Sommario: 1. Lo sciopero del 17 novembre 2023. - 2. Il problematico silenzio sullo “sciopero generale” (non una “lacuna”) della l. n. 146 del 12 giugno 1990. - 3. La possibile soluzione, non realizzata, della regolazione tramite le tecniche normative della l. n. 146/1990. - 4. La soluzione seguita: l’interpretazione della Commissione di garanzia nella delibera n. 03/134 del 24 settembre 2003. - 5. La delibera della Commissione di garanzia dell’8 novembre 2023 e la fattispecie dello sciopero generale. - 6. La fattispecie dello sciopero generale: peculiari modalità dello sciopero, nessuna appropriazione “definitoria”. - 7. Altre ragioni di solidità della delibera n. 03/134; il motivo di debolezza della delibera dell’8 novembre 2023. - 8. Precettazione e Commissione di garanzia, piani distinti ma comunicanti. - 9. L’illegittimità dell’ordinanza di precettazione del 13 novembre 2023.
1. Lo sciopero del 17 novembre 2023.
Di recente è tornata d’attualità la questione dello sciopero generale nei servizi pubblici essenziali. La questione attirò una certa attenzione della dottrina nei primi anni Duemila[1]; oggi è il recente sciopero del 17 novembre 2023[2] ad averla riportata alla ribalta della scena, anzitutto politica e, quindi, mediatica[3].
La vicenda - da cui le pagine che seguono hanno origine - è nota. Lo sciopero del 17 novembre, qualificato “generale” da due delle storiche grandi Confederazioni sindacali, Cgil e Uil, è stato invece considerato, prima della sua attuazione, “plurisettoriale” dalla Commissione di garanzia con il conseguente cambio di regime e la valutazione d’illegittimità. A quanto consta, non esistono precedenti. Ha fatto poi seguito, complicando il quadro, l’intervento della precettazione da parte del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, per delega del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nelle riflessioni che seguono lo spazio maggiore sarà dedicato alla configurazione dello sciopero generale e alle sue possibili regole, profilo più problematico e dalle maggiori implicazioni sul piano giuridico.
In via introduttiva v’è da dire che lo sciopero generale è tema denso di significati. L’intreccio tra i piani storico-sociologico, politico e giuridico ne fanno pressoché un emblema. Si ha l’esatta misura della questione se si pensa che è, questa, una considerazione già valida, in misura solo appena ridotta, per lo sciopero tout court, crocevia di quel fenomeno sindacale da sempre terra di diritti e libertà fondamentali per le democrazie del Novecento. Si aggiunge poi un fattore non marginale. È ampiamente noto come il tratto distintivo dell’esperienza sindacale italiana post-costituzionale sia l’anomia. La l. n. 146 del 12 giugno 1990[4], di regolazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, costituisce, a tutt’oggi, l’eccezione più compiuta. Ma inevitabilmente, sullo sfondo, l’anomia fa avvertire ancora la sua presenza anche in relazione ad essa; e a maggior ragione se lo scenario politico-sindacale si presenta ad alta tensione, come accaduto nella vicenda in parola. Ciò, tuttavia, nulla toglie alla necessità, per la riflessione giuridica, di procedere, più che mai, lungo propri percorsi.
2. Il problematico silenzio sullo “sciopero generale” (non una “lacuna”) della l. 146 del 12 giugno 1990.
Il primo punto della questione da considerare è il silenzio della l. 146, che nulla dice sullo sciopero generale.
Siamo davanti a una lacuna o, piuttosto, il legislatore non ha dedicato alcuna previsione allo sciopero generale perché non ha inteso sottrarlo alle regole nella legge contenute, secondo il noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit? È il caso di porsi la domanda per sgombrare il campo da ogni possibile dubbio, pure in qualche misura riemerso dopo lo sciopero del 17 novembre. Con tranquillità si può rispondere che rinvenire una lacuna appare una forzatura[5]. Lo sciopero generale è fenomeno tanto antico quanto rilevante, come si è già ricordato: impensabile che il legislatore del ’90 potesse trascurarlo. Di questo avviso è stata anche la Corte costituzionale, che nella sentenza del 10 giugno 1993, n. 276[6] - dovuta alla penna di Luigi Mengoni - decidendo circa uno sciopero generale rivolto a un fine politico-economico, lo ritenne assoggettato alla disciplina generale della l. 146 e non al particolare regime derogatorio dell’art. 2, c. 7, della stessa legge[7]. Inoltre, nel primo decennio di vigenza della l. 146, nei servizi pubblici essenziali più di una volta sono stati proclamati scioperi generali, giunti anche dinanzi alla Commissione di garanzia, che non li ha affatto esclusi dall’ambito di applicazione della normativa[8]. Pure nella l. 11 aprile 2000 n. 83 - si badi - nessuna specifica previsione si rinviene in proposito, benché questa legge, come si sa, modificando in diversi punti la l. 146 abbia recepito più d’una soluzione a problemi di vario genere emersi nella sua concreta applicazione.
Ed è proprio dopo la recezione, da parte della riforma del 2000, di alcune regole emerse nel decennio precedente che la questione è divenuta più spinosa. Infatti, il nocciolo del problema, ossia la compatibilità tra caratteristiche dello sciopero generale e disciplina dello sciopero nei servizi essenziali, si è accentuato in seguito all’introduzione, ad opera della l. n. 83, di regole come il preventivo svolgimento di procedure di raffreddamento e come la rarefazione (art. 2, c. 2, l. 146), difficilmente compatibili con il carattere “generale” dello sciopero: la prima per la non facile individuazione di “un interlocutore datoriale ben definito”[9], in grado di raffreddare o conciliare una protesta di per sé diretta contro decisioni politiche; la seconda, volta a imporre intervalli minimi tra “l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo” da parte di “soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o sul medesimo bacino d’utenza” (sempre art. 2, c. 2, l. 146), altrettanto difficilmente compatibile con un’azione che in ragione - si è osservato - della finalità (non di arrecare un danno immediato alla controparte, bensì) di “manifestazione del pensiero” e - si può aggiungere – dell’“ampiezza” del suo raggio d’azione[10], “per essere efficace e visibile non può che essere corale”[11].
Se, dunque, nella l. 146 non è dato rinvenire una lacuna, il suo silenzio sullo sciopero generale vuol dire che essa, al riguardo, non prevede espresse deroghe, ossia regole particolari che lo sciopero generale rendano possibile. Ciò, tuttavia, non significa che siffatte regole non sussistano. Piuttosto, l’ipotesi che la disciplina della l. 146 comporti la “virtuale messa a bando” dello sciopero generale[12] porrebbe seri dubbi di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 39, c. 1, e 40 Cost.: risulterebbe intaccata una delle più rilevanti espressioni dell’autotutela collettiva, mettendo a rischio il contenuto essenziale del fondamentale diritto di sciopero. Non a caso, nei primi anni del Duemila, l’attenzione alla questione, anche da parte della dottrina, è cresciuta, con una serie di riflessioni stimolate dalla stessa Commissione di garanzia[13].
3. La possibile soluzione, non realizzata, della regolazione tramite le tecniche normative della l. n. 146/1990.
Una possibile soluzione al problema è stata prospettata proprio facendo perno sulla disciplina della l. 146, precisamente sulle finalità e sulle relative tecniche normative, anzitutto sulla fonte tipica della regolazione dello sciopero nei servizi essenziali[14], cioè il contratto collettivo sottoposto alla “valutazione d’idoneità” della Commissione di garanzia.
L’impianto della l. 146 è strutturalmente duttile, in quanto, per “contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati” al fine di “assicurare l’effettività, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi”[15], appresta necessariamente percorsi e tecniche normative funzionali proprio a una regolazione diversificata così come richiede la diversità dei contesti e delle situazioni in cui quel contemperamento deve avvenire. Sicché, si comprende chi, in relazione al tema che ci occupa, ha osservato come non vi sia ragione per non considerare questo contemperamento e le relative tecniche in relazione alle differenti caratteristiche, non solo dei menzionati diritti della persona e dei relativi servizi essenziali, ma anche dello sciopero[16]. Contemperamento che, alla stregua di qualsiasi operazione di bilanciamento, impone ovviamente la salvaguardia del contenuto essenziale dei diritti in gioco, come d’altro canto il citato passo dell’art. 1, c. 2, della l. 146 puntualmente ribadisce.
Benché la prospettiva richiamata sia condivisibile, non può tacersi che, per lo sciopero generale, occorre fare i conti con un possibile ostacolo normativo, il dato letterale. Proprio delle due regole legali prima menzionate, preventivo svolgimento delle procedure di raffreddamento e rarefazione, il dettato della l. 146 pare infatti stabilire la necessaria presenza e, peraltro, con specifico riferimento ai contratti collettivi di cui all’art. 2, c. 1, introducendo entrambe le relative previsioni col verbo dovere[17]. Verbo che non fa pensare a deroghe di sorta, nemmeno, quindi, ad opera della fonte tipica della regolazione dello sciopero nei servizi essenziali.
4. La soluzione seguita: l’interpretazione della Commissione di garanzia nella delibera n. 03/134 del 24 settembre 2003.
L’ipotesi incentrata sulla soluzione contrattuale non ha avuto seguito. Si è invece andati in direzione almeno in parte diversa: l’esperienza ha visto protagonista la Commissione di garanzia.
La Commissione, sin dai primi anni del Duemila, ha imboccato la strada degli indirizzi interpretativi. Lo snodo principale è stata la delibera n. 03/134 del 24 settembre 2003[18].
In questa delibera l’organo di garanzia muove anzitutto da una serie di premesse. Alcune qui già prima riprese: l’attenzione da tempo rivolta allo sciopero generale; la sua peculiare rilevanza dopo la l. n. 83/2000; l’assenza di espliciti riferimenti legislativi; il richiamo alla rammentata sentenza della Consulta n. 276/1993 di conferma dell’applicazione della l. 146. Altre premesse, ugualmente importanti, sottolineano invece come l’intero iter della delibera sia stato ampiamente condiviso con le organizzazioni sindacali in varie fasi[19], precisando in particolare (in relazione a una di esse) il perseguito fine di garantire “certezza nei comportamenti da seguire” nonché “il miglior contemperamento tra l’esercizio del diritto di sciopero e i diritti della persona costituzionalmente tutelati”.
Alla premessa relativa all’assenza di espliciti riferimenti legislativi segue un’affermazione che merita qui di essere riportata integralmente. La Commissione afferma che, in ragione di questa assenza, “si è trovata nella necessità di valutare se, tenuto conto della peculiarità sul piano sociale e delle relazioni sindacali del fenomeno sciopero generale, la disciplina di legge trovi applicazione anche all’azione collettiva proclamata da una o più confederazioni sindacali dei lavoratori, coinvolgente la generalità delle categorie del lavoro pubblico e privato” (mio il corsivo). Alla domanda la Commissione dà una risposta positiva, enucleando, in via interpretativa, una serie di particolari norme, volte a rendere possibile lo sciopero, quindi per esso più favorevoli, vale a dire: a) non applicazione della regola del preventivo svolgimento delle procedure di raffreddamento e di conciliazione; b) non applicazione della regola del limite della durata massima della prima giornata di astensione, previsto dai contratti; c) regime “elastico”[20] della rarefazione oggettiva[21]; d) rilievo esclusivo dell’“effettuazione” degli scioperi ai fini del calcolo dell’intervallo minimo tra le varie azioni di autotutela[22].
L’attività interpretativa della Commissione è stata definita, perentoriamente, “creatrice”[23]. Volendo intendere l’aggettivo nei limiti tecnicamente compatibili con il ruolo dell’interprete[24], qualsiasi soggetto ne vesta i panni, si può forse parlare - in ragione di quanto prima osservato - di un’interpretazione costituzionalmente orientata che ha privilegiato il dato assiologico-sistematico, a scapito (oltre misura?) del dato letterale.
5. La delibera della Commissione di garanzia dell’8 novembre 2023 e la fattispecie dello sciopero generale.
Venendo allo sciopero del 17 novembre, come già ricordato il punto oggetto di maggiore contestazione è stata la sua qualificazione. La Commissione, con la delibera dell’8 novembre scorso, ex art 13, c. 1, lett. d), della l. 146 - quindi di carattere interlocutorio adottata in una “fase precedente all’astensione collettiva” - ha posto l’accento sulla esclusione dalla proclamazione di una serie di “settori[25], qualificando di conseguenza lo sciopero come “plurisettoriale”. Ne è derivata la non applicazione della delibera n. 03/134 sullo sciopero generale e delle sue particolari regole più favorevoli.
Non sono mancate critiche, da più d’uno e anche piuttosto severe. Si è rimarcata l’assenza di una nozione legale di sciopero generale al cospetto di una fenomenologia variegata; assenza non colmata neppure dalla pluridecennale giurisprudenza della Commissione. In ottica analoga, si è aggiunto che la delibera della Commissione riporta alla memoria stagioni trascorse, dove la definizione di cosa fosse lo sciopero è stata sottratta alle parti sociali al fine di restringerne l’esercizio. Già in apertura di queste pagine si è sottolineato quanto la questione sia delicata. Tuttavia, le critiche appaiono, in verità, eccessive.
Andando per ordine, ciò che risulta fuor di discussione - a parere di chi scrive - è un solo dato, l’assenza di una fattispecie legale di sciopero generale. Ma proprio in conseguenza di questo dato il quadro giuridico che ne consegue appare non scarno, bensì articolato.
La Commissione, nella delibera n. 03/134, muovendo dalla serie di premesse rammentate, nel menzionato intento di evitare che l’integrale applicazione della l. 146 comprimesse un’espressione prioritaria dello sciopero, ossia lo sciopero generale, e quindi al fine di individuare per quest’ultimo, una volta per tutte, un regime privilegiato, ha provveduto a un’operazione necessaria: ha individuato, in via interpretativa, la fattispecie di sciopero generale[26]. In altre parole, ha messo a fuoco il dato fenomenico cui dare una determinata rilevanza giuridica all’interno della l. 146, cioè le peculiari modalità assunte dallo sciopero che ne comportano l’esclusione dall’applicazione di talune regole al fine di renderlo concretamente possibile. È appunto il passaggio della delibera n. 03/134 prima posto in corsivo che vale la pena riprendere: azione collettiva proclamata da una o più confederazioni sindacali dei lavoratori, coinvolgente la generalità delle categorie del lavoro pubblico e privato. Torna - ed è una fase storica in cui ciò accade piuttosto spesso per noi giuslavoristi - la correlazione fattispecie/effetti, imprescindibile per il proposito normativo in questione: alla fattispecieconfigurata la Commissione ha collegato i menzionati più favorevoli effetti al fine di rendere possibile lo sciopero generale; che, nell’ambito della l. 146, trova quindi sue regole.
Naturalmente si può discutere sulla fattispecie individuata. Tuttavia sembra difficile disconoscere che la Commissione abbia ripreso una manifestazione del fenomeno “sciopero generale” assai diffusa, se non la più diffusa, sicuramente confermata da opinioni, anche autorevoli, che sul punto all’epoca si sono pronunciate. Infatti, vuoi per la mancanza di indicazioni legali che consentano di soppesare l’effettiva rilevanza sociale dell’astensione sì da giustificare regole peculiari[27], vuoi perché lo sciopero generale esprime “l’autotutela di un interesse collettivo talmente esteso, da coincidere quasi con l’interesse generale”[28], si è scritto che la “definizione corretta” dovrebbe comprendere soltanto lo sciopero che coinvolge “tutti i lavoratori”[29], che “tende proprio a concentrare la protesta di tutte le categorie e di tutti i settori”[30]. E v’è da pensare che questo profilo strutturale, nella delibera della Commissione, assorba anche il profilo politico, rectius la finalità politico-economica dello sciopero generale, pure da sempre considerata cifra distintiva della figura: il silenzio della Commissione sul profilo teleologico evidentemente attesta, da un lato, l’inevitabile incrocio tra di esso e il profilo strutturale, dall’altro, l’insufficienza - ad avviso della Commissione - della sola presenza del primo, che, se non accompagnato dal secondo, rende compatibile l’astensione con l’intera disciplina della 146 (sulla scia della citata sentenza della Corte costituzionale n. 276 del ’93)[31].
6. La fattispecie dello sciopero generale: peculiari modalità dello sciopero, nessuna appropriazione “definitoria”.
Nell’individuare la fattispecie di sciopero generale la Commissione si è mossa all’interno di un preciso quadro giuridico - si diceva - inusuale per l’“anomia” del diritto sindacale italiano. Eppure la sua ricostruzione secondo alcuni[32] - come accennato - ha riportato alla memoria le restrittive aprioristiche tecniche definitorie degli anni ’50, proprie di una stagione non del tutto felice per il fondamentale diritto di sciopero, stagione giunta da tempo al capolinea con la famosa sentenza della Cassazione del 30 gennaio 1980, n. 711[33]. In proposito ho l’impressione che sia sorto qualche equivoco; cerco di spiegarmi.
Nonostante la sua data risalente e il ben noto contenuto, è opportuno riprendere alcuni passaggi della sentenza della Cassazione del 1980. Le norme che contemplano il diritto di sciopero (si menzionano per l’esattezza gli artt. 40 Cost. e 15 e 28 Stat. Lav.) sono tra quelle con cui la legge - afferma la Suprema Corte - “non tipicizza in modo compiuto e diretto la fattispecie che pur intende disciplinare”; l’interprete quindi - prosegue la sentenza - “è tenuto ad assumer[e i suoi elementi] nel significato linguistico e sociale che essi hanno nel contesto di riferimento”. Sicché - si legge ancora nella decisione - “con la parola sciopero, quale non poteva non essere presente anche al legislatore costituente e ordinario, suole intendersi nulla di più di una astensione collettiva dal lavoro disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Come sappiamo, la Cassazione da questo ragionamento muoverà per porre esclusivamente limiti cc.dd. “esterni” allo sciopero articolato. Precisamente, per individuare, in via interpretativa, alcune sue concrete modalità che lo rendono illegittimo[34]: è tale - scrive la Cassazione - lo sciopero “non effettuato con gli opportuni accorgimenti e cautele” sì da risultare “idoneo a pregiudicare […] irreparabilmente (non la produzione, ma) la produttività dell’azienda” (mio il corsivo). In tal modo la Corte individua una situazione di fatto al fine di determinati effetti giuridici: di nuovo la correlazione fattispecie/effetti. Dunque, la sua ricostruzione rimanda al piano empirico per la definizione della fattispecie dello sciopero tout court, ma poi individua (la fattispecie di) particolari modalità dello sciopero che ne determinano l’illegittimità. D’altro canto, un percorso normativo obbligato, questo, che lo sciopero, nella seconda metà del Novecento, ha ben conosciuto giacché - per dirla con altre famose parole, stavolta di un’illustre dottrina degli anni ’50 - avendo “accettato di diventare un diritto […] si è adattato a sentirsi prefiggere condizioni o restrizioni di esercizio”[35].
Ad ennesima testimonianza della loro lungimiranza, quelle parole ci riportano, qui, alla Commissione di garanzia. È indiscutibile che la Commissione, nell’individuare la fattispecie sciopero generale con la delibera n. 03/134, ha dato del tutto per pacifico l’approdo della Cassazione: evidentemente pure l’organo di garanzia - come ancora prima la l. 146 - è partita dalla definizione di “sciopero” assunta a riferimento dalla Cassazione. E lo ha fatto per individuare poi, anch’essa, alcune particolari modalità dello sciopero, sintetizzabili nel carattere generale, che potessero, anzi dovessero determinare la non applicazione di talune regole della l. 146 al fine della sua possibile attuazione, secondo la logica della medesima legge. A ben vedere l’operazione è concettualmente uguale ma di segno opposto a quella compiuta dalla Cassazione nell’80: non l’individuazione di limiti cui consegue l’illegittimità dello sciopero (articolato), bensì la sottrazione a limiti dati ai fini della legittimità dello sciopero (generale). Comunque, siamo in presenza dell’individuazione di modalità di sciopero per la tutela di “posizioni soggettive concorrenti”, come afferma la Corte nell’80, o, per dirla col legislatore del ’90, del “contemperamento” tra dette posizioni. Nessuna appropriazione definitoria dello sciopero da parte dell’organo di garanzia, dunque.
È appena il caso di precisare che la sentenza della Cassazione si presentava, all’epoca, sintonica al “sistema sindacale di fatto” e alla relativa autonomia, perché segnava il distacco dalle precedenti operazioni aprioristiche di delimitazione del diritto di sciopero decisamente più restrittive rispetto a quelle che pure la stessa sentenza ha delineato. La ricostruzione della Commissione s’inserisce invece nel preciso quadro di regole disegnato dalla l. 146, in una logica sì di attenzione allo sciopero generale, ma oggi, in relazione allo sciopero del 17 novembre, meno sintonica rispetto all’autonomia collettiva. Ciò ha assunto giocoforza particolare rilievo in un contesto segnato dal surriscaldamento del clima politico-sindacale.
7. Altre ragioni di solidità della delibera n. 03/134; il motivo di debolezza della delibera dell’8 novembre 2023.
Della delibera della Commissione n. 03/134 vanno sottolineati ancora due aspetti.
Il primo riguarda l’iter che l’ha preceduta, di cui si è fatto menzione. Eloquentemente si è scritto, la delibera “è frutto di un percorso ampiamente condiviso con le forze sociali”[36]. In più momenti e con diverse organizzazioni sindacali la Commissione ha avuto incontri e confronti; l’ultimo in relazione a una bozza inviata alle confederazioni presenti nel Cnel. Tant’è che la delibera risulta adottata “all’esito di detti incontri e tenuto conto delle osservazioni in quella sede formulate”. Non siamo al consenso che caratterizza la fonte tipica della regolazione dello sciopero nella l. 146 - il contratto collettivo valutato idoneo dalla Commissione -, ma siamo anche molto distanti da un percorso unilaterale ed eteronomo.
Il secondo aspetto, al primo correlato sì da dare a esso pure solidità, è la conferma, nel tempo, della posizione della Commissione di garanzia. Anzitutto, la Commissione ha confermato la delibera del 2003 in più di una occasione e - punto ovviamente qui importante - ne ha anche precisato i contorni, escludendo espressamente articolazioni o restrizioni dello sciopero di carattere temporale, territoriale o settoriale[37]. Neppure questo sviluppo poi, a quanto consta, è stato oggetto di alcuna contestazione. Sicché, nella “‘giurisprudenza” della Commissione sembra rinvenibile un orientamento piuttosto consolidato e univoco[38]. In proposito interessante appare la conforme opinione di un autorevole studioso, sino a qualche mese fa componente della Commissione, secondo cui, per lo sciopero del 17 novembre, la delibera dell’organo di garanzia dell’8 novembre 2023 “si è limitata ad applicare” la precedente delibera del 2003[39].
V’è però un piano su cui la delibera dell’8 novembre scorso segna uno stacco non trascurabile rispetto a quella del 2003, la sensibilità istituzionale e sociale. Il punto centrale della delibera dell’8 novembre, si è più volte detto, è la qualificazione dello sciopero come “plurisettoriale” e non “generale”. Tuttavia - è stato puntualmente osservato[40] - al riguardo essa nulla espressamente afferma. Il punto è lasciato interamente allo stringato già menzionato comunicato del 13 novembre[41]. Il “vuoto” è un punto di debolezza e, considerando la più volte rimarcata delicatezza della questione, non marginale: non si confà a un’autorità che, nei suoi molteplici compiti, sovraintende all’impostazione dialogica caratterizzante l’intera l. 146.
8. Precettazione e Commissione di garanzia, piani distinti ma comunicanti.
Veniamo, infine, all’ordinanza di precettazione del 14 novembre 2023. In proposito, i motivi ai nostri fini rilevanti sono limitati, ma non privi di interesse teorico e, soprattutto, pratico. Attengono ai presupposti dell’ordinanza.
Riepilogando brevemente il quadro normativo, secondo il dettato introdotto dalla riforma del 2000 (art. 8, c. 1, l. 146[42]) l’ordinanza di precettazione può essere emanata, su segnalazione della Commissione di garanzia, quando, in conseguenza dello sciopero, sussista “un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”; l’autorità titolare del potere di ordinanza può invece procedere “di propria iniziativa” nei casi “di necessità e urgenza”.
Sin dall’indomani della riforma non si mancò di rilevare come la formulazione della norma non fosse felice, giacché la “necessità e urgenza”, in ogni caso imprescindibile[43], o introduceva una graduazione difficile da individuare oppure di fatto consentiva all’autorità amministrativa di attivarsi indipendentemente dalla segnalazione della Commissione[44]. Comunque sia, è fuor di discussione che il presupposto della “necessità e urgenza” del fondato pericolo deve sussistere.
Il presupposto evidenzia un altro dato indubbio già nella versione originaria dell’art. 8: la natura di extrema ratio della precettazione, come tale collocata su un piano distinto dalla fisiologia del conflitto nei servizi essenziali, che trova nelle regole a carattere consensuale la propria espressione[45].
Quanto detto si collega a un altro profilo della l. 146 che occorre sottolineare prima di tornare allo sciopero del 17 novembre. Il carattere di extrema ratio fa sì che l’autorità titolare del potere di precettazione si collochi su un piano diverso già da quello su cui si pone la Commissione di garanzia, che alla fisiologica regolazione del conflitto nei servizi essenziali anzitutto sovraintende. Nondimeno le due autorità, ragionevolmente, non possono non operare in raccordo. Era così già nella versione originaria dell’art. 8[46], lo è nell’attuale. In particolare, l’art. 8 oggi prevede che, là dove “la Commissione di garanzia, nella sua segnalazione o successivamente, abbia formulato una proposta in ordine alle misura da adottare con l’ordinanza al fine di evitare il pregiudizio ai predetti diritti, l’autorità competente ne tiene conto”. L’espressione adoperata - tiene conto - è il punto di approdo di un percorso, anch’esso sviluppatosi negli anni Novanta e che aveva coinvolto Commissione, giurisprudenza (pure, benché incidentalmente, della Corte costituzionale[47]) e dottrina, originato da una formulazione sicuramente più oscura della prima versione dell’art. 8. L’espressione messa a punto dalla l. 83 del 2000 è di compromesso tra chi riteneva che l’autorità precettante fosse vincolata dall’operato della Commissione e chi propendeva per un rapporto meno stringente tra i due organi: induce decisamente a ritenere che l’autorità precettante possa sì disporre diversamente da quanto indicato dalla Commissione, ma non senza “motivare l’eventuale dissenso”[48].
9. L’illegittimità dell’ordinanza di precettazione del 13 novembre 2023.
In relazione allo sciopero del 17 novembre v’è certamente da notare che manca, da parte della Commissione di garanzia, la “segnalazione” e quindi anche la successiva proposta. Elemento, tuttavia, francamente difficile da considerare decisivo, tale da “liberare” da ogni vincolo l’autorità precettante: sarebbe un’interpretazione davvero formalistica. Come più volte sottolineato, la Commissione costituisce uno dei perni della l. 146, se non il principale, nella veste di garante delle sue finalità (ancor più dopo la riforma del 2000), in primo luogo proprio per quanto concerne la messa a punto delle regole da rispettare in caso di sciopero (basti pensare all’attività di valutazione degli accordi, al cd. potere di regolamentazione sostitutiva, al ruolo nell’ambito dell’apparato sanzionatorio). È questa - giova ripeterlo - la fisiologia normativa prevista dalla l. 146. Di conseguenza, sebbene la precettazione si collochi su un piano distinto, sarebbe del tutto illogico e controproducente configurare anche una sola ipotesi in cui essa possa liberamente disporre regole senza tener conto di quanto prodotto da tale fisiologia. Piuttosto, è nei presupposti della precettazione - v’è ragionevolmente da pensare - che il rapporto tra i due piani trovi sempre il suo equilibrio: nell’imprescindibile pregiudizio di un pericolo grave e imminente - che dovrà sussistere tanto se le regole dei contratti collettivi “idonei” non sono state rispettate (ma non per questo solo, evidentemente) quanto se lo sono state - troverà fondamento la possibile differente regolazione disposta dalla precettazione.
Sicché, venendo all’ipotesi che qui interessa, se non vi è segnalazione e proposta da parte della Commissione, si potrà formalisticamente ritenere che manchi lo specifico atto di cui l’autorità precettante deve “tener conto”, ma, di certo, non si potrà sorvolare sul perché l’autorità competente disponga regole difformi da quanto comunque deliberato dalla Commissione: piuttosto, per non risultare sostanzialmente debole nei presupposti, è ragionevole ritenere che la precettazione debba puntualmente motivare, anche in questa ipotesi, la difformità rispetto a quanto indicato dalla Commissione.
In riferimento allo sciopero del 17 novembre tutto ciò va attentamente tenuto presente. L’ordinanza di precettazione, non preceduta dalla segnalazione della Commissione di garanzia, muove - si badi - dalla delibera della stessa Commissione dell’8 novembre 2023, ossia, in pratica, dalla valutazione d’illegittimità dello sciopero nell’ambito del trasporto[49] per violazione della regola della durata massima della prima azione di autotutela. Tuttavia, l’ordinanza di precettazione va oltre quanto affermato dalla Commissione, nel senso che “ordina” una serie di misure che vanno al di là della violazione rilevata dall’organo di garanzia[50]: eppure, circa i motivi di tale differenza, nulla dice. Nell’ordinanza si possono leggere invece una serie di considerazioni, tutte poco o per nulla pertinenti: generiche o in ogni caso descrittive di meri elementi di contesto o di effetti caratterizzanti la fisiologia dello sciopero nei servizi essenziali[51]. A ben guardare, ciò fa sì che essa appaia comunque debole nel suo imprescindibile presupposto, ossia l’urgente necessità di evitare un pregiudizio grave ai diritti della persona costituzionalmente tutelati dalla l. 146. A dispetto peraltro - giova ribadirlo - del carattere “autonomo” dell’iniziativa dell’autorità precettante (non preceduta dalla “segnalazione” della Commissione), come tale ancor più radicata in quel presupposto.
In definitiva, volendo tirare le somme, l’articolato impianto della l. 146 - esempio positivo e paradigmatico del carattere dialogico che il diritto assume dinanzi a una pluralità di fondamentali situazioni soggettive da comporre in un non facile equilibrio - se, nella vicenda esaminata, ha in sostanza trovato espressione per quanto concerne la qualificazione dello sciopero, per altri aspetti ha vacillato; in particolare, ha sensibilmente vacillato nell’ordinanza di precettazione, a causa di ragioni che, al piano giuridico, è bene non ricondurre.
[1] Cfr. i dossier promossi dalla Commissione di garanzia nelle Newsletter CgS, n. 1/2 del 2003 e n. 3/4 del 2004, con i contributi, nel primo dossier, di: Liso, Sciopero generale e regole per il suo esercizio, p. 14; Pino, Sciopero generale, servizi essenziali e Commissione di garanzia. Alcuni spunti di riflessione, p. 6; Rusciano, Sciopero generale, legge 146 del ’90 e rappresentatività sindacale, p. 18; Santoni, Quali regole applicare allo sciopero generale?, p. 25; e, nel secondo dossier, di Del Punta, Sciopero generale e servizi essenziali, p. 9; Magrini, Ancora in tema di sciopero generale e regole legislative: sciopero generale e scelte “politiche” della Commissione di garanzia, p. 6. Nella Newsletter del 2004 v. anche l’editoriale di Magnani, Ancora sullo sciopero generale, p. 3.
[2] Da ora sciopero del 17 novembre.
[3] Per riflessioni di vario genere e di prospettive anche radicalmente opposte v.: F. Carinci, Il caso “17 novembre”: sciopero generale e precettazione, in Bollettino Adapt 2023, n. 40; Carrieri, Interviste, in Il diario del lavoro, in www.ildiariodellavoro.it, 28 novembre 2023; Cazzola, Politically (in)correct. Chi trasforma lo sciopero in una pagliacciata non può erigersi a strenuo difensore del diritto, in Bollettino Adapt 2023, n. 40; Lassandari, Intervista, in Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2023; Morese, Peggio di Salvini soltanto la Commissione di Garanzia Sciopero, in Newsletter Nuovi lavori, 28 novembre 2023; Sacconi, Il mio canto libero. Sciopero generale e autonomia dei corpi, in Bollettino Adapt 2023, n. 40; Scarpelli, Sciopero generale e prestazioni indispensabili: i dubbi sul provvedimento della Commissione di garanzia, in RGL giurisprudenza online, Newsletter, 11.2023; Scotto di Luzio, Lo sciopero uno strumento banalizzato, in Il Mattino, 18 novembre 2023; Tridico, Sciopero, diritto violato, in la Repubblica, 1 dicembre 2023, p. 35; L. Zoppoli, Nessuno tocchi il diritto di sciopero, in la Repubblica Napoli, 17 novembre 2023; Id., Lo sciopero generale tra diritto e conflitto (politico-istituzionale), in RGL giurisprudenza online, Newsletter, 11.2023.
[4] Da ora l. 146.
[5] L’affermazione trova pieno riscontro in dottrina: cfr. gli autori citati in nota 1, nonché Vallebona, Le regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Giappichelli, Torino, 2007, p. 74; Magrini, La regolamentazione dello sciopero generale, in DRI, 2008, p. 59; G. Santoro Passarelli, Sciopero politico-economico, sciopero politico, sciopero generale e preavviso, in DRI, 2008, p. 6, e, di recente, F. Carinci, Il caso “17 novembre”: sciopero generale e precettazione, in Bollettino Adapt 2023, n. 40.
[6] In www.cortecostituzionale.it.
[7] In virtù del quale le regole sul preavviso minimo e sull’indicazione della durata dello sciopero “non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”.
[8] Cfr. Pino, op. cit., p. 7; Vallebona, op. cit., p. 74.
[9] Rusciano, op. cit., p. 23.
[10]G. Santoro Passarelli, op. cit., p. 7.
[11]Liso, op. cit., p. 15. Non tutte le regole emerse nel decennio precedente sono state riprese dalla l. 83 del 2000. Tra queste, come vedremo, qui interessa, in particolare, la regola della durata massima della prima astensione, che poco si confà allo sciopero generale, caratterizzato - si è detto - dalla “eccezionalità e, quindi, per definizione, non inquadrabile in una serie concatenata di azioni collettive” (G. Santoro Passarelli, op. cit., p. 8).
[12] Del Punta, op. cit., p. 9.
[13] V. i dossier citati in nota 1.
[14] Al riguardo cfr., per tutti, Pascucci, Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali, Giappichelli, Torino, p. 113; A. Zoppoli, “Disdetta” ed efficacia temporale degli accordi sui conflitti, in GDLRI, 1994, p. 443.
[15] Art. 1, c. 2, l. 146: i diritti sono quelli indicati nella tassativa elencazione di cui al c. 1 del medesimo art. 1.
[16] Liso, op. cit., p. 15; Magrini, La regolamentazione, cit., p. 59; Rusciano, op. cit., p. 24; di recente L. Zoppoli, Lo sciopero, cit., p. 2, secondo il quale, se nel silenzio della l. 146 sullo sciopero generale si rinviene una lacuna, ciò vuol dire che il legislatore ha rimesso la materia (a cominciare dalla nozione di sciopero generale) alla “regolazione concordata” prevista dalla stessa legge. Per Santoni (op. cit., p. 29) lo sciopero generale andrebbe invece sottoposto alla l. 146, ma lasciando alla Commissione di garanzia “la valutazione del suo impatto sui servizi essenziali, con una ragionevole flessibilità dell’applicazione dei principi in vigore”.
[17]Per comodità del lettore si riporta, per quanto qui interessa, integralmente il dato normativo (sempre miei i corsivi): l’art. 2, c. 2, stabilisce che, le “misure dirette a consentire gli adempimenti di cui al comma 1” - contenute nei contratti collettivi dallo stesso comma contemplati - tra le altre previsioni, “devono […] indicare intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, quando ciò sia necessario ad evitare che, per effetto di scioperi proclamati in successione da soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino d’utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici di cui all’art. 1”; e, prosegue sempre il c. 2, nei predetti contratti collettivi “devono essere in ogni caso previste procedure di raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero ai sensi del comma 1”.
[18] Nella Relazione sull’attività della Commissione 1° gennaio 2005-30 giugno 2006, Parte I, p. 10, si legge che la Commissione ha adottato questa delibera dopo aver “accertata l’impossibilità di pervenire a una disciplina negoziale”. E nella Parte III, a cura di Ferrari-Fiata, si precisa che la delibera nasce dall’esigenza di “dover predeterminare in via generale, per esigenze di certezza, le regole applicabili allo sciopero generale” modificando la “prassi, basata sulla valutazione caso per caso, fino ad allora seguita”.
[19] Donde, nella delibera, a seconda della fase si menzionano le “confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative”, “alcune organizzazioni sindacali interessate agli scioperi”, le “confederazioni presenti nel CNEL”, le “confederazioni che ne hanno fatto richiesta”.
[20] Magrini, Ancora, cit., p. 6.
[21] Precisamente nella delibera si legge che: “a) nel caso di ‘rarefazione soggettiva’ (quando gli scioperi che non rispettano l’intervallo minimo sono proclamati nell’ambito della stessa o delle stesse confederazioni) la Commissione provvederà all’indicazione immediata ai sensi dell’art. 13 lett. d) della l. 146/1990, al fine di consentire una nuova formulazione della proclamazione e delle adesioni tale da assicurare il rispetto di detto intervallo; b) nel caso, invece, di ‘rarefazione oggettiva’ (quando cioè la questione dell’intervallo minimo si pone in relazione a proclamazioni da parte di altre confederazioni o di organizzazioni non aderenti alla o alle confederazioni proclamanti), la Commissione si riserva di valutare, al fine della eventuale adozione dei provvedimenti di cui al citato art. 13, se il mancato rispetto dell’intervallo minimo possa in concreto impedire l’equo contemperamento tra diritto di sciopero e diritti della persona costituzionalmente garantiti, tenuto conto del possibile impatto delle astensioni collettive”.
[22]Senza quindi che - si precisa nella delibera - “assuma rilievo la eventuale previsione, nella regolamentazione di settore, della necessaria proclamazione dello sciopero soltanto dopo l’effettuazione di quello precedente”. Per quanto concerne invece il cd. divieto di concomitanza - in seguito alla l. n. 83 del 2000 riconducibile all’art. 13 c. 1 lett. e) della l. 146 - previsto in concreto soprattutto per il settore dei trasporti e anch’esso (per intuibili ragioni) non facilmente conciliabile con lo sciopero generale, ma su cui la delibera nulla dice, v., per tutti, Del Punta, op. cit., p. 9; Pino, op. cit., p. 9.
[23] F. Carinci, op. cit.; Magrini, La regolamentazione, cit., p. 60; Id., Ancora, cit., p. 7. Del Punta (op. cit., pp. 12 e 13) ritiene invece che la Commissione abbia sfruttato “all’estremo” il “margine di discrezionalità nella concretizzazione della regola della rarefazione oggettiva” lasciato dalla legge e abbia “forse passato il segno” per quanto riguarda il rilievo esclusivo dato all’effettuazione degli scioperi ai fini del computo dell’intervallo minimo tra le diverse azioni di autotutela.
[24] Al riguardo, anche per i necessari riferimenti bibliografici, sia consentito il rinvio a A. Zoppoli, Prospettiva rimediale, fattispecie e sistema nel diritto del lavoro, Editoriale Scientifica, Napoli, 2022, p. 53 e ss.
[25] Precisamente: “acqua, carburanti, credito, distribuzione farmaci e logistica farmaceutica, elettricità, energia e petrolio, farmacie, gas, gas/acqua, istituti di vigilanza, metalmeccanici, pulizie e multiservizi, radio e tv, telecomunicazioni, ristorazione collettiva, appalti ferroviari e lavanderie industriali”.
[26]Ha precisato, scrive G. Santoro Passarelli (op. cit., p. 8), la “nozione di sciopero generale”.
[27] Liso, op. cit., p. 17.
[28] Rusciano, op. cit., p. 21.
[29] Entrambe le citazioni sono di Liso, op. cit., p. 17.
[30] Rusciano op. cit., p. 23; nello stesso senso Magrini, La regolamentazione, cit., p. 61; Del Punta, op. cit., p. 10; Magnani, op. cit., p. 4; Pino, op. cit., p. 6; G. Santoro Passarelli, op. cit., p. 6. Tanto Liso quanto Rusciano escludono espressamente dalla definizione di sciopero generale (almeno ai fini delle regole particolari del contemperamento di cui alla l. 146) forme che nel gergo comune vengono talvolta così denominate, come quello effettuato da tutte le categorie di un determinato settore (trasporti, sanità), anche se è la stessa proclamazione a qualificarle come sciopero generale. Della medesima opinione la Magnani, che però fa riferimento a scioperi del solo settore pubblico o privato.
[31] Del Punta (op. cit., p. 12) osserva che “la diversità della tecnica di normazione impiegata fornisce, d’altra parte, un argomento decisivo per escludere, a contrario, che l’esistenza dell’art. 2 c. 7 tolga allo sciopero generale il titolo ad una disciplina separata” (come si ricorderà, l’art. 2 c. 7 della l. 146 è incentrato esclusivamente su una particolare finalità dello sciopero).
[32]Scarpelli, op. cit., p. 4; Tridico, op. cit.; L. Zoppoli, Lo sciopero, cit., p. 4.
[33] In MGL, 1980, p. 176.
[34] Limiti al diritto di sciopero - si legge nella sentenza - “possono rinvenirsi soltanto in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, con quel diritto”. E qui - come si rammenterà - la Cassazione richiama, tra le altre, l’art. 4, c. 1, Cost. cui riconduce la tutela della libertà d’iniziativa economica in quanto “forma di lavoro” per il suo titolare e “concreto strumento di realizzazione” del diritto al lavoro per tutti i cittadini.
[35] Calamandrei, Significato costituzionale del diritto di sciopero, in RGL, 1952, I, p. 221.
[36] L. Zoppoli, Lo sciopero, cit., p. 3. Sul punto cfr. anche le considerazioni di Martone, nel 2003 Presidente della Commissione di garanzia, il quale, in particolare, sottolinea come la delibera n. 03/134 sia “stata espressamente richiamata dalle stesse confederazioni nei diversi atti di proclamazione e di adesione allo sciopero generale del 24 ottobre 2003” (Editoriale, in Newsletter CgS, n. 1/2, 2003, p. 3).
[37] Cfr., tra le altre, la delibera n. 545/2004 del 30 aprile 2004 di integrazione della delibera n. 03/134; le delibere n. 05/606 del 28 giugno 2005 e n. 05/622 del 19 ottobre 2005; la comunicazione della Commissione del 18 novembre 2013, verb. n. 1012; e, per i trasporti, le delibere n. 22/22 dell’8 febbraio 2022, n. 22/129 del 27 maggio 2022 e n. 22/279 del 12 dicembre 2022 che reintervengono sulla regola della rarefazione nonché la delibera n. 22/280, del 12 dicembre 2022, sulla cd. valutazione d’impatto dello sciopero generale. Sull’esclusione delle restrizioni settoriali e territoriali cfr. la Relazione sull’attività della Commissione di garanzia, cit., Parte I, p. 11, e, in dottrina, G. Santoro Passarelli, op. cit., p. 9; Vallebona, op. cit., p. 74.
[38] Contra Scarpelli, op. cit., p. 2, 3; L. Zoppoli, Lo sciopero, cit., p. 3.
[39] Carrieri, op. cit., il quale sottolinea quello che sicuramente è uno dei principali problemi in materia di sciopero generale, ossia l’incremento di proclamazioni da parte di soggetti sindacali privi di adeguata rappresentatività. Problema, per ovvi motivi, estraneo allo sciopero del 17 novembre e, quindi, anche a queste pagine. Al riguardo ci si può limitare ad osservare come non si tratti di un problema nuovo; esso, oggi come ieri, sconta la “mancanza di una legge sindacale” (Liso, op. cit., p. 17, che lo sottolineava nel 2003).
[40] Scarpelli, op. cit., p. 3; L. Zoppoli, Lo sciopero, cit., p. 3.
[41] Nel comunicato stampa della Commissione del 13 novembre 2023, pubblicato sul suo sito, si legge che lo sciopero del 17 novembre “non può essere considerato, come da consolidato orientamento della Commissione, quale sciopero generale, ai fini dell’applicazione della disciplina che consente delle deroghe alla normativa di settore sui servizi pubblici”.
[42] Da ora art. 8.
[43] V., per tutti, D’Atena, Contrattazione, rappresentatività, conflitto, Futura, Roma, 2000, p. 34; Orlandini, sub Articoli 8, 9 e 10. Il procedimento di precettazione, in Pascucci (a cura di), La nuova disciplina dello sciopero nei servizi essenziali. Legge n. 146/1990 (modificata dalla legge n. 83/2000), Ipsoa, 2000, p. 172.
[44] Orlandini, op. cit., p. 171, che ritiene la seconda ipotesi “più plausibile”.
[45] Cfr., per tutti, per la versione originaria dell’art. 8, A. Zoppoli, Art. 8, in Rusciano - G. Santoro Passarelli, Lo sciopero nei servizi essenziali. Commentario alla legge 12 giugno 1990, n. 146, Giuffrè, Milano, p. 117; per la versione attuale, Orlandini, op. cit., p. 171.
[46] A. Zoppoli, Art. 8, cit., p. 119.
[47] Corte cost. 18 ottobre 1996, n. 344, in www.cortecostituzionale.it.
[48] Orlandini, op. cit., p. 173, a cui si rinvia anche per una sintesi del dibattito sull’argomento.
[49] Diverso dal trasporto aereo, per il quale invece la Commissione aveva rilevato la violazione della regola della rarefazione oggettiva e, per questo, lo sciopero è stato da tale area escluso dalle organizzazioni sindacali.
[50] Ad esempio, ordina per il trasporto ferroviario la riduzione dello sciopero a 4 ore a fronte delle 8 consentite dalla Commissione; così pure per il trasporto merci su rotaia; per il trasporto pubblico locale dispone la precisa collocazione delle 4 ore di sciopero, dalle 9 alle 13, non prevista altrove.
[51]Vale a dire: grado di interconnessione tra varie modalità di traffico su strada ferrata; trend positivo del turismo, nuovamente settore trainante per la nostra economia, con forte intensificazione dei flussi turistici in entrata e in uscita dal territorio nazionale, che si aggiungono agli spostamenti dei lavoratori pendolari; alto numero di persone interessate dal diritto alla mobilità; in linea generale crescente lesione dei diritti dei cittadini alla libera circolazione per coincidenza oraria di più scioperi; percentuali di cancellazione dei treni tra il 15% e il 25% a seconda del tipo di treno, con il massimo del 40% per i treni regionali; peculiarità di alcune mansioni, ad esempio del personale di macchina o degli addetti ai sistemi di controllo, il cui sciopero può determinare “effetti gravissimi”; carattere intermodale del sistema di trasporto con diversi trasporti tra loro complementari sì che lo sciopero comporti un “danno eccedente” quello relativo al solo trasporto pubblico locale”.
(foto: fonte Ansa via RaiNews)