GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’utilizzazione dei giudici onorari in tribunale secondo la riforma

    L’utilizzazione dei giudici onorari in tribunale secondo la riforma

    SOMMARIO: 1. Cenni generali del problema; 2. L’utilizzazione del giudice onorario nella circolare consiliare sulle tabelle e nella legge delega 29.4.2016 n.57; 3. Le novità contenute nello schema di decreto legislativo; 4. La motivazione delle restrizioni nell’utilizzo dei giudici onorari; 5. L’ipotesi di “supplenza”; 6. Le disposizioni transitorie per i m.o. in servizio come g.o.t.; 7. Conclusioni e …attese

     

    1. Cenni generali del problema.

    Il dibattitto successivo alla divulgazione del testo dello schema di decreto legislativo attuativo della legge delega sulla riforma della magistratura onoraria è ancora in corso, e la sua rilevanza è proporzionata a quella dell’importanza che le nuove disposizioni avranno non solo sullo status dei magistrati onorari, ma anche sull’organizzazione degli uffici giudiziari di primo grado, per la rilevanza dell’apporto offerto da giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari.

    Sono note le polemiche derivate dalle valutazioni (prevalentemente negative) operate da parte delle organizzazioni sindacali dei magistrati onorari (che hanno condotto anche a forme di protesta ancora in atto), e la denunzia dell’inadeguatezza dell’impianto dello schema di decreto delegato (di recente divulgazione) operata da parte di un “movimento” di Procuratori della Repubblica, preoccupati sugli effetti che lo status dei vice procuratori di pace potrebbe avere sulla funzionalità degli uffici di Procura.

    Minore attenzione sembra invece essere dedicata all’assetto ordinamentale dei futuri giudici onorari di pace (gli attuali giudici onorari di tribunale), che pure costituiscono la quota di magistratura vicaria indispensabile per l’efficienza degli uffici giudicanti di primo grado.

    Di qui l’opportunità, anche al fine di contribuire ad opportuni interventi correttivi del decreto in progress, di sviluppare alcune schematiche riflessioni specificamente dedicate all’analisi del ruolo riservato dalla riforma all’attività del giudice onorario di pace all’interno del tribunale.

    Le disposizioni concernenti l’attività del g.o.p. in funzione di sostituzione dei giudici professionali sono di grande importanza per l’assetto organizzativo dei tribunali e rischiano, ove asincrone rispetto alle esigenze di funzionalità dell’ufficio giudiziario, di scompaginarne la pianificazione progettuale operata dalla maggior parte dei dirigenti, in virtù del recentissimo, intervenuto deposito delle “tabelle” per il prossimo triennio.

    La preoccupazione sulle concrete criticità derivanti da alcune norme risulta fondata sulla sostanziale difformità del decreto rispetto ai criteri delineati dalla legge delega.

    Né può rassicurare il differimento temporale delle principali disposizioni (che avranno efficacia solo dopo un quadriennio a far data dall’entrata in vigore del decreto legislativo).

    Prescindendo dalla miopia di un’analisi che sottovaluti le potenziali criticità solo in ragione delle necessità contingenti, va rimarcato come alcune e fondamentali disposizioni relative ai g.o.t. in servizio siano immediatamente applicabili (artt. 31-33), e questo imponga urgenti interventi correttivi, per cui l’esame della problematica in oggetto prende le mosse dalle norme che diventeranno operative solo per i giudici onorari immessi in servizio dopo la data di vigenza del decreto legislativo e “a regime” per tutti solo dal quarto anno successivo (art. 33.1).

     

    2. L’utilizzazione del giudice onorario nella circolare consiliare sulle tabelle e nella legge delega 29.4.2016 n.57.

    Come è noto, la riforma prefigura l’utilizzazione del “nuovo” giudice onorario di pace (unificando anche lessicalmente le precedenti e distinte funzioni del giudice onorario di tribunale e di giudice di pace), in una triplice destinazione (art.9): a) nell’ufficio per il processo; b) nell’ufficio del giudice di pace; c) nel tribunale, come assegnatario della trattazione di procedimenti civili e penali monocratici e collegiali.

    Con riferimento a quest’ultima e rilevante funzionalità, notoriamente di ampia utilizzazione nei tribunali, gravati da costanti o periodiche carenze di organico dei magistrati professionali, non è inutile ricordare l’ultima disposizione prevista nella Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019, approvata dal C.S.M. il 25.1.2017 che, nel solco di un sempre maggiore ampliamento delle attribuzioni dei g.o.t. originato nel 2008, all’art. 187 (oltre alle ipotesi di supplenza…) prevede che può essere loro assegnato un ruolo autonomo “in caso di significative vacanze nell’organico dell’ufficio o in tutti i casi in cui per circostanze oggettive non si possa far fronte alla domanda di giustizia con i soli giudici togati “.

    Il principio ispiratore della delega (legge n. 57 del 29.4.2016), con riferimento al ruolo del giudice onorario di pace (come disegnato all’art. 2.5), sembra potersi ricondurre al conferimento in capo al presidente del tribunale, quale titolare della gestione organizzativa dell’ufficio, della possibilità di stabilire sia i criteri di inserimento del g.o. all’interno dell’ufficio per il processo (art. 2.5 lett.a), sia di assegnarlo in applicazione nel tribunale in sede collegiale (art. 2.5 lett.b) che monocratica (art. 2.5 lett.c).

    Il perimetro di utilizzazione del g.o. in tribunale da parte del presidente resta delimitato peraltro alla previsione di “casi tassativi, eccezionali e contingenti….in ragione della significativa scopertura dei posti di magistrato ordinario previsti dalla pianta organica del tribunale ordinario e del numero dei procedimenti assegnati ai magistrati ordinari ovvero del numero di procedimenti rispetto ai quali è stato superato il termine ragionevole di cui alla legge 24 maggio 2001, n. 89” (art. 2.5 lett.b).

    Per quanto si tratti di principi intesi ad evidenziare la marginalità dell’impiego del g.o. in funzione vicaria all’interno del tribunale, a ben vedere non si tratta di criteri molto difformi rispetto a quelli dettati dalla previsione consiliare vigente, che viene riproposta letteralmente quanto all’indicazione (generica) di “significativa” scopertura dell’organico, e solo meglio specificata in riferimento al carico di lavoro.

    L’ufficio per il processo, sede naturale di prima utilizzazione del g.o. in funzione di collaborazione del giudice togato, è individuato dalla delega come una sorta di “ufficio di genesi della professionalità” del giudice onorario, cui il presidente del tribunale può attingere in funzione delle contingenti necessità dell’ufficio alla cui organizzazione complessiva è preposto.

     

    3. Le novità contenute nello schema di decreto legislativo.

    Orbene il testo dello schema del decreto attuativo divulgato in questi ultimi giorni non risulta compiutamente ispirato ai criteri descritti nella delega, modificando l’opportuna destinazione del giudice onorario al servizio delle esigenze dell’ufficio, sulla base della pianificazione monitorata dal suo dirigente, privilegiando la centralità del ruolo del g.o. all’interno dell’ufficio per il processo, e quindi spostando il principio guida dal servizio al tribunale a quello verso il singolo giudice professionale.

    Si confina così ad ipotesi marginali (se non addirittura eccezionali) la sua destinazione alla trattazione di procedimenti all’interno del tribunale.

    Direttrice operativa intrinsecamente discutibile, ma soprattutto viziata da una singolare eterogenesi dei fini, poiché a sopperire alle esigenze di apporto giudiziario precedentemente assolte dal giudice onorario dovrà essere costretto lo stesso giudice professionale che si intende agevolare incrementando le attività delegabili al m.o. nell’ufficio per il processo (e peraltro principalmente nel settore civile).

    Si fa riferimento all’artt. 11.1 dello schema di decreto, laddove, estremizzando le condizioni previste dall’art.2.5 lett.b) della delega, si condiziona l’assegnazione dei giudici onorari di pace per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale, alla sussistenza di una delle seguenti ipotesi alternative:

    a) scopertura superiore al 30% dell’organico o delle presenze effettive dei magistrati del tribunale o della sezione (con conseguente limitazione all’utilizzazione dei giudici onorari solo nella sezione afflitta dalla peculiare criticità ex art. 11.2);

    b) superamento della soglia percentuale del 50% (per il settore civile) e del 40% (per quello penale) del numero di procedimenti ultratriennali rispetto al numero di pendenze complessive dell’ufficio;

    c) superamento del 70% del numero medio di pendenze per ciascun giudice del tribunale rispetto alla media nazionale individuale di pendenze calcolata nell’anno precedente;

    d) superamento del 70% del numero medio di sopravvenienze per ciascun giudice del tribunale rispetto alla media nazionale individuale di sopravvenienze calcolata nell’anno precedente.

    Risulta evidente la configurazione di “condizioni capestro” che è arduo prefigurare (anche attualmente) nella pur endemica situazione di difficoltà organizzativa in cui versano gli uffici giudicanti di primo grado.

    Nè la pur prevista alternatività delle condizioni attenua il più che comprensibile disagio derivato dalla lettura di una norma che, nella sua siderale distanza rispetto alla concretezza della realtà operativa del quotidiano giudiziario, rischia di cancellare del tutto l’apporto (più che mai necessario) dei giudici onorari all’interno dei tribunali.

    Per tacere poi del coraggioso (ma forse velleitario) riferimento a “medie nazionali” allo stato del tutto virtuali, e consegnate alle capacità (ed all’affidabilità) di rilevazioni statistiche elaborate dal Ministero della giustizia di concerto con il C.S.M. da pubblicizzare annualmente (art. 11.8).

    La formulazione di una norma così restrittiva contiene ulteriori limitazioni, laddove si riuscisse a valicare le barriere prefigurate, sia di tipo quantitativo (il divieto di assegnazione ai giudici onorari di un numero di procedimenti non superiore a un terzo della media nazionale per settore delle pendenze individuali del giudice di primo grado, ex art. 11.5) che qualitativo (nell’esclusione di tipologie di procedimenti, ex art. 11.6, mutuata dagli ordinari criteri tabellari).

    Quanto alle esclusioni specifiche, la preclusione dell’art. 43bis dell’Ordinamento Giudiziario (riproposta dagli art. 183 e 184 della Circolare del C.S.M.) viene estesa dall’art. 11.6 per cui nei giudizi monocratici non possono essere assegnati ai giudici onorari (per il settore civile (anche) i procedimenti in materia di lavoro e previdenza, in materia di famiglia, ex art. 615.2 e 617 c.p.c.

    Ma gli ostacoli all’utilizzazione dei g.o. non sono terminati, atteso che l’art.11.7 prescrive per il presidente del tribunale che verifichi la sussistenza dei presupposti, il rispetto di un termine per l’adozione del provvedimento di assegnazione degli affari, da corredare con l’indicazione “dell’impossibilità di adottare diverse misure organizzative” (art. 11.7), e il tassativo limite massimo di tre anni (periodici) di efficacia del provvedimento (art. 11.7).

    Viene così esplicitamente codificato come in tribunale il ricorso ai giudici onorari debba intendersi come “extrema ratio” non solo per l’affidamento di un ruolo monocratico, ma anche per l’utilizzazione nei collegi.

    Per la predetta destinazione difatti l’art. 12 del decreto mutua gli stessi criteri selettivi previsti per l’assegnazione dei procedimenti monocratici dall’art.11, con alcune modifiche.

    Se difatti la peculiarità degli affari di trattazione collegiale ha indotto il legislatore delegato a consentire la permanenza del giudice onorario nel collegio “sino alla destinazione del procedimento” (e quindi in potenziale deroga al limite triennale previsto per la trattazione di affari monocratici), d’altro canto l’art. 12 contiene ulteriori demarcazioni sia relative al settore civile (“il g.o. non può essere destinato a comporre i collegi delle sezioni specializzate”), sia al settore penale (“…laddove si proceda per I reati indicati nell’art. 407.2 lett.a) c.p.p.).

    Da tanto si ricava che, se nel settore civile risultano confermate le materie sin qui precluse ai giudici onorari (cfr. art. 188.1 della Circolare del C.S.M.), nel settore penale (e proprio laddove è più avvertita la necessità di garantire la formazione dei collegi in situazioni di necessità), l’unico limite vigente dei procedimenti con rito direttissimo (art. 188.2) e in materia di riesame (art. 184.1 lett.b) viene esteso fino a ricomprendere un ampio catalogo di fattispecie di reato.

    Risulta così inibita, in forma del tutto inedita, la possibilità di sopperire alle carenze di organico mediante l’integrazione di giudici onorari nei collegi penali in virtù di una disposizione che, specie (ma non solo) negli uffici meridionali, più afflitti sia dai vuoti di organico che da processi per gravi ipotesi criminose, metterà a dura prova la capacità organizzativa dei capi degli uffici.

    Il lungo elenco di ostacoli frapposti dal decreto all’utilizzazione dei giudici onorari in tribunale termina con un ultima e “innovativa” previsione, che circoscrive (sia per il ruolo monocratico che per quello collegiale) l’attribuzione degli affari civili e penali ai soli “procedimenti pendenti” al termine di scadenza previsto per il provvedimento di assegnazione del g.o. da parte del presidente del tribunale (artt. 11.7 e 12.1).

    Si tratta di una disposizione Intesa ad evidenziare una volta di più (laddove ve ne sia davvero il bisogno) l’eccezionalità dell’utilizzazione dei giudici onorari in tribunale.

    Alquanto evidenti tuttavia gli inconvenienti derivati da una disposizione siffatta per un’efficiente organizzazione delle sezioni che specie nel settore penale collegiale, abbinata alle limitazioni per tipologia di reati di cui si è detto in precedenza, costringerebbero alla diseconomica previsione di una pluralità di collegi in composizione differenziata, risultando condizionata la presenza di giudici onorari sia dalla natura del reato, sia dalla data di pendenza del giudizio.

     

    4. La motivazione delle restrizioni nell’utilizzo dei giudici onorari.

    L’elencazione di una così articolata e complessa serie di griglie diretta a limitare l’utilizzazione vicaria del giudice onorario, impone di interrogarsi sulla ratio che ha ispirato questa scelta in sede di attuazione della delega (e financo oltre le indicazioni offerte dalla stessa).

    Tanto può essere affermato specie considerando come il C.S.M., in sede di relazione illustrativa della recente Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019, aveva (ragionevolmente) ricavato dalla legge delega indicazioni del tutto favorevoli ad un ampliamento dell’utilizzazione dei giudici onorari.

    In tal senso, dal criterio della delega di cui all’art. 1.1lett.b) si era ricavato che “…tale disposizione certamente rivela un evidente favor del legislatore verso l’implementazione dell’utilizzo dei giudici onorari consentendone, salve alcune eccezioni, non solo l’applicazione per la trattazione di procedimenti civili e penali del tribunale ordinario, ma anche l’impiego quali componenti di collegi giudicanti civili e penali”.

    Proprio sulla base di questa considerazione le linee guida della circolare (cui si sono uniformati i progetti organizzativi di tutti i tribunali) hanno attenuato le precedenti e più rigorose limitazioni nell’utilizzazione dei giudici onorari in tribunale.

    Alla ricerca delle cause di questo (sorprendente) mutamento di rotta soccorre la relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, consentendo di individuarle nella:

    a) enfatizzazione dell’utilità dell’ufficio per il processo come tipologia di intervento prioritaria per far fronte alle criticità nella risposta alla domanda di giustizia, muovendo da un’analisi comparativistica, dai positivi risultati sperimentati in alcuni uffici italiani e dalla considerazione (peraltro fondata) per cui “il giudice è l'unico professionista a non essere dotato di assistenza qualificata e costante nell'espletamento delle sue attività”;

    b) recuperata efficienza (specie nel settore civile) dei tribunali derivante, oltre che dall’istituzione dell’ufficio per il processo, anche dal significativo ampliamento della competenza dell’ufficio onorario del giudice di pace e dal conseguente effetto deflattivo;

    c) necessità di limitare l’impegno del giudice di pace a non più di due giorni settimanali, per assicurarne la piena compatibilità con lo svolgimento di altre attività remunerative, e quindi a non poterlo gravare di un carico di lavoro superiore ad un terzo del numero medio nazionale dei procedimenti pendenti per ciascun giudice professionale.

    Si tratta, a ben vedere, di argomentazioni non particolarmente convincenti e anche parzialmente inconferenti con la tipologia di intervento di cui costituiscono le premesse fondative.

    La precedente e (prevedibilmente) perdurante necessità di utilizzazione dei giudici onorari nei tribunali, ha ben poco a che fare difatti con l’incremento della competenza del giudice di pace, quanto piuttosto con la mancata copertura dell’organico dei magistrati, che presenta attualmente una percentuale di vacanze presso gli uffici del 21%.

    La devoluzione di nuove attribuzioni all’ufficio del giudice di pace prevista dagli artt. 27 e 33.3 a far data dal 30.10.2021 (peraltro prevedibilmente limitata al solo settore civile, in quanto estremamente ridotta nel settore penale, per cui la Commissione giustizia della Camera ha anche espresso parere contrario), e la conseguente (ma non ancora attuale) riduzione delle sopravvenienze, non elude le costanti necessità di coprire i ripetuti vuoti che si creano nei tribunali.

    Alla carenza “strutturale” dell’organico per i ritardi nello svolgimento dei concorsi di accesso alla magistratura, si sommano le contingenti situazioni di difficoltà operativa derivanti dalla mobilità orizzontale e verticale dei magistrati, destinazione fuori ruolo, ecc., tutte cause che postulano il prevalente ricorso ai giudici onorari e che non sono in alcun modo ridotte nè dal conferimento di nuove competenze all’ufficio del giudice di pace.

    Per non parlare poi anche del limite di permanenza decennale imposto dall’art.19.1 del d.lgs.vo n. 160 del 2006, che si pone come ulteriore addendo della somma di elementi che determinano l’insorgere delle periodiche criticità nell’organico degli uffici giudiziari.

    Nè l’attivazione dell’ufficio del processo, funzionale all’incremento qualitative e quantitativo del servizio giustizia, ha alcuna incidenza sulle problematiche delineate in precedenza.

    La limitazione invece dell’impegno richiesto ai giudici onorari a un tempo non superiore a due giorni a settimana (come previsto dall’art. 1.3), se può costituire un antecedente logico della riduzione dell’utilizzazione dei giudici onorari, certamente non può trovare giustificazione nelle emergenze dei tribunali più volte ricordate, finendo altresì per determinare ulteriori criticità.

    Non viene specificato difatti se si tratti di due “udienze”, elidendo in tal caso la necessaria fase preparatoria e di stesura dei provvedimenti definitori e il principio pro rata temporis di cui al paragrafo 2 della clausola 4 della direttiva 1999/70/CE.

    Ma anche se all’opposto si debba intedere un’unica udienza ed una d’ufficio, si prefigura così un impegno periodico proporzionalmente maggiore a quello del magistrato professionale ma soprattutto inadeguato alle concrete necessità di gestione dei ruoli, specie per quanto riguarda l’impegno dei giudici onorari nei collegi.

    Risulta del tutto evidente in definitiva come la marginalizzazione dell’utilizzazione nei ruoli giudiziari dei Tribunali dei giudici onorari ad ipotesi di eccezionale gravità, mal si concilia con un impiego individuale così ridotto che specie (ma non solo) nel settore penale, si tradurrebbe in un apporto di ben modesta utilità concreta e difficilmente in grado di fronteggiare la situazione emergenziale che ne legittimi l’impegno.

     

    5. L’ipotesi di “supplenza”.

    Diverso discorso va fatto per quanto riguarda la destinazione in supplenza presso il tribunale dei giudici onorari di pace.

    Si tratta, secondo la normazione secondaria consiliare, dell’istituto a cui si fa ricorso, per assicurare il regolare esercizio della funzione giurisdizionale, in caso di assenza o di impedimento temporanei di un magistrato (ad es. malattia, puerperio, ecc.).

    Sul tema lo schema di decreto legislativo ritiene di intervenire, come indicato nella relazione illustrativa, nonostante l'assenza di uno specifico criterio di delega a riguardo, “…perché conforme allo spirito complessivo della legge delega in quanto la destinazione in supplenza rappresenta, storicamente, la prassi di ordinario utilizzo della magistratura onoraria, che trova conforto, sul piano normativa, nell'articolo 43-bis dell'ordinamento giudiziario”.

    Nella predetta ipotesi, che resta confinata ai casi in cui il magistrato professionale risulti come detto temporaneamente assente o impedito, l’utilizzazione del giudice onorario resta garantita (anche per comporre il collegio) dal disposto dell’art. 13 dello schema di decreto (che ripropone l’art. 189 della Circolare del C.S.M.), anche ove non ricorrano le condizioni di cui al menzionato art.11.

    Viene in campo una norma che certamente offre una risposta alle situazioni di emergenza (anche impreviste), ma che non può superare i ristretti confini applicativi per cui è stata disegnata, e lo ricorda lo stesso art. 13, che ribadisce come “..in ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato in supplenza per ragioni ostative al complessivo carico di lavoro ovvero alle vacanze nell’organico dei giudici professionali”.

    Non è pertanto nel ricorso alla supplenza che potranno trovare particolare risposta le esigenze degli uffici atteso che i giudici professionali non potranno essere sostituiti da quelli onorari in ragioni relative al complessivo carico di lavoro (come esplicitato nella relazione): “… in tal modo superando, sul punto, la nozione estesa di "impedimento", elaborata in sede consiliare, da ravvisarsi in tutte quelle situazioni non strettamente riconducibili ad impegni processuali coincidenti con una certa udienza, ma in cui doveva comunque considerarsi il complessivo impegno lavorativo del giudice professionale in un determinato arco temporale, e quindi la trattazione di un certo numero di processi particolarmente impegnativi per complessità o numero delle parti in concomitanza dell'ordinario carico di lavoro”.

     

    6. Le disposizioni transitorie per i m.o. in servizio come g.o.t.

    Si è in precedenza anticipato (vedi supra sub §1), come l’analisi delle disposizioni “a regime” previste dallo schema di decreto possa essere ritenuto subvalente, ratione temporis, rispetto alle norme che regoleranno, sin da subito, lo status dei giudici onorari di tribunale transitati nel nuovo ruolo di giudici onorari di pace.

    Va in ogni caso esaminato quanto previsto dal decreto in ordine agli attuali g.o.t. all’art.31.

    Oltre alla possibilità di assegnarli all’ufficio per il processo (art.31.1 lett.a), fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, il presidente del tribunale può utilizzare I giudici onorari di pace in servizio come g.o.t. assegnando la trattazione di “nuovi” procedimenti civili e penali di competenza del tribunale (art. 31.1 lett.b).

    Si tratta di una previsione significativa, intesa a salvaguardare l’assetto preesistente dei tribunali, specie perchè praticabile in esplicita deroga rispetto alle stringenti condizioni di cui all’art.11 (cfr. supra sub §3).

    Resta la difficoltà di contemperare l’ampiezza derogatoria dell’art. 31.1 lett. b), che comunque circoscrive l’ambito delle attribuzioni del giudice onorario alla trattazione dei soli “nuovi” procedimenti, con i criteri di assegnazione degli affari previsti dall’art.11.7 (esplicitamente ritenuti obbligatori dal medesimo art. 31.1 lett.b), che fa invece riferimento ai soli procedimenti “pendenti”.

    Molto più comprensibile la lettera della norma laddove all’iniziale previsione della non necessaria ricorrenza delle “…condizioni di cui all’art. 11.1 e nel rispetto del comma 7 del predetto articolo e delle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura” fosse aggiunta la congiunzione ”anche” a precedere “..la trattazione dei nuovi procedimenti…”, ma allo stato non è dato comprendere la portata di una norma di così equivoca interpretazione.

    Si tratta tuttavia di una scelta ermeneutica di particolare rilievo, poichè destinata ad influire con effetto immediato sull’assetto tabellare di molti tribunali, costringendoli ad adattare le modalità di utilizzazione dei giudici onorari (in affiancamento o con ruolo autonomo) alle nuove disposizioni, con inevitabili ripercussioni sui processi in corso.

    Anche per questo appare opinabile la scelta consiliare che non ha differito il termine di deposito delle tabelle degli uffici giudicanti di primo grado in attesa del varo definitivo della riforma della magistratura onoraria.

    Non minori problemi riguardano la composizione dei collegi con I giudici onorari di pace in servizio come g.o.t. poichè, se l’art.31.3 ne consente l’utilizzazione anche quando non sussistano le condizioni di cui all’art.11, il rinvio alle modalità operative di cui all’art.12 inibisce la possibilità di assegnare ai collegi composti da m.o. procedimenti sopravvenuti oltre il limite temporale previsto dalla norma e conferma le esclusioni per materia civile e penale già evidenziate come sicura fonte di problemi organizzativi nella disamina delle disposizioni a regime (v. supra sub §3).

     

    7. Conclusioni e …attese.

    L’analisi sin qui svolta prende le mosse dalla considerazione che l’utilizzazione dei giudici onorari nei tribunali sia tutt’altro che episodica e che la situazione corrente di difficoltà organizzativa potrebbe essere accentuata dall’approvazione di un decreto legislativo che, nell’attuale formulazione, appare inadeguato ed annuncia l’insorgere di ulteriori problemi.

    Non va dimenticato altresì come la percentuale di scopertaura dell’organico dei giudici onorari sia oggi del 24% (superiore a quella del 15% dei v.p.o.) per cui, ove il testo del decreto non venisse modificato, alle carenze numeriche dei giudici onorari (altissime in alcuni tribunali), si aggiungerebbero le difficoltà di utilizzo di quelli residui.

    Il C.S.M. ha opportunamente deciso di provvedere a nuove nomine di giudici onorari, attingendo peraltro a graduatorie remote, ma l’art. 33.9 del decreto limita l’apporto numerico a soli cento nuovi giudici onorari, per cui si tratta di un incremento ridotto.

    Va altresì considerate come, per far fronte all’imponente carenza di giudici di pace, commisurata intorno al 63% (un vero e proprio “pianto organico”), lo schema di decreto legislativo preveda all’art. 33.10 la possibilità (immediatamente attivabile) di “…destinare giudici di pace e giudici onorari di tribunale in servizio ….in supplenza o in applicazione, anche parziale, in un ufficio del giudice di pace del circondario ove prestano servizio..”.

    Si tratta di un intervento tampone che sarà prevedibilmente utilizzato da molti uffici giudiziari, sguarnendo ulteriormente la platea dei giudici onorari disponibili per le emergenze dei tribunali.

    Anche per la predetta disposizione peraltro si prefigurano perplessità relative ad un eccesso di delega, poichè l’unica ipotesi di applicazione dei giudici di pace che si rinviene nella legge n. 57 del 2016 è quella prevista nell’art.6, ed esclusivamente limitata ai giudici di pace (e quindi non estesa ai g.o.t.).

    Andrà poi risolto il problema relative alle modalità di compenso dei g.o.t. applicati come giudici di pace, poichè l’art. 2.17 lett. b) n.5) della delega prevede che “i criteri previsti dalla legislazione vigente ……. per la liquidazione delle indennità spettanti ai giudici di pace e ai giudici onorari di tribunale continuino ad applicarsi fino alla scadenza del quarto anno…”.

    Tanti problemi da risolvere, e di cui il C.S.M. dovrà tenere conto nel parere il via di formulazione, in cui non potrà essere eluso quello della funzionalità dei tribunali, seriamente compromesso da un testo normativo che frappone troppi ostacoli alla misura dell’impegno ed all’assegnazione ai giudici onorari di affari civili e penali, sia nella normativa transitoria che in quella a regime.

    Un primo, ma parziale intervento, va ascritto a merito della Commissione giustizia della Camera che, nel parere approvato in data 8.6.2017, ha prospettato l’incremento dell’utilizzazione dei magistrati onorari già in servizio per il secondo quadriennio di attività e, con più specifico riferimento al tema oggetto di analisi, che “..i divieti di assegnazione di affari ai g.o.t. e ai v.p.o. già in servizio, si applichino agli affari sopravvenuti dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo” (v. supra sub §6).

    L’auspicio è che il C.S.M., cui compete istituzionalmente non solo il compito di verificare l’efficienza e l’efficacia dei progetti di organizzazione degli uffici giudiziari, ma anche di offrire il proprio contributo valutativo su temi, come l’assetto della magistratura onoraria, che incidono significativamente sui medesimi progetti, possa fornire al legislatore delegato contributi tecnici puntuali e dettagliati.

    Si tratta in sostanza di avvicinare il testo del decreto legislativo all’elaborazione consiliare in tema di utilizzazione dei giudici onorari nei tribunali, adeguata alla prospettiva (ontologicamente privilegiata) dell’esperienza degli uffici.

    Non si tratta soltanto di un augurio, perchè il Consiglio ha conoscenze e capacità certamente in grado di concretare l’invito ad una maggiore razionalità dell’impianto riformatore; più ardua ogni prognosi di successivo ascolto da parte del destinatario del parere consiliare, ma questa, come si suol dire: “è tutta un’altra storia….”.

    Ernesto Aghina

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