Europa e diritti: che fare in attesa del vaccino anti Covid-19?
Intervista all'Avvocato generale della Corte di giustizia Giovanni Pitruzzella
di Roberto Conti
Giustizia Insieme inaugura un ciclo di interviste animate da personalità del mondo accademico, politico e giudiziario intese a stimolare una riflessione critica sul senso che oggi assumono l'Europa, i diritti fondamentali delle persone e le Corti nazionali e sovranazionali per i popoli che animano tale continente, colpiti dall'emergenza epidemiologica globale da Covid-19.
Giovanni Pitruzzella, professore di diritto costituzionale ed in atto Avvocato generale della Corte di giustizia, offre la sua visione bifocale dei problemi, con una lente attenta alle costituzioni nazionali e al ruolo dei diritti fondamentali, individuando dei segnali positivi provenienti dall'Europa politica rispetto al tema della pesante depressione economica che coinvolge in maniera marcata alcuni Paesi europei ma con l'attenzione altresì rivolta al ruolo di garanzia delle Corti sovranazionali e nazionali
Il circuito dell’Europa politica e le difficoltà che sta attraversando possono a Tuo giudizio contaminare l’immagine della Corte di giustizia dell’Unione europea nell’opinione della comunità sociale?
L’Unione europea sta vivendo una fase assai complessa, come è inevitabile di fronte a una crisi sanitaria di “dimensione biblica” (per usare le parole di Mario Draghi) su cui si sta innescando una crisi economica che sarà probabilmente la più grave dal secondo dopoguerra e che provocherà gravi tensioni sociali. Ma non direi, come vuole la propaganda antieuropea, che le istituzioni dell’Unione stiano facendo poco. I programmi di acquisto da parte della BCE per circa mille miliardi di euro, la sospensione, per la prima volta da quando è stato introdotto, del patto di stabilità e crescita e dei suoi vincoli finanziari, il meccanismo europeo di assicurazione contro i rischi di disoccupazione proposto dalla Commissione, l’allentamento della disciplina sugli aiuti di Stato, l’uso dei fondi strutturali per affrontare l’emergenza sanitaria e nuove forme di solidarietà finanziarie che stanno per essere adottate, sono tutte cose di estrema importanza e che possono condurre a un nuovo livello di integrazione in cui sia sempre più chiaro che esiste un interesse comune europeo distinto dagli interessi degli Stati membri.
La pandemia è spesso paragonata ad una guerra e dai grandi traumi collettivi, come le guerre, sono nati i nuovi ordini costituzionali.
Il terremoto sociale che producono rompe le antiche certezze, nascono nuovi leader, nuovi attori collettivi e nuove idee. Si definiscono così le linee di una costituzione materiale che poi vengono riannodate in un tessuto più organico e successivamente consacrate sul piano giuridico-formale. Nei periodi di accelerata trasformazione e di sconvolgimento dell’ordine esistente dobbiamo prestare attenzione a questo magma che può forgiare una nuova costituzione materiale. Questo è avvenuto nel secondo dopoguerra, da cui ha preso origine un fortunato ciclo costituzionale che è stato capace, per usare la formula di Ralf Dahrendorf, di “quadrare il cerchio” e cioè di tenere insieme armonicamente democrazia, mercato e libertà. Forse oggi all’orizzonte c’è qualcosa di simile anche se al momento non possiamo prevedere quali saranno gli sbocchi e quindi i caratteri distintivi di un possibile nuovo ordine costituzionale.
E’ inevitabile che la Corte di giustizia risentirà, nel bene e nel male, di tale processo di trasformazione e sulla Corte probabilmente graverà il compito di razionalizzare, sul terreno giuridico, le trasformazioni che verranno, naturalmente operando nei limiti consentiti dalle disposizioni dei Trattati. Del resto, fin dalle storiche sentenze Van Gend en Loos e Costa c. Enel, che hanno definito i tratti fondamentali dell’ordinamento giuridico europeo e i suoi rapporti con gli ordinamenti statali, poi, per quanto concerne il mercato comune con l’altrettanto fondamentale sentenza Cassis de Dijon, e successivamente promuovendo l’affermazione di un’”Europa dei diritti”, la Corte di giustizia ha contribuito a forgiare l’ordine costituzionale europeo. Ma anche in momenti più recenti la Corte ha affrontato le sfide dei tempi, per esempio con le decisioni che hanno consolidato quello che secondo me è stato un vero e proprio mutamento della costituzione economica europea a seguito della crisi finanziaria del 2011. Ricordo le decisioni che hanno riconosciuto la compatibilità con i trattati del ruolo assunto dalla BCE, a partire dal famoso whatever it takes di Mario Draghi, adottate nei casi Gauweiler e Weiss, ma anche la sentenza nel caso Pringle, che ha concluso per la compatibilità del MES con i Trattati, e l’altrettanto importante decisione nel caso Ledra che ha creato la spazio per la tutela dei diritti fondamentali nei confronti delle misure di austerità. Un’eguale forza costituzionale hanno le ancora più recenti sentenze (del 24 giugno 2019 e del 19 novembre 2019) riguardanti alcune leggi della Repubblica di Polonia sull’ordinamento giudiziario, in cui la Corte ha riconosciuto lo Stato di diritto come pilastro dell’integrazione e ha visto nell’indipendenza del potere giudiziario un principio che gli Stati sono tenuti a rispettare.
Interpretazioni evolutive, funzione “pretoria”, conformazione giurisprudenziale dell’assetto costituzionale richiedono un forte capitale in termini di legittimazione, che fin ora alla Corte non è mancato. Ma alla fine, come per qualsiasi Corte costituzionale, queste risorse di legittimazione affondano le loro radici nella stessa costituzione materiale e quindi nel grado di accettazione diffusa presso le società politiche nazionali e le comunità dei giuristi. Il mutamento che può essere innescato dalla pandemia, i cambiamenti della costituzione materiale avranno una probabile influenza su questo capitale accrescendolo o intaccandolo a seconda degli sbocchi che essi potranno avere. Naturalmente conterà pure quello che in concreto sarà capace di fare la Corte, come si relazionerà con i giudici nazionali, che sono anche giudici europei e con cui il dialogo è stato sempre fecondo.
Hai parlato di un processo di cambiamento della costituzione materiale in Europa, puoi spiegare meglio cosa intendi con questa espressione e come esso riguarderà gli Stati membri e l’Unione? In che misura ritieni che le vicende costituzionali degli Stati membri e quelle dell’Unione siano collegate?
Ho fatto riferimento al concetto di “costituzione in senso materiale” che spesso fa storcere il naso ai costituzionalisti d’oggi. Ma io credo che quando ci sono dei grandi traumi che innescano un processo di profondo cambiamento della società e della politica la nozione, sulla base dell’originale intuizione di Costantino Mortati, sia di grade utilità. Semplificando un po’, il passaggio chiave della visione di Mortati è l’idea che nella società esistono dei rapporti di sovra e sotto-ordinazione che si stabiliscono fattualmente e che le conferiscono un ordine che è fondato sulle classi dirigenti e i fini politici dominanti. In questa prospettiva la forza della costituzione scritta non deriva dal fatto di essere scritta ma discende da una situazione storico-concreta su cui essa si fonda e che tende a stabilizzare e a garantire, ponendo dei limiti all’agire politico. Pertanto, la nozione di costituzione in senso materiale non è, come da taluno è stata erroneamente intesa, uno strumento per giustificare ogni pratica politica contingente, anche quando collide con la costituzione formale, piuttosto l’indicazione che offre sta nel fatto che non ha senso richiamarsi all’astratta forza di norme scritte in un testo costituzionale, se questo non corrisponde ad un sistema costituzionale materiale che lo sorregge rendendolo vigente. Lungo questi binari concettuali si inserisce l’idea che il mutamento costituzionale si collega sempre ad una trasformazione dell’ordine storico-concreto su cui riposano i documenti costituzionali, con la conseguenza che se viene meno quell’ordine anche i documenti costituzionali perdono effettività e se l’ordine cambia nelle sue strutture fondamentali e il cambiamento si consolida si apre la strada a un mutamento costituzionale, o per via di modifiche tacite del documento costituzionale o per via di procedure formali.
Tutto ciò, secondo me, può applicarsi non solo allo Stato ma anche a quella organizzazione sovranazionale che è l’Unione europea, rispetto alla quale, come da tempo ha fatto la Corte di giustizia, si è parlato di una costituzione europea identificata essenzialmente con i trattati come interpretati nella giurisprudenza dei giudici europei (la living constitution europea). Una costituzione europea che – a mio parere - poggia la sua effettività su un certo ordine politico che ha retto le sorti del vecchio continente per circa settanta anni, sia pure con importanti trasformazioni ma con una continuità di fondo. Quest’ordine si intrecciava con quello degli Stati membri, con le loro costituzioni materiali e gli ordini nazionali e quello europeo, per lungo tempo, si sono reciprocamente rafforzati, pur mantenendo identità politico-costituzionali distinte. Questa relazione di continuità tra costituzioni nazionali e costituzione europea è spesso tralasciata perché Stati e Unione vengono visti come irrimediabilmente conflittuali, nel senso che la sovranità statale si oppone a una maggiore integrazione e quest’ultima porta a una perdita di sovranità. Così facendo, però, non si coglie la complessità della relazione, che affonda le sue radici nella concreta situazione storico-politica europea. La quale, sia detto per inciso, era collegata ad un ordine mondiale definito, di cui per molti decenni gli Stati Uniti sono stati i guardiani politici, militari e diplomatici.
Secondo un cliché intellettuale diffuso in Italia l’Unione non ha identità politica e per questo è fragile. Invece, a mio avviso, l’Europa ha una sua identità propriamente politica, fatta dalla convergenza delle tradizioni costituzionali degli Stati membri. Tradizioni non coincidenti ma che hanno alcune idee basilari comuni: la democrazia liberale, l’economia sociale di mercato, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali. Si è trattato di una componente dell’ordine euro-atlantico uscito dalla Seconda guerra mondiale, con suoi tratti peculiari costituiti soprattutto dall’importanza riconosciuta al suo welfare State profondamente diverso da quello americano.
Come osservavo, l’ordine costituzionale europeo e quelli nazionali sono stati non solo integrati ma si sono rafforzati vicendevolmente. La pace in Europa cui aspiravano le costituzioni del secondo dopoguerra ha avuto nell’integrazione europea lo sbocco e lo strumento fondamentale. L’aggancio europeo ha permesso di consolidare la democrazia in situazioni inizialmente difficili, come nell’Italia dei primi decenni repubblicani, ed è stato l’ombrello sotto il quale si è avviata la transizione democratica nei Paesi dell’est dopo il crollo del blocco sovietico. Inoltre, la coesione armonica di cui parlavo prima tra democrazia, mercato e libertà si è potuta realizzare, per lungo tempo grazie a questa interazione. L’integrazione dei mercati nazionali in un unico grande mercato ha favorito la prosperità economica e questa ha reso disponibili risorse per la tutela dei diritti (tutti i diritti costano, anche se i giuristi spesso lo dimenticano), e, dopo la prima fase di fondazione del mercato comune, le dinamiche mercantili hanno incontrato limiti e correzioni nei diritti fondamentali, che hanno trovato garanzia innanzi tutto a livello nazionale ma poi anche a livello europeo, dove si sono affermati diritti inizialmente sconosciuti all’ordine nazionale (la tutela multilivello dei diritti, si pensi al diritto alla salubrità dell’ambiente, ai diritti dei consumatori o ai nuovi diritti della sfera digitale).
L’Unione è considerata la patria del liberismo economico, ma si tratta di uno dei tanti stereotipi culturali slegati dalla realtà, costruiti leggendo libri che parlano di altri libri senza tenere conto di una realtà fatta di documenti normativi, sentenze e azioni politiche concrete. L’Unione ha limitato fortemente il mercato, lo ha regolato, lo ha imbrigliato, non solo per far fronte ai casi in cui c’è un suo “fallimento”, ma anche per tutelare valori extra-mercantili. Pensiamo allo sviluppo tipicamente europeo del diritto dei consumatori, alla tutela dell’ambiente con un uso massiccio del principio di precauzione, al diritto sulla sicurezza alimentare, alla regolazione molto invasiva di svariati settori in cui sono presenti finalità sociali (dall’energia alle telecomunicazioni, alla finanza), alla tutela dei dati personali. Non a caso una delle motivazioni della Brexit è stata quella di sfuggire a queste regole che imbrigliano il mercato per dare vita al “Singapore d’Occidente”.
La continuità tra costituzioni nazionali e costituzione europea è stata resa evidente dal frequente riferimento operato dalla Corte di giustizia alle “tradizioni costituzionali comuni” agli Stati membri e dalla consacrazione da parte dell’art.2 del TUE dei valori dell’Unione che sono proprio i valori costituzionali comuni a quegli Stati.
In tutto ciò sembra risiedere il vero significato dell’idea di un costituzionalismo multilivello, che, però, non può essere fondato semplicisticamente sulla forza del diritto e la cultura dei diritti – come alcuni lo intendono – bensì su una situazione storico-concreta, cioè su classi dirigenti e idee politiche dominanti, perché in grado di ottenere consenso nelle opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi, che sostengono quest’ordine costituzionale euro-nazionale. La costituzione europea non è auto-fondata e non riposa su una sua autonoma grundnorm, ma si poggia sul concreto ordine politico europeo, che rinvia agli Stati, agli attori collettivi che ne animano la sfera pubblica, alle loro classi dirigenti e alle idee dominati, alla possibilità di far coesistere nei popoli europei l’identità nazionale e quella europea. La solidarietà tra gli Stati prevista dai trattati si radicava in questo preciso contesto materiale.
Tuttavia oggi questa costruzione mostra segni di debolezza, mentre sembra risorgere la sovranità degli Stati e l’autonomia del loro diritto costituzionale. Quali potranno essere gli effetti della pandemia?
Il decennio che abbiamo trascorso è stato caratterizzato dagli attacchi alla democrazia liberale, all’economia di mercato, alle classi politiche che hanno governato in Occidente (le cosiddette élites) mettendo in difficoltà insieme i sistemi politici e costituzionali nazionali e l’Unione europea. E’ fuorviante ritenere che ci sia un’Unione europea debole e disunita e degli Stati che riprendono forza. L’attacco è stato sferrato contro un complessivo ordine politico costituzionale in cui ci sono gli Stati membri e l’Unione: simul stabunt simul cadent.
L’Europa è stata messa a dura prova da molteplici crisi – la crisi finanziaria, quelle legata ai flussi migratori, al terrorismo, alle conseguenze indesiderate dell’”iperglobalizzazione”, alla disoccupazione tecnologica - ma le democrazie nazionali e le loro élites non si sono rafforzate e la perdita di legittimità le ha investito in maniera pesante.
La vera posta in gioco è il mantenimento dei valori e delle idee che avevano definito l’ordine liberaldemocratico. Di esso le costituzioni degli Stati europei e il sistema dell’Unione europea sono parti integranti, interrelate e probabilmente inscindibili. Democrazia liberale, diritti fondamentali, stato di diritto, economia sociale di mercato, sono i veri elementi in discussione. Queste idee e i valori che rappresentano potranno sopravvivere, sia pure in un sistema giuridico-istituzionale modificato, a livello nazionale come europeo?
Su questo processo di cambiamento influirà una tendenza di fondo dei nostri tempi, che l’epidemia ha esasperato, e cioè l’affermazione di quella che Ulrich Beck chiama la “società globale del rischio”. Viviamo in un’epoca in cui, anche per le conseguenze indesiderate delle azioni umane, si moltiplicano i rischi cui siamo esposti, il cui concretizzarsi può costituire una minaccia, anche mortale, per gli individui e la società. Oggi viviamo l’emergenza sanitaria, ma fino a ieri facevano i conti con altri potenti fattori di rischio, che certamente non sono scomparsi ma sono solamente ibernati come tutto durante la pandemia. Basta citare, il terrorismo, le nuove fratture geopolitiche, il cambiamento climatico, le dinamiche finanziarie, le pressioni migratorie, i sommovimenti del mondo islamico, la disoccupazione tecnologica, il decremento demografico, l’insostenibilità dei sistemi previdenziali, la criminalità organizzata trans-nazionale, l’in-sicurezza informatica.
Ne sono accresciuti l’angoscia degli individui e il loro bisogno di protezione, che richiede sempre di più prevenzione (che è mancata nell’epidemia) e velocità di reazione. In tale scenario, assistiamo alla lotta tra due nuclei di costituzione materiale tra loro antagonisti, che, per semplicità, possiamo riassumere con due formule: Democrazia nazionale autoritaria versus Europa politica. La prima è la via più semplice: irrobustire le frontiere, isolarsi dalle società e dalle economie di altri Paesi, rimediare alla perdita di benessere statizzando i settori più importanti dell’economia, istituire un forte potere di governo legittimato dal voto popolare, limitando però le libertà individuali allorché il loro esercizio possa essere una minaccia per l’ordine così faticosamente conquistato. Si tratta di una sfida esistenziale per l’Unione europea, che sconta alcuni difetti iniziali e in particolare le carenze dei meccanismi di gestione dei rischi e degli stati di crisi nel segno di una solidarietà effettiva che leghi le differenti parti che la compongono.
Certo, di fronte a rischi globali l’Europa, proprio per la sua dimensione sovranazionale, sembra molto più idonea degli Stati a affrontarli riducendone l’impatto sulla società e sugli individui e la crisi finanziaria del 2011 ha già portato a importanti cambiamenti della costituzione economica dell’Eurozona per la gestione degli stati di crisi nell’interesse comune, di cui il nuovo ruolo della BCE è il più importante e oggi estremamente utile, anche se non vanno tralasciati il MES e l’attivismo della BEI.
Tuttavia la gravissima recessione innescata dalla pandemia li rende probabilmente insufficienti, e per questo si prospettano nuovi strumenti, come il meccanismo europeo di riassicurazione contro la disoccupazione, gli eurobond, un MES con condizionalità limitata alla lotta alla pandemia, l’aumento del bilancio europeo. Questi movimenti spingono verso l’Europa della politica in luogo di quella fondata sul quasi automatismo delle regole giuridiche. Processo che, più avanti, potrà completarsi dotando l’Unione di una sua capacità fiscale, cioè trasferendole una parte di quelle politiche fiscali ancora oggi sono conservate in capo agli Stati, e quindi un qualche potere di imposizione tributaria. Questa è la strada maestra per fare sì che la solidarietà finanziaria non sia accompagnata da forme di azzardo morale da parte dei suoi principali beneficiari. La medesima prospettiva potrebbe essere adottata in altri ambiti, come la difesa comune, per permettere di gestire i rischi globali in un mondo divenuto multipolare, in cui gli Stati Uniti si ritirano dal ruolo di custode dell’ordine liberaldemocratico e gli Stati europei sono troppo piccoli per mantenere una sovranità effettiva di fronte alle nuove potenze.
Ritieni quindi legittimo ipotizzare che dall’attuale condizione possa sorgere qualche speranza nuova per un futuro più solidale dell’Europa o si tratta di mera utopia?
C’è un aspetto interessante delle metafore belliche impiegate quando si parla della pandemia: “vincere contro il nemico comune” è lo slogan ripetuto nelle cancellerie europee. Il virus è il nemico e gli Stati sono impegnati nella guerra contro questo nemico. Non è necessario rifarsi alle teorie di Carl Schmitt per trovare nell’antagonismo esistenziale una fonte che definisce il nucleo essenziale dell’identità di un’unità politica. Crea solidarietà tra le parti di quell’unità e ne definisce i confini, distinguendola dalle altre. Il virus, il nemico comune, quello che il Premier Conte chiama lo shock simmetrico, perché colpisce in modo indifferenziato tutti, potrebbe essere il fattore che consolida la solidarietà tra i popoli europei e il terreno su cui costruire una più forte identità comune. Per capire quante chances di successo abbiano le due prospettive costituzionali precedentemente delineate bisognerà prestare attenzione a cosa faranno le classi dirigenti negli Stati e in Europa, nonché alle idee forza che le ispireranno, perché, come scriveva il teorico della costituzione in senso materiale, Costantino Mortati, essa è forgiata principalmente da due componenti: le classi dirigenti e le idee che riescono a imporsi, nella lotta, e risultare dominanti in una determinata epoca storica.
Nel contesto che hai descritto l’Europa dei diritti ha gli anticorpi per resistere al contagio da Covid-19?
Rispondo con un sì secco. Se le spinte disgregatrici non prevarranno e sarà mantenuta e magari rafforzata l’integrazione europea, anche con i mutamenti che probabilmente potranno verificarsi del suo quadro giuridico e istituzionale, i diritti fondamentali resteranno uno dei pilastri di quell’ordine costituzionale euro-nazionale di cui ho parlato. Non c’è solo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma soprattutto c’è un guardiano dei diritti fondamentali che è la Corte di giustizia, che sempre opera nel rispetto delle prerogative che spettano alle Corti costituzionali, guardiane dei diritti garantiti dalle rispettive Costituzioni nazionali. Spetta, in concreto, sempre alla “saggezza delle Corti” evitare situazioni di sovrapposizione delle rispettive giurisdizioni e possibili conflitti. In passato lo hanno fatto e sono sicuro che continueranno a farlo in futuro.
Con le Tue ultime riflessioni siamo ritornati alla Corte di giustizia. L’emergenza epidemiologica si è abbattuta, imprevista, su tutte le istituzioni giudiziarie nazionali ed europee. La Corte di giustizia dell’Unione come ha reagito?
La Corte di Giustizia è dotata di infrastrutture informatiche all’avanguardia e, già da molto tempo, consente ai membri (giudici e avvocati generali) e ai collaboratori dei gabinetti di lavorare in smart working (nei periodi di sospensione dell’attività giudiziaria, di malattia e nei fine settimana) in condizioni ottimali. Gli applicativi in dotazione sui pc portatili consentono, infatti, un accesso integrale, in piena sicurezza, a tutte le risorse della Corte (data base, fascicoli on line, biblioteca) in modo semplice e veloce.
A seguito dell’emergenza causata dall’epidemia, sin da subito la Corte ha incentivato in modo generalizzato lo smart working, consentendo l’accesso agli uffici ma applicando rigorose misure igienico sanitarie e di distanziamento sociale. In un secondo momento, quando l’emergenza è arrivata con tutta la sua drammaticità anche in Lussemburgo, si è imposto a tutti lo smart working, consentendo l’accesso agli uffici solo per brevi periodi strettamente necessari.
Il lavoro a distanza dunque è approdato alla Corte di Lussemburgo. Come inciderà sull’esercizio della giurisdizione?
L’attività giurisdizionale è proseguita senza alcuna interruzione, con il mantenimento dei termini per le parti e anche di quelli “interni” (molto rigorosi in Corte). Gli avvocati generali hanno depositato e continuano a depositare le conclusioni nei termini stabiliti e parimenti i giudici continuano a approvare, scrivere e depositare le sentenze.
Per quanto riguarda le udienze pubbliche, in ragione dell’impossibilità di tenerle in remoto a causa della necessità della traduzione simultanea in tutte le lingue dell’Unione (il multilinguismo è uno dei valori fortemente radicati in Corte), si è proceduto nei seguenti termini: i Presidenti di Sezione (sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale) dispongono un rinvio per quelle ritenute strettamente indispensabili e annullano invece quelle non ritenute indispensabili, con conseguente trasformazione delle domande che si sarebbero poste in forma orale alle parti nel corso dell’udienza in domande a risposta scritta.
Per quanto attiene, invece, alle udienze di pronuncia delle sentenze e di lettura delle conclusioni dell’avvocato generale, esse sono state concentrate al giovedì di ogni settimana alla sola presenza fisica, con ogni precauzione dovuta, del Presidente della Corte, del Cancelliere e del Primo avvocato generale.
Le riunioni generali settimanali - nelle quali i membri della Corte si riuniscono per decidere a quale formazione di giudici attribuire le diverse cause, se fissare o no un’udienza di discussione e se sono o meno necessarie delle conclusioni dell’avvocato generale - sono tenute in forma scritta.
Le riunioni per deliberare i singoli casi da parte delle sezioni sono state tenute in forma scritta ma si sta implementando un sistema di videoconferenza (possibile in ragione del fatto che si svolgono esclusivamente in francese) per i casi di maggiore complessità che richiedono una più articolata discussione.
E i Tuoi rapporti con i colleghi della Corte, immagino ordinariamente alimentati da contatti personali dentro la Corte, si stanno modificando?
I componenti della Corte di giustizia normalmente vivono a Lussemburgo e trascorrono le loro giornate di lavoro nel Palais al Kirchberg. L’interazione costante, la collegialità, il dibattito culturale e il confronto tra pari sono elementi caratterizzanti la Corte di giustizia e probabilmente sono indispensabili per comprenderne il funzionamento. Ogni martedì i membri della Corte, giudici e avvocati generali, partecipano alla réunion générale dove si decide per ogni causa la formazione giudiziaria – sezione di tre membri, sezione di cinque o Grande sezione – nonché la necessità o meno di un’udienza pubblica e di avvalersi o meno delle conclusioni dell’avvocato generale. La decisione è presa su una proposta, articolata e motivata, del giudice relatore (che è autore di un “rapporto preliminare”) e dell’avvocato generale responsabili del dossier. Apparentemente è una scelta organizzativo-procedurale ma in realtà è molto di più, perché scegliere il tipo di sezione e gli altri profili procedurali che ho menzionato significa avere una visione approfondita del dossier, e quindi di quali sono i reali nodi giuridici da sciogliere in rapporto alla giurisprudenza pregressa della Corte. Per questo, giudice relatore e avvocato generale possono anche essere in disaccordo e comunque sulla proposta ciascun membro della Corte può intervenire, prima della riunione con note scritte e successivamente con un intervento orale. Nella riunione generale c’è quindi un’analisi approfondita dei casi principali, cui tutti possono partecipare. Non c’è un dialogo ristretto al giudice relatore e all’avvocato generale ma un ampio, reale confronto, intellettualmente assai libero e vivace. Vi sono poi le udienze pubbliche, che hanno un valore fondamentale nell’esperienza della Corte, perché in un’udienza si tratta un solo caso e, a partire dal giudice relatore e dall’avvocato generale e poi con la partecipazione degli altri giudici, gli avvocati delle parti sono sottoposti a domande molteplici in relazione a quello che è emerso nel corso dell’udienza. L’udienza ha un’influenza reale – spesso veramente decisiva - sulle scelte della Corte. Successivamente ci sono le conclusioni scritte dell’avvocato generale che sono inviate a tutti i membri della sezione e poi la camera di consiglio in cui si svolge un vero dibattito a partire dalle conclusioni suddette e dalla proposta del giudice relatore. Il confronto tra pari e la collegialità sono quindi elementi costanti che richiedono un’interazione personale effettiva. Ovviamente, questo metodo di lavoro comporta che tutte le settimane ci siano numerose udienze. A parte ciò, la Corte è un forum incessante di dibattito giuridico e culturale, perché vi sono “giornate di riflessione”, seminari, incontri con i giudici delle giurisdizioni nazionali, “pranzi comuni di tutti i membri”, in cui si dibattono i temi trasversali e le questioni di ordine generale, naturalmente senza entrare nel merito dei casi pendenti. Vi sono poi i contatti giornalieri, conviviali, magari in caffetteria o al ristorante, sempre nutriti di confronti sui grandi trend del diritto europeo e in cui avviene altresì uno scambio di preziose informazioni sulla vita giuridica e istituzionale negli Stati membri. Tutto ciò è importate per il funzionamento di un organo giurisdizionale di un’organizzazione sovranazionale in cui occorre mettere insieme tradizioni giuridiche diverse, lessici giuridici differenti per ragioni culturali o linguistiche, ma anche per assicurare la qualità delle decisioni della Corte e la consapevolezza delle conseguenze delle scelte giurisprudenziali sui sistemi giuridici degli Stati membri. Perciò si tratta di un metodo di lavoro che, a mio avviso, non può essere abbandonato a seguito dell’epidemia. Oggi cerchiamo di adattarlo ad un contesto emergenziale, in vista di una sua piena ripresa quando l’emergenza volgerà al termine, adottando le dovute precauzioni. Anche nella fase attuale, in cui non ci sono contatti diretti, i rapporti tra i membri della Corte sono costanti, perché continuiamo a ricevere “rapporti preliminari”, a formulare osservazioni sugli stessi, a fare le proposte in vista della riunione generale, e, come ho già detto, a depositare gli atti. Inoltre abbiamo numerosi scambi di vedute via e-mail e ci teniamo comunque in contatto frequente, con tutti i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione, e non solo per ragioni connesse alla pratica giudiziaria. Come ho già detto, alcune udienze sono state sostituite con delle domande a cui gli avvocati devono rispondere per iscritto, riconoscendo anche nell’emergenza l’importanza di questo confronto, mentre altre sono state rinviate. In definitiva, credo che l’epidemia non intaccherà il nostro esprit de corps, l’abitudine al confronto intellettuale e l’attenzione che tutti diamo all’idea della giurisdizione come servizio da rendere - nel modo più efficiente, rapido, adeguato e qualitativamente elevato - ai cittadini e agli Stati in Europa.
Grazie da Giustizia Insieme.