Porgo i saluti della magistratura requirente del distretto di Palermo a tutti i partecipanti a questo importante momento di confronto e dialogo.
Cosa significa interpretare una legge? Cosa significa essere imparziali “per e nel” giudizio? Significa, in primo luogo, individuare il percorso logico giuridico idoneo a dare risposte alle istanze di giustizia dei cittadini. È ovvio che un magistrato deve essere tecnicamente attrezzato, preparato nelle materie giuridiche e negli altri settori del sapere che fanno da corollario al diritto. Ma ciò non basta. Il magistrato colto, capace di muoversi con agilità nel sistema delle fonti nazionali ed internazionali non può prescindere da una raffinata capacità di leggere la norma inserendola nel quadro costituzionale, calandola nel caso concreto perché così rende le norme “viventi”. E nessuna intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, potrà mai realizzare un’attività intellettuale così complessa e delicata. Ne consegue che quella verso la legge è la sola soggezione che il magistrato deve avvertire come obbligo ed è condizione essenziale per un’interpretazione corretta e per una autentica imparzialità.
Ma che cosa significa essere “autenticamente” imparziale? Possiamo sostanziare il concetto con un elementare esempio. Il magistrato autenticamente imparziale è in grado di garantire “i diritti degli ultimi e dei primi” e cioè di tutti, nello stesso modo. Significa salvaguardare i diritti di coloro che per condizioni di povertà e disagio non hanno voce. Significa tenere insieme diritti, valori, principi.
Imparzialità significa, per il magistrato, riuscire ad essere nel mondo con le sue idee, con il suo vissuto, con il suo pensiero, ma senza farsi condizionare nello svolgimento dell’attività da quel bagaglio esistenziale che, inevitabilmente, si porta dentro. È vero, abbiamo bisogno di prevedibilità nelle decisioni ed in questa direzione è preziosa l’attività nomofilattica della Suprema Corte che aiuta e sostiene. Ma dobbiamo essere consapevoli che allorché l’imparzialità si fa carne, ogni vicenda umana può atteggiarsi diversamente ed una norma, calata nel vissuto di un imputato o di una vicenda civilistica può, e a volte deve, determinare decisioni differenti, alle quali dobbiamo pervenire attraverso il gesto ermeneutico scrupolosissimo, sostanziato sempre da motivazioni accurate, realizzate con scrupolosa osservanza delle leggi e dei valori costituzionali e dalle quali deve trasudare il nostro equilibrio.
L’imparzialità è, altresì, un concetto poliedrico perché il magistrato non solo deve essere imparziale, ma deve anche “apparire” imparziale. Il cittadino deve essere certo che il suo giudice interpreterà la norma senza essere condizionato da qualsivoglia convinzione extra giuridica. Tutto questo è, ancora una volta, ovvio. Ma, attenzione, la necessaria apparenza di imparzialità e l’indispensabile conseguente self restraint, non devono dilatarsi fino a sopprimere le libertà fondamentali del magistrato che non possono essere frantumate. Se occorre una forma di scrupolosissima sensibilità da parte del magistrato che gli impone di astenersi da condotte che possono, anche solo in potenza, offuscarne l’imparzialità, altrettanto equilibrio occorre nell’interpretare le condotte del magistrato, per evitare che qualsiasi situazione, espressione del mero atteggiarsi dell’esistenza, possa essere vista con sospetto e, conseguentemente, comprometta la serenità del magistrato. Equilibrio, dunque, e bilanciamento senza sbavature per salvaguardare l’essenza stessa dello ius dicere realizzato dall’uomo e che mai nessuna intelligenza artificiale potrà sostituire.
Qualcuno ha detto che un magistrato ha il delicatissimo compito di prendere fra le mani un fatto umano sporco di terra e dargli dignità giuridica. Si tratta di un lavoro complicato che richiede impegno e sobrietà. Il magistrato è solo nella fase della decisione, ma nel percorso che lo conduce al provvedimento interagisce con interlocutori indispensabili. Mi riferisco agli avvocati, insostituibili per garantire la genesi vivifica dell’attività interpretativa, imparziale e coerente, che ogni giorno siamo chiamati a realizzare. Il dialogo con l’avvocatura ed il confronto nel processo costituiscono un momento centrale del lavoro del magistrato perché aiutano a coltivare il dubbio. Il dubbio è uno dei pilastri fondamentali per un’interpretazione corretta ed imparziale nel senso più ampio e nobile del termine. Un magistrato senza dubbi non è un buon magistrato. Ed è l’avvocato che consente, con il suo apporto coraggioso e coerente, di mantenere intatta l’arte del dubbio. Invero, il cittadino deve essere sicuro che attraverso la difesa tecnica (e, quindi, attraverso l’esercizio del dubbio e del suo superamento), qualsiasi situazione sarà trattata e condurrà ad una decisione resa a seguito di un’analisi prospettica accurata che nulla ha tralasciato.
Ma, ancora una volta, attenzione, perché quella serenità che deve essere garantita al cittadino deve essere riconosciuta, negli stessi termini, al magistrato. Anche il magistrato deve poter essere “sereno”. I numeri, le statistiche, la performance, gli obiettivi da realizzare non possono divenire un totem al cui altare sacrificare quella sfera di tempo ragionevole che occorre per giungere a decisioni ponderate.
Il continuo ed alluvionale flusso riformatore, inoltre, non consente quella stratificazione giurisprudenziale che è essenziale per la certezza del diritto e rende il nostro quotidiano vivere nelle aule di giustizia una sorta di fatica di Sisifo, sostanziando una continua rincorsa all’aggiornamento professionale, attività spesso vana perché dopo poco tempo, quella norma muta o, peggio, è inapplicabile perché in contrasto con altre fonti, anche internazionali o con la Carta Costituzionale. In tal modo si altera irrimediabilmente il nostro rapporto con il cittadino che non comprende quale complesso meccanismo sottende alle nostre quotidiane fatiche.
Concludo con l’auspicio che si saprà “tenere insieme” e non separare le carriere, che vanno mantenute unite affinché il P.M. tragga sempre beneficio dalla linfa vitale della giurisdizione. Si potrebbero, invece, impiegare le risorse occorrenti per dar vita a due CSM per potenziare le strutture funzionali a rendere finalmente moderno il sistema giustizia e ciò a beneficio della collettività. Siamo consapevoli, più che mai in questo momento storico ove la terra è pianeta che sanguina, che ognuno deve fare la sua parte con pazienza e senso di responsabilità. Voglio richiamare quello che nel 1984 Rosario Livatino ebbe a dire del ruolo del magistrato nella società. Le sue parole erano intrise di speranza e appaiono di straordinaria attualità perché ci restituiscono, in contro luce, quale deve essere il minimo comune denominatore dell’attività del magistrato che vuole fare la sua parte nell’ottica positiva del cambiamento e del rasserenamento dei rapporti con gli altri poteri della Stato: “Occorre allora fare un’altra distinzione tra ciò che attiene alla vita strettamente personale e privata ( del magistrato) e ciò che riguarda la sua vita di relazione, i rapporti con l’ambiente sociale nel quale egli vive. Qui è importante che egli offra di sé stesso l’immagine non di una persona austera o severa o compresa del ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire. Solo se il giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare che egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha. Chi domanda giustizia deve poter credere che le sue ragioni saranno ascoltate con attenzione e serietà; che il giudice potrà riceverle ed assumerle come se fossero sue (ragioni) e difenderle davanti a chiunque. Solo se (il giudice) offre questo tipo di disponibilità personale, il cittadino potrà vincere la naturale avversione a dover raccontare le cose proprie ad uno sconosciuto; potrà cioè fidarsi del giudice e della giustizia dello Stato, accettando anche il rischio di una risposta sfavorevole”.
Sono certa che la magistratura, autonoma ed indipendente da ogni altro potere, con orgoglio e con la schiena dritta che ha saputo mantenere nei momenti più complessi della sua storia, saprà proseguirà in questa univoca direzione ideale. A dispetto del resto.