GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Sommario: 1. Premessa - 2. La decapitazione del sistema giudiziario e l’epurazione mascherata della magistratura - 3. La decapitazione del sistema giudiziario e l’epurazione mascherata della magistratura - 4. La (abortita) riforma della giustizia amministrativa - 5. L’ultimo capitolo della saga giudiziaria: la “legge insalata” del dicembre 2019 - 6. Conclusioni: la professionalità del giudice come baluardo dell’indipendenza.

    1. Premessa

    Il 12 dicembre scorso, la Commissione europea e il Governo ungherese hanno raggiunto l’accordo che sblocca una prima tranche di settecento milioni di euro del Piano di ripresa nazionale. Tale risultato, che rappresenta solo un compromesso provvisorio, fa seguito alla introduzione nell’ottobre precedente di alcune misure legislative volte a rafforzare il principio del rule of law e a proteggere gli interessi finanziari dell’Unione.

    La legge n. 27 del 3 ottobre 2022 aveva infatti istituito, tra le altre cose, un’Autorità per l’Integrità competente ai fini del monitoraggio dell’utilizzo dei fondi UE: un’autorità indipendente a tutti gli effetti, divenuta operativa il 19 novembre, che risponde alle richieste in materia rivolte dalla Commissione al Governo ungherese. Come forse è noto, tali richieste rappresentano la punta di un iceberg il quale comprende un ambito assai ampio di questioni riguardanti l’Ungheria, nel quale le riforme degli apparati di controllo dell’operato dei pubblici poteri occupano un posto particolare. Tra tali apparati, il sistema giudiziario ha una ovvia centralità. Dopo gli interventi che ne hanno profondamente mutato la struttura nel decennio passato, e nonostante la materia dell’organizzazione giudiziaria sia tra gli obiettivi (milestones) che scandiscono l’erogazione dei fondi dopo questa prima tranche, esso non è tuttavia oggi oggetto di progetti di riforma e appare dunque stabilizzato.

    Può essere allora utile ripercorrere brevemente le vicende che nell’ultimo decennio o poco più (la prima riforma risale al 2011) hanno riguardato il sistema giudiziario ungherese, tralasciando per la sua specificità la giurisdizione costituzionale. Ciò permette infatti non solo di cogliere le linee di sviluppo – le quali sono peraltro manifeste se sol si guarda ai numerosi contributi in materia in lingua italiana o straniera – ma anche di riflettere sull’effetto sistemico di tali vicende, sulla matrice ideologica delle stesse ma anche su quella storica, riguardante la transizione ungherese in senso ampio e la funzione che il giudiziario ha svolto in essa (e che in generale svolge negli ordinamenti contemporanei caratterizzati da debolezza delle istituzioni rappresentative), sulla ratio delle riforme che si sono succedute, dunque sul loro spirito. Ci permette infine di ragionare, soprattutto, sull’esigenza di pensare al principio di indipendenza giudiziaria in un’ottica ampia, non meramente istituzionale, data l’importanza che il tema della professionalità giudiziaria assume sullo sfondo delle vicende ungheresi.

    2. La decapitazione del sistema giudiziario e l’epurazione mascherata della magistratura

    Il 19 aprile di dodici anni fa, il Parlamento ungherese approvava il nuovo testo costituzionale (Legge Fondamentale)[1], aprendo una stagione di riforme dello Stato nelle quali la giustizia avrebbe occupato un posto privilegiato[2]. Gli articoli relativi all’ordinamento giudiziario (artt. 25-28), a prima vista in continuità con il testo costituzionale preesistente, risaltavano tuttavia per una certa laconicità e per il non-detto rispetto a quanto affermavano.

    A livello più appariscente, il nuovo testo modificava la denominazione della Corte suprema, recuperando quella pre-comunista (Kúria). La questione se tale nuova denominazione di Kúria fosse meramente simbolica o implicasse la sostituzione della vecchia Corte suprema, di cui la Kúria era peraltro definita erede, con un nuovo organo giudiziario non era peregrina, se si pensa che la Legge fondamentale disponeva anche la nomina di un nuovo presidente dell’organo (nel quadro di un sistema giudiziario dove i presidenti di corte hanno un ruolo di particolare rilievo, ben più significativo che in Italia). A distanza di pochi mesi (legge n. 61 del 14 giugno 2011), erano poi introdotti nuovi requisiti per i candidati alla presidenza della Kúria. Ciò preannunciava la strategia di cattura della magistratura da parte della maggioranza parlamentare e avrebbe dato luogo a una controversia risolta (ma senza effetti sostanziali determinanti) dalla Grand Chamber della Corte europea dei diritti dell’uomo nella nota decisione Baka v. Hungary del 23 giugno 2016[3].

    András Baka, giurista di spessore nonché giudice per diciassette anni (fino al 2008) della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nell’ottobre 2011 (vale a dire pochi mesi prima della sua “rimozione” nel dicembre successivo) era stato anche eletto Presidente della Rete dei Presidenti delle Corti Supreme dell’Unione Europea, non soddisfaceva infatti il nuovo requisito tecnico dei cinque anni di servizio come giudice nazionale, essendo divenuto giudice presso la Corte regionale di Budapest solo nell’aprile 2008.

    A questa misura, una seconda ne era seguita che aveva permesso una vera e propria “epurazione” della magistratura, in massimo grado della suprema giurisdizione ordinaria. Ci si riferisce qui all’articolo 26, comma secondo della Legge Fondamentale che ha parificato l’età di pensionamento dei giudici, a esclusione del Presidente della Kúria, a quella generale dei lavoratori del pubblico impiego. La norma è stata poi integrata dalla Legge sulle Disposizioni transitorie approvata il 31 dicembre 2011, il cui articolo 12 ha previsto che tutti i giudici che avessero raggiunto il limite di età di 62 anni nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2012 andassero in pensione il 31 dicembre 2012, mentre per i giudici che avessero raggiunto il limite d’età prima del 1° gennaio 2012 si fissava il 30 giugno 2012.

    Fuori dai tecnicismi: una misura epurativa nella sostanza e ben nota nella storia della giustizia europea, la quale ha poco da invidiare al decreto con cui Luigi Napoleone, il primo marzo 1852, aveva revocato centotrentadue giudici. L’effetto delle misure prese dalla maggioranza del partito Fidesz è stata infatti la revoca di un quarto dei giudici della Corte suprema e circa metà dei presidenti di corte regionale o provinciale.

    Occorre ricordare, a evidenziare la portata della vicenda, il rilievo che in Ungheria, dove peraltro vige il principio dell’unicità della giurisdizione, assumono la Kúria e i presidenti di corte. La prima, tra le altre cose, può assumere decisioni con efficacia vincolante ai fini dell’uniformità del diritto (la non conformità alla decisione della Kúria è generalmente presa in considerazione nella valutazione dei giudici), e dispone di poteri di supervisione delle giurisdizioni inferiori attraverso i presidenti di sezione.

    3. La centralizzazione e la burocratizzazione del sistema di amministrazione giudiziaria

    L’articolo 25 della Legge Fondamentale aboliva poi (seppur tacitamente) l’organo espressione del principio di autonomia della magistratura, il Consiglio giudiziario nazionale (Országos Igazságszolgáltatási Tanács, OIT)[4]. Di questo, già menzionato nell’articolo 50 della Costituzione del 1989 quale organo che partecipa all’amministrazione di corti e tribunali, viene a mancare ogni riconoscimento nel nuovo testo costituzionale (il “non detto” prima evocato).

    È utile ricordare che l’OIT, operativo sin dal 1997, ha costituito uno dei primi organi di autonomia effettiva della magistratura in un Paese dell’area post-sovietica. In realtà, nel 2011 il Consiglio non è stato abolito ma solo de-costituzionalizzato, e gran parte delle sue competenze sono state trasferite all’Ufficio giudiziario nazionale (Országos Bírósági Hivatal, OBH), organo disciplinato dalle leggi n. 161 e n. 162 del 28 novembre 2011 rispettivamente sull’Organizzazione e l’amministrazione delle corti e sullo Status e la remunerazione dei giudici, entrate in vigore in coincidenza con l’entrata in vigore della Costituzione.

    L’OBH – che ha carattere monocratico e il cui vertice è di nomina parlamentare a maggioranza dei due terzi – è stato guidato fino al 2019 da Tünde Handó, un’esponente di Fidesz e consorte di uno dei (pochi) redattori della Legge Fondamentale, József Szájer. Al presidente dell’Ufficio giudiziario sono attribuiti poteri di rilevante impatto politico – è il caso della partecipazione alla definizione del bilancio giudiziario, dell’iniziativa legislativa in materia di organizzazione delle corti, della definizione di vere e proprie linee di politica giudiziaria sui procedimenti considerati di interesse generale, da trattare in via prioritaria – e soprattutto il potere di assegnare casi ad altre corti qualora ciò sia reso necessario dall’obbiettivo di garantire la durata ragionevole del processo.

    Dopo aver perso lo status di organo costituzionale, l’OIT è stato declassato al rango di organo consultivo e, pur formalmente dotato di una funzione di supervisione dell’OBH, è in realtà da questo dipendente: un corto-circuito istituzionale che interroga sulla razionalità di tale configurazione istituzionale. È d’obbligo ricordare come l’OIT, nonostante lo stravolgimento dell’assetto istituzionale della governance della magistratura e anche della sua composizione, sia sfuggito fino a oggi all’addomesticazione da parte delle forze di maggioranza. Basti a questo riguardo ricordare due recenti episodi.

    Il primo riguarda l’elezione del Presidente della Kúria, Zsolt András Varga, nell’autunno del 2020, la cui candidatura era stata ritenuta inadeguata dall’OIT con un parere reso a maggioranza schiacciante di tredici voti contro uno. Certo, eleggendo Varga, il Parlamento non aveva tenuto conto di tale parere negativo (non vincolante), ma l’OIT aveva avuto comunque la possibilità di esprimersi duramente. Ritenendo carente l’esperienza di Varga come giudice e in materia di amministrazione della giustizia in generale, si era spinto ad affermare che «[l]a nomina […] è stata resa possibile da due recenti modifiche legislative che vanno contro il requisito costituzionale di porre ai vertici della magistratura solo chi soddisfi il criterio dell’indipendenza dagli altri rami del potere». (Sulle modifiche evocate dall’OIT, si rimanda al quarto paragrafo del presente scritto). Professore universitario fino al 2012, in quell’anno Varga era stato infatti nominato dal Governo viceprocuratore generale e dal 2014 era giudice della “nuova” Corte costituzionale.

    Il secondo episodio riguarda un recente conflitto emerso a seguito di un incontro, il 27 ottobre 2022, tra due membri del Consiglio giudiziario nazionale – rispettivamente il responsabile per le relazioni internazionali e il capo ufficio stampa (Tamás  Matusik e Csaba Vasvári) – e l’ambasciatore degli Stati Uniti David Pressman. I due giudici sono stati oggetto di attacchi da parte di quotidiani filo-governativi e poi criticati dal Presidente della Kúria, András Varga; ciò ha determinato a sua volta una dura presa di posizione dell’OIT attraverso due comunicati stampa con cui si stigmatizzavano gli attacchi pubblici e anche le parole di Varga. 

    4. La (abortita) riforma della giustizia amministrativa

    A seguito dell’approvazione nel giugno 2018 del Settimo Emendamento alla Legge Fondamentale, veniva inserito nell’articolo 25 della Legge Fondamentale del 2011, che definisce la competenza delle corti e delinea la struttura giudiziaria, un comma relativo a organi giurisdizionali competenti in materia amministrativa. Il Governo ha quindi avviato un iter volto a creare un ordine separato con una Corte suprema amministrativa distinta dalla Kúria, quale parte di un progetto più ambizioso di riforma della Pubblica amministrazione (preannunciato dall’adozione di un codice generale di procedura amministrativa nel 2016).

    Molto si è speculato su una scelta che avrebbe messo fine all’unità dell’ordine giurisdizionale ungherese e che il Governo (e parte della dottrina nazionale: è il caso di Andras Patyi)[5] giustificava su basi storiche. Una giustizia amministrativa separata era esistita fino al 1949 e si era dimostrata efficiente nella tutela dei diritti dei cittadini. Secondo Renata Uitz, la legge costituiva molto chiaramente una tecnica di court-packing, sul solco di quanto realizzato sette anni prima con la giustizia ordinaria[6]. Come specificherò più avanti, l’intervento del 2011-2012 non si era infatti dimostrato sufficiente ad allineare completamente la magistratura alla volontà della maggioranza di Governo: la creazione di nuove corti amministrative – e di un nuovo corpo di giudici amministrativi – avrebbe risolto alla radice il problema.

    La legge n. 131 del 2018, nell’istituire il nuovo ordine, attribuiva al Ministro della giustizia il potere di nomina dei giudici, dietro parere non vincolante di un Consiglio della giustizia amministrativa. Ma soprattutto, i deboli requisiti per la nomina alle funzioni di giudice amministrativo delineavano la figura di un giudice “sprofessionalizzato”. Ciò riflette una precisa strategia di politica istituzionale che tocca l’ambito dell’amministrazione nel suo insieme ed è ben esemplificata dall’istituzione di un monopolio nella formazione dei funzionari pubblici attraverso l’istituzione dell’Università nazionale della funzione pubblica (NKE), volto ad accentuare nella cultura amministrativa l’adesione alla volontà legalisticamente espressa dell’apparato di governo più che l’indipendenza, con il rafforzamento del paradigma metodologico legalistico-formale e la svalutazione di quello razionalista weberiano, con la riduzione del giuridico a tecnica formale a discapito del suo contenuto razionale[7].

    E tuttavia, dopo solo un anno, ancor prima che il nuovo sistema fosse divenuto operativo, il Ministro della giustizia annunciava l’intenzione di mantenere un sistema unificato, per non esporre la giustizia amministrativa a controversie che avrebbero potuto incidere sulla sua indipendenza o sulla percezione della stessa. La legge n. 61 del 2019 tecnicamente posponeva l’entrata in vigore della legge n. 131 del 2018 che da allora rappresenta una normativa inoperativa ma parte dell’ordinamento giuridico ungherese. Al contrario, l’Ottavo Emendamento alla Legge Fondamentale approvato il 12 dicembre 2019 annullava le relative disposizioni del Settimo emendamento.

    La decisione di fare un passo indietro è stata determinata non tanto dalle resistenze europee, bensì dalla forte opposizione interna alla magistratura, per ragioni non solo ideali ma anche pratiche: la riallocazione di molti giudici delle preesistenti sezioni amministrative, dato il carattere meno centralizzato della geografia giudiziaria delle corti amministrative. Del resto, tale passo indietro non ha comportato la rinuncia a realizzare alcuni obiettivi che la creazione di un sistema di corti amministrative si proponeva. 

    5. L’ultimo capitolo della saga giudiziaria: la “legge insalata” del dicembre 2019

    Con l’approvazione in tempi molto brevi di un disegno di legge presentato lo stesso dicembre, il Parlamento ungherese introduceva una serie disposizioni di ordine procedurale e istituzionale che, nelle pieghe di una normativa eterogenea (legge omnibus, chiamata in maniera folkloristica “legge insalata”), mirava a obiettivi assimilabili a quelli dell’abortita riforma della giustizia amministrativa[8]. Tre aspetti si segnalano in particolare.

    Il primo attiene alla previsione di un ricorso alla Corte costituzionale da parte delle autorità pubbliche le cui competenze siano state lese: una specie di conflitto di attribuzione tra poteri che permette a organi dell’amministrazione di ricorrere alla Corte costituzionale contro decisioni delle corti ordinarie che abbiano annullato un atto amministrativo. Questo schema è costruito sulla base di un precedente della stessa Corte costituzionale, che aveva riconosciuto in via pretoria con decisione n. 23 del 28 dicembre 2018 il diritto della Banca nazionale ungherese di presentare un ricorso costituzionale contro una decisione della Kúria, che era stata poi ritenuta in violazione del principio dell’equo processo. Sostanzialmente, si individua nella Corte costituzionale un tutore delle corti ordinarie nei conflitti che interessino la Pubblica amministrazione.

    In secondo luogo, si prevede la possibilità per un giudice costituzionale di essere nominato, alla scadenza del mandato, come giudice ordinario, anche a ruoli direttivi. Non sono previsti a tal fine particolari requisiti. Anche qui, la Corte costituzionale si configura come un dispositivo indiretto di controllo della magistratura ordinaria e in particolare della suprema giurisdizione ordinaria. Ad alcuni mesi dall’adozione della legge, otto giudici della Corte costituzionale sono stati nominati giudici ordinari. Tra questi, il nuovo Presidente della Kúria András Varga di cui si è detto nel primo paragrafo di questo scritto.

    Infine, si rafforza la “verticale del potere” giudiziario con l’imposizione ai giudici inferiori di articolare i motivi per cui le interpretazioni adottate differiscano da quelle della Kúria, che è organo di revisione secondo il modello tedesco, e non di cassazione. Una deviazione ingiustificata rispetto all’orientamento giurisprudenziale di quest’ultima è presa in considerazione ai fini della valutazione professionale e disciplinare, in ultima istanza ai fini della carriera. Si tratta di un sistema che in maniera spuria si ispira al principio del precedente vincolante proprio dei sistemi di derivazione inglese.

    È opportuno segnalare che proprio da questa previsione ha avuto origine una nota vicenda relativa al procedimento disciplinare nei confronti di un giudice del Tribunale di Pest (Csaba Vasvári) che aveva sottoposto una serie di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea relative all’indipendenza della magistratura. Il Procuratore generale ungherese aveva presentato ricorso “nell’interesse della legge” e la Kúria aveva ritenuto illegittimo il rinvio pregiudiziale. Dalla dichiarazione di illegittimità era in un secondo tempo derivata una procedura disciplinare nei confronti dello stesso giudice Vasvári, che già aveva visto invalidate dall’Ufficio giudiziario nazionale-OBH due procedure per la nomina alla Corte d’appello di Budapest per le quali aveva presentato candidatura. Vasvári a sua volta aveva operato ulteriore rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia con riguardo alla procedura che aveva portato la Corte suprema a dichiarare l’illegittimità delle questioni pregiudiziali e alla procedura disciplinare attivata in conseguenza a tale dichiarazione di illegittimità. Con questo secondo rinvio, Vasvári chiedeva se fosse compatibile con il diritto europeo la dichiarazione di illegittimità da parte di un organo nazionale di una questione pregiudiziale e se fosse possibile sottoporre a procedura disciplinare un giudice per il fatto di aver operato un rinvio pregiudiziale. Come si può immaginare, la Corte di giustizia UE (C564/19) aveva concluso che «l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un procedimento disciplinare sia avviato contro un giudice nazionale per il fatto che quest’ultimo ha presentato alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale». Quello che preme qui evidenziare è però il grave conflitto istituzionale che ha coinvolto i vertici della magistratura ungherese e le corti inferiori.

    6. Conclusioni: la professionalità del giudice come baluardo dell’indipendenza

    Una visione d’insieme delle riforme qui richiamate ci offre l’immagine incrementale ed erratica di due ondate riformatrici successive (2011-2012 e 2018-2019) che riflettono il pragmatismo tipico dell’ideologia politica orbaniana e una concezione del diritto che, pur nel quadro di un apparato formale, appiattisce la dimensione giuridica sulla dimensione politica. Da questo punto di vista, se si ricorre alla tripartizione proposta da Ugo Mattei delle tradizioni e dei sistemi giuridici, il decennio segnala uno scivolamento dalla dimensione del rule of law a quello del rule of politics (by law).

    Alla base di questo scivolamento vi è chiaramente un orientamento ideologico relativo al rapporto tra poteri dotati di legittimazione democratica e contropoteri istituzionali. Nella sua prima esperienza da Primo ministro, tra il 1998 e il 2002, Viktor Orbán aveva del resto espresso simili intenzioni di modifica del modello di governo della magistratura, affermando pubblicamente l’intollerabilità di una configurazione istituzionale di autonomia organizzativa e amministrativa del corpo giudiziario che non rendesse possibile determinare in maniera coerente una politica del diritto governativa.

    Le soluzioni individuate in queste due ondate di riforme tradiscono anch’esse tale opzione ideologica. Ad esempio, la riforma dell’OIT e la creazione dell’OBH sono state giustificate con la scarsa efficienza del sistema di governo esistente e l’eccesso di corporativismo. In effetti, l’OIT si riuniva una sola volta al mese poiché i suoi membri, in particolare quelli togati, continuavano a esercitare le loro funzioni giurisdizionali. Ne derivava l’impossibilità da un lato di prendere decisioni tempestive, laddove necessario, nonché una concentrazione di fatto dell’attività ordinaria dell’organo sotto la responsabilità del suo ufficio direttivo. Si tratta di rilievi – bisogna dire – fondati e rispetto ai quali vi era una convergenza non solo tra gli attori politici ma anche tra gli osservatori critici delle iniziative della maggioranza Fidesz. Alla scarsa efficienza si sarebbe però potuto far fronte attraverso l’introduzione di forme di aspettativa per i giudici nominati membri dell’OIT o l’elezione di giudici che non ricoprissero funzioni direttive; al corporativismo si sarebbe potuto far fronte introducendo consiglieri che fossero rappresentativi di altre professioni giuridiche o della società: proposte evocate anche nel parere n. 663/2012 reso dalla Commissione di Venezia. Sicuramente, i limiti del sistema di governo della magistratura in vigore dal 1997, pur non giustificando le specifiche scelte riformatrici adottate, le hanno però in parte legittimate.

    Vi è poi una spiegazione sistemica che ha a che fare con la debolezza e i difetti della transizione ungherese, inclusa la sovraesposizione della dimensione giudiziaria nell’assunzione di decisioni di sicuro rilievo politico che riflettono un ruolo di supplenza rispetto a un sistema politico (e ai relativi organi di rappresentanza: Parlamento in primis) inefficiente[9]. Tale spiegazione porta a leggere le riforme descritte come reazione: il riaffermarsi del popular constitutionalism dopo una fase di sbilanciamento verso il legal constitutionalism e la difficoltà di trovare un equilibrio tra queste dimensioni. Si tratta, in questo caso, di un insegnamento rilevante per il nostro ordinamento.

    Venendo alla ratio, allo spirito delle riforme, si può dire che l’obiettivo perseguito non sia un controllo totalizzante degli organi giurisdizionali, anche perché il poter rivendicare un certo grado di indipendenza delle corti può essere esso stesso fattore di legittimazione per il sistema politico. Quello a cui si è mirato, in maniera chirurgica, è l’allineamento della magistratura soprattutto nei casi giudiziari più scottanti, laddove possibile. Esistono dunque isole di resistenza nel giudiziario ungherese, sebbene non sia chiaro quale sia la loro concreta estensione.

    Ho richiamato prima i conflitti tra tribunali inferiori e suprema giurisdizione e quelli coinvolgenti l’OIT nella sua nuova configurazione di organo consultivo. Ma prima della nomina di Varga alla presidenza della Kúria (e prima della riforma legislativa che tale nomina ha reso possibile) la stessa Kúria era stata in grado di avere un ruolo assertivo in casi delicati. Il caso relativo alla segregazione scolastica (nota come vicenda Gyöngyöspata) è significativo in tal senso.

    Si è richiamato a questo riguardo il noto paradosso del gatto di Schrödinger: la magistratura ungherese sarebbe allo stesso tempo viva e morta, e la sua reale condizione si manifesta solo una volta che venga aperta la scatola di acciaio. Certo, il biennio 2018-2019 ha costituito un ulteriore irrigidimento, con un aumento della probabilità di trovare il gatto esanime: ma anche in quel caso, rimane difficile dire se il gatto sia morto o solo svenuto.

    In conclusione, l’esame della vicenda più che decennale della riforma della giustizia in Ungheria conferma sia la rilevanza che il giudiziario ha nei sistemi contemporanei, tanto maggiore laddove le istituzioni rappresentative siano inefficienti, sia i rischi collegati a tale rilevanza. Nell’impossibilità di agire sugli elementi di sistema, uno dei modi per rendere il giudiziario più robusto di fronte ai potenziali attacchi esterni (ma anche interni) consiste nel rafforzamento della professionalità del giudice. Non è forse un caso che a questo tema sia stata posta particolare attenzione anche nel nostro ordinamento negli ultimi lustri. Il controllo della magistratura è infatti senz’altro determinato da incentivi di natura istituzionale relativi all’attivazione di forme di accountability – disciplinare, amministrativa relativa alla carriera, alla valutazione, etc. – ma è tanto più efficace quanto più il corpo oggetto di tale controllo si dimostri molle per assenza di un nucleo duro di etica professionale. È forse questa, in definitiva, la lezione più utile che può fornirci l’esame del caso ungherese.

     

    [1] G. F. Ferrari, La nuova Legge fondamentale ungherese, Torino, Giappichelli, 2012; A. Arato – G. Halmai – J. Kis (cur.), Contitution for a Disunited Nation. On Hungary’s 2011 Fundamental Law, Budapest, CEU Press, 2012.

    [2] S. Benvenuti, La riforma del sistema giudiziario ungherese tra recrudescenze autoritarie e governance europea, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2012, 3, pp. 1-20.

    [3] D. Kosař – K. Šipulová, The Strasbourg Court Meets Abusive Constitutionalism: Baka v. Hungary and the Rule of Law, in Hague Journal on the Rule of Law, 2018, 10, pp. 83-110.

    [4] S. Benvenuti, La riforma del sistema giudiziario ungherese, cit., p. 8 ss.

    [5] A. Patyi, Rifts and deficits – lessons of the historical model of Hungary’s administrative justice, in Institutiones Administrationis. Journal of Administrative Sciences, 2021, 1, pp. 60-72.

    [6] R. Uitz, An Advanced Course in Court Packing: Hungary’s New Law on Administrative Courts, in Verfassungsblog, 2 gennaio 2019.

    [7] S. Benvenuti, Libertà accademica, politiche dell’istruzione superiore e processi costituzionali Riflessioni a partire dal caso ungherese, in G. Caravale – S. Ceccanti – L. Frosina – P. Pichiacchia – A. Zei, Scritti in onore di Fulco Lanchester, Napoli, Jovene 2022, pp. 157-176.

    [8] V. Z. Kazai – A. Kovács, The Last Days of the Independent Supreme Court of Hungary?, in Verfassungsblog, 13 ottobre 2020.

    [9] W. Sadursky, Constitutional Courts, Individual Rights, and the Problem of Judicial Activism in Postcommunist Central Europe, in J. Přibáň – P. Roberts – J. Young, Systems of Justice in Transition. Central European Experiences since 1989, Aldershot, Ashgate, 2003, p. 19, G. Halmai, Who is the Main Protector of Fundamental Rights in Hungary? The Role of the Constitutional Court and the Ordinary Courts, in J. Přibáň – P. Roberts – J. Young, Systems of Justice in Transition, cit., p. 50 ss. G. Halmai, The Transformation of Hungarian Constitutional Law, in A. Jakab – P. Takács – A. F. Tatham, The Transformation of the Hungarian Legal Order 1985-2005, Aalphen aan den Rijn, Wolters Kluwer, p. 5 ss.; A. Sajo, The Judiciary in Contemporary Society: Hungary, in Case Western Reserve Journal of International Law, 1993, 2, p. 293.

    Sommario: 1. Lo stato di diritto. Un impegno senza fine. – 2. Magistratura e giustizia costituzionale nel sistema polacco. – 3. La crisi costituzionale e le tappe dello “svuotamento” dell’indipendenza della magistratura. – 4. La risposta dell’Unione europea. – 5. Rule of law, indipendenza della magistratura e identità nazionali: la distanza crescente tra Varsavia e Bruxelles. – 6. Perché le corti? Alcune note conclusive.

    Abstract: The paper examines the crisis of the independence of the judiciary in Poland and its impact on the rule of law. The reforms adopted since 2015 have created a system in which executive interference in the administration of justice is deep, continuous, and alarming. The article also analyzes the evolution of the situation regarding judicial independence in Poland identifying key stages and causes of the constitutional erosion. The response of the European Union to this crisis is also examined. The author argues that while there have been some progresses as per EU mechanisms of enforcement, there is still a significant distance between Warsaw and Brussels on issues related to rule of law and judicial independence. Finally, the author reflects on the current role of the courts in modern legal systems emphasizing that it is essential to defend judicial independence as a cornerstone of democratic governance.

    1. Lo stato di diritto. Un impegno senza fine

    «Preserving liberty, democracy and the rule of law is not overnight achievement, it is rather an endless business» osservava M. Cartabia a proposito della regressione delle garanzie della magistratura in atto in Polonia e Ungheria[1].

    Le riforme polacche sull’ordinamento giudiziario ed il Tribunale costituzionale approvate a partire dal 2015 hanno dato l’avvio ad un’aspra contrapposizione frontale con le istituzioni dell’Unione europea sul terreno dello Stato di diritto[2], o rule of law[3], portando altresì un coro nutrito di voci dottrinali ed istituzionali ad annoverare il paese dell’Europa centrale, accanto alla stessa Ungheria, tra le c.d. democrazie illiberali[4].

    Il termine “democrazia illiberale” non è espressione nuova ma utilizzata già nel 1997 dal giornalista e politologo Fareed Zakaria 1997[5] per descrivere un fenomeno particolarmente esteso ma altrettanto eterogeneo di transizioni democratiche incomplete[6].

    Né la Polonia né l’Ungheria[7], nondimeno, venivano ricomprese da Zakaria in quell’originaria categorizzazione, diversamente da altre esperienze europee derivanti dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia ovvero dal caso della Slovacchia[8]. Per i paesi dal passato sovietico, di contro, l’impressione dei commentatori del periodo era quella di una transizione costituzionale completata con successo[9].

    Per il caso ungherese, a contraddire questa visione positiva prevalente tra gli osservatori è stato del resto lo stesso Orban che ha recentemente ripreso con malcelato orgoglio il concetto di democrazia illiberale in un discorso fiero del 2014 in cui affermava che «il nuovo Stato che costruiremo in Ungheria non sarà uno Stato liberale, sarà uno Stato democratico non liberale»[10].

    Il risultato dell’attuale complessa situazione in Polonia pare frutto sia di cause più risalenti attribuibili, tra l’altro, ad una transizione democratica forse viziata da imperfezioni latenti sia di una più recente e decisa metamorfosi in direzione opposta alle garanzie presenti nei sistemi che si rifanno ai principi dello stato costituzionale di diritto[11].

    Significativamente, questo processo di allontanamento della Polonia dalla rule of law si è giocato sin dall’inizio sul campo dell’indipendenza della magistratura e della giustizia costituzionale. Le riforme approvate dalla coalizione risultata vincitrice a seguito delle elezioni del 2015 hanno interessato l’intero sistema giudiziario ed il Tribunale costituzionale, realizzando un sistema in cui le interferenze dell’esecutivo nell’amministrazione della giustizia sono profonde, continue ed allarmanti[12].

    Nell’osservare il progressivo svuotamento di significato di quel principio di separazione dei poteri affermato dall’art. 10 della Costituzione polacca, non si può fare a meno di chiedersi come si sia arrivati ad un tale risultato proprio nel cuore dell’Europa e, diversamente dal caso ungherese, a costituzione formale invariata. Lo sguardo su questo processo, a tratti portato avanti con meticolosità quasi scientifica nel caso ungherese[13] e forse ancora di più in quello polacco, restituisce una sensazione di straniamento che mette in dubbio certezze quasi assodate del costituzionalismo liberale democratico contemporaneo. Uno “strappo nel cielo di carta” della rule of law – per usare una fortunata espressione[14] – che ci paralizza e ci restituisce l’idea della fragilità di garanzie date per certe e invece agganciate ad un delicato gioco di pesi e contrappesi tra organi costituzionali.

    Nelle pagine seguenti si tenterà di approfondire per sommi capi la vicenda polacca mettendo a fuoco le tappe dello svuotamento delle garanzie costituzionali sull’indipendenza della magistratura, l’esito della “giurisdizionalizzazione”[15] della conflittualità politica apertasi con l’Unione europea sul terreno della rule of law, secondo alcuni suscettibile di rappresentare una prima tappa per una “POLEXIT” e l’uso dell’argomento identitario da parte delle istituzioni polacche per giustificare la regressione democratica e l’attacco alla magistratura. In conclusione, si formuleranno alcune considerazioni per contestualizzare il caso polacco rispetto al ruolo attuale delle Corti nel contesto europeo.

    2. Magistratura e giustizia costituzionale nel sistema polacco 

    Per comprendere la portata dello stravolgimento dell’assetto costituzionale e dell’attacco frontale alle garanzie della magistratura intervenuto in Polonia, pare utile muovere ricordando le principali tappe storico-evolutive nell’organizzazione della magistratura nell’ambito del costituzionalismo polacco[16].

    Nel contesto degli ordinamenti socialisti est-europei l'esercizio della funzione giurisdizionale si fondava, di norma, su meccanismi di elezione dei magistrati. In Polonia il principio dell’elettività è stato tuttavia declinato con alcune non trascurabili peculiarità. L’art. 60 della Costituzione polacca del 1952[17] e l’art. 32 della legge sull'ordinamento giudiziario del 1964 prevedevano un meccanismo di designazione dei magistrati basato sulla chiamata ad opera del Consiglio di Stato con indicazione del Ministro della Giustizia. L’art. 48 della Costituzione conferiva altresì alla Corte Suprema il ruolo di custode del sistema[18]. Inoltre, nel periodo socialista, il sistema polacco sottoponeva la valutazione della responsabilità disciplinare dei magistrati ad un organismo specifico, il Consiglio di disciplina. Questa previsione marcava le distanze rispetto al trattamento previsto in altri paesi socialisti, nei quali le ipotesi di revoca e destituzione dei magistrati erano spesso previste direttamente per legge[19].

    Una seconda fase si apriva con la c.d. Terza Repubblica di Polonia a seguito dell’approvazione della legge di revisione costituzionale del 1989[20]. Si avvia in questo momento una lunga stagione di riforme costituzionali che arriverà sino al 1997. La legge 20 dicembre 1989[21] attribuiva la nomina dei magistrati al Presidente della Repubblica e istituiva il Consiglio Nazionale della Magistratura[22], organo di rilevanza costituzionale ma il cui funzionamento è già da questa fase quasi interamente rimandato alla legislazione ordinaria[23].

    La successiva revisione costituzionale del 29 dicembre 1989 innovava ulteriormente l'ordinamento giudiziario, specialmente con riguardo al ruolo del pubblico ministero. Sopravvivono tuttavia in questa fase rilevanti connessioni istituzionali tra gli organi requirenti ed il governo, come testimoniato dalla coincidenza tra Procuratore Generale e Ministro della Giustizia, successivamente venuta meno nel 2010, per poi essere nuovamente ripristinata nel 2016[24].

    Il tentativo parziale di epurazione di elementi di stampo sovietico venne proseguito dapprima dalla c.d. «piccola Costituzione» del 1992[25] ed in seguito dalla Legge fondamentale del 2 aprile 1997[26], attuale punto di riferimento costituzionale e frutto di accordi compromissori tra forze provenienti dall’esperienza di Solidarność e componenti ex comuniste[27]. Ai sensi dell’art. 173 Cost. i tribunali sono indipendenti dagli altri poteri statali e i giudici risultano soggetti solo alla Costituzione e alla legge in ottemperanza al successivo art. 195 Cost. La loro nomina spetta invece al Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio Nazionale della Magistratura (Krajowa Rada Sądownictwa)[28]

    In base alla Costituzione del 1997[29], tale organo è chiamato a farsi garante dell’indipendenza della magistratura (art. 186) ed ha la possibilità di ricorrere d’innanzi al Tribunale costituzionale in relazione ad atti normativi su di essa incidenti. L’ultimo comma dell’art. 187 della Costituzione conferma la previsione di una riserva di legge molto ampia con riguardo a struttura, scopi, attività e procedure interne del Consiglio, incluse le modalità di elezione della componente togata[30]. Il Consiglio include anche una componente laica eletta dalla Dieta, o Sejm, (4 membri) e dal Senato (2 membri). La riserva di legge sull’organizzazione e le attività del Consiglio è stata attuata dalla legge Krajowej Radzie Sądownictwa (Law on the National Council of the Judiciary) del 12 maggio 2011, sulla quale è successivamente intervenuto il controverso “pacchetto giustizia” nella stagione di riforme iniziata nel 2015-2016.

    La composizione del Consiglio risultante dalla Costituzione in vigore dal 1997 accosta alla componente laica e ai quindici membri togati alcuni membri di diritto. Si tratta del Primo Presidente della Corte Suprema, del Presidente dell'Alta Corte Amministrativa, del Ministro della Giustizia e di un membro nominato dal Presidente della Repubblica[31].

    Quanto al Tribunale costituzionale (Trybunał Konstytucyjny), gli artt. da 188 a 197 della Suprema Carta polacca del 1997 delineano un controllo di legittimità costituzionale di tipo accentrato attribuito ad un Tribunale funzionalmente indipendente, distinto da altri organi giudiziari e composto da quindici membri con mandato novennale e col divieto di rielezione. Le attribuzioni del Tribunale costituzionale consentono un controllo di legittimità a spettro piuttosto ampio, coprendo sia atti legislativi sia, in genere, gli atti di organi centrali dello Stato ed anche gli accordi internazionali di cui, in base all’art. 188 c. 2, valuta la compatibilità a Costituzione[32]. Dal punto di vista dei canali del giudizio di costituzionalità, l’art. 79.1 prevede, tra l’altro, l’accesso diretto al Tribunale costituzionale da parte di individui che lamentino la lesione di libertà costituzionali ritenute infrante da provvedimenti di corti e organi dell’amministrazione[33]. È inoltre previsto l’accesso diretto da parte di diversi soggetti istituzionali quali il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro, il Procuratore generale e del Consiglio nazionale della magistratura nell’ambito della funzione di garante dell’indipendenza della magistratura affidata dalla Costituzione.

    3. La crisi costituzionale e le tappe dello “svuotamento” dell’indipendenza della magistratura 

    L’assetto dell’organizzazione della giustizia così delineato dalla Costituzione del 1997, già caratterizzato da alcune criticità sul piano della separazione tra sistema di autogoverno e potere esecutivo quali la presenza del Ministro della giustizia nell’organo di autogoverno, ha iniziato a subire decise deviazioni a partire dal 2015.

    Le elezioni per il rinnovo del Parlamento di tale anno segnavano la vittoria della coalizione di destra e del Prawo i Sprawiedliwość – PiS (Diritto e giustizia), che conseguì un’inedita maggioranza assoluta.

    Il partito veniva da una fase di iniziale autoesclusione dalla vita pubblica seguita ad una breve parentesi al governo tra il 2005 e il 2007 ed una nuova perdita di centralità, almeno fino al tragico incidente dell’aereo presidenziale del 10 aprile 2010, che segnava la morte del Presidente Lech Kaczyński e di alti personaggi pubblici della sua amministrazione[34].

    Sin dall’inizio della legislatura avviata dal successo elettorale del 2015, il governo sostenuto dalla maggioranza guidata da PiS ha adottato ripetuti interventi che hanno profondamente rivoluzionato il Tribunale costituzionale, l’NCJ e, in generale, l’intero ordinamento giudiziario, inclusa la Corte Suprema e la Procura generale[35].

    La prima mossa del nuovo governo è stata diretta proprio nei confronti del Tribunale costituzionale e si è accompagnata ad una vera e propria crisi costituzionale[36]. In prossimità delle elezioni, la precedente coalizione facente capo alla Platforma Obywatelska (Piattaforma civica - PO) aveva favorito l’elezione alla Sejm di 5 dei membri elettivi del Tribunale costituzionale, anticipando, con prassi costituzionale scorretta e censurabile, anche l’elezione di due membri che avrebbero dovuto prendere funzioni solo nel dicembre, a seguito dell’insediamento del nuovo Sejm nel novembre 2015[37].

    Il Presidente Duda si è opposto all’elezione, ritenendola illegittima e rifiutando il giuramento dei giudici costituzionali. A seguito dell’insediamento alla Sejm, il 25 novembre 2015, la maggioranza guidata dal PiS ha eletto un diverso gruppo di cinque giudici, i quali hanno subito prestato giuramento. Lo stesso Tribunale costituzionale interveniva in seguito con la sentenza K 34/15 del 3 dicembre 2015, censurando l’illegittimità della nomina di 2 dei 5 giudici eletti prima delle elezioni nell’ottobre 2015[38]. Con una successiva decisione del 9 dicembre 2015[39], il giudice costituzionale riteneva ancora illegittima la nomina di 3 su 5 giudici eletti il 2 dicembre 2015 dalla Sejm a maggioranza PiS[40].

    A questo punto, il PiS interveniva ripetutamente sulle disposizioni relative al funzionamento del Tribunale costituzionale, a partire dalla legge 22 dicembre 2015[41]. Le modifiche così approvate introducevano una maggioranza qualificata di 13 giudici su 15 per le decisioni sull’illegittimità costituzionale e ponevano così il Tribunale costituzionale in uno stato di sostanziale empasse[42]. Il Tribunale costituzionale si è comunque pronunciato sulla questione, censurando le modifiche apportate dal governo nella sentenza K 47/15 del 9 marzo 2016. Per tutta risposta, la sentenza non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale polacca, innescando le critiche anche della Commissione di Venezia[43].

    Gli interventi della maggioranza nei confronti del Tribunale costituzionale proseguivano nel corso del 2016 e degli anni seguenti interessando profondamente l’intero funzionamento dell’organo, sia per quanto riguarda lo status dei giudici, sia in relazione agli stessi procedimenti costituzionali, approfittando dell’ampia riserva di legge prevista dalla Costituzione[44]. Il risultato, secondo molti commentatori, è un sostanziale mutamento in senso maggioritario dell’organo che, negli ordinamenti democratici, rappresenta la garanzia massima delle posizioni antimaggioritarie ed il custode della Costituzione[45].

    Parallelamente alla “cattura” dell’organo di garanzia costituzionale, la compagine governativa guidata da Diritto e Giustizia si assicurava di ristabilire la precedente coincidenza tra Ministero della Giustizia e Procuratore generale, venuta meno nel 2010 e ripristinata con la legge 28 gennaio 2016[46]. Si tratta di un elemento già presente nella tradizione costituzionale polacca che pare ulteriormente confermare quell’incompletezza del processo di piena transizione democratica di cui si è detto. È al contempo un profilo estremamente problematico per via della sua incidenza sulla separazione e l’equilibrio dei poteri oltre che sull’indipendenza dell’ordinamento giudiziario[47]. Si deve infatti considerare che sussistono nell’ordinamento polacco poteri di supervisione del Procuratore generale sull’operato delle procure, oltre alla possibilità di impartire istruzioni sulla conduzione dei processi[48]. A ciò si aggiunge che, in base alla Costituzione, il Ministro della Giustizia – Procuratore generale siede anche nell’organo di autogoverno della magistratura polacca, come membro di diritto.

    Altre istituzioni di rilievo del sistema politico sono state interessate dai tentativi di estensione dell’influenza del PiS sulla vita pubblica. Il riferimento è alla legge 15 gennaio 2016 che interviene sulla disciplina della polizia e dell’ordine pubblico ampliando le facoltà di sorveglianza online[49] e le misure antiterrorismo[50]. Ma anche alla stampa, interessata ad esempio dalla legge 22 giugno 2016 relativa al Consiglio Nazionale dei media.

    L’attacco all’ordine giudiziario è stato però trasversale e forse il più massiccio. La motivazione politica ufficiale di un tale accanimento è stata individuata nella presunta corruzione e inefficienza del sistema giudiziario, visto dalla maggioranza come asserita istanza di resistenza corporativa al rinnovamento necessario alla Polonia[51].

    Nel 2017, veniva adottato un pacchetto di riforma generale dell’intero sistema giudiziario, accompagnato da un coro di critiche e preoccupazioni da parte dell’Unione europea e degli osservatori, che ha interessato tutti i settori della magistratura, inclusa la formazione dei giudici[52]. Tra le modifiche più rilevanti, vi sono alcune misure riferite al procedimento disciplinare e alla Corte suprema. Presso tale organo vengono introdotte due nuove Camere di cui una disciplinare (Izba Dyscyplinarna), competente a decidere, anche in appello, sull’irrogazione di provvedimenti disciplinari ai magistrati[53] ed una competente in materia di controllo straordinario degli affari pubblici[54]. Le modifiche sul procedimento disciplinare sono consistenti e critiche. La nomina dei componenti della Camera disciplinare spetta al Presidente della Repubblica, il quale dopo la riforma ha altresì la possibilità di nominare il procuratore disciplinare e, se entro trenta giorni non provvede in tal senso, il Ministro della Giustizia può comunicare al Presidente la propria intenzione di procedere e, in caso di nuova inerzia di quest’ultimo, è il Ministro della giustizia a nominare il procuratore disciplinare[55].

    Si tratta di profili che hanno attirato anche le censure di un rapporto del GRECO - Gruppo degli Stati contro la corruzione, organo di monitoraggio del Consiglio d’Europa, che ha rilevato un eccessivo coinvolgimento dell’esecutivo all’interno del procedimento disciplinare a seguito delle modifiche legislative[56].

    La legge del 20 dicembre 2017 sulla Corte Suprema, inoltre, abbassava l’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema di cinque anni. Ciò ha portato alla sostituzione di una percentuale intorno al 40% dei componenti della Corte[57], con la nomina dei nuovi giudici da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio Nazionale della Magistratura[58]. Di fatto una “purga” giudiziaria alla quale i giudici della Corte Suprema potevano sottrarsi solo richiedendo una proroga al Presidente della Repubblica che, in via del tutto discrezionale, poteva concederla o meno[59].

    Oltre ai giudici della Suprema Corte, le riforme non hanno risparmiato anche i magistrati ordinari. Anche per loro l’abbassamento repentino dell’età pensionabile è stato lo strumento per innovare le fila del giudiziario selezionando i giudici da far permanere, su richiesta di proroga quest’ultimi e con valutazione discrezionale e insindacabile del Ministro della Giustizia[60]. Considerato che lo stesso Ministro della giustizia (già anche procuratore generale e membro dell’organo di autogoverno) è inoltre titolare della nomina dei presidenti dei tribunali, si apprezza la totale pervasività dell’azione dell’esecutivo nei confronti di tutta la magistratura polacca.

    Anche il Consiglio Nazionale della Magistratura non è stato risparmiato da profonde modifiche operate dalla compagine governativa guidata dal PiS. La legge del 20 dicembre 2017 ha infatti previsto la cessazione dei membri del Consiglio entro tre mesi per azzerare eventuali membri avversi della precedente consiliatura ed ha innovato le modalità d’elezione dei membri togati, prima eletti dalla magistratura ed oggi dalla Sejm. Ciò ha ovviamente affidato alla scelta della maggioranza guidata dal PiS l’elezione dei membri togati del Consiglio, a sua volta responsabile della proposizione delle nomine dei giudici al Presidente.

    Posto che il Presidente Duda (riconfermato alle ultime elezioni del 2020) è esponente del PiS, allo stato attuale, il partito di maggioranza ha di fatto la possibilità di incidere sull’elezione di 22 su 25 consiglieri dell’organo di autogoverno polacco. La separazione dei poteri, pur affermata dall’art. 10 della Costituzione, risulta in questo contesto meramente virtuale e poco più che una clausola di stile[61].

    4. La risposta dell’Unione europea 

    A seguito della stagione di riforme avviata dal “Pacchetto giustizia” e della regressione delle garanzie del giudiziario, le istituzioni eurounitarie sono intervenute azionando tutti gli «anticorpi esterni»[62] messi a disposizione dal diritto dell’Unione. In primo luogo, con il mezzo più “tradizionale” della procedura di infrazione di cui all’art. 258 TFUE[63], ottenendo sentenze di condanna della Polonia da parte della Corte di giustizia rimaste, per la maggior parte, ignorate nella sostanza dalle istituzioni polacche[64]. Il riferimento è, tra le altre, alla sentenza del 24 giugno 2019 sull’indipendenza della Corte Suprema polacca[65], alla sentenza del 5 novembre 2019, causa C-192/18 avente ad oggetto l’indipendenza dei tribunali ordinari ed alle decisioni relative alle modifiche al procedimento disciplinare, con l’ordinanza dell’8 aprile 2020[66] e la sentenza del 15 luglio 2021[67].

    Accanto a questa risposta esterna, si devono ricordare anche le reazioni interne alla Polonia[68]. Oltre a mobilitazioni di piazza spontanee e coordinate dall’opposizione, alla marcia delle toghe di Varsavia del gennaio 2020, alle prese di posizione della stampa contraria alla svolta illiberale, di alcune università e di organizzazioni non governative nazionali, si può richiamare anche la reazione “giudiziaria” di diversi giudici polacchi che hanno visto nella Corte di Giustizia un interlocutore naturale a cui rivolgersi. Ne è un esempio il caso A.K. e a., deciso con sentenza del 19 novembre 2019 e originato da rinvii pregiudiziali proveniente dalla stessa Corte Suprema polacca, sezione lavoro e previdenza, nell’ambito di giudizi instaurati da giudici della Corte Suprema e della Corte Suprema amministrativa rimasti vittima del pensionamento anticipato e del diniego alla successiva richiesta di proroga[69]. In tale occasione, la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha tra l’altro stabilito che l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e la direttiva 2000/78[70] ostano alla sottoposizione di controversie aventi ad oggetto l’applicazione del diritto dell'Unione alla competenza esclusiva di un organo non indipendente e imparziale[71].

    Le autorità polacche hanno per la verità adottato alcuni limitati interventi di revisione a seguito delle indicazioni provenienti dalle istituzioni unionali ma si è trattato per lo più di limature di facciata, del tutto inidonee a far rientrare il paese sui binari dell’indipendenza complessiva del sistema giudiziario[72].

    Questa risposta insufficiente della Polonia ha spinto l’Unione a valutare “unprecedented measures” nel quadro dei meccanismi preventivi di salvaguardia dello stato di diritto concessi dai trattati[73]. Si tratta dell’ulteriore procedura – complementare a quella di infrazione[74] – prevista dall’art. 7 comma 1 TUE, che consente di reagire a rischi di violazione dei valori fondanti dell’Unione di cui all’art. 2 TUE. Tra questi, infatti, figura anche il rispetto dello stato di diritto[75].

    Il procedimento è pensato per assicurare il rispetto dei valori eurounitari da parte degli Stati che sono già membri dell’Unione. Mentre per gli aspiranti Stati membri sono infatti presenti rigorosi meccanismi di condizionalità in entrata che consentono un vaglio scrupoloso sul rispetto dei valori fondanti, tra cui la rule of law, più difficile è l’accertamento di violazioni sopravvenute da parte di Stati membri che partecipano (e votano) già ai lavori delle istituzioni europee[76].

    Anche per tali ragioni e sulla scorta delle esperienze di Polonia e Ungheria[77], si è registrata negli ultimi anni la tendenza ad una maggiore precisazione dei contenuti del principio dello Stato di diritto all’interno del diritto derivato dell’UE, come dimostra l’approvazione del Regolamento 2020/2092 del 16 dicembre 2020. Tale regolamento introduce un sistema generale di condizionalità a protezione del bilancio dell'Unione che comprende, tra l’altro, il rispetto dei principi di legalità, certezza del diritto, divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, tutela giurisdizionale effettiva, compreso «l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali» e la separazione dei poteri[78]. L’indipendenza del giudiziario è del resto un tratto fondamentale della rule of law oltre che un elemento strettamente riconnesso ai principi cardine del costituzionalismo, quali la tutela dei diritti[79].

    Nell’attivare la misura dell’art. 7 TUE, peraltro, l’Unione si è orientata sul meccanismo più moderato previsto dal comma 1 ed è stata per questa scelta oggetto di critica da chi avrebbe voluto una reazione più decisa, ad esempio sulla base della diversa procedura di cui al comma secondo dell’art. 7. Quest’ultima consente di far fronte ad una violazione grave e persistente dei valori fondanti e di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro dall’applicazione dei trattati, tra cui i diritti di voto del rappresentante nel Consiglio[80].

    Il problema di questa diversa procedura è che richiede per la sua dichiarazione l’unanimità del Consiglio Europeo su proposta di un terzo degli Stati membri. Di contro, la necessità dell’unanimità si scontrava con l’annunciata opposizione dell’Ungheria, orientata su posizioni di veto reciproco con la Polonia e ciò ha probabilmente contribuito a far accantonare l’ipotesi[81].

    Significative sono state anche le reazioni di altre istituzioni del contesto europeo e dei giudici di altri Stati membri. Riguardo al primo aspetto, l’ENCJ – dopo aver rivolto plurimi moniti al governo e al parlamento della Polonia con riguardo al venir meno delle fondamentali garanzie di indipendenza del giudiziario – è stata tra le prime istituzioni ad agire energicamente, sospendendo il Consiglio Nazionale del giudiziario polacco dalla rete europea dei Consigli di Giustizia[82].

    Quanto al secondo profilo, in pendenza della procedura ex art. 7 TUE, i Tribunali di alcuni Stati membri hanno ritenuto opportuno inoltrare rinvii pregiudiziali ex art. 267 TFUE per evitare “complicità involontarie” nella violazione dei principi di indipendenza del giudiziario alla base della rule of law in caso di cooperazione giudiziaria con autorità giurisdizionali polacche.

    Emblematico, nella sua peculiarità, è il caso LM, originato da un rinvio pregiudiziale della Corte Suprema irlandese alla Corte di Giustizia[83]. Destinataria di un ordine di esecuzione per un MAE (mandato d’arresto europeo) su richiesta della Polonia, la Corte irlandese domandava alla Corte di Lussemburgo se fosse in effetti tenuta a dar seguito a tale ordine e disporre l’estradizione dell’imputato in favore della Polonia. Atteso che verso quest’ultima era già infatti stata attivata la procedura di cui all’art. 7 c. 1 TUE, la Corte irlandese si chiede se il trasferimento dell’imputato in Polonia non esponesse al rischio di violazioni ai principi del giusto processo, vista la situazione delle corti in atto in Polonia[84].

    La Corte di Giustizia conferma l’impostazione del giudice rimettente e dei propri precedenti[85], ribadendo l’obbligo di tutti i giudici degli Stati membri di rispettare i valori comuni europei e affermando che è proprio il giudice nazionale a dover valutare, in concreto, la sussistenza di una violazione dello Stato di diritto[86]. Questa valutazione avviene da un lato, accertando l’esistenza di violazioni sistemiche della rule of law e, dall’altro, verificando se l’esecuzione della condanna dell’imputato nello Stato richiedente non esponga a sua volta ad una violazione della rule of law[87]. Per la Corte, in particolare, il giudice deve verificare «l’esistenza di un rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo, connesso a una mancanza di indipendenza dei giudici di detto Stato membro, a causa di carenze sistemiche o generalizzate in quest’ultimo Stato»[88].

    L’orientamento della Corte di Giustizia è stato salutato da commenti molteplici in dottrina[89]. Le diverse posizioni si polarizzano tra letture più caute che tendono a far prevalere l’esigenza di mantenere la fiducia tra autorità giurisdizionale come valore fondamentale della cooperazione giudiziaria europea (almeno fino alla conclusione della procedura ex art. 7 TUE)[90] e commenti di plauso al richiamo del ruolo dei giudici degli Stati membri[91]. La scelta della Corte ha in effetti il pregio di contribuire a realizzare un controllo allargato nel contesto europeo dell’operato di autorità giudiziarie “malate” di uno Stato membro. Se la valutazione della violazione dello Stato di diritto viene posta in capo ai diversi giudici nazionali, infatti, si moltiplicano le occasioni per portare alla luce mancanze strutturali nelle garanzie dei valori fondanti dell’Unione. In un contesto in cui le Corti diventano sempre più soggette ad ingerenze degli altri poteri, del resto, il rischio è che risultino più rari i rinvii pregiudiziali di autorità giudiziarie polacche alla Corte di Giustizia. D’altro canto, va considerato anche l’ulteriore rischio derivante da orientamenti difformi tra giudici degli Stati membri sulla valutazione del rispetto dello Stato di diritto oltre che delle possibili “ritorsioni” sul piano della collaborazione giudiziaria ad opera delle autorità giudiziarie di realtà illiberali[92]. Una soluzione intermedia, con una limitazione della discrezionalità favorita da indici oggettivi fissati dalla Corte di Giustizia e non ancorati solo a valutazioni politiche della Commissione, potrebbe forse orientare la valutazione sul grado di indipendenza delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri, riducendo il rischio di letture difformi[93].

    5. Rule of law, indipendenza della magistratura e identità nazionali: la distanza crescente tra Varsavia e Bruxelles 

    Diversamente dall’Ungheria, in Polonia il PiS non ha ottenuto una maggioranza tale da poter consentire un programma a colpi di riforme costituzionali. L’assetto delle garanzie costituzionali sulla magistratura, così, è stato semplicemente svuotato o «degradato al rango di un documento politico privo di valore vincolante, come lo era stata nei decenni del socialismo reale»[94].

    Non dissimile, in questa prospettiva, è anche il tentativo di svuotare di significato principi fondamentali dell’Unione europea come quello del primato del diritto eurounitario sul diritto nazionale[95]. Tale processo è avvenuto attraverso un'interpretazione illiberale della Costituzione polacca[96] fondata su un’enfatizzazione dell’identità nazionale che ha raggiunto il proprio culmine[97] con la decisione del 7 ottobre 2021 del Tribunale Costituzionale (di seguito anche “TC”)[98]. La decisione origina da un articolato ricorso al giudice costituzionale proposto dal Primo ministro oltre che dal Presidente della Repubblica, il Sejm ed altre figure istituzionali[99].

    Nel dispositivo[100], il TC dichiarava alcune disposizioni del TUE incompatibili con la Costituzione polacca, affermando la prevalenza di quest’ultima. Si tratta di un vero e proprio ribaltamento del principio del primato del diritto eurounitario e non già di una semplice rivendicazione dei c.d. controlimiti[101]. Non si contesta infatti la presenza di un’antinomia irrisolvibile tra singole disposizioni unionali e la Costituzione ma si denuncia l’avvio di una presunta «nuova fase» dell’Unione tra popoli europei che esorbiterebbe dalle competenze attribuite dalla Polonia in virtù dei trattati e si porrebbe radicalmente in contrasto con la Costituzione polacca[102].

    Per il giudice costituzionale questa nuova fase sarebbe in conflitto con gli articoli 1 commi 1 e 2 e 4.3. del TUE, offuscando la supremazia della Costituzione polacca e facendo perdere alla Polonia la possibilità di agire alla stregua di uno stato sovrano democratico[103]

    Inoltre, la Costituzione polacca sarebbe ulteriormente incompatibile con l’art. 19, par. 2, c. 2 del TUE, anche in combinato disposto con l’art. 2 TUE, permettendo ai giudici nazionali comuni e di legittimità di aggirare le disposizioni costituzionali ed emettere decisioni sulla base di disposizioni da ritenersi non vincolanti siccome abrogate ad opera del Sejm ovvero dichiarate incostituzionali dal TC[104].

    Da ultimo, il punto 3 del dispositivo censura ancora gli artt. 2 e 19 del TUE nella parte in cui attribuiscono ai giudici nazionali la competenza a controllare la legalità delle procedure di nomina dei giudici da parte del Presidente della Repubblica e verificare la legittimità delle delibere del Consiglio nazionale della magistratura ed eventualmente rifiutare di accettare una nomina a giudice avvenuta nelle forme della Costituzione[105].

    La decisione presenta numerose anomalie, a partire dai soggetti promotori, con il lungo ricorso promosso da attori istituzionali di primo piano già definito «un trattato di diritto “sovranista”»[106], passando per le modalità di comunicazione (dispositivo e successivo comunicato stampa). La frattura con il diritto eurounitario è radicale e, tuttavia, la sentenza sembra porsi in contraddizione con le disposizioni costituzionali oltre che con i precedenti dello stesso TC[107] e le posizioni espresse nell’ambito dell’integrazione europea. Oltre al fatto che la Costituzione del 1997 era già da tempo in vigore all’epoca della versione attuale dei Trattati, la clausola di limitazione internazionale di sovranità di cui all’art. 90 della Suprema Carta polacca consente la delega ad organizzazioni internazionali[108]. In questo quadro, non appare casuale lo sforzo del TC di sostenere che alla base dell’attuale situazione di frizione vi sia non già un difetto genetico dei trattati bensì una loro interpretazione a traiettorie sghembe da parte della Corte di Giustizia[109].

    Le contraddizioni già menzionate sono state evidenziate e contestate in un comunicato redatto dai giudici del TC in regime di pensionamento[110]. Il comunicato denuncia innanzitutto la contrarietà della decisione con la Costituzione[111] e contesta l’esistenza di un’incompatibilità tra l’applicazione del diritto dell’Unione da parte delle corti polacche e della Costituzione nei termini indicati dal TC[112]. Di particolare interesse appare anche la lettura sulla vera finalità della decisione: quest’ultima non sarebbe di fatto destinata a sortire altro effetto legale se non esercitare una forma di pressione sui giudici polacchi minacciandoli con la spada di Damocle del procedimento disciplinare[113].

    La Costituzione polacca, svuotata della sostanza delle sue garanzie per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri[114], viene in questa fase utilizzata dal TC, in accoglimento della prospettazione di esponenti della maggioranza del PiS, come grimaldello per forzare le resistenze provenienti dall’ordinamento eurounitario in nome di una presunta identità costituzionale nazionale da far prevalere[115].

    L’enfasi sull’argomento identitario di cui all’art. 4 TUE, comune in parte anche al caso ungherese, omette convenientemente di considerare che l’indipendenza delle corti e dei singoli giudici nazionali costituisce un valore comune dell’Unione europea da tenere in considerazione anche nell’interpretazione e applicazione del principio del primato del diritto unionale[116]. I giudici degli Stati membri, infatti, facendosi garanti dell’applicazione del diritto unionale agiscono anche nell’interesse dell’Unione europea, la quale deve poter contare su un corpus giudiziario indipendente. Di contro, l’identità nazionale non può rappresentare una «clausola di esonero» del diritto dei trattati da invocare a mo’ di exemption culturale a fronte di previsioni poco gradite agli ordinamenti nazionali[117]

    6. Perché le corti? Alcune note conclusive 

    Il caso polacco rientra in una tendenza più generale in atto in alcuni ordinamenti nell’area dell’est europeo che, ormai da diversi anni, si sono posizionati «in una zona grigia, dove i principi del costituzionalismo sembrano essere messi decisamente alla prova, minando in questo modo l’ubi consistam dell’integrazione sovranazionale europea»[118].

    Se è vero che già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino si affermava che «Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione»[119], si apprezza la profondità della lesione all’ordinamento costituzionale polacco derivante dalla completa erosione delle garanzie del giudiziario e dell’autonomia di questo dagli altri poteri[120].

    Tra le molte riflessioni che lo strappo in atto in Polonia suggerisce, pare interessante soffermarsi sulle ragioni che hanno indotto ad orientare la compagine governativa guidata dal PiS ad un attacco così pervicacemente condotto nei confronti della magistratura e del Tribunale costituzionale. Sebbene non si tratti certo di un disegno nuovo[121], il tentativo portato avanti in Polonia e Ungheria pare indicativo del ruolo assunto dalle corti nei sistemi giuridici contemporanei, specialmente nel contesto europeo.

    In un quadro giuridico contemporaneo in cui le corti hanno da tempo svestito i panni di quella bouche de la loi evocata da Montesquieu, di fronte alla crisi del parlamentarismo i tribunali ordinari e costituzionali diventano sempre più interlocutori primari e motore dell’evoluzione dell’ordinamento in una pluralità di settore quali i nuovi diritti, la bioetica[122] e le sfide derivanti dall’innovazione tecnologica. Si tratta infatti di argomenti che spesso mal si coniugano con i tempi delle assemblee parlamentari o con le difficoltà ad individuare soluzioni normative generali condivise su temi divisivi[123].

    Dall’altra parte, si apprezza anche un’esacerbazione della tendenza a spostare sul piano giudiziario i conflitti politici. Basti pensare al ruolo delle corti sul tema Brexit[124], in materia di verifica delle elezioni e con riguardo alle istanze separatiste[125]

    L’integrazione sovranazionale e il ruolo dei giudici nazionali nel sistema eurounitario e nell’applicazione del diritto dell’Unione hanno ulteriormente arricchito la funzione del giudice e le ipotesi in cui quest’ultimo può discostarsi dalla legge nazionale, consentendo la disapplicazione del diritto interno contrario a quello unionale.

    Tutto ciò non fa che contribuire ad un’accresciuta presenza del giudiziario sulla scena pubblica che si accompagna, tuttavia, ad una maggiore esposizione della magistratura. Quest’ultima, infatti, non può più vedersi come un potere nullo o, per quanto riguarda il giudice costituzionale, come un mero legislatore negativo, ma assume una centralità crescente che la rende anche un bersaglio naturale per un regime illiberale[126].

    È dunque in questo contesto che deve leggersi l’attacco alle radici dell’indipendenza della magistratura nel cuore del continente europeo e si deve riflettere sulle condizioni (e le carenze) che lo hanno reso possibile, oltre che sulle contromisure da adottare. L’attuazione delle garanzie di indipendenza della magistratura dagli atri poteri, nella maggior parte delle costituzioni affidata alla legislazione ordinaria con lo strumento della riserva di legge, deve essere circondata da cautele e meccanismi di controllo. I casi di Polonia e Ungheria suggeriscono infatti che sono molti gli strumenti di pressione ed i meccanismi di interferenza che maggioranze illiberali possono utilizzare per minare l’indipendenza dei giudici, a partire da temi sensibili quali l’età pensionabile, le condizioni e i carichi di lavoro fino ad arrivare alla disciplina degli incarichi direttivi, dei trasferimenti, del trattamento economico, oltre che delle stesse caratteristiche dei procedimenti di nomina.

    Riserve di legge troppo ampie, come sembra suggerire il caso polacco, possono sottrarre importanti aspetti dell’organizzazione del giudiziario dalle garanzie della rigidità costituzionale e finanche arrivare a paralizzare gli organi di controllo costituzionale, primi custodi delle carte. Ma anche un inadeguato sistema di pesi e contrappesi può rischiare di consegnare a forze illiberali margini di azione tali da stravolgere il sistema e svuotare di significato le conquiste dello stato di diritto.

    In questo contesto, l’integrazione sovranazionale ha consentito di affiancare alle garanzie interne altri organismi di controllo esterni, custodi ultimi di valori facenti parte del patrimonio comune europeo. Non sorprendono allora risposte come la sentenza K 3/21 che tentano di sterilizzare il principio del primato e dissuadere i giudici nazionali dall’utilizzare uno degli ultimi strumenti rimasti per sindacare le scelte del legislatore. Neppure sorprende l’accusa rivolta alla Corte di Giustizia di aver dato avvio ad una nuova fase “imprevista”, nella misura in cui quest’ultima è venuta a propria volta ad assumere il ruolo (inedito) di possibile garante dell’indipendenza dei giudici nazionali.

    L’inasprimento della conflittualità tra Polonia, Ungheria e Unione europea ha comunque avuto il merito, secondo alcuni commentatori, di promuovere un affinamento degli strumenti di garanzia dell’acquis europeo in materia di rule of law, oltre che delle misure di enforcement[127]. Se per il momento alla punta del conflitto rappresentata dalla sentenza K 3/21 non è seguito un subitaneo e serio sviluppo dell’opzione POLEXIT[128], costante è stato l’orientamento seguito dalla Corte di Giustizia nell’ambito della c.d. condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione europea di cui al regolamento 2020/2092 e ferma la volontà di ancorare l’accesso ai fondi europei alla garanzia della rule of law[129].

    Le misure senza precedenti adottate dall’Unione, in questo senso, sembrano volte a far passare l’idea che, contrariamente da quanto rivendicato dalle democrazie illiberali, l’identità nazionale non può porsi in antitesi con l’indipendenza della magistratura perché proprio quest’ultima, nel sistema valoriale europeo, «concorre a creare l’identità nazionale quale fondamento della ‘struttura costituzionale’ di cui parla l’art 4, paragrafo 2, TUE»[130].

      

    [1] M. CARTABIA, The rule of law and the role of courts, in Italian Journal of Public Law, 1, 2018, 2.

    [2] «Si può riconoscere la qualità di Stato di diritto quando i poteri pubblici siano soggetti alla legge e siano previste ed efficaci la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo (diritti civili, politici, sociali) e delle libertà fondamentali, nonché la indipendenza dei giudici (strumentale rispetto alla garanzia dei diritti). Nel corso del tempo, la libertà di stampa ha acquisito una importanza centrale e riconosciuta, come condizione del controllo sulla correttezza della azione dei poteri pubblici (e privati)». V. ZAGREBELSKY, L’Unione Europea e lo Stato di diritto. Fondamento, problemi, crisi, in Giustizia Insieme, 28 maggio 2021.

    [3] Valore fondante dell’Unione in base all’art. 2 TUE, che gli Stati membri si impegnano a promuovere nel resto del mondo.

    [4] Si vedano ex multis J. SAWICKI, Democrazie illiberali? L’Europa centro-orientale tra continuità apparente della forma di governo e mutazione possibile della forma di Stato, Milano, 2018; M.A. ORLANDI, La “democrazia illiberale”. Ungheria e Polonia a confronto, in Dir. pubbl. comp. eur., 2019, 167.  M. BÁNKUTI, G. HALMAI, K.L. SCHEPPELE, Hungary’s Illiberal Turn: Disabling the Constitution, in Journal of Democracy, 2012, 138 ss.; R. UITZ, Can you tell when an illiberal democracy is in the making? An appeal to comparative constitutional scholarship from Hungary, in International Journal of Constitutional Law, 2015, spec. 296 ss. Tra gli studi più recenti al momento della scrittura del presente saggio, menziona un cosciente e diffuso “contesto ideologico illiberale” E. CUKANI, "Polish Gate" e il rafforzamento del diritto dell'UE, in DPCE online, 2022 fasc. 1, pp. 29 – 50.

    [5] F. ZAKARIA, The rise of illiberal Democracy, in Foreign Affairs, Nov/Dec 1997. 

    [6] Termine vicino, sebbene non sovrapponibile, a quello di “democratura” di P. HASSNER, Démocrature” et “Réfolution” ou la transition bouleversée, in P. GREMION, P. HASSNER (a cura di), Vents d’Est. Vers l’Europe des États de droit?, Paris, 1990 che indica un sistema formalmente strutturato con modalità democratiche ma sostanzialmente autoritario. Occorre rilevare in dottrina una varietà di ricostruzioni e definizioni del processo di decadimento democratico che, alle più diffuse espressioni di “democrazia illiberale” e “democrature”, ne accosta altre come “costituzionalismo autoritario o populista”. Osserva al riguardo A. DI GREGORIO, I fenomeni di degenerazione delle democrazie contemporanee: qualche spunto di riflessione sullo sfondo delle contrapposizioni dottrinali, in Nad-Nuovi Autoritarismi e democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 2, 2019, 2 ss. come siano stati contate sino a 80 termini per definire i fenomeni di decadimento democratico. Sulla categoria del costituzionalismo illiberale si veda ancora T. DRINÒCZI, A. BIEŃ, Illiberal Constitutionalism: The Case of Hungary and Poland, in German Law Jurnal, 20, 2019.

    [7] Ormai definite “usual suspects” tra le democrazie illiberali, cfr. L. PIERDOMINICI, La riforma della giustizia israeliana: cronache dall’ultima frontiera costituzionale, in Giustizia Insieme, 31.3.2023.

    [8] G. DELLEDONNE, Ungheria e Polonia: punte avanzate del dibattito sulle democrazie illiberali all’interno dell’Unione Europea, in DPCE Online, 3, 2020, 3999 ss. Si veda anche R. TARCHI, Le “democrazie illiberali” nella prospettiva comparata: verso una nuova forma di statoAlcune riflessioni di sintesi, in DPCE online, n. 3, 2020.

    [9] F. ZAKARIA, cit., 29 ss. Sulle transizioni democratiche si vedano anche S. GAMBINO, Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, Giuffrè, 2003, E. CECCHERINI, G. ROLLA, Scritti di diritto costituzionale comparato, Genova, 2005, 11 ss. e, per quanto riguarda le transizioni degli stati ex URSS, M. GANINO, Dall’URSS alla Comunità di Stati Indipendenti, Milano, 1992 e S. BARTOLE, P. GRILLI DI CORTONA (a cura di), Transizione e consolidamento democratico nell'Europa centro-orientaleedito da Torino, 1997.

    [10] Discorso riportato da M.A. ORLANDI, La “democrazia illiberale”. Ungheria e Polonia a confronto, in Dir. pubbl. comp. eur., 2019, 167.

    [11] Ricorda ancora V. ZAGREBELSKY, cit., al riguardo, come «La forma di stato che va sotto il nome di Stato di diritto ha alle spalle eventi storici diversi: dalla Rivoluzione inglese (1688-89) alla Rivoluzione americana (1776), dalla Rivoluzione francese (1789) alle Rivoluzioni europee del 1848 e poi lo sviluppo dello Stato costituzionale di diritto. Il risultato ha contenuti che possono ritenersi acquisiti, anche se i loro contorni possono apparire non definiti. Si tratta infatti di una nozione storica e politica, che può assumere caratteri diversi, più o meno marcati. (…) Si può riconoscere la qualità di Stato di diritto quando i poteri pubblici siano soggetti alla legge e siano previste ed efficaci la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo (diritti civili, politici, sociali) e delle libertà fondamentali, nonché la indipendenza dei giudici (strumentale rispetto alla garanzia dei diritti). Nel corso del tempo, la libertà di stampa ha acquisito una importanza centrale e riconosciuta, come condizione del controllo sulla correttezza della azione dei poteri pubblici (e privati)». Sulle garanzie fondamentali della magistratura si veda ancora R. GUASTINI, A. PIZZORUSSO, La Magistraturatomo I (artt. 101-103), in Commentario alla Costituzione, Bologna, 1994.

    [12] M. BASILICO, Dopo la marcia delle mille toghe a Varsavia «per noi giudici polacchi un futuro ancora a rischio», in Giustizia Insieme, 17.02.2020.

    [13] Cfr. S. BENVENUTI, Dodici anni di riforme della giustizia in Ungheria, in Giustizia Insieme, 29.04.2023.

    [14] L. PIRANDELLO, Il Fu Mattia Pascal, Milano1919, capitolo xii.

    [15] S. TROILLO, Controlimiti versus Stato di diritto? Gli esiti della giurisdizionalizzazione dello scontro fra Unione europea e Polonia sull’indipendenza della magistratura, in Consulta Online, 1, 2022, 115 ss.

    [16] Per un inquadramento, S. CECCANTI, Il costituzionalismo polacco dal 1791 ad oggi, in federalismi.it, 10/2006.

    [17] Costituzione della Repubblica Popolare Polacca, nota anche come “Costituzione di luglio”.

    [18] E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021, 131.

    [19] M. MAZZA, Le garanzie istituzionali della magistratura in Polonia: un presente difficile, un futuro incerto, in DPCE Online, 4, 2020, 4970 ss.

    [20] L. 7 aprile 1989. In argomento M. MIŻEJEWSKI, La crisi della democrazia in Polonia, in Federalismi, 21 novembre 2018.

    [21] Legge 20 dicembre 1989 (Dz. U. 73, 436).

    [22] Di seguito “NCJ”.

    [23] E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021, 189 ss. Per un inquadramento, si veda anche M. VOLPI, I Consigli della magistratura in Europa, in Cosmopolis, 1, 2009.

    [24] Cfr. M. MAZZA, cit., 4970.

    [25] La quale non rappresentò però un significativo avanzamento nelle garanzie di indipendenza della magistratura come osserva E. CUKANI, Condizionalità europea e giustizia illiberale: from outside to inside?, Napoli, 2021.

    [26] In argomento, C. FILIPPINI, Polonia, Bologna, 2013, 48-53.

    [27] La rigidità della Costituzione, prima garanzia formale dell’autonomia del giudiziario ivi affermata, è garantita dal procedimento aggravato di revisione costituzionale previsto dall’art. 235 Cost.

    [28] Disciplinato agli artt. 186 e 187 della Costituzione.

    [29] Ma la stessa previsione era già presente nella legge sul Consiglio Nazionale della Magistratura del 20 dicembre 1989.

    [30] In base all’art. 187, sono 15 i membri togati, scelti tra i giudici della Corte Suprema, dei tribunali comuni, dei tribunali amministrativi ed anche tra i giudici dei tribunali militari.

    [31] M. MAZZA, cit., 4971.

    [32] Nel dettaglio, l’art. 88 attribuisce in particolare la competenza a decidere sulla conformità della legge e degli accordi internazionali alla Costituzione; sulla compatibilità tra una legge e gli accordi internazionali ratificati dalla Polonia; della conformità a Costituzione di altre fonti emanate dagli organi centrali dello Stato; la compatibilità dei partiti con il sistema costituzionale. Accanto alle funzioni di legittimità, il Tribunale è anche competente a dirimere le controversie insorte tra organi dello Stato.

    [33] F. FEDE, Il Tribunale costituzionale nella nuova Costituzione polacca, in Quaderni costituzionali, 1, 1999, 169-182.

    [34] Cfr. A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, in A. DI GREGORIO (cur.), I sistemi costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale, baltica e balcanica, Padova, 2019, 378 ss.

    [35] S. MORETTI, La riforma del sistema giudiziario polacco e le risposte del Consiglio d’Europa: un quadro dal 2015 ad oggi, in Questione Giustizia, 15/05/2021.

    [36] M. BASILICO, Dopo la marcia delle mille toghe a Varsavia «per noi giudici polacchi un futuro ancora a rischio», intervista a Monika Frackowiak, giudice distrettuale di Poznan, in Giustizia Insieme, 17 febbraio 2020, M. DICOSOLA, La crisi costituzionale del 2015-16 in Polonia: il fallimento della transizione al costituzionalismo liberale?, in Osservatorio AIC, n. 1, 2016.

    [37] La legislatura uscente aveva anche approvato una nuova legge sul Tribunale costituzionale il 25 giugno 2015.

    [38] Č. PIŠTAN, Giustizia costituzionale e potere giudiziario. Il ruolo delle corti costituzionali nei processi di democratizzazione ed europeizzazione, in A. DI GREGORIO (a cura di), I sistemi costituzionali dei paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica (Trattato di diritto pubblico comparato, fondato e diretto da G.F. Ferrari), Walters Kluwer, Milano, 2019, 357 ss.

    [39] Sentenza K 35/15 del 9 dicembre 2015.

    [40] Cfr. B. BANASZAK, The Changes to the Act on the Constitutional Tribunal and the Changes in the Make-up of the Constitutional Tribunal in Poland, in Osteuropa Recht, 2016, 94 ss., J. SAWICKI, La conquista della Corte costituzionale ad opera della maggioranza che non si riconosce nella Costituzione, in Nomos, 3, 2016.

    [41] Tale vicinanza è stata ulteriormente favorita dall’elezione di Julia Przyłębska quale presidente del Tribunale Costituzionale, a partire dal dicembre 2016. Cfr. M. BASILICO, cit., passim.

    [42] Č. PIŠTAN, cit., 359.

    [43] Cfr. parere n. 833/2015.

    [44] Cfr. legge del 30 novembre 2016 sullo status dei giudici della Tribunale costituzionale; legge del 30 novembre 2016 sull'organizzazione e le procedure di fronte al Tribunale costituzionale e legge del 13 dicembre 2016 recante previsioni introduttive sull'organizzazione e le procedure davanti al Tribunale costituzionale.

    [45] Nell’ordine, si è verificato il ritiro anticipato di due mesi del vicepresidente uscente Stanisław Biernat con posizioni lontane dalla maggioranza e, in seguito, i tre giudici costituzionali nominati prima della vittoria elettorale del PiS sono stati esclusi dalle loro funzioni.

    [46] M. MAZZA, cit., 4971 ss.

    [47]In argomento, P. PASQUINO, Uno e trino – Indipendenza della magistratura e separazione dei poteri. Perché le maggioranze democratiche possono rappresentare una minaccia per la libertà, Milano, 1994.

    [48] M. MAZZA, cit., 4973.

    [49] Anch’essa censurata dalla Commissione di Venezia come osservano A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 381.  

    [50] Cfr. legge 10 giugno 2016.

    [51] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 382 ss.

    [52] È stata emendata la disciplina della Scuola nazionale della magistratura con la legge dell’11 maggio 2017.

    [53] La legge istituiva presso la Sąd Najwyższy (Corte suprema) la Sezione disciplinare presieduta dal Presidente della Corte Suprema. In base all’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema i giudici disciplinari nelle cause disciplinari relative a giudici della Corte suprema sono giudici della stessa Corte Suprema riuniti, in primo grado, in un Collegio composto da due giudici della Sezione disciplinare e da un giurato e in grado d’appello in un collegio composto da tre giudici della Sezione disciplinare e da due giurati.

    [54] Camera per il controllo straordinario degli affari pubblici. Cfr. Legge 8 dicembre 2017 sulla Corte Suprema (Sadzie Najwoszym z dnia).

    [55] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 150.

    [56] Relazione del giugno 2018 “Ad hoc report on Poland”.

    [57] Č. PIŠTAN, cit., 361.

    [58] Si veda amplius in argomento L. PECH, P. WCHOWIEC, D. MAZUR, Poland’s Rule of Law Breakdown: A Five-Year Assessment of EU’s (In)Action, in Hague J. Rule of Law, 2021.

    [59] Ciò ha rappresentato un ulteriore strumento a disposizione del Presidente (esponente del PiS) per selezionare i giudici da mantenere presso la Suprema Corte. Da notare che l’utilizzo del pensionamento anticipato per promuovere una forzata sostituzione dei giudizi sembra rappresentare «uno strumento ricorrente per poter dare forma alle cosiddette democrazie illiberali», come osserva E. CECCHERINI, L’indipendenza del potere giudiziario come elemento essenziale dello stato di diritto. La Corte di giustizia dell’Unione europea esprime un severo monito alla Polonia, in DPCE Online, 3, 2019, 2207 ss. Infatti, anche in Ungheria si è registrato un intervento simile sull’età di quiescenza dei giudici con l’abbassamento da 70 a 62 anni ed il conseguente pensionamento di circa un terzo di magistrati interessati. Sul punto si è pronunciata con toni censori la Corte di Giustizia in Commissione v. Ungheria, 6 novembre 2011, C-286/12.

    [60] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 153.

    [61] G. RAGONE, La Polonia sotto accusa. Brevi note sulle circostanze che hanno indotto l’Unione europea ad avviare la c.d. opzione nucleare, in Osservatorio costituzionale, 1, 2018, 4. È questa, del resto, la percezione degli stessi magistrati polacchi come si osserva fra l’altro in M. BASILICO, cit., passim e M. KALISZ, The time of trial. How do changes in justice system affect Polish Judges, Warsaw, 2019.

    [62] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 386 ss.

    [63] Per un inquadramento dello strumento anche nel quadro della vicenda polacca si veda E. ALBANESI, Pluralismo costituzionale e procedura d’infrazione dell’Unione Europea, Torino, 2018.

    [64] Lo stesso è accaduto del resto con l’ordinamento ungherese.

    [65] Causa C-619/18.

    [66] Causa C-791/19 R.

    [67] Causa C-791/19. Tra le sentenze più recenti si vedano ancora ordinanza del 14 luglio 2021 e del 6 ottobre 2021, causa C-204/21 R, Commissione c. Polonia; ordinanza del 21 maggio. Tra gli interventi più recenti, si segnala l’avvio della procedura di infrazione con l’inoltro avvenuto lo scorso 26 gennaio 2023 di una nuova lettera di messa in mora alla Polonia (INFR(2021)2001).

    [68] [68] A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 385 ss.

    [69] Cause riunite C 585/18, C 624/18 e C 625/18.

    [70] Era stata postulata infatti una questione relativa alla violazione del divieto di discriminazione sulla base dell’età.

    [71] Ad avviso della Corte, ciò si verifica se l'organo è soggetto a influenze esterne, ad opera del potere legislativo ed esecutivo e, in generale, se non attua in una posizione di neutralità rispetto agli interessi contrapposti. Compatibilmente con i limiti che contraddistinguono il controllo della Corte di Lussemburgo, la valutazione sull’indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema polacca, rispetto ai criteri enucleati, viene lasciata al giudice del rinvio. La Corte precisa che, in caso di ritenuto difetto di indipendenza, «il principio del primato del diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice del rinvio di disapplicare la disposizione di diritto nazionale che riservi a detto organo la competenza a conoscere delle controversie di cui ai procedimenti principali, di modo che esse possano essere esaminate da un giudice che soddisfi i summenzionati requisiti di indipendenza e di imparzialità e che sarebbe competente nella materia interessata se la suddetta disposizione non vi ostasse». Cfr. punto 172 della sentenza.

    [72] A seguito all'ordinanza provvisoria del 19 ottobre 2019 e della successiva sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia del 17 dicembre 2018, è stata emendata la legge sulla Corte suprema con l’abrogazione degli artt. 37, commi 1-4 e 111, c. 1, con conseguente reintegro di parte dei giudici della Corte suprema, tra cui il primo presidente, vittime del precedente pensionamento anticipato. Cfr. A. DI GREGORIO, A. ANGELI, J. SAWICKI, Il costituzionalismo “malato” in Ungheria e Polonia, cit., 389 ss.

    [73] G. RAGONE, cit., passim.

    [74] Cfr. E. ALBANESI, Pluralismo costituzionale e procedura di infrazione dell’Unione Europea, Torino, 2018, 178 ss.

    [75] Secondo cui, su proposta di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, a maggioranza dei quattro quinti dei membri e con l’approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori fondanti di cui all’articolo 2 TUE da parte di uno Stato membro e rivolgere a questo delle raccomandazioni. In argomento vedasi anche M. ARANCI, La reazione dell’Unione europea alla crisi polacca: la Commissione attiva l’art. 7 TUE, in Federalismi, 18 luglio 2018 e G. RAGONE, cit., passim. Cfr. anche M.A. ORLANDI, La Polonia di Kaczyński: l’approvazione del “pacchetto giustizia” e l’avvio della procedura dell’art. 7 TUE, in DPCE Online, 4, 2017.

    [76] I c.d. Criteri di Copenaghen, oggi menzionati all’art. 49 TUE, sono stati oggetto di evoluzione proprio a seguito della vicenda polacca e, soprattutto, della precedente esperienza ungherese. A fronte di un’iniziale presenza di soli 5 capitoli all’epoca del quinto allargamento dell’Unione del 2004, con l’ingresso di Bulgaria e Romania, il numero dei capitoli sui quali si incentra la condizionalità del rispetto dei valori fondanti di cui all’art. 2 TUE è salito a 35. Il capitolo 23, inoltre, è espressamente dedicato al rapporto tra stato di diritto e riforme della giustizia. E. CUKANI, cit., 11 ss.

    [77] Si vedano in particolare sul caso ungherese S. BENVENUTI, Dodici anni di riforme della giustizia in Ungheria, in Giustizia Insieme, 29.04.2023 e, per quanto riguarda in generale il tema dell’accesso alla magistratura, A. MADARASI, Percorsi di accesso alla magistratura in Ungheria, in Giustizia Insieme, 28.04.2023.

    [78] V. ZAGREBELSKY, cit., passim.

    [79] E. CUKANI, Il “Polish Gate” e il rafforzamento del diritto dell’UE, in DPCE Online, 1, 2022, 11. Si tratta tuttavia di uno dei settori ove si registra la maggiore distanza tra gli Stati membri oltre che la mancanza di un modello univoco, anche in ragione del fatto che gli Stati sono storicamente piuttosto restii ad accettare l’adeguamento a parametri comuni nell’ambito della giustizia. È in questo senso che ci si esprime con riguardo al «Dilemma di Copenhagen», su cui si vedano F. PALERMO, J. WOELK, L’indipendenza della magistratura e le sue garanzie negli ordinamenti dei Balcani occidentali, in M. CALAMO SPECCHIA, M. CARLI, G. DI PLINIO, R. TONIATTI, (a cura di), I Balcani occidentali. Le costituzioni della transizione, Torino, 2008, 202 ss. Sul legame tra indipendenza della magistratura e rule of law si veda ancora J.M. CASTELLA ANDREU, Judicial Independence and the Rule of Law According to the Venice Commission, in T. GROPPI, V. CARLINO, G. MILANI, Framing and Diagnosing Constitutional Degradation, Genova, 2022, 225 ss.

    [80] Sul punto cfr. E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 197 ss.

    [81] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 198.

    [82] Ciò è avvenuto con deliberazione del 17 settembre 2018 dell’Assemblea Generale dell’ENCJ.

    [83] C-216/18 PPU, sentenza (Grande sezione) 25 luglio 2018.

    [84] E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 201 e C. PINELLI, Violazioni sistemiche dei diritti fondamentali e crisi di fiducia tra Stati membri in un rinvio pregiudiziale della High Court d’Irlanda, in Quad. cost., 2, 2018, 510 ss.

    [85] Cfr. ad esempio il caso C-404/15, sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Caldararu.

    [86] Il principio è stato poi ripreso anche nella sopra citata sentenza A.K.

    [87] In argomento, S. BARTOLE, La crisi della giustizia polacca davanti alla Corte di giustizia: il caso Celmer, in Quaderni costituzionali, 4, 2018, 921-923.

    [88] Cfr. punto 89 della sentenza LM, C- 216/18.

    [89] Per una ricostruzione più approfondita, cfr. E. CUKANI, Condizionalità europea, cit., 202-203.

    [90] S. BARTOLE, cit., 922 ss.

    [91] A. VON BOGDANDY et al., Un possibile «momento costituzionale» per lo Stato di diritto europeo. L’importanza delle linee rosse, in Forum Quaderni Costituzionali, 12 luglio 2018, 865 ss.

    [92] È questo il rischio che sembra paventato da S. BARTOLE, cit., 922 ss., il quale rileva altresì che non può essere sufficiente a fondare la valutazione del giudice nazionale la raccomandazione di un organo (la Commissione) che non ha l’ultima parola sull’esito della procedura dell’art. 7 c. 1 TUE, spettante al Consiglio. 

    [93] Peraltro, anche in S. BARTOLE, cit., 922 ss., si aggiungeva che diverso sarebbe il caso di una precedente affermazione della violazione dei principi di indipendenza e della rule of law da parte di un organo terzo come la Corte di Giustizia.

    [94] A. ANGELI, A. DI GREGORIO, J. SAWICKI, La controversa approvazione del “pacchetto giustizia” nella Polonia di “Diritto e Giustizia”: ulteriori riflessioni sulla crisi del costituzionalismo polacco alla luce del contesto europeo, in DPCE Online, 3, 2017, 788 ss.

    [95] Ma anche di altri trattati internazionali come la Cedu. In argomento si veda la sentenza Xero Flor, caso n. 4907/18 del 7 maggio 2021 della Corte europea dei diritti dell’Uomo.

    [96] Cfr. J. SAWICKI, La nuova interpretazione illiberale della Costituzione come base per dichiararne l’incompatibilità con il diritto primario dell’Unione europea, nonché per affrontare in modo innovativo la crisi umanitaria al confine con la Bielorussia, in Nomos, 3, 2021, 4 ss.

    [97] Il percorso poteva già dirsi intrapreso con la precedente sentenza del 14 luglio 2021, Causa P 7/20 del 14.07.2021 con la quale il Tribunale costituzionale aveva già in sostanza affermato l’incompatibilità con la Costituzione delle decisioni emesse in via provvisoria dalla Corte di giustizia ex art. 279 TFUE. In argomento, C. SANNA, Dalla violazione dello Stato di diritto alla negazione del primato del diritto dell’Unione sul diritto interno: le derive della “questione polacca”, in Eurojus, 31.12.2021.

    [98] Sentenza K 3/21 del 7 ottobre 2021 del Tribunale costituzionale. In argomento M. COLI, Sfida al primato del diritto dell’Unione europea o alla giurisprudenza della Corte di giustizia sulla "rule of law"? Riflessioni a margine della sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 7 ottobre 2021. In Osservatorio sulle fonti, 3, 2021, 1083, P. MANZINI, Verso un recesso "de facto" della Polonia dall’Unione europea? in Eurojus, 2021 fasc. 4, pp. 1 – 8, A. FESTA, Indipendenza della magistratura e non-regressione nella garanzia dei valori comuni europei. Dal caso "Repubblika" alla sentenza K 3/21 del Tribunale costituzionale polacco in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2021 fasc. 3, pp. 72 – 94, G. CURTI, In cammino verso la "Polexit"? Prime considerazioni sulla sentenza del Tribunale costituzionale polacco del 7 ottobre 2021, in federalismi.it, 2021 fasc. 24, pp. 4 – 29.

    [99] Si tratta del Ministero degli esteri, del Procuratore generale e dell’Ombudsman. E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 7.

    [100] Le motivazioni complete non sono disponibili sebbene il dispositivo sia stato accompagnato da un comunicato stampa che offre qualche elemento ulteriore, reperibile al sito https://trybunal.gov.pl/en/news/press-releases/after-the-hearing/art/11664-ocena-zgodnosci-z-konstytucja-rp-wybranych-przePiSow-traktatu-o-unii-europejskiej. In base alla Costituzione polacca, in assenza delle motivazioni, il dispositivo è considerato comunque vincolante e produttivo di effetti.

    [101] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 6 ss. Parzialmente diversa sembra la lettura di S. TROILO, Controlimiti versus Stato di diritto, cit., passim, la quale riconduce la decisione nel quadro della teoria dei controlimiti, pur osservando il distacco della Corte polacca dalla giurisprudenza di altre Corti sugli atti c.d. ultra vires.

    [102] Segnatamente con gli articoli gli articoli 2, 8 e 90, paragrafo 1, della Costituzione della Repubblica di Polonia.

    [103] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 7 ss. 

    [104] Con conseguente presunta violazione degli artt. 2, 7, 8, paragrafo 1, 90, paragrafo 1, e 178, paragrafo 1, e 190 par. 1 della Costituzione polacca.

    [105] Per asserita violazione degli artt. 2, 8, paragrafo 1, 90, paragrafo 1, e 186, paragrafo 1, della Costituzione polacca.

    [106] J. SAWICKI, La collisione insanabile tra diritto europeo primario e diritto costituzionale interno come prodotto della manomissione ermeneutica di quest’ultimo, in DPCE Online, 4, 2021.

    [107] Su tutte, stride il confronto con la sentenza K 32/09 del 24 novembre del 2010 con la quale il TC aveva affermato la compatibilità tra i valori del Trattato di Lisbona e quelli della Repubblica di Polonia.

    [108] Verbatim «The Republic of Poland may, by virtue of international agreements, delegate to an international organization or international institution the competence of organs of State authority in relation to certain matters». Cfr. E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 10-11.

    [109] Che potrebbe strumentalmente giustificare l’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia da parte del TC, peraltro chiesto dall’Ombudsman. Cfr. J. SAWICKI, cit.

    [110] I firmatari sono i giudici Stanisław Biernat, Teresa Dębowska-Romanowska, Kazimierz Działocha, Lech Garlicki, Mirosław Granat, Wojciech Hermeliński, Adam Jamróz, Stefan Jaworski, Leon Kieres, Biruta Lewaszkiewicz-Petrykowska, Wojciech Łączkowski, Ewa Łętowska, Marek Mazurkiewicz, Andrzej Mączyński, Janusz Niemcewicz, Małgorzata Pyziak-Szafnicka, Stanisław Rymar, Ferdynand Rymarz, Andrzej Rzepliński, Jerzy Stępień, Piotr Tuleja, Sławomira Wronkowska-Jaśkiewicz, Mirosław Wyrzykowski, Bohdan Zdziennicki, Andrzej Zoll, Marek Zubiki. Il comunicato è reperibile al seguente indirizzi Statement of Retired Judges of the Polish Constitutional Tribunal, VerfBlog, 2021/10/11, https://verfassungsblog.de/statement-of-retired-judges-of-the-polish-constitutional-tribunal.

    [111] “It is not true that the judgment of the Constitutional Tribunal of 7 October 2021 itself falls within the competence of the Tribunal and is consistent with the Constitution”.

    [112] “It is not true that the application of EU law by Polish courts cannot be reconciled with their application of the Constitution”.

    [113] Verbatim, ancora dal comunicato “it is not true that the judgment of the Constitutional Tribunal of 7 October 2021 will be able to produce legal effects other than exerting pressure on the judicial activity of Polish judges and threatening them with disciplinary proceedings”.

    [114] Anche grazie alla sostanziale cattura dei suoi custodi. 

    [115] Quella stessa identità nazionale menzionata dall’art. 4.2 del Tue. Anche in questo caso, peraltro, vi è un ulteriore svuotamento di significato delle disposizioni costituzionali che hanno consentito l’integrazione sovranazionale della Polonia, operato dallo stesso organo tenuto a salvaguardarle.

    [116] S. SCIARRA, Identità nazionale e corti costituzionali. il valore comune dell’indipendenza, in AA.VV., Identità nazionale degli stati membri, primato del diritto dell’unione europea, stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali, 6 ss., reperibile al sito web https://cortecostituzionale.it/jsp/consulta/convegni/5_sett_2022/Giornata-Studio-Cc-Cgeu-Def.pdf. Il nesso è evidente anche nella sentenza Repubblika, del 20.3.2021, causa C-869/16.

    [117] Ancora S. SCIARRA, cit., 6, citando le conclusioni dell’Avv. Generale Emiliou dell’8 marzo 2022 nella causa Boriss Cilevičs e a. contro Latvijas Republikas Saeima, C- 391/20 (punto 86).

    [118] E. CECCHERINI, L’indipendenza del potere giudiziario, cit., 2207.

    [119] Art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789.

    [120] Occorre considerare altresì che questo processo in Polonia è stato inoltre realizzato con l’acquiescenza degli organi rappresentativi. La limitazione dell’indipendenza della magistratura e del Tribunale costituzionale incide così anche sul piano dell’equilibrio tra poteri laddove viene meno una forma fondamentale di controllo dell’operato della maggioranza.

    [121] Celebre è il «The First Thing we Do, Let's Kill All Lawyers», qui intesi come giuristi, o esperti di diritto più che avvocati presente nell’Enrico VI di Shakespeare, parte 2, atto IV, scena 2. Si tratta di un passaggio che si presta a interpretazioni non univoche ma, come affermato nell’interpretazione del giudice Stevens della Corte Suprema statunitense, «Shakespeare insightfully realized that disposing of lawyers is a step in the direction of a totalitarian form of government». Cfr. Walters v. Nat’l Ass’n of Radiation Survivors, 473 U.S. 305, 371 n. 24 (1985) (Stevens, J., dissenting).

    [122] Il dato è particolarmente evidente nell’ordinamento italiano come dimostrato, fra gli altri, dal caso Cappato. Si apprezza però la stessa tendenza anche in altri settori come quello dei diritti delle persone LGBTQ+, a partire dalla sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale.

    [123] Sul punto, ex multis, E. CECCHERINI, L'integrazione fra ordinamenti e il ruolo del giudice, in Dir. pubbl. comp. eur., fasc. 2, 2013, 470 ss.; V. BARSOTTI, Tra il dialogo e la cooperazione. Il nuovo ruolo delle Corti nell'ordine globale, in L. ANTONIOLLI, A BENACCHIO, R. TONIATTI (a cura di), Le nuove frontiere della comparazione, Trento, 2012 e M. CARTABIA, cit., 3 ss.

    [124] Il riferimento è in particolare al caso Miller della Supreme Court del Regno Unito. In argomento, Tra i contributi più recenti E. PARISI, Recesso dall'Unione (procedimento ex art. 50 TUE - diritto costituzionale britannico - "Crown's prerogative" - "sovereignty of the Parliament") Nota a High Court of Justice, Queen's Division, R (Miller) c. Secretary of State for Exiting the European Union 3 novembre 2016, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2016, fasc. 6, 1647-1649; C. MARTINELLI, La Brexit come vaso di Pandora della Costituzione britannica, in DPCE online, 3, 2019, XVIII; F. SGRÒ, Il caso” Brexit”: qualche considerazione sulla sovranità parlamentare e sul sistema delle fonti nell’ordinamento costituzionale britannico dopo la sentenza della Supreme Court of the United Kingdom, in www.federalismi.it., 8 marzo 2017.

    [125] Sul punto si può richiamare ad esempio la vicenda catalana.

    [126] M. CARTABIA, cit., 4, la quale considera che non vale più in questa fase l’idea di Hamilton di una magistratura come «least dangerous branch».

    [127] E. CUKANI, Il “Polish Gate”, cit., 14 ss. Si vedano al riguardo anche le considerazioni più generali di A. PIN, Il rule of law come problema, Napoli, 2021.

    [128] Le cause sono complesse e vanno dalla necessità di disporre di un consenso politico non sufficiente per l’attuale maggioranza, anche a seguito delle ultime elezioni del 2019 e alle criticità della situazione geopolitica seguita alla deflagrazione del conflitto in Ucraina.

    [129] Si vedano in particolare le sentenze della Corte di Lussemburgo 16 febbraio 2022, causa C-157/21, Polonia/ Parlamento e Consiglio e 16 febbraio 2022, cause C-156/21, Ungheria / Parlamento e Consiglio. In argomento, B. NASCIMBENE, Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La condizionalità, in Eurojus, 2021, 171 ss.

    [130] S. SCIARRA, cit., 17.

    ​Intervista a Genantonio Chiarelli, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    Intervista a Genantonio Chiarelli, candidato al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022 

    di Donatella Palumbo

    Genantonio Chiarelli, detto Geno, è in servizio dal settembre 2010 presso la Sezione Penale del Tribunale di Brindisi, da due anni con funzioni di giudice coordinatore della Sezione dibattimentale. Dopo il tirocinio svolto presso gli uffici giudiziari di Bari, ha ricoperto la funzione di Pretore a Potenza e presso la Pretura di Viggiano per i primi tre anni, dal 1997 al luglio 2010, ha prestato servizio prima come Pretore e poi come giudice penale presso il Tribunale di Taranto. Nel corso del quadriennio 2016/2020 è stato componente del Consiglio Giudiziario del distretto di Corte d’appello di Lecce. Il 18 e il 19 settembre 2022 si vota per il rinnovo della componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura e Genantonio Chiarelli propone la sua candidatura per la categoria giudici di merito nel collegio 4.

    Il 7 dicembre 2001 da giovane giudice del Tribunale di Taranto hai pronunciato la prima sentenza di condanna contro il Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ilva per una vicenda di mobbing ai danni di alcuni dipendenti del centro siderurgico, non allineati alla dirigenza e per questo relegati nella palazzina Laf, inutilizzata e priva di impianti di lavorazione. Hai potuto sperimentare, quindi, sin da subito la solitudine del giudice di fronte a casi anche di rilievo mediatico e a orientamenti innovativi della giurisprudenza di merito, condizione che accomuna molti dei magistrati di prima nomina nelle sedi di piccole e medie dimensioni. Come dovrebbe operare il Consiglio Superiore della Magistratura per migliorare le condizioni di lavoro dei magistrati e soprattutto dei giovani nelle sedi periferiche?

    Mi fai venire in mente uno dei momenti più intensi della mia vita professionale, quando da giovane Pretore portai a compimento un complesso processo per una lunga serie di episodi delittuosi integranti un sistema umiliante e strutturato di mobbing aziendale, di vero e proprio confino cui erano stati sottoposti un centinaio di dipendenti rei di non aver accettato, nell’ambito della ristrutturazione aziendale allora in atto, il loro demansionamento professionale. Letta anche con il senno di poi, quella esperienza mi ha fatto toccare con mano il valore dell’essere un magistrato libero, autonomo, scevro da condizionamenti esterni, non legato a vincoli di mera produttività quantitativa. E così è stato possibile reggere il peso della solitudine, l’ingombrante presenza mediatica, la forza di imputati “eccellenti” e del potente collegio difensivo, la difficoltà della qualificazione in termini penalistici delle condotte oggetto di contestazione. Sono certo che oggi ripercorrerei la stessa strada. Ma forse sarebbe più difficile, dovrei lottare con la paura di fornire una interpretazione dei fatti fuori dal coro, avrei timore di annullamenti nei successivi gradi di giudizio, potrei temere ripercussioni per la mia valutazione di professionalità, non so. E veniamo al cuore della questione. L’autonomia della magistratura è valore costituzionale, è tutela dei diritti dei cittadini, è coraggio di adottare nuove soluzioni interpretative. E le recenti riforme legislative non sembra corrano in questa direzione. Si impone, dunque, una forte reazione a questa possibile deriva, occorre attenzione alle scelte organizzative, utili a garantire il lavoro dei giovani colleghi e a favorire un percorso di confronto all’interno dell’ufficio, capace di far sentire ogni magistrato parte significativa di un tutto. Ma occorre anche recupero del nostro entusiasmo e del nostro orgoglio, nella consapevolezza dell’importanza della funzione che svolgiamo ogni giorno in nome del popolo italiano.

    Il conseguimento degli obiettivi del P.N.R.R. e l’improcedibilità dell’azione penale in grado di appello e in cassazione impongono una attenta riflessione sulla distribuzione e gestione delle risorse anche in relazione alle piante organiche dei distretti. Quali strumenti dovrà azionare il Consiglio Superiore della Magistratura affinchè vi sia una più efficace allocazione e valorizzazione delle risorse disponibili ai fini del raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi, garantendo al contempo massima attenzione alla qualità della giurisdizione e non solo alla mera quantità rilevabile dalla statistica?

    Il tema, complesso, coinvolge vari aspetti. Consentitemi in primo luogo di ribadire che la filosofia di fondo di alcuni interventi collegati al P.N.R.R. ha un orizzonte temporale limitato e prescinde da progetti di più ampio respiro e proiettati nel futuro. Una casa che non funziona bene si ristruttura prima dalle fondamenta e poi ci si preoccupa del resto; e ristrutturare dalle fondamenta il nostro settore significa, in primo luogo, riempire al più presto i vuoti di organico nella magistratura e nel personale, oltre che intervenire con interventi normativi tesi alla semplificazione dei processi penali e civili, con conseguente accelerazione dei tempi. Nell’ultima relazione allegata al programma di gestione ho ribadito, numeri alla mano, quella che mi sembra una banalità, ma che tale non è, e cioè che se la sezione penale che coordino avesse avuto la piena copertura, che se non avessimo avuto problemi nel celebrare le udienze per assenza di personale e per carenze di aule, avremmo certamente ottenuto brillanti risultati in termini di smaltimento dell’arretrato. Tornando al punto. L’atteggiamento critico nei confronti di alcuni interventi normativi non ci esime dal dovere di cogliere ogni opportunità fornitaci, per es., quella relativa alla gestione dell’Ufficio del Processo: ho avuto occasione di constatare troppe differenze nell’applicazione della riforma, a volte attuata con occhio miope e conservativo, quando invece l’elaborazione di moduli virtuosi può produrre un effettivo beneficio nello smaltimento del lavoro. Ragionare, appunto, in termini di “ufficio del processo”, in termini collettivi, di struttura e di non di mero ausilio alla cancelleria o ai singoli magistrati, rappresenta un percorso che vale la pena percorrere. Purché si sia consapevoli che i fattori di criticità ci sono, hanno natura oggettiva (si pensi anche solo a dove allocare fisicamente queste risorse e di quali strumenti dotarli) e verosimilmente impediranno di raggiungere gli ambiziosi obiettivi quantitativi declamati con troppa enfasi (e non certo per inefficienza della magistratura). La definizione delle piante organiche è stata oggetto di recenti interventi, mi pare di poter dire deludenti, in quanto conclusisi sostanzialmente con una distribuzione a pioggia e non in relazione alle reali esigenze degli uffici. Ciò non toglie che il C.S.M. possa farsi carico di una operazione di periodico monitoraggio basato su dati statistici il più possibile significativi, anche dal punto di vista qualitativo; e possa poi garantire attenzione particolare agli uffici, tanti, troppi, di più modeste dimensioni: nelle procedure di tramutamento, per es., l’applicazione di criteri matematici in proporzione alla scopertura rischia di trasferire le risorse nelle sedi più grandi e lasciare le sedi periferiche ai magistrati con minore esperienza, ponendo le premesse per un continuo avvicendamento, dannoso per l’efficienza dell’ufficio e dannoso per i magistrati che ci lavorano, sopportando  enormi sacrifici personali.

    Nel corso del quadriennio 2016/2020 sei stato componente del Consiglio Giudiziario del distretto di Corte d’appello di Lecce. Ritieni utile coltivare un’interlocuzione costante tra Consiglio Superiore della Magistratura e Consiglio Giudiziario e in che modo può avvenire questo collegamento, in tal modo riverberandosi positivamente anche sulla comunicazione istituzionale fra organo centrale e organi periferici dell’autogoverno?

    Ho vissuto con entusiasmo la campagna di presentazione di Elisabetta Chinaglia per le elezioni suppletive, partecipandovi attivamente, anche per l’intima convinzione della bontà del suo messaggio politico, nella parte in cui poneva in risalto il valore dell’autogoverno. Autogoverno, nell’accezione forse più atecnica, significa contributo dal basso di ciascuno di noi alla migliore organizzazione dell’ufficio nel quale si opera, con i propri comportamenti quotidiani: ogni magistrato deve essere consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, e partecipare in maniera responsabile alla resa di un servizio, dignitoso ed efficace, quanto più possibile rapido. Ho sempre sostenuto la necessità di un diverso approccio da parte di ciascuno di noi alle dinamiche ordinamentali, sollecitando il più possibile i colleghi a manifestare il proprio punto di vista anche nelle forme delle “osservazioni”. Termine che evoca troppe paure, quando invece dovrebbe essere vissuto come mera occasione di confronto, come nobile forma di manifestazione del proprio pensiero sulle questioni organizzative in sede locale. Forse basterebbe modificare il termine da “osservazioni”, che implica un giudizio di rimprovero, a “suggerimenti”, che si ricollega ad intenti propositivi, per aiutare questo auspicato cambio di passo. Quanto all’esperienza vissuta al Consiglio Giudiziario, non posso che ricordarne il carattere altamente formativo: essa ha consentito di acquisire gli strumenti per la conoscenza  delle varie tematiche ordinamentali, complesse ed articolate, ha imposto l’abitudine al confronto, interno al gruppo, ma anche con i dirigenti degli uffici e  con i  colleghi  portatori di diverse sensibilità, in un lavoro non sempre agevole, ma indispensabile ai fini del corretto funzionamento di ogni organo collegiale. Quale articolazione locale dell’autogoverno, è assolutamente auspicabile che il rapporto fra consiglio giudiziario e C.S.M. sia sempre più stretto, in modo da garantire un flusso quanto più possibile continuo di informazioni reciproche, utili ad adottare delle decisioni motivate e ponderate, in un contesto quanto più possibile poco burocratizzato. Ogni moderna forma di organizzazione si basa più sul metodo improntato al dialogo/confronto che non sul metodo bocciatura/approvazione. Fermo restando che trattasi di questioni che richiedono modifiche normative, vedrei di buon grado un rafforzamento dei poteri dei consigli giudiziari, il riservare loro dei poteri non solo consultivi, per una serie di pratiche più snelle che potrebbero essere definite già in sede locale: il che porterebbe a sgravare il lavoro del C.S.M. e a responsabilizzare maggiormente i singoli consigli giudiziari (che finirebbero per assumersi direttamente la paternità di alcune decisioni).

    La tua candidatura è nata nell’assemblea distrettuale leccese del gruppo di Area Democratica per la Giustizia. La base degli iscritti e dei simpatizzanti ha apprezzato, oltre che le tue doti professionali e di impegno costante nella giurisdizione, anche il lato umano, essendoti mostrato aperto al confronto, talvolta anche aspro, ma sempre franco e diretto in ordine ai problemi degli uffici e alle esigenze dei territori. Quanto è importante, anche per un consigliere superiore, il rapporto con la realtà concreta degli uffici giudiziari?

    Tale rapporto, non   è importante, è fondamentale. Quello del confronto leale, anche aspro, come dici tu, forse memore di alcune assemblee vissute insieme, è stato sempre il metodo da me praticato nella organizzazione del mio lavoro, nell’esperienza al Consiglio Giudiziario, nel lavoro di coordinamento della sezione, nelle assemblee e negli incontri con i colleghi. Ritengo possa essere l’unico metodo, per un Consigliere del C.S.M., che consenta di stare vicino alle realtà degli uffici, di comprenderne le esigenze, di valutare le soluzioni, elaborando quelle di propria competenza; e poi di spiegarle e di verificarne la portata. Sulle candidature al C.S.M. va ribadito il valore politico del metodo democratico, non declamato ma praticato e del quale dobbiamo essere fieri, seguito da Area Democratica per la Giustizia per la selezione dei candidati, partita dalle assemblee distrettuali, ove ampio è stato il confronto, e conclusa con le primarie.    

    Qual è il modello di Consiglio Superiore della Magistratura che hai sempre immaginato e che vorresti contribuire a realizzare?

    Sono in parte restio a parlare di modelli. Certamente non penso ad un C.S.M. semplice amministratore del “condominio giustizia” e delle “carriere dei magistrati”, men che meno un luogo deputato soltanto alla nomina dei dirigenti degli uffici (come purtroppo sta accadendo nell’errato immaginario collettivo). Come già detto e scritto in vista delle primarie, il C.S.M. deve essere ben attento al suo ruolo “politico” come disegnato dalla Costituzione nell’assetto dei poteri dello Stato: quindi attento a proteggere l’autonomia ed indipendenza quale mezzo per garantire la funzione di verifica della legalità e quindi non il privilegio della corporazione; preoccupato dell’efficienza dell’organizzazione giudiziaria e della sua concreta efficacia non dimenticando che la risposta alla domanda di giustizia non è solo quantità ma anche qualità; vicino alle esigenze concrete dei magistrati ma attento ad una crescita della deontologia, non solo professionale, e ad una verifica, seria e non propagandistica, delle cadute deontologiche; trasparente nelle sue decisioni nella consapevolezza che si tratta di un organo collegiale in cui nessuno è portatore esclusivo di verità; capace, quale organo elettivo e, dunque, di rappresentanza dei magistrati, di ripudiare, senza ipocrisie di facciata, la logica delle appartenenze; scrupoloso nella valutazione anche della pratica all’apparenza più banale, dietro la quale c’è sempre un magistrato che attende, e capace di contemperare esigenze collettive ed esigenze individuali; consapevole della necessità di raggiungere il livello più alto di efficienza possibile, efficienza intesa anche come rapidità delle decisioni. E soprattutto un C.S.M. pronto a  leggere la realtà politica e capace di  affrontare quella che sarà verosimilmente  una sfida  gravosa, nel prossimo contesto parlamentare, con ogni probabilità lontano anni luce dal modo di intendere la giurisdizione da parte della magistratura progressista: sfida per affrontare la quale, occorrerà ribadirlo in “campagna elettorale”, ritengo  significativa e importante la risposta  altamente politica che un gruppo unitario come Area Democratica per la Giustizia sarà  in grado di dare, ancora più rilevante se, come non è escluso, ci troveremo di fronte ad una componente togata del C.S.M. molto  frammentata.

    Intervista a Marcello Basilico, candidato al CSM per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    Intervista a Marcello Basilico, candidato al CSM per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    di Federica Salvatore

    Quali sono le tue pregresse esperienze professionali, anche in ambito associativo e istituzionale? Pensi che possano costituire un utile bagaglio per affrontare le sfide del futuro Consiglio? 

    Prima di diventare presidente della sezione lavoro di Genova sono stato magistrato di sorveglianza a Nuoro, pubblico ministero a Sanremo, poi pretore e giudice monocratico del lavoro, giudice della famiglia e in corte d’assise a Genova. Ho fatto parte di due Consigli giudiziari, prima e dopo la riforma del 2006, nonché di una commissione flussi. Sono stato nella giunta ligure e, dal 2016, nel Comitato direttivo centrale dell’ANM, andando a comporre la giunta esecutiva centrale per l’ultimo anno e mezzo, sino a novembre 2020, dopo l’emersione dei fatti dell’hotel Champagne e, unico per l’intero quadriennio, l’ufficio sindacale, che ho coordinato negli ultimi due anni.  

    Queste sono alcune delle mie esperienze istituzionali e associative. Le ritengo essenziali per affrontare l’impegno nel CSM con una sufficiente visione dei temi ordinamentali e dei bisogni della magistratura, anche in rapporto alla società e agli altri operatori del diritto. L’abitudine a relazionarsi con le massime istituzioni o coi vertici degli uffici giudiziari, la propensione al confronto con chi è portatore di visioni diverse dalle proprie, l’attitudine a comunicare i risultati delle attività svolte sono condizioni essenziali per concorrere a conseguire gli obiettivi che assegniamo al nostro governo autonomo.

    Prima di entrare in magistratura sono stato giornalista professionista. Ora sono responsabile della comunicazione per il tribunale di Genova. Abbiamo bisogno di un CSM più trasparente, più comprensibile, più vicino ai colleghi nel proprio operato. Penso che un’esperienza solida nella comunicazione rappresenti un fattore ulteriore a quei fini.

    La magistratura vive una profonda crisi di credibilità, sia esterna che interna: quali sono le ragioni che ti hanno indotto a candidarti in un momento così difficile? Cosa ritieni che il prossimo Consiglio possa fare per recuperare una diversa opinione nei cittadini?

    Ho affrontato in passato attacchi al mio operato di magistrato di sorveglianza e di pubblico ministero sempre affidandomi alle istituzioni del nostro autogoverno. Sono entrato nel primo Consiglio giudiziario del mio distretto all’indomani della riforma Castelli. Mi sono sempre battuto nell’ANM per la tutela dei colleghi vittime di attacchi per il loro esercizio indipendente della giurisdizione. Dobbiamo al CSM se gli uffici del pubblico ministero non sono strutturati con una rigida gerarchia che mina l’autonomia dei sostituti.

    I cittadini hanno bisogno di una magistratura indipendente, di giudici e pubblici ministeri inseriti in un unico circuito professionale e culturale, d’una giurisdizione in grado di tutelare di diritti con pienezza, tanto più in una fase storica in cui le ragioni dell’economia e d’una politica disattenta ai bisogni sociali in evoluzione sembrano soverchianti. Il CSM deve dunque tornare a essere l’istituzione autorevole alla quale tutti i magistrati guardino con fiducia e l’interlocutore ascoltato del Governo e del legislatore. E’ il momento per rispondere “presente” al bisogno diffuso di una giustizia vicina alle persone e credo che questa vicinanza potrà esprimersi spiegando finalmente come lavorino i magistrati, con quali risorse e a prezzo spesso di quali sacrifici.   

    Il nuovo Consiglio avrà il delicato compito di dare un contributo sulle misure di attuazione della riforma Cartabia. Quali sono gli aspetti che ritieni più delicati per gli uffici giudicanti e su quali punti ritieni che il nuovo CSM debba concentrare maggiormente l’attenzione?

    Vedo nella riforma due direttrici da contrastare. La prima è di carattere verticistica e burocratica, tende a distinguere i magistrati in base alla performance numerica conseguita, all’esito processuale dell’indagine o della decisione, all’aggettivo con cui si dovrebbe qualificare la loro presunta capacità organizzativa, persino alla procedura, ordinaria o semplificata, con cui saranno valutati ogni quattro anni. Rischiamo di avere una categoria assoggettata al timore del parere del dirigente, alla statistica comparata, alla conformità del suo operato rispetto agli orientamenti superiori. La riforma Cartabia, per come è uscita dal Parlamento, sembra dimenticare che i magistrati si distinguono solo per funzioni e che per questo la Costituzione asseconda l’idea di giurisdizione diffusa, attenta a cogliere i cambiamenti in atto nella società attraverso decisioni innovative e coraggiose in ogni grado di giudizio.

    La seconda linea di tendenza sta nell’uso della leva disciplinare per assecondare obiettivi specifici del legislatore. E’ grave che le riforme recenti abbiano introdotto fattispecie caratterizzate da locuzioni vaghe (come “gravi anomalie” o “specifiche ragioni di pubblico interesse”), che rendono evanescente la valutazione sulla correttezza della condotta del magistrato e contraddicono la necessaria tipicità dell’illecito disciplinare. Non sappiamo quale sorte avranno le riforme affidate all’attuazione governativa, una volta sciolto il Parlamento. Ma una parte della classe politica ha da tempo annunciato interventi ancora più punitivi e di fatto intimidatori. Perciò il CSM dovrà vigilare e fare la propria parte nella difesa dei principi costituzionali che governano l’azione della magistratura.         

    La magistratura è composta da numerosi colleghi che non hanno ancora conseguito la seconda valutazione di professionalità, i quali si trovano ad operare in Tribunali dove i carichi e le condizioni di lavoro sono spesso più pesanti che in altri Uffici. Quale ritieni debba essere, in generale e con specifico riferimento alla posizione di tali colleghi, il contributo del nuovo Consiglio in materia di valutazioni di professionalità e miglioramento delle condizioni di lavoro?

    Il CSM deve cogliere i cambiamenti profondi in corso nella magistratura. Nel governo del personale, deve bilanciare con chiarezza di criteri le esigenze di copertura degli uffici con le esigenze di mobilità, spesso legate a ragioni di ricongiungimento familiare, dei più giovani. Anche le modifiche recenti alla circolare sull’applicazione della legge 104/92 richiederanno un’attenta ponderazione degli interessi in gioco. La genitorialità va protetta con scelte responsabili da parte dei dirigenti, che il CSM deve favorire. Le valutazioni di professionalità devono perdere quella valenza ai fini della carriera che hanno acquisito progressivamente dopo la riforma Castelli. Infine va valorizzata la dignità del lavoro del magistrato, come uno dei fattori che ne legittimano la funzione: dobbiamo pretendere risorse adeguate, decorose – penso all’edilizia giudiziaria – e davvero idonee al nostro servizio.

    A quest’ultimo fine credo nell’utilità di un tavolo tecnico d’interlocuzione stabile col Ministero (e con la Scuola Superiore della magistratura quando necessario) al più alto livello, per rendere operative richieste e accordi sulla base delle esigenze che il CSM dovrà raccogliere dai territori.

    Tutto ciò dovrebbe avvenire, sia chiaro, mettendo al centro la funzionalità degli uffici giudiziari e le ragioni dei singoli trovino tutela nelle regole, non in un malinteso senso di autonomia che impedisca forma efficienti di organizzazione.

    Spesso i colleghi si lamentano della scarsa trasparenza dell’attività consiliare. Ritieni che questo sia un punto sul quale il prossimo consiglio debba intervenire e se sì, con quali misure?

    Ne sono convinto. La credibilità dell’attività consiliare passa anche attraverso la sua conoscenza e la spiegazione delle sue scelte. Oggi il sito internet del CSM è di difficilissima consultazione. Non esiste un responsabile dei procedimenti del CSM. Non esiste una comunicazione istituzionale tempestiva sul loro esito. Il risultato è che ancora si ricorre alla telefonata al segretario di Commissione se non al consigliere e che alcune correnti fanno a gara nel diffondere per prime le notizie sulle nomine o avvisano personalmente il singolo aspirante come se il suo trasferimento fosse da considerare il frutto di una complicata operazione.

    Questa situazione deve finire. Lo stato di ogni procedimento deve essere verificabile in diretta dagli interessati nell’area riservata del sito consiliare; in tal modo si responsabilizzerebbe anche il segmento che stia eventualmente ritardandone la prosecuzione. Il CSM deve darsi carico inoltre dell’informazione delle proprie attività, in alcuni casi anche attraverso puntuali comunicati sintetici, sul modello inaugurato dalla Corte costituzionale in Italia, ma largamente diffuso nelle istituzioni estere.

    Visti gli ambiziosi obiettivi richiesti dal PNRR, ritieni che una diversa e più efficace distribuzione delle risorse possa contribuire in modo più efficiente al raggiungimento degli obiettivi? Quali sono a tuo avviso gli strumenti possibili nell’azione consiliare per coniugare qualità e produttività?

    È illusorio forse tornare a parlare in questo particolare momento storico di revisione della distribuzione degli uffici giudiziari, anche se, ad esempio, la permanenza di quattro Corti d’appello in Sicilia appare come una fonte anacronistica di moltiplicazione d’incarichi dirigenziali.

    In una prospettiva più realistica si può pensare ad un ridimensionamento dei semidirettivi, a un controllo più accurato sulla loro partecipazione all’attività giurisdizionale in tutti gli uffici, a un monitoraggio sulla distribuzione e sull’impiego del personale amministrativo.

    Vanno sciolti con urgenza due nodi: il primo riguarda la magistratura onoraria, sul cui futuro pesano ancora troppi interrogativi; il secondo concerne l’Ufficio per il processo, che rischia di avere attuazioni a macchia di leopardo, rimesse alla sensibilità dei singoli dirigenti, se non dei singoli magistrati, in difetto di un’attenta verifica nelle diverse realtà territoriali. C’è poi un tema solo apparentemente più spicciolo: la rigidità delle tabelle organizzative nelle prassi dei presidenti; si stenta a intervenire nella distribuzione degli organici del settore penale e del settore civile, per non turbare assetti consolidati, rinunciando così ad affrontare le emergenze che spesso investono i singoli uffici a causa ad esempio di processi di grande dimensione.  

    ​Intervista a Mariafrancesca Abenavoli, candidata al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022

    Intervista a Mariafrancesca Abenavoli, candidata al C.S.M. per le elezioni del 18 e 19 settembre 2022 

    di Antonella Magaraggia 

    Come ti racconteresti a un elettore che non ti conosce?

    Sono entrata in magistratura nel 1999 e da allora ho sempre svolto attività giudiziaria, dapprima quale giudice presso il Tribunale di Vigevano, un ufficio di piccole dimensioni in cui ho svolto funzioni promiscue ma prevalentemente civili e poi, nel 2013, presso il Tribunale di Torino dove ho svolto funzioni di giudice delegato ai fallimenti il primo anno e successivamente sono stata trasferita presso la sezione gip-gup dove mi trovo tuttora. A Torino sono entrata in contatto con i colleghi di Area e ho iniziato a seguire da vicino l’attività associativa che mi ha molto arricchito, consentendomi di guardare oltre il mio fascicolo e di confrontarmi su temi di ordine più generale, sguardo di cui oggi non riuscirei più a fare a meno.

    La consiliatura che volge al termine è stata travolta dalla cd. questione morale, che ha portato la magistratura a un minimo storico di credibilità, sia all’interno che nella valutazione dei cittadini. In che modo si può invertire la rotta?

    Sarà fondamentale, proseguendo nel percorso tracciato dai consiglieri di AdG, mantenere fermezza nel rifiutare logiche corporative o clientelari operando sempre secondo le regole e, quanto ai posti direttivi e semidirettivi (per ottenere i quali si sono riempite di messaggi le chat di Palamara e co.), selezionando il candidato più idoneo per il posto a concorso. Occorrerà peraltro non enfatizzare il ruolo della dirigenza, limitando così la tendenza al “carrierismo”, in contrasto con il principio costituzionale per cui i magistrati si differenziano solo per funzioni. Molto è stato fatto nell’attuale consiliatura, con le nuove circolari sull’organizzazione degli uffici, giudicanti e requirenti, che limitano il potere del dirigente di delegare a terzi i propri compiti e con il rigoroso rispetto della regola di calendarizzazione delle pratiche in ordine cronologico, criterio recepito dalla riforma Cartabia, per evitare le famose “spartizioni”.

    L’attività del Consiglio è spesso -e ingiustamente- ricondotta alle nomine dei direttivi e dei semidirettivi. In realtà riguarda molto altro (l’organizzazione degli uffici, le condizioni di lavoro, le valutazioni di professionalità, i carichi di lavoro ecc.). Ritieni che ci siano cambiamenti da portare?

    Indubbiamente oggi quando si parla di CSM si parla solo di nomine dei dirigenti, mentre una grande ed importante fetta dell’attività del Consiglio riguarda altri temi fondamentali per l’assetto della magistratura: il controllo sull’organizzazione interna degli uffici, strumento fondamentale per inverare il principio costituzionale del giudice naturale e per riportare al centro della nostra organizzazione l’idea di una magistratura orizzontale, nella quale i magistrati si distinguono solo per funzioni; gli aspetti relativi alla mobilità ed all’utilizzo delle risorse (ad es. con le applicazioni extradistrettuali), soprattutto nell’attuale situazione di gravissime scoperture degli organici dei magistrati; la definizione delle pratiche di valutazione di professionalità e/o di conferma dei magistrati con funzioni direttive o semidirettive, che devono divenire molto più celeri di adesso, soprattutto laddove vi siano criticità già segnalate dai Consigli Giudiziari.

    La riforma del Consiglio potrà essere l’occasione per migliorare e razionalizzare l’organizzazione del lavoro, che a mio avviso deve anche primariamente svolgersi con attenzione al continuo raccordo con i Consigli Giudiziari.

    Nei programmi di ogni tornata elettorale si parla di trasparenza dell’attività del Consiglio e di semplificazione delle procedure, finalità solo in parte raggiunte. Quali le tue proposte?

    Credo che questo sia uno dei principali obiettivi su cui il prossimo CSM dovrà lavorare. Al fine di evitare logiche clientelari sarà importante potersi rivolgere all’istituzione per conoscere lo stato delle proprie pratiche (potrebbe anche pensarsi ad un ufficio relazioni con il pubblico); anche il sito del CSM dovrà essere migliorato per rendere la ricerca dei provvedimenti del Consiglio più facilmente accessibile; fondamentale sarà anche l’invio, tramite canale istituzionale, degli esiti delle pratiche la cui gestione non va lasciata ai singoli gruppi. Sarà importante che i consiglieri eletti in AdG proseguano nella redazione delle comunicazioni quasi settimanali (Diari e Post It), nelle quali vengono spiegati i motivi delle scelte fatte, nell’ottica del “rendere conto” in maniera pubblica e trasparente. Occorre infatti recuperare la credibilità di questa fondamentale istituzione nata per garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e avvicinare al Consiglio, rendendone comprensibile l’operato, anche i colleghi più giovani che mi sembrano sempre più distanti dall’autogoverno.

    Gli uffici sono attualmente impegnati nell’attuazione del programma riguardante PNRR, anche tramite gli Uffici per il processo. Come pensi debba muoversi il Consiglio nel monitorare/valutare i risultati e nei rapporti con il Ministero della giustizia?

    Si tratta di un tema che, come è noto, riguarda soprattutto l’attività del Ministero. Ciò che potrà fare il Consiglio, direzione nella quale peraltro mi risulta si stia già muovendo, sarà diffondere linee guida efficaci che aiutino tutti gli uffici nello smaltimento dell’arretrato al fine di porre la magistratura in condizioni di raggiungere gli obiettivi del PNRR, ma occorrerà soprattutto che il CSM vigili affinché l’eventuale fallimento degli obiettivi non sia addebitato ai magistrati se gli stessi non hanno ottenuto risorse adeguate. A tal proposito, va evidenziato come molti uffici non abbiano ancora avuto la dotazione di personale e strutture necessarie per il funzionamento dell’Ufficio per il processo.

    In tre parole, come vorresti definire il Consiglio che verrà?

    Serio, efficiente e autorevole.

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection

    We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.