Nel primo decennale della Cassazione unificata Piero Calamandrei la definì «la porta, per la quale la scienza del diritto entra più liberamente nelle aule di giustizia». Resta tuttavia vivo il dibattitto sulla “questione cassazione”, che è anche quella dell’eccessivo numero di ricorsi, segnalato già alla fine del 1800 da Pisanelli, insito in una delle funzioni della Corte, attinente allo ius litigatoris: verificare la corretta applicazione della legge in ogni singola vertenza, in una sorta di terzo grado di giudizio. Radicandosi quest’ultimo, scrisse Mortara, nel «pregiudizio […] il quale canonizzò nel numero tre una mistica guarentigia di verità e di giustizia», questa mistica è causa della proliferazione dei ricorsi e di una crisi rimediabile con un accorgimento semplice: ripristinare le cassazioni regionali.
La questione è più complessa, specie con riferimento alla funzione inerente allo ius constitutionis: rendere principi uniformanti di interpretazione, quale organo supremo «custode della legge», in virtù di un’idea risalente, come lo è il dubbio sulla possibilità di tenerla unita alla prima e sulla sua attualità. La funzione si radica nel modello del giudice “bocca della legge”, fissato nel Corpus iuris di Giustiniano, non realizzato dall’onnipotenza dell’imperatore, assurto secoli dopo a fondamento della concezione della giurisdizione della modernità giuridica, improntata all’ideale illuministico del diritto chiaro e preciso, al primato della legge scritta.
Note ragioni hanno condotto al declino della identificazione del diritto nella legge, sembrando assegnare alla giurisdizione una funzione di creazione del diritto. Stabilire «qual è il “diritto” dello Stato di diritto» è diventato complicato; è entrata in crisi la giustificazione concettuale della funzione nomofilattica. Alla questione sono dedicate intere biblioteche; a noi spetta operare avendo quale faro la Costituzione.
La funzione nomofilattica, come configurata dal nostro ordinamento, ha recepito le intuizioni di Piero Calamandrei secondo cui «la norma che fa obbligo al giudice di giudicare secondo la legge, è una norma di diritto costituzionale che regola i rapporti tra la funzione giurisdizionale e la funzione legislativa»; «il carattere costituzionale del principio della “fedeltà del giudice alla legge”» giustifica un organo incaricato di verificarne l’osservanza. A questa concezione è ispirata la nostra Carta, che ci ha liberato dall’origine divina del potere dei governanti, che ha disarticolato, fissando un equilibrio tra diritti e doveri, sovranità popolare e pluralismo, tra i poteri dello Stato. L’antico dilemma del rapporto tra legiferare e giudicare è stato sciolto stabilendo (art. 101, secondo comma, Cost.): «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». La nozione di «legge» è stata resa riferibile all’ordinamento giuridico, interno ed internazionale, nella sua complessità, ma ne è stato mantenuto fermo il primato, fissando, mediante un sapiente sistema di raccordi, i cardini essenziali dello Stato costituzionale di diritto e di una moderna democrazia pluralista: i principi di separazione dei poteri e di legalità quali aspetti della forma democratica, garantiti anche dal primato della legge.
Nell’ordinamento costituzionale l’interpretazione della disposizione implica il potere-dovere di scegliere tra diverse possibili risposte, ma la scelta presuppone un quadro di diritto positivo che il giudice deve leggere nel miglior modo possibile, che preesiste alla sua decisione, non è creato da lui: è una funzione "dichiarativa", con esclusione di un’efficacia direttamente creativa.
La Costituzione ha stabilito il perdurante primato della legge; è, quindi, attuale la funzione nomofilattica, garanzia dell’equilibrio dei poteri, del principio di uguaglianza e del diritto fondamentale alla certezza, funzione che, per contenuto e finalità, deve spettare ad una Corte unica. Aveva ragione Piero Calamandrei quando nel corso dei lavori della Costituente esclamò: «voler parlare di una Cassazione plurima è una mostruosità!», certo lo è per la funzione nomofilattica.
Questa funzione dà ragione della configurazione del pubblico ministero di legittimità quale parte della Corte, non mero agente “presso” quest’ultima (art. 104, Cost.), portatore dell’interesse pubblico alla difesa del diritto e della sua unità, cui spetta, quale parte pubblica, fornire gli elementi per la corretta identificazione del significato e dell’applicazione della legge, per garantire una formazione dialettica del giudizio che deve prescindere dagli interessi specifici delle parti.
Il legislatore ha rivitalizzato la funzione nomofilattica, da ultimo, disegnando una Corte che opera a tre livelli, per dare risposte tempestive ed adeguate alle finalità per le quali è nata. Gli input sono stati valorizzati dalla Corte e dalla Procura generale con misure che stanno dando positivi risultati, di cui non posso dare conto.
Vi sono criticità della disciplina, ma involgono tecnicalità alle quali si può dare soluzione, purché siamo consapevoli della sfida da affrontare: recuperare la consapevolezza della nomofilachia quale funzione di garanzia dell’equilibrio costituzionale, che ha il suo fondamento nel primato della legge, cui solo spetta assicurare la razionalità politica e giuridica di cui ogni collettività ha bisogno; recuperare la fiducia nella capacità ordinante della scienza giuridica: coerenza sistematica e precisione dommatica sono irrinunciabili ai fini della certezza; ricordare che la cultura giuridica è di tutti gli operatori del diritto ed è centrale il dialogo, che vuol dire capacità di ascolto e rifiuto dell’autoreferenzialità; affermare che finalità del processo è accertare la «verità giudiziaria», che è tale solo se raggiunta nel rispetto dei principi del giusto processo, di cui custode ultimo è la Corte, baluardo contro il rischio della plebiscitarizzazione del giudizio, alimentato dalle nuove forme della comunicazione.
È una sfida difficile, che può, deve, essere vinta, non dalla sola Corte, ma da questa insieme al Foro ed all’Accademia, nel ricordo dell’affermazione di Pisanelli riportata da Calamandrei in apertura al II volume sulla Cassazione civile: la Corte è «una di quelle grandi conquiste che la civiltà non può più perdere senza indietreggiare essa stessa».
*Intervento pronunciato in occasione del convegno, I Cento anni della Corte di cassazione "Unica", Roma 28 novembre 2023.
[Immagine: Giorgio Vasari, Giustizia, 1542, Venezia, Gallerie dell'Accademia]