://temi.camera.it/leg18/temi/dissesto-e-predissesto-finanziario-degli-enti-locali.html.

    [ii] Rapporto Ca’ Foscari sui comuni 2020, in http://www.cafoscari.eu/studi/public/elen_info.php.

    [iii] Corte dei Conti, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali, 2021

    [iv] F. Merusi, Il sogno di Diocleziano. Ruolo del diritto pubblico nelle crisi economiche, in Riv. Trim. dir. Economia, 1, 2013, 3.

    [v] F. Fracchia, Il diritto dell’economia alla ricerca di uno spazio nell’era della globalizzazione, in Dir. dell’economia, 25, n. 77, 11-37.

    [vi] Sul modello del processo per materie si rinvia a S. Cassese, La nuova architettura finanziaria europea, in Giorn. dir. amm., 2014, 1, 79. Sia consentito per la crisi e fallibilità delle società pubbliche il mio Le società partecipate tra crisi e insolvenza, in DeS, 2, 2015, 317-365.

    [vii] Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, 20 luglio 2020, n. 12/2020/QMIG, in https://www.corteconti.it/Download?id=8732180d-477b-4d7c-8631-1e89d4ae48d1.

    [viii] G. Vinciguerra, Riconoscimento dei debiti fuori bilancio nei Comuni in dissesto: il parere della Corte dei conti (deliberazione Sezione Autonomie n. 12/2020), in lentepubblica.it.

    [ix] F.G. Scoca, in Diritto Amministrativo, Bologna, 2005, a cura di Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca, p. 291 – 299.Sia ancora consentito il rinvio al mio La dinamica relazionale tra collettività e attività finanziaria, in DeS, 2, 2021, pp. 181-222

    [x] Come esempio il caso della l.r. della Sardegna n. 13/05, integrata dalla l.r. n. 8/06, ha introdotto l’art. 5bis rubricato “Competenze della Regione”  il quale ha stabilito che le funzioni attribuite alle prefetture dal d.lgs. 267/00 sono esercitate dalla Regione Sardegna, salvi alcuni casi.

    [xi] La questione oggetto di deferimento ruotava intorno all’interpretazione da riconoscere all’espressione “atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato”, contenuta nell’art. 252 TUEL, ovvero al significato da attribuire alla clausola normativa di tipo interpretativo del predetto disposto del TUEL, aggiunta dal citato decreto legge del 2004, l’Adunanza afferma di ritenere che “rientrino nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione, non solo le poste passive pecuniarie già contabilizzate alla data della dichiarazione di dissesto, bensì anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se stricto jure sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta ed immediata di «atti e fatti di gestione» pregressi alla dichiarazione di dissesto”.

    [xii] L. Mercati, Il dissesto degli enti locali dinanzi alla Corte europea dei diritti umani, in Giur. it., 2014, 373.

    [xiii] Con l’ordinanza 20 marzo 2020, n. 1994, la IV Sezione del Consiglio di Stato, trattando di una vicenda di acquisizione sanante che obbligava un ente locale al pagamento dell’indennizzo e del risarcimento ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione della corretta interpretazione delle parole fatti ed atti di gestione di cui all’art. 252, c. 4, TUEL, al fine di individuare la competenza o meno dell’organo straordinario di liquidazione sulle poste passive di bilancio. Il principio affermato è il seguente: la disciplina normativa sul dissesto, basata sulla creazione di una massa separata affidata alla gestione di un organo straordinario, distinto dagli organi istituzionali dell’ente locale, può produrre effetti positivi soltanto se tutte le poste passive riferibili a fatti antecedenti al riequilibrio del bilancio dell’ente possono essere attratte alla predetta gestione, benché il relativo accertamento (giurisdizionale o, come nel caso di specie, amministrativo) sia successivo.

    [xiv] News US, 3 settembre 2020, n. 92 in https://www.giustizia-amministrativa.it.

    [xv] Nel caso di specie, il Tribunale di Viterbo aveva emesso un decreto ingiuntivo nei confronti del Comune per il pagamento in favore degli avvocati delle loro parcelle. Il suddetto decreto, non opposto e dichiarato esecutivo, veniva corredato di formula esecutiva, con successiva notifica. A fronte dell’inerzia del Comune, gli interessati avevano proposto al TAR Lazio ricorso per l’ottemperanza, ex artt.112 e ss. c.p.a., con richiesta di nomina di un commissario ad acta in caso di persistente inadempimento. Con sentenza 26 luglio 2019, n. 10043, appellata, il TAR rilevava che il Comune, con delibera c.c. n.10 del 19 giugno 2017 aveva dichiarato lo stato di dissesto finanziario; ai sensi dell’art.248, comma 2, d.lgs. n. 267-2000.  Pertanto, trattandosi di provvedimento giurisdizionale intervenuto dopo la dichiarazione dello stato di dissesto, ma relativo a fatti precedenti a detta dichiarazione, i relativi crediti dei privati che avevano agito in sede monitoria dovevano necessariamente essere ascritti alla gestione liquidatoria. Con la conseguenza che, dalla data della predetta dichiarazione e sino all’approvazione del rendiconto di gestione da parte dell’organo straordinario di liquidazione, non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’Ente per i debiti che rientrano nella competenza del predetto organo straordinario, in relazione al principio della par condicio dei creditori, e che la tutela della concorsualità comportava l’inibitoria anche del ricorso di ottemperanza, in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore.

    [xvi] A. Brancasi, L’ordinamento contabile, Torino, 2005, p. 29.

    [xvii] Sul dissesto in generale si veda A. R. De Dominicis, Dissesto degli enti locali, Milano, 2000. Per un’analisi approfondita l’ottimo lavoro di e.k. Danielli e M.G. Pitallis, Il dissesto finanziario alla luce del nuovo assetto normativo, Ministero dell’interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, Roma, 2006. Per la ricostruzione storica dell’istituto si consulti: E. Spicaglia, Il dissesto finanziario degli enti locali, in http://finanzalocale.interno.it/pub/dissesto/ildissestofinanziario.html, 2001 e R. nevola, Il dissesto e il risanamento degli enti locali, in www.dirittoitalia.it, 2, 3, 2001.

    [xviii] La ricostruzione storica è bene illustrata da E. Spicaglia, Il dissesto finanziario degli enti locali, in http://finanzalocale.interno.it/pub/dissesto/ildissestofinanziario.html, 2001.

    [xix] “Le amministrazioni provinciali ed i Comuni che si trovano in condizioni tali da non poter garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi primari sono tenuti ad approvare con deliberazione dei rispettivi consigli, il piano di risanamento finanziario per provvedere alla copertura delle passività già esistenti e per assicurare in via permanente condizioni di equilibrio della gestione”.

    [xx] Per indebitamento pregresso si intende il disavanzo di amministrazione da conto consuntivo dell’ultimo esercizio precedente il dissesto ed i debiti fuori bilancio riconoscibili, in quanto rispondenti ai fini istituzionali dell’ente locale.

    [xxi] De Dominicis, op. cit., 17

    [xxii] Corte cost. 155/94, 242/94 e 149/94, nonché Circ. Min. Interno 26 gennaio 1999, n. 7/99.

    [xxiii] Sulle distinzioni tra procedura fallimentare e quella sul dissesto si veda V. Caputi Jambrenghi, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di Losurdo, Sabatelli, Virgintino, 2003, 37. 

    [xxiv] Cfr. E. Spicaglia, Il dissesto finanziario degli enti locali, in http://finanzalocale.interno.it/pub/dissesto/ildissestofinanziario.html, 2001

    [xxv] v. Circ. Min. Interno, 20 settembre 1993, n. 1

    [xxvi] L’impossibilità di garantire le funzioni e i servizi indispensabili e di onorare i debiti rappresentano indici di insolvenza autonomi che, sotto un profilo temporale, si manifestano distintamente.

    [xxvii] D.m. Interno, 7 giugno 2004, n. 3323; Corte conti, n. 10/04, La gestione finanziaria degli enti locali esercizi 2002-2003

    [xxviii] Corte conti, Sez. aut., n. 10/04.

    [xxix] Camera dei deputati, Servizio studi, XVIII legislatura, Dissesto e procedura di riequilibrio finanziario degli enti locali, 10 febbraio 2022, in https://temi.camera.it/leg18/temi/dissesto-e-predissesto-finanziario-degli-enti-locali.html.

    [xxx] Cfr. News US, n. 10 del 18 gennaio 2022, in www.giustizia-amministrativa.it.

    [xxxi] Cfr. il dibattito su Questa Rivista La Corte di Giustizia risponde alle S.U. sulleccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i "seguiti" a Corte Giust., G. S., 21 dicembre 2021 -causa C-497/20, Randstad Italia? Interviste di R. Conti a Fabio Francario, Giancarlo Montedoro, Paolo Biavati, Renato Rordorf ed Enzo Cannizzaro, in https://www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/2146-la-corte-di-giustizia-risponde-alle-s-u-sull-eccesso-di-potere-giurisdizionale-quali-saranno-i-seguiti-a-corte-giust-g-s-21-dicembre-2021-causa-c-497-20-randstad-italia-3-paolo-biavati; nonché gli Atti del convegno Il caso Randstad Italia spa: questione di giurisdizione o di giustizia?, in  https://www.giustiziainsieme.it/en/diritto-e-processo-amministrativo/2190-il-caso-randstad-questione-di-giurisdizione-o-di-giustizia e ancora: F. FrancarioQuel pasticciaccio brutto di piazza Cavour, piazza del Quirinale e piazza Capodiferro (la questione di giurisdizione), in questa Rivista, 11 novembre 2020; M. Lipari, Il sindacato della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla giurisdizione tra l’art. 111, co. 8, della Costituzione e il diritto dell’Unione europea: la parola alla Corte di Giustizia, in questa Rivista, 11 dicembre 2020; B. Nascimbene e P. Piva, Il rinvio della Corte di Cassazione alla Corte di giustizia: violazioni gravi e manifeste del diritto dell’Unione europea?, in questa Rivista, 24 novembre 2020; M.A. Sandulli, Guida alla lettura dell’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte dicassazione n. 19598 del 2020, in questa Rivista, 29 novembre 2020; G. Tropea, Il Golem europeo e i «motivi inerenti alla giurisdizione» (Nota a Cass., Sez. un., ord. 18 settembre 2020, n. 19598), in questa Rivista, 7 ottobre 2020; R. Conti, Nomofilachia integrata e diritto sovranazionale. I “volti” delle Corte di Cassazione a confronto,  in questa Rivista,  4 marzo 2021; R. Pappalardo, La corsa al dialogo nella discordia sulla giurisdizione (nota a Cons. St., ord. 18 marzo 2021, n. 2327), in questa Rivista, 6 aprile 2021.

    [xxxii] Prevede la AP: Pertanto, l’art. 117, comma 1, Cost. condiziona l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali rientrano quelli derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, le cui norme (come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo) costituiscono fonte integratrice del parametro di costituzionalità introdotto dal citato comma 1 dell’art. 117 Cost. e la cui violazione da parte di una legge statale o regionale comporta l’illegittimità costituzionale della stessa, a meno che la norma della Convenzione non risulti a sua volta – a giudizio della Corte - in contrasto con una norma costituzionale (si tratta dell’operatività dei cc.dd. contro-limiti, soggetti a loro volta condizioni chiarite in dottrina come in giurisprudenza, che ne danno una lettura in senso “costruttivo” e non limitativo del diritto convenzionale).

    [xxxiii] Cfr. News US, n. 10 del 18 gennaio 2022, in www.giustizia-amministrativa.it. Sul punto la AP n.1/2022: Le norme convenzionali, interposte tra la Costituzione e la legge ordinaria alla stregua di fonti intermedie tra leggi ordinarie e precetti costituzionali, sono dunque idonee a fungere sia da parametro di costituzionalità ex art. 117 Cost., sia (esse stesse) da oggetto del giudizio di costituzionalità; le disposizioni della CEDU (e quelle della Carta sociale europea), rimanendo pur sempre a un livello sub-costituzionale, non si sottraggono al controllo di costituzionalità, essendo evidente, sul piano logico e sistematico, che la Costituzione non può essere integrata da fonti che ne violino i valori precettivi: la costituzionalità delle norme internazionali è, quindi, una precondizione ineludibile per il funzionamento del meccanismo di interposizione plasmato dall’articolo 117 citato. Al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, tenendo peraltro sempre conto degli interessi costituzionalmente protetti in altri articoli della Costituzione.

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