Per Nicolò Lipari
di Vito D'Ambrosio
L’altro ieri è finito luglio. L’altro ieri è finito anche il filo lungo dell’esistenza di Nicolò Lipari.
Dopo un primo momento di stupore (mai pensato che Lipari potesse morire), mi si è affollata la mente di ricordi.
Nicolò, il professore esigente.
Io ero amico di Nicolò, un’amicizia cominciata con il mio esame di diritto civile all’Università La Sapienza di Roma. Conoscevo Lipari come assistente del titolare della cattedra, Santoro- Passarelli, un vero barone, che veniva a farci lezione seguito da uno stuolo di assistenti, tra i quali Rodotà e, appunto, Lipari. L’esame lo avevo preparato bene, in vista della possibilità di essere interrogato proprio da Lipari, docente notoriamente esigente, che infatti mi trovai di fronte, dall’altro lato della cattedra. L’interrogazione fu lunga, minuziosa, direi addirittura “accanita”; il responso fu “D’Ambrosio, la conosco bene per i suoi interventi alle lezioni del professor Santoro. Le assegno soltanto 28, perché da lei, francamente, mi aspettavo di più”. Fece una risata alla mia risposta “con la stessa franchezza, professore, anche io mi aspettavo di più”. La scena si è ripetuta, con mia irritazione, quando gli feci avere, in bozza, buona parte della mia tesi di laurea, che seguiva lui, anche se il relatore ufficiale era Santoro-Passarelli. La telefonata di Nicolò fu gentile, ma ferma “D’Ambrosio, la sua tesi non mi convince, perché poteva ampliare la motivazione, come mi aspettavo da lei. Provi a ripartire da capo”. Bofonchiai una risposta e ripartii veramente da capo. La riscrittura fu approvata e la tesi superò l’esame di laurea a vele spiegate, con il canonico 110 e lode. Nicolò, subito informato, mi fece i complimenti, facendomi notare la giustezza del suo intervento di correzione, e mi chiese se ero disposto a seguirlo a Bari, la cui università gli aveva attribuito la cattedra di diritto civile. Non si offese per la mia risposta negativa, ed anzi accettò di farmi da testimone alle mie nozze vicine. Non molto tempo dopo mi spedì la sua prolusione barese, cresciuta fino a diventare un volume, dal titolo molto stuzzicante per me “Il diritto civile tra sociologia e dommatica”. Lessi velocemente, apprezzai molto, ma gli spedii una risposta laconica, impegnato fino al collo per il concorso in magistratura. (Del libro Nicolò mi spedì una copia anni dopo, avendone io lamentato la perdita).
La correttezza dei e nei rapporti istituzionali.
Incontrai Il mio prof., come lo chiamavo, in altra occasione, per me fondamentale, il concorso per l’accesso in magistratura. L’unico mio vantaggio, per la presenza di Nicolò nella commissione di esame, fu l’informazione in via breve sul superamento della prova scritta, e sulla data fissata per l’orale. Questa seconda notizia fu occasione di un messaggio, che non mi stupì, dato che avevo ben imparato il carattere del mio interlocutore. Infatti, la conversazione fu breve “La commissione ha fissato per il suo esame orale la data di… Ovviamente io non ci sarò”.
Seguii l’esperienza politica di Nicolò, eletto per due volte al Senato, sicuro che anche in ambito politico avrebbero imparato a conoscerlo, e non mi sbagliai.
Una prova molto dura fu la vicenda che coinvolse sua figlia Chiara come teste (quasi) decisivo nel processo per l’omicidio della studentessa Marta Russo, colpita da un proiettile mentre passeggiava per i viali dell’Università La Sapienza di Roma. Processo molto seguito dai mezzi di comunicazione, che, come sempre accade, si sbizzarrirono anche sui personaggi non protagonisti, specie quando i misteri del caso non vennero mai chiariti a sufficienza. Nicolò, chiamato in causa indirettamente, fu assai amareggiato e si chiuse in una reazione oscillante, che non superò mai i limiti della correttezza. Quando lo cercai per esprimergli solidarietà, infatti, trovai abbastanza difficile superare la sua riservatezza.
I rapporti ultimi.
Dopo il suo ritorno a Roma e le mie vicende politico-giudiziarie, ci siamo perduti di vista, per rincontrarci poi nell’associazione Bachelet, fondata da Mario Almerighi, amico mio carissimo, per fissare il ricordo di Vittorio Bachelet, ucciso sulle scale della sua università – La Sapienza – dopo essere stato eletto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Ritrovarsi negli incontri dell’Associazione e recuperare, immediatamente, i legami di amicizia con Nicolò, fu per me una bellissima esperienza. Ci incrociammo anche, qualche volta, su temi che ci interessavano entrambi; una volta, dopo un intervento sull’articolo 27 della Costituzione, Nicolò volle dirmi, ad alta voce “sei stato davvero bravo”, procurandomi un grande piacere, data la fonte dell’apprezzamento.
Tempo dopo, mi arrivò un libretto, autore Nicolò, dal titolo significativo “Elogio della giustizia”, nel quale viene spiegata con un linguaggio abbastanza lontano da ogni tecnicismo, la sua teoria che propone una vera e propria riforma del diritto civile, capovolgendo le costruzioni più diffuse sulla natura delle leggi e sull’intervento di chi le applica e le interpreta, a cominciare dai magistrati, tema proposto e approfondito a lungo negli ultimi anni. Per dire la verità, nemmeno io ero e sono del tutto convinto dalle riflessioni di Nicolò, però mi affascinano sempre le sue capacità argomentative, dietro le quali si intravedono la lucidità dell’analisi, il rifiuto di acquietarsi dietro le maggioranze del caso, e, soprattutto, la solidità della rete di valori che tiene insieme il tutto, una rete radicata anche in quel cattolicesimo democratico al quale Lipari faceva riferimento, pure senza sbandierarlo, e che condividevo con lui.
Qualche spunto di conclusione.
Ad altri, più “addetti ai lavori”, gli approfondimenti del Lipari giurista, figura cardine tra quelli che si addentrano nei e si appassionano dei mutamenti del diritto. In questa sede mi limito a sottolineare, sul punto, la profonda sensibilità civile di Nicolò Lipari, che ha voluto, secondo me, riformare profondamente i percorsi necessari per individuare le “fonti del diritto”, con un processo che si muova non dall’alto verso il basso, come si sostiene tradizionalmente, ma all’opposto, dal basso, dall’esperienza di vita, verso l’alto.
Non credo di potermi annoverare né tra gli allievi, né tra chi condivide comunque le tesi di Lipari, ma senz’altro la notizia della sua scomparsa mi ha colpito e mi colpisce, perché quella parte di mondo, di idee, di valori, di radici nel quale mi sono sempre ritrovato, dall’altro ieri, con la morte di Nicolò, manca di un punto di riferimento sostanziale, di un modello a cui ispirarsi. In questi momenti e ancor più nei passaggi che ci attendono, i rischi di un appannamento morale, di un allineamento immotivato alle tesi maggioritarie del momento, di una inconsulta accettazione dello svilimento dei principi cardine della democrazia, questi rischi continuano a crescere, e ci accorgeremo di che cosa significava la presenza di Nicolò Lipari, e di che cosa significa la sua scomparsa.
A me, inoltre e soprattutto, è venuto a mancare un Amico.