La Corte Costituzionale, l’aggio e l’urgente ed indifferibile riforma del sistema di riscossione
di Alessio Persiani
Sommario: 1. Premessa – 2. La questione di costituzionalità e la pronuncia della Corte – 3. Le censure della Corte in punto di ragionevolezza della disciplina dell’aggio – 4. La declaratoria di inammissibilità della questione e l’urgente riforma della riscossione tributaria – 5. Considerazioni conclusive e prospettive future.
1. Premessa
Con la sentenza n. 120 del 10 giugno scorso la Corte Costituzionale entra per la prima volta nel merito della legittimità costituzionale dell’aggio di riscossione e, sia pur dichiarando inammissibile la questione sollevata, chiede al legislatore di procedere ad un’urgente ed indifferibile riforma sia delle norme relative all’aggio, sia, e più in generale, del sistema di riscossione coattiva, al fine di renderlo coerente con i principȋ di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità sanciti a livello costituzionale.
I tentativi di sottoporre le norme sull’aggio di riscossione al vaglio della Corte Costituzionale non erano mancati, anche negli anni recenti. La Corte, tuttavia, non era sinora mai entrata nel merito delle questioni prospettate dalle diverse Commissioni tributarie, facendo leva ora sull’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie, ora sul difetto di motivazione da parte dei giudici a quibus in punto di rilevanza della questione, avendo riguardo agli altri motivi dedotti in ricorso che avrebbero potuto condurre all’accoglimento di quest’ultimo e della cui infondatezza la Commissione rimettente non aveva dato il dovuto conto ([1]).
Né, sempre in anni recenti, sono mancati rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia che dubitavano della coerenza delle previsioni sull’aggio con la normativa sugli aiuti di Stato ([2]) o sentenze delle Commissioni di merito che, al di fuori della sottoposizione di questioni di costituzionalità, hanno assunto posizioni fortemente critiche sull’aggio, dichiarandolo non dovuto poiché l’agente della riscossione non aveva offerto la prova delle attività svolte e compensate con l’aggio stesso ([3]).
Prendendo forse atto dei crescenti rilievi critici mossi all’aggio di riscossione, l’ordinanza in commento della Corte Costituzionale entra in medias res e ammonisce il legislatore a procedere quanto prima ad una riforma del complessivo sistema della riscossione coattiva, ivi compresa la disciplina dell’aggio. La fermezza della posizione della Corte unita alla puntualità dei rilievi critici sul sistema di riscossione fanno quasi passare in secondo piano il dispositivo di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale motivata dal margine di discrezionalità riservato al legislatore nel porre rimedio alle incoerenze del sistema rispetto ai principȋ costituzionali.
2. La questione di costituzionalità e la pronuncia della Corte
La questione rimessa dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia ([4]) traeva origine da un contenzioso in cui il ricorrente aveva impugnato la cartella di pagamento notificatagli a seguito di sentenza sfavorevole emessa dalla Corte di Cassazione con esclusivo riferimento all’aggio di riscossione. Data la riferibilità dell’impugnazione al solo versante dell’aggio, nessun dubbio poteva porsi sulla rilevanza della questione di costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio a quo ([5]).
Con riferimento al dettato normativo oggetto delle censure, vale ricordare che in base all’art. 17, d.lgs. n. 112 del 1999 – nella versione precedente a quella risultante a seguito delle modifiche di cui all’art. 9, d.lgs. n. 159 del 2015 ([6]) e rilevante ratione temporis – il contribuente era tenuto al versamento dell’aggio di riscossione in tutti i casi, sia che versasse le somme dovute entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella, sia che il versamento avvenisse oltre il predetto termine. L’unica differenza era di carattere quantitativo: nel primo caso era a carico del contribuente un onere pari al 51% dell’aggio di riscossione, mentre nel secondo caso l’aggio era interamente a carico del contribuente.
La Commissione veneziana ha censurato tale disciplina in relazione a diversi parametri costituzionali.
Anzitutto, le norme sull’aggio sono state ritenute in contrasto con i principȋ di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. in ragione del mancato legame e del conseguente difetto di proporzione tra ammontare dell’aggio dovuto e costi sopportati dall’agente della riscossione, tenuto anche conto dell’assenza di un limite minimo e massimo di carattere assoluto all’ammontare dell’aggio dovuto ([7]). A ciò si aggiungano – precisa la Commissione – che le modalità di calcolo dell’aggio si presentano ad un tempo irragionevoli e discriminatorie: irragionevoli in quanto la base di calcolo dell’aggio comprende anche gli interessi dovuti all’ente impositore – sicché l’ente impositore finisce per percepire “un sovrappiù a titolo di interessi su somme da quest’ultimo non anticipate né tantomeno sborsate” – e discriminatorie in quanto, a parità di servizio reso, diversi contribuenti sarebbero tenuti al pagamento di un aggio in misura diversa unicamente in funzione della somma oggetto di riscossione.
Se ciò è vero, allora la disciplina dell’aggio deve reputarsi altresì in contrasto con il principio di capacità contributiva: il venir meno del carattere di controprestazione proprio dell’aggio fa sì che esso divenga una vera e propria prestazione tributaria, come tale illegittima perché disancorata dalla capacità contributiva del cittadino e neppure in linea con il criterio di progressività del sistema tributario sancito dal secondo comma dell’art. 53 Cost.
I giudici veneziani ritengono, poi, che le norme sull’aggio violino i principȋ costituzionali sulla riserva di legge applicabile alle prestazioni imposte e sul diritto di difesa. Vi sarebbe lesione della riserva di legge in quanto mancherebbe una previsione di legge che determini la misura del costo dell’esecuzione coattiva o che, comunque, fissi un tetto minimo e massimo di tale costo in modo da limitare la discrezionalità dell’imposizione da parte dell’agente di riscossione. La lesione dell’art. 24 Cost sarebbe ravvisabile, poi, nella mancata previsione a carico dell’agente di riscossione di indicare dettagliatamente all’interno della cartella di pagamento gli atti esecutivi compiuti nel caso specifico, con la conseguenza che il contribuente sarebbe chiamato al pagamento di costi riferiti ad attività non conosciute, né conoscibili e, in ipotesi, neppure poste in essere.
Infine, il mancato collegamento della misura dell’aggio ai costi di riscossione darebbe luogo sia ad un eccesso di delega in violazione dell’art. 76 Cost. ([8]), sia ad un contrasto con i principȋ di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost., dovendo considerarsi i criteri di trasparenza, correlazione con l’attività richiesta e congruità con i costi medi di gestione del servizio quali corollari dei principȋ sanciti dalla Carta costituzionale.
La Corte Costituzionale condivide i dubbi in punto di ragionevolezza della disciplina dell’aggio, ma – come diremo nel successivo par. 3 del presente lavoro – sulla scorta di un percorso argomentativo diverso da quello della Commissione veneziana e che, anziché soffermarsi sul piano particolare dell’aggio addebitato nel caso di specie, si situa su un piano più generale. Ciò non toglie che, come anticipato in premessa, i giudici costituzionali giungano ad una dichiarazione di inammissibilità della questione prospettata, motivata dal margine di discrezionalità che deve essere lasciato al legislatore in sede di revisione delle norme sull’aggio e, in senso più ampio, della disciplina della riscossione coattiva. Ci occuperemo della declaratoria di inammissibilità della questione nel par. 4 del lavoro, esponendo le ragioni in base alle quali la conclusione raggiunta dalla Corte deve ritenersi, a nostro avviso, condivisibile.
3. Le censure della Corte in punto di ragionevolezza della disciplina dell’aggio
Le censure sulla ragionevolezza della disciplina dell’aggio si fondano su un iter logico-argomentativo imperniato su due cardini essenziali.
Anzitutto, i giudici costituzionali affrontano il tema della natura dell’aggio di riscossione. Con particolare riferimento all’ipotesi in cui il contribuente versi il dovuto entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella – ciò che, quindi, esaurisce l’attività dell’agente della riscossione – taluni avevano ravvisato nell’aggio di riscossione i caratteri di una sanzione impropria ([9]), altri l’avevano ricondotto tra gli oneri tributari o paratributari, in quanto i costi della struttura deputata alla riscossione dei tributi vengono addossati ad alcuni contribuenti – vale a dire i contribuenti morosi, per essi intendendosi anche coloro che ricevano una cartella di pagamento e adempiano entro sessanta giorni ([10]) – in proporzione all’entità del debito tributario posto in riscossione ([11]), altri ancora avevano ravvisato nell’aggio una natura retributiva, costituendo esso il compenso per l’attività esattiva svolta ([12]); tesi, quest’ultima, condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità ([13]).
La Corte Costituzionale richiama la posizione della Corte di Cassazione e sembra aderire, almeno parzialmente, ad essa. Da un lato, infatti, in alcun modo adombra la possibilità di qualificare l’aggio come prestazione tributaria o paratributaria (né sottopone la relativa disciplina al vaglio ex art. 53 Cost.), dall’altro lato, la Corte, sebbene precisi che l’aggio è rivolto “non tanto a remunerare le singole attività compiute dal soggetto incaricato della riscossione, ma a coprire i costi complessivi del servizio”, comunque richiede che il suo ammontare resti “coerente con la sua funzione” e non si traduca in un addebito arbitrario nei confronti dei contribuenti.
Proprio questo è il passaggio argomentativo alla base dell’ulteriore sviluppo del ragionamento della Corte. La disciplina dell’aggio viene censurata sul piano costituzionale avendo riguardo non già al rapporto con i costi sostenuti dall’agente della riscossione per lo svolgimento delle attività richieste dalla specifica procedura esecutiva, quanto sul piano della sua idoneità a coprire i costi del servizio di riscossione globalmente considerato restando coerente con i principî di ragionevolezza e non arbitrarietà.
È proprio per tale ragione che i giudici costituzionali, discostandosi dagli argomenti della Commissione veneziana, hanno ravvisato la violazione non tanto del principio di eguaglianza – sub specie del divieto di discriminazione tra contribuenti che, pur ricevendo un servizio analogo da parte dell’agente della riscossione, siano debitori di somme diverse e siano quindi tenuti a versare aggi in misura diversa ([14]) – quanto del principio di ragionevolezza e di non arbitrarietà delle scelte del legislatore tributario, atteso che sulla limitata platea dei contribuenti cc.dd. solventi ([15]) finiscono per essere addebitati i costi dell’intero servizio di riscossione e, in particolare, i costi dell’“abnorme dimensione delle esecuzioni infruttuose”. In altri termini, i giudici costituzionali si astraggono dalla quantificazione dei compensi dovuti per le attività svolte dall’agente della riscossione nel caso specifico e indirizzano le proprie riflessioni sul piano generale e complessivo del sistema di riscossione, in cui la violazione del principio di ragionevolezza viene riscontrata nell’arbitrarietà dell’addebito ai contribuenti solventi dei costi del c.d. «non riscosso».
Ed è proprio nell’ottica del complessivo sistema della riscossione tributaria che trovano spiegazione i riferimenti della Corte Costituzionale sia alle analisi della Corte dei Conti sul rendiconto generale dello Stato per l’anno 2019 e da cui emerge un indice di riscossione del 13,3, per cento sul volume delle riscossioni relativo al periodo 2000-2019, sia alle affermazioni di tenore analogo del Direttore dell’Agenzia delle entrate nell’audizione dinanzi alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati. Dati che, peraltro, risultano confermati anche dal più recente rapporto 2021 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica, da cui emerge non solo un indice di riscossione (13,1%) a distanza di venti anni dall’iscrizione a ruolo sostanzialmente in linea con quello dell’analisi dell’anno precedente, ma anche come tale indice non superi il 15% a distanza di un decennio dall’iscrizione a ruolo ([16]).
Ancora, il riferimento al sistema di riscossione tributaria inteso nel suo complesso ed al carattere arbitrario dei costi sopportati dai contribuenti solventi offre alla Corte l’opportunità di collegare la lesione del principio di ragionevolezza a quelli di solidarietà – che costituisce il fondamento del dovere tributario previsto dal successivo art. 53 Cost. – e, soprattutto, di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. È bensì vero che, in conformità alla giurisprudenza della Corte, tale ultimo principio non costituisce parametro autonomo di giudizio, ma, al più, elemento della più ampia valutazione di ragionevolezza della disciplina ([17]). Ciononostante, il richiamo all’eguaglianza sostanziale si rivela importante in quanto consente alla Corte di precisare che essa si riferisce non solo alla «tradizionale» area dei diritti sociali, ma anche a quella dei diritti civili: come da tempo messo in luce da un’autorevole dottrina costituzionalistica anche l’effettivo esercizio dei diritti di libertà (e dei diritti politici) richiede “un intervento sociale che ne istituzionalizzi la protezione, senza la quale [essi] resterebbero pretese astratte, di mero fatto, o prive di qualunque garanzia” ([18]).
4. La declaratoria di inammissibilità della questione e l’urgente riforma della riscossione tributaria
Il citato riferimento al sistema della riscossione tributaria nel suo complesso è altresì alla base della declaratoria di inammissibilità della questione di costituzionalità sollevata dalla Commissione veneziana e dell’ulteriore sviluppo del percorso argomentativo della Corte in relazione alla modifica della disciplina dell’aggio.
Il giudice a quo aveva richiesto alla Corte l’adozione di una sentenza interpretativa di accoglimento che integrasse la disciplina dell’aggio in base a quanto statuito dalla stessa Corte nella risalente (ma tuttora rilevante) pronuncia n. 480 del 1993 relativa ai compensi spettanti al concessionario della riscossione per la Regione Sicilia. In particolare, i giudici veneziani chiedevano alla Corte la fissazione di limiti minimi e massimi di carattere assoluto all’ammontare dell’aggio dovuto, nonché di un rapporto di proporzionalità inversa tra l’aggio stesso e la somma da riscuotere.
La Corte rigetta tale richiesta sottolineando che all’irragionevolezza della disciplina può porsi rimedio con modalità diverse e che la scelta tra esse resta rimessa alla libera determinazione del legislatore.
Si tratta, a nostro avviso, di una soluzione condivisibile per motivi legati sia alle peculiarità delle sentenze interpretative di accoglimento, sia alle ragioni di politica fiscale sottese al ragionamento della Corte.
Quanto alle sentenze interpretative di accoglimento, occorre ricordare che l’accettazione di pronunce che dichiarino l’illegittimità costituzionale dell’omessa previsione di una norma passa per la desumibilità della norma omessa da altre norme e principȋ contenuti nel sistema normativo, interpretato anche in via analogica ([19]). Se così è, deve allora condividersi l’osservazione della Corte laddove mette in luce la riferibilità delle norme oggetto di analisi con la sentenza n. 480 del 1993 ad un sistema normativo ormai non più attuale, sol che si pensi che la previsione del rapporto di proporzionalità inversa tra aggio dovuto e somme da riscuotere era animata da una finalità di perequazione del carico affidato in riscossione ai diversi concessionari locali e che tale obiettivo non può più ritenersi attuale in presenza di un sistema di riscossione sostanzialmente accentrato a livello nazionale ([20]).
Nel prospettare le linee di intervento della Corte, si sarebbe forse potuto fare riferimento al recente intervento nel settore della riscossione dei tributi locali, ove il legislatore ha stabilito limiti di carattere assoluto all’ammontare dell’aggio dovuto ([21]). La conclusione della Corte probabilmente non sarebbe cambiata – i giudici costituzionali avrebbero comunque potuto far leva sulle diversità tra la riscossione dei tributi locali e quella dei tributi erariali – ma, quantomeno, si sarebbero forniti alla Corte riferimenti e principȋ contenuti in un sistema normativo di recente introduzione e tuttora applicabile.
Quanto alle ragioni di politica fiscale, non può trascurarsi che la Corte, per il tramite del riferimento al sistema della riscossione tributaria complessivamente considerato, sembra propendere per una revisione della disciplina dell’aggio radicalmente diversa da quella prospettata dal giudice a quo. La previsione di limiti assoluti all’ammontare dell’aggio dovuto, infatti, costituirebbe un correttivo teso a salvaguardare la posizione dei contribuenti, ma non muterebbe le caratteristiche fondamentali del sistema: in ogni caso i costi della riscossione (e, in particolare, delle esecuzioni infruttuose) resterebbero a carico dei contribuenti solventi, sia pur in misura attenuata. Con la conseguenza che la quota di tali costi non addebitabile ai contribuenti solventi non potrebbe che gravare sulla fiscalità generale.
È in quest’ottica, allora, che trova ragione il riferimento, neppure tanto velato, dei giudici costituzionali al venir meno della ragion d’essere dell’istituto dell’aggio, che è “divenuto anacronistico e costituisce una delle cause di inefficienza del sistema”, dovendo il legislatore prendere in seria considerazione l’ipotesi di porre i costi del sistema di riscossione integralmente a carico della fiscalità generale, sulla scia di quanto accade da tempo nei principali Stati dell’Unione europea ([22]). Ciò che deve avvenire – sottolinea la Corte – nell’ambito di un’urgente ed indifferibile riforma del sistema di riscossione inteso nel suo complesso, che sia ispirata ad una maggiore efficacia dell’esazione dei crediti tributari, soprattutto se di minore entità ([23]).
Appare del tutto evidente, poi, che ad una tale riforma non possa procedere la Corte per via di sentenza, ma che essa debba costituire il risultato di una meditata e profonda revisione da parte del legislatore dell’impianto normativo della riscossione. Di qui, dunque, il monito al legislatore ad attivarsi in tal senso e la declaratoria di inammissibilità della questione posta dalla Commissione tributaria veneziana.
5. Considerazioni conclusive e prospettive future
Dopo molti e vani tentativi di rinvio, la Corte Costituzionale ha finalmente ritenuto di dover mettere in luce i profili di irragionevolezza ed arbitrarietà della disciplina dell’aggio di riscossione, ammonendo il legislatore a procedere quanto prima ad una complessiva riforma del sistema di esazione dei tributi. In tale ottica di sistema trova fondamento anche la declaratoria di inammissibilità della questione posta dal giudice a quo: anziché limitarsi alla correzione – peraltro tecnicamente difficile, nelle circostanze – di singoli profili della disciplina mediante una sentenza additiva, la Corte invoca una revisione dell’intero sistema di riscossione, tesa a renderlo più efficiente e tempestivo, ciò che andrebbe a beneficio non solo degli enti impositori ([24]), ma anche della generalità dei contribuenti, sub specie della piena attuazione di quel dovere generale di solidarietà su cui si fonda anche il dovere tributario. Come sottolinea la Corte dei Conti nel suo più recente rapporto sul rendiconto generale dello Stato ([25]), “la riscossione coattiva delle somme ancora dovute costituisce complemento imprescindibile” del più generale sistema di attuazione dei tributi fondato sull’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti.
L’auspicio, allora, è che nell’ambito della riforma fiscale di cui si sta attualmente discutendo a livello governativo possa trovare posto anche la complessiva revisione della disciplina della riscossione tributaria, secondo i principȋ ed i criteri chiaramente indicati dalla Corte Costituzionale ([26]). Un segnale in tal senso si rinviene nel recente documento delle Commissioni parlamentari redatto a conclusione dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’IRPEF ove si afferma che “la riscossione deve andare incontro ad una vera e propria ‘rivoluzione manageriale’, in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia” ([27]).
Le intenzioni sembrano buone, non resta che attendere i fatti.
([1]) Limitandoci all’ultimo decennio, si vedano le ordinanze della C.T.P. di Roma n. 271 del 23 settembre 2010, della C.T.P. di Torino n. 147 del 18 dicembre 2012 e della C.T.P. di Latina n. 40 del 29 gennaio 2013. Per alcune riflessioni sulle ordinanze si vedano E. DE MITA, La riscossione servizio già pagato. L’aggio è un extra, in Il Sole 24 Ore, 24 febbraio 2013, p. 23; S. CANNIZZARO, Alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’«aggio» di riscossione, in Corriere tributario, 2013, p. 1283-1288. Le questioni sollevate dalla prima ordinanza sono state dichiarate manifestamente inammissibili con l’ordinanza n. 158 del 21 giugno del 2013; mentre l’inammissibilità delle questioni sollevate dalla C.T.P. di Torino e dalla C.T.P. di Latina è stata dichiarata con l’ordinanza n. 147 del 9 luglio 2015. Poi, con l’ordinanza n. 129 del 26 maggio 2017 è stata dichiarata la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate dall’ordinanza della C.T.P. di Cagliari n. 43 del 29 maggio 2014; dall’ordinanza della C.T.P. di Roma n. 71 del 7 luglio 2014 e dall’ordinanza della C.T.P. di Milano n. 81 del 23 novembre 2015. Da ultimo, anche la C.T.R. Lombardia aveva sottoposto una questione di costituzionalità della disciplina dell’aggio di riscossione con l’ordinanza n. 264 dell’8 giugno 2016, anch’essa ritenuta inammissibile dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 65 del 29 marzo 2018. Per un commento sull’ordinanza della C.T.R. Lombardia si veda G. GLENDI, Ritorna alla Corte Costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’”aggio”, in Diritto e pratica tributaria, 2018, p. 406-419.
([2]) Si veda la questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE dalla C.T.P. di Latina con ordinanza n. 41 del 29 gennaio 2013 relativa al possibile contrasto tra la disciplina dell’aggio di riscossione e la normativa unionale in materia di aiuti di Stato. Per un commento dell’ordinanza si veda S. CANNIZZARO, Rinvio alla Corte di giustizia UE sulla natura di aiuto di Stato dell’aggio di riscossione, in Corriere tributario, 2013, p. 1596-1602. Con l’ordinanza del 27 febbraio 2014, C-181/13, Acanfora, la Corte di giustizia ha ritenuto la questione sollevata (con riferimento alla possibile violazione delle norme sugli aiuti di Stato) manifestamente irricevibile in quanto il giudice a quo non aveva fornito ai giudici unionali elementi sufficienti per una risposta utile sulla questione.
([3]) Il riferimento è alla pronuncia della C.T.P. di Treviso, sez. VIII, 25 settembre 2012, n. 84, che, dopo aver evidenziato che all’aggio di riscossione può riconoscersi, alternativamente, natura sanzionatoria ovvero retributiva rispetto all’attività svolta dall’agente della riscossione, sottolinea come nel primo caso l’illegittimità deriverebbe dall’assenza di inadempimenti ad opera del debitore e dall’estraneità dell’irrogazione dello stesso aggio rispetto alla disciplina delle sanzioni tributarie e, nel secondo caso, discenderebbe, almeno nel caso di specie, dalla mancata prova ad opera dello stesso agente dell’attività svolta in grado di giustificare la richiesta delle somme addebitate. A nostro avviso, si tratta di posizione non condivisibile, in quanto giunge alla disapplicazione nel caso di specie di una norma di legge, vale a dire l’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999, ciò che non rientra tra i poteri del giudice tributario il quale, se del caso, può sollevare una questione di costituzionalità della norma stessa, come dimostrano, del resto, le ordinanze citate nella precedente nota n. 1. Sul tema si veda anche A. RENDA, Illegittimo l’aggio di riscossione senza le prove della effettiva attività svolta per il recupero delle imposte, in Corriere tributario, 2012, p. 3499-3504.
([4]) C.T.P. Venezia, sez. I, ordinanza n. 85 del 5 giugno 2019.
([5]) Diversamente da quanto accaduto, per esempio, per la questione sollevata dall’ordinanza della C.T.P. di Roma n. 271 del 23 settembre 2010, dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale per non aver offerto adeguata motivazione “sulla rilevanza della questione sollevata, dal momento che il giudice rimettente non ha in alcun modo illustrato, anche solo sommariamente, le ragioni di infondatezza degli altri motivi di ricorso, pure spiegati in via principale nel giudizio a quo ed aventi «priorità logica»”.
([6]) L’ordinanza della C.T.P. Venezia ricorda, peraltro, che l’attuale formulazione dell’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 112 del 1999 non risulta attuata in ragione della mancata emanazione del decreto ministeriale che avrebbe dovuto individuare i criteri ed i parametri per la determinazione dei costi di funzionamento del servizio di riscossione, anche nell’ottica di una possibile diminuzione delle misure attualmente fissate dell’aggio di riscossione.
([7]) A questo proposito l’ordinanza della Commissione veneziana richiamava uno dei rari casi in cui la Corte Costituzionale si è occupata nel merito della determinazione dell’aggio di riscossione: il riferimento è alla sentenza della Corte Costituzionale n. 480 del 1993 in cui i giudici costituzionali – con riferimento ai compensi spettanti ai concessionari del servizio di riscossione delle imposte operanti in Sicilia – avevano ritenuto che un sistema di determinazione dei compensi basato su una misura di carattere percentuale con la fissazione di un limite minimo e di un limite massimo del compenso dovuto realizzasse “un opportuno ed effettivo ancoraggio della remunerazione al costo del servizio, contemporaneamente impedendo, per un verso, che […] la misura percentuale del compenso scenda al di sotto del livello minimo di remuneratività del servizio e, per converso, che […] il compenso stesso salga notevolmente al di sopra della predetta soglia di copertura del costo della procedura”.
([8]) Il riferimento è al criterio di delega di cui all’art. 1, comma 1, lett. e), legge 28 settembre 1998, n. 337 che, nell’ambito di un complessivo riordino della disciplina della riscossione tributaria, delegava il Governo a prevedere un “sistema di compensi collegati alle somme iscritte a ruolo effettivamente riscosse, alla tempestività della riscossione e ai costi della riscossione, normalizzati secondo criteri individuati dal Ministero delle finanze, nonché alla situazione socio-economica degli ambiti territoriali con il rimborso delle spese effettivamente sostenute per la riscossione di somme successivamente sgravate, o dovute da soggetti sottoposti a procedure concorsuali”.
([9]) G. CASTELLANI – A. FIORILLI, Perché pagare l’aggio di riscossione su somme che potrebbero essere versate spontaneamente?, in Dialoghi tributari, 2009, p. 455-457 parlano di “funzione pseudo-sanzionatoria” ravvisabile in tutti i casi in cui l’aggio non remuneri “alcuna attività di riscossione di crediti proprio a motivo dell’ampia disponibilità del debitore diligente di effettuare tempestivamente i versamenti obbligatori per legge”.
([10]) Per la ricomprensione anche di tali soggetti tra i contribuenti morosi si vedano le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, sintetizzate al par. 2.2. delle considerazioni in fatto della sentenza in commento.
([11]) In questo senso G. INGRAO, Gli interessi moratori e l’aggio di riscossione nella nuova dinamica della riscossione dei tributi, in Dialoghi tributari, 2011, p. 651-653. Si veda anche P. COPPOLA, La concentrazione della riscossione nell’accertamento: una riforma dagli incerti profili di ragionevolezza e coerenza interna, in Rassegna tributaria, p. 1421 e ss. che argomenta sull’incostituzionalità delle norme sull’aggio ritenendolo un “accessorio di un tributo”.
([12]) A favore della qualificazione dell’aggio come “controprestazione economica per l’attività esplicata a beneficio dell’ente” e che, come tale, “forma il contenuto di un’obbligazione che deriva direttamente dalla legge” si era espressa già una risalente pronuncia della Corte dei Conti del 19 gennaio 1937 citata da A. RENDA, Illegittimo l’aggio di riscossione senza le prove della effettiva attività svolta per il recupero delle imposte, cit., p. 3499-3504.
([13]) Si veda Cass., sez. V, 12 febbraio 2020, n. 3416 secondo cui “l’aggio di riscossione ha natura retributiva, trattandosi del compenso per l’attività esattoriale, e questa natura non muta in base al soggetto – contribuente, ente impositore od entrambi pro quota – a carico del quale è posto il pagamento nelle varie circostanze”. In senso analogo si vedano anche Cass., sez. V., 11 maggio 2020, n. 8714; Cass., sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5154; Cass., sez. V, 23 dicembre 2015, n. 25932 nonché Cass., sez. V, 3 aprile 2014, n. 7868.
([14]) Nella sua ordinanza di rimessione la commissione veneziana aveva rilevato la violazione del principio di eguaglianza in quanto, tra l’altro, la disciplina dell’aggio “prevedendo una percentuale fissa applicabile a ogni importo, crea una disparità di trattamento tra i contribuenti soggetti al servizio, in quanto, a parità di servizio reso (compilazione della cartella), il compenso varia in relazione al mero dato della somma oggetto di riscossione, senza riguardo alcuno alle attività che l’inadempimento rende necessarie ai fini dell’esazione dell’importo”.
([15]) Vale a dire di quei contribuenti destinatari di una cartella di pagamento e che adempiano nel termine di sessanta giorni.
([16]) Si veda Corte dei Conti, Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, p. 139.
([17]) Precisa F. SORRENTINO, Dell’eguaglianza, Modena, 2014, p. 50-51 che il principio di eguaglianza sostanziale, in ragione della sua struttura, “raramente perviene all’attenzione del giudice delle leggi come parametro di giudizio, è però vero che esso entra comunque nella sua considerazione, sia ai fini del giudizio di ragionevolezza alla stregua del primo comma dell’art. 3, sia nel quadro di un bilanciamento, sempre difficile, tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale, che, a seconda dei diritti che vengono di volta in volta in considerazione, vede la prevalenza ora dell’uno ora dell’altro”.
([18]) M. LUCIANI, Sui diritti sociali, in Democrazia e diritto, 4/1994 -1/1995, p. 565, che adduce, a titolo esemplificativo, il caso del diritto di difesa che, richiedendo l’apprestamento di mezzi concreti per il suo esercizio (giudici, aule, strutture amministrative), si risolve, a ben vedere, anche in un diritto a prestazione. Sul tema si veda anche il noto saggio di S. HOLMES – C.R. SUNSTEIN, Il costo dei diritti. Perché la libertà dipende dalle tasse, Bologna, 2000.
([19]) Già molti anni fa l’illustre V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale. L’ordinamento costituzionale italiano. La Corte Costituzionale, Padova, 1984, II, 2, p. 404 precisava che “la dichiarazione di incostituzionalità della omissione ha, allora, l’effetto di introdurre indirettamente quella disciplina che faceva difetto: traendola, ovviamente, non dalla fantasia della Corte, ma, per analogia, da altre norme e principȋ contenuti nel sistema (o addirittura dalla stessa norma costituzionale alla stregua della quale si è svolto il giudizio)”.
([20]) A questo riguardo si tenga conto che l’art. 76, decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 ha previsto che il prossimo 30 settembre avvenga lo scioglimento anche di Riscossione Sicilia S.p.A., vale a dire dell’agente della riscossione per la Regione Sicilia, e che le relative funzioni siano affidate ad Agenzia delle entrate – Riscossione.
([21]) Il riferimento è all’art. 1, comma 803, legge 27 dicembre 2019, n. 160 ove si prevede che la quota degli oneri di riscossione a carico del debitore sia “pari al 3 per cento delle somme dovute in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla data di esecutività dell’atto di cui al comma 792, fino ad un massimo di 300 euro, ovvero pari al 6 per cento delle somme dovute in caso di pagamento oltre detto termine, fino a un massimo di 600 euro”. È ben vero che tali previsioni sono state introdotte successivamente alla pubblicazione dell’ordinanza della Commissione veneziana, ma si sarebbe potuto far riferimento ad esse nel contraddittorio tra le parti costituite dinanzi alla Corte (ciò che, almeno in base a quanto riportato nella premessa in fatto della sentenza, non sembra essere avvenuto).
([22]) Sul tema si vedano i risultati della ricerca della FONDAZIONE BRUNO VISENTINI, La riscossione in Italia, Germania, Spagna, Francia e Regno Unito: un’analisi comparata, Viterbo, 2015 da cui emerge che, tra gli Stati considerati, l’Italia è l’unico Paese in cui la remunerazione dell’attività di riscossione è posta a carico dei contribuenti inadempienti o morosi.
([23]) Sul punto si veda anche quanto afferma la Corte Costituzionale nella sentenza 15 marzo 2019, n. 51: “resta fermo che una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come ‘bene pubblico’ funzionale ‘alla valorizzazione della democrazia rappresentativa’, mentre meccanismi comportanti una ‘lunghissima dilazione temporale’ (sentenza n. 18 del 2019) sono difficilmente compatibili con la sua fisiologica dinamica. In tale prospettiva deve essere sottolineata l’esigenza che per i crediti di minore dimensione il legislatore predisponga sistemi di riscossione più efficaci, proporzionati e tempestivi di quelli fin qui adottati”.
([24]) Anche per mettere fine alla vicenda dei residui attivi presenti in molti dei bilanci pubblici, che – come sottolinea la Corte – ne minano la trasparenza e l’affidabilità.
([25]) Si veda Corte dei Conti, Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, p. 140.
([26]) Come icasticamente sottolinea E. DE MITA, Nella riscossione va cancellata l’ingiustizia dell’aggio, in Il Sole 24 Ore, p. 33-35 “la sentenza 120/2021 potrebbe già essere la relazione illustrativa della riforma che la Corte sollecita come indifferibile”.
([27]) Si veda il documento delle Commissioni riunite VI Commissione (Finanze) della Camera dei Deputati e 6° Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica, Indagine conoscitiva sulla Riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, 30 giugno 2021, p. 84.