Brevissime osservazioni sulla relazione della Commissione “della Cananea” per la riforma del processo tributario riguardanti il giudizio di legittimità
di Roberto Succio
Sommario: 1. Il ruolo e la situazione della Corte Suprema nell’ordinamento tributario - 2. La centralità attribuita al miglioramento dell’“offerta di giustizia” nel contesto della Corte Suprema - 3. La possibile e proposta introduzione di forme di definizione agevolate delle liti di fronte alla Corte di cassazione - 4. Le vere innovazioni processuali suggerite: il rinvio pregiudiziale e il ricorso nell’interesse della legge in materia tributaria - 5. Le proposte modifiche ordinamentali e organizzative: la copertura dei posti di organico in Cassazione.
1. Il ruolo e la situazione della Corte Suprema nell’ordinamento tributario
Il presente scritto intende commentare brevemente i risultati della Commissione istituita dal decreto emanato dal Ministro della giustizia e dal Ministro dell’economia e delle finanze il 14 aprile 2021, alla quale sono stati attribuiti più compiti in materia di elaborazione di proposte di riforma del processo tributario.
Detta Commissione, composta da magistrati, accademici, funzionari dei Ministeri ridetti, avvocati, e presieduta dal Prof. Giacinto della Cananea, ha redatto un documento assai interessante e per vero non adeguatamente conosciuto, a parere di chi scrive, né dagli operatori, né dai commentatori; solo recentemente – e in misura minore rispetto a quanto era legittimo attendersi – si sono infatti registrati interventi di annotazione e commento allo stesso[1].
In particolare, l’organo consultivo istituito ha avuto funzioni di tipo ricognitivo, relativamente alla legislazione vigente e al contenzioso pendente presso i giudici di merito e il giudice di legittimità, ossia la Corte di Cassazione, oltre che propositivo con riguardo ai profili di difficoltà e inefficienze di funzionamento del sistema processuale dedicato alla risoluzione delle controversie tra contribuente e amministrazione Finanziaria.
Il presente contributo si incentra solamente sulla rilevanza e sul contenuto delle considerazioni e proposte esaminate e formulate con riguardo alla funzione e all’attività della Corte di cassazione alla quale è come noto assegnata, anche in materia tributaria, dall’art. 65 Ord. Giud. quella nomofilattica.
La Commissione - sul piano delle premesse generali - prende dapprima atto, e proclama, per chi ancora ne dubitasse, che “fin dagli anni cinquanta del secolo scorso la normazione nel settore tributario è stata additata come un esempio negativo, per via della variabilità e dell’incoerenza che ne deriva. Nel corso dei decenni successivi, man mano che la pressione tributaria è salita, la complessità è aumentata. Ne sono responsabili varie concause: le innegabili difficoltà tecniche, che rendono il diritto tributario ‘speciale’ rispetto ad altri rami del diritto; la notevole diversità degli indirizzi politici impartiti dal legislatore, finanche all’interno della medesima legislatura; il frequente ricorso a norme di legge interpretative”.
In questo contesto, la normativa fiscale può essere (ed effettivamente è) d’ostacolo agli investimenti esteri in Italia: la sua complessità e incoerenza danno luogo a un ostacolo forse anche più rilevante. Come tutte le analisi internazionali segnalano, ribadisce la Commissione, “l’incertezza del diritto è uno dei principali freni alla permanenza degli investimenti in essere e in misura anche maggiore all’arrivo dei nuovi. Non hanno certamente giovato gli arretramenti rispetto allo statuto del contribuente approvato nel 2000”.
Nel concreto, quindi, la funzione istituzionale stessa della Suprema Corte, assegnatale dal già citato art. 65 ord. giud., se non compromessa, è fortemente compressa in materia tributaria.
Impressionante ed inaccettabile il quantitativo di ricorsi relativi a giudizi che si svolgono dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione. L’arretrato, in costante incremento, ha raggiunto e superato la ragguardevole soglia dei 55.000 ricorsi, alcuni dei quali (5171) sono stati presentati in primo grado da più di un decennio[2].
Le dimensioni dell’arretrato incidono evidentemente in primo luogo sulla certezza del diritto: non può certo escludersi l’insorgere di contrasti anche inconsapevoli.
Dette dimensioni incidono anche, e in modo non di rado disastroso per le aspettative delle parti, sulla complessiva durata dei procedimenti giudiziari. Nell’arco di un decennio, il tempo medio necessario per espletare il primo grado del giudizio di merito è benvero diminuito (da 903 giorni nel 2011 a 608 nel 2019); nondimeno è aumentato quello relativo al secondo grado (da 589 giorni a 906) (allegato n. II, p. 26 della Relazione della Commissione). A ciò si aggiungono specialmente, per quanto qui interessa, i quattro anni in media necessari per il giudizio di legittimità.
Quest’ultimo, secondo la Commissione “è lungo e oneroso. Penalizza oltremodo il contribuente che abbia ottenuto una pronuncia favorevole nel secondo grado di giudizio o in entrambi. Incentivando la proposizione di ricorsi anche da parte dei privati, penalizza anche gli interessi dell’erario, oltre all’interesse generale all’adeguata e sollecita composizione delle dispute”.
Tal lunga durata del processo, in sé, è del tutto opposta a ogni esigenza di certezza, per una ulteriore e assai importante ragione.
Da un lato, infatti, la Corte decide oggi questioni di diritto risalenti negli anni, che erano magari oggetto di dibattito giurisprudenziale e dottrinale all’epoca e che successivamente si sono chiarite (basti pensare alle plurime questioni inerenti il condono di cui alla L. n. 289 del 2002: Cass. civ. Sez. V, 30-11-2016, n. 24392; Cass. civ. Sez. V, 28-10-2016, n. 21872; Cass. civ. Sez. Unite, 16-01-2015, n. 643; Cass. civ. Sez. VI - 5 Ordinanza, 09-01-2014, n. 272; Corte di Cassazione sentenza 28 marzo 2006, n. 7111); contemporaneamente si pongono oggi ai giudici del merito questioni di diritto che, salvo rari casi, saranno scrutinate dalla Corte solo tra 6-8 anni.
Venendo al contenuto delle pronunce della Suprema Corte, e all’esito che le stesse producono sulle sentenze impugnate, si rileva poi da parte della Commissione come siano assai frequenti i casi in cui risultano cassate, quindi annullate, con o senza rinvio al giudice del merito, le decisioni delle commissioni tributarie regionali: “da vari anni essi sono stabilmente attestati attorno al 50 per cento, pur con oscillazioni (47 per cento nel 2020)”.
Ulteriore elemento, stavolta ordinamentale, che incrementa ancora l’incertezza, quale fattore endogeno, è poi il breve il tempo di permanenza dei magistrati all’interno della sezione tributaria istituita dalla Corte. Le ragioni sono qui numerose: la maggioranza (se non la quasi totalità) dei Consiglieri provengono da decenni di attività giudiziaria nella giurisdizione civile o penale, nelle sue anche lontane tra loro specializzazioni e non hanno in genere certo una particolare aspirazione ad occuparsi di una differente – e delicata, oltre che complessa – materia, a maggior ragione approssimandosi una età non più giovanile.
È allora evidente che solo all’interno d’una riforma strutturale si possono pienamente giustificare alcuni interventi legislativi volti a ridurre il contenzioso pendente presso la Corte di Cassazione.
2. La centralità attribuita al miglioramento dell’”offerta di giustizia” nel contesto della Corte Suprema
Va premesso che, con ottimo pragmatismo, la Commissione individua subito tra gli strumenti processuali degni di attenzione quello della “introduzione di meccanismi di definizione agevolata delle liti (discussa nel § 15)”, ma non limita a questo (sul quale risultato tornerò nel prosieguo dello scritto) il proprio sguardo, individuando sia proposte riguardanti il giudizio di legittimità sia proposte riguardanti gli aspetti dell’azione amministrativa su cui si può agire per diminuire il contenzioso, gli strumenti deflattivi e alcuni istituti processuali.
Considerate nel loro complesso, le iniziative che il Governo e il Parlamento possono adottare secondo il documento qui in nota attengono a ben sette linee direttrici individuate dal documento che si commenta.
Tra queste, per quanto interessa l’argomento di questo scritto, si individua immediatamente quella di “migliorare l’offerta di giustizia all’interno del giudizio di legittimità, relativamente alla Corte di Cassazione (§ 14)”.
Una prima considerazione personale può subito esprimersi: l’offerta di giustizia presuppone, per migliorare, un upgrade (vale a dire un miglioramento, come direbbero - e non sono citati a caso - gli informatici) in primo luogo nella disponibilità in capo alle persone e nell’uso da parte di queste delle moderne tecnologie.
È inconcepibile che il processo tributario, come quello civile, sia da tempo del tutto telematico nei gradi del merito, per poi tornare a svolgersi in forma cartacea solamente quando giunge di fronte alla Corte di Legittimità.
La recente introduzione del desk del Consigliere[3], sotto questo profilo, non sta trovando il successo sperato: il meccanismo di accesso alla consultazione dei fascicoli è lento (e lo stesso sistema wi-fi della Corte, così come le prestazioni del CED, nonostante un impegno fuori del comune delle persone che vi prestano servizio, sono del tutto inadeguate allo scopo), farraginoso (è ad ora impossibile “caricare” files da proprio PC sulla macchina virtuale nella quale si opera, con ciò costringendo il singolo magistrato a lente operazioni di copia e incolla continue e macchinose), contorto (si possono, con tempi di svariati minuti, non di qualche secondo, visualizzare gli atti di parte, ma il loro salvataggio è operazione ben più lunga e mai sicura quanto all’esito).
Senza dubbio sono anche presenti – anche se in misura per lo più inconsapevole – alcune resistenze o rigidità, umanamente comprensibili, in capo a un numero invero assai contenuto di operatori ancora “sospettosi” o poco avvezzi a strumenti ormai consolidati nei processi di merito, quali le firme digitali o le PEC; sotto questo profilo l’attività di formazione ampiamente propugnata ed attuata dal Ministero della Giustizia potrà certamente essere risolutiva.
Essa però non può certo curare le difficoltà tecniche e il gap tecnologico abissale tuttora esistente tra le strutture della Corte di cassazione e il resto delle Amministrazioni, non solo di quelle della Giustizia: né risulta a chi scrive – allo stato – alcuna espressa e decisa iniziativa del CSM diretta, nel dialogo istituzionale con il Ministero della Giustizia, a sollecitare rapide decisioni nei confronti del fornitore del software dirette a ottenere la risoluzione di tali problemi, o in difetto l’azione giudiziaria e la sostituzione di tal soggetto con altro. Si tratta certamente di profili che, in quanto inerenti la amministrazione della Giustizia, possono e debbono vedere presente nella discussione l’organo di autogoverno della Magistratura con la sua autorevolezza e capacità propulsiva.
La stessa Relazione della Commissione Ministeriale ha ben presente la centralità che assume, nel contesto del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza[4]), l’esigenza insopprimibile di modernizzare l’attività giudiziaria, specie quella della Corte Suprema.
Il Consiglio europeo, nelle sue annuali Raccomandazioni ha costantemente e più volte sollecitato l'Italia a "ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio", nonché ad "aumentare l'efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando il nuovo quadro anticorruzione" (cfr. Raccomandazioni del 2017-2019).
La Commissione Europea, nella Relazione per Paese relativa all'Italia 2020 (cd. Country Report 2020) del 26 febbraio 2020, rileva come l'Italia abbia compiuto progressi solo limitati nel dare attuazione alle sopra citate Raccomandazioni.
Se la riforma della Giustizia costituisce, per l’Italia, come detto, un elemento ineludibile del PNRR, non stupisce che nel contesto del Piano, secondo le indiscrezioni giornalistiche alla Giustizia sia stato dato un posto assolutamente centrale di vera e propria “precondizione” per l’accesso dell’Italia ai fondi europei[5].
In questo contesto, è a mio avviso inspiegabile la mancata considerazione, nel dibattito, della possibilità per l’Amministrazione della Giustizia – proprio per adempiere all’onere appena citato - di “mutuare” (nelle forme tecniche che paiono pur possibili, ancorché non di immediata soluzione) la struttura del PTT (il processo tributario telematico) trasponendola o trapiantandola nel giudizio di Legittimità se del caso con le opportune modifiche sul piano tecnico, superando difficoltà di adattamento che per quanto presenti non sono certo insormontabili.
Ad ora non mi pare irrealizzabile la realizzazione di architetture informatiche in grado di render comunicanti tra di loro (si passi l’approssimazione) le singole CTR con la Corte Suprema, sul modello di quelle che da tempo ormai realizzano lo stesso risultato tra le singole CTP e la CTR loro giudice di appello.
Sotto questo profilo, forse, la Commissione avrebbe forse potuto sollecitare in modo più diretto i Ministeri (Giustizia ed Economia e Finanze) a prender in esame fattivamente tal possibilità, che non mi pare irrealizzabile anche se si rendessero necessarie, oltre le opportune innovazioni normative - siano esse legislative che regolamentari – ulteriori operazioni di coordinamento e concerto tra i Ministeri coinvolti.
Venendo ad altro, l’azione riformatrice secondo il documento in annotazione può utilmente concentrarsi su due punti, che ruotano attorno alla necessità di realizzare condizioni che permettano alla Corte di esercitare la funzione nomofilattica che l’ordinamento le assegna.
Si tratta della introduzione di due istituti processuali ad hoc: il rinvio pregiudiziale in cassazione e l’intervento del pubblico ministero nell’interesse della legge.
In entrambi i casi, le proposte elaborate dalla Commissione Luiso possono essere, secondo la Commissione Della Cananea riprese e applicate con successo alle controversie tributarie. Si tratta, inoltre, di proposte – fatte proprie dalla Commissione ridetta (ed inserite nell’allegato n. XX, p. 149) – di norme direttamente applicabili, senza alcun bisogno di ricorrere alla delegazione legislativa e quindi di spedita e diretta introduzione nell’ordinamento processuale tributario.
Va ancora ricordato, come si scrive nella Relazione, che non esiste, nell’Europa d’oggi né in precedenti periodi storici noti, alcuna corte di ultima istanza con un carico di lavoro paragonabile a quello della Corte di Cassazione italiana. Non esiste alcun altro giudice delle liti tributarie che abbia un arretrato anche solo lontanamente paragonabile ai più di 55.000 ricorsi pendenti. La circostanza che più di un decimo di quei ricorsi attenga a liti intraprese in primo grado da oltre un decennio può essere vista come un’eclatante rinuncia dell’ordinamento italiano a prevenire il diniego della giustizia, come un deficit di tipo sistemico, nel senso in cui l’espressione è impiegata dagli ordinamenti sovranazionali europei.
Sotto il profilo processuale, si ritiene allora opportuno fare tesoro dell’esperienza acquisita all’interno del processo amministrativo e di quello contabile circa l’utilizzo di strumenti (si tratterebbe di un terzo istituto, o di un terzo gruppo di istituti) che richiedono ai ricorrenti di ribadire entro un preciso termine la persistenza dell’interesse, pena la perenzione estintiva del giudizio. Sono certamente indispensabili alcuni adattamenti, dal momento che sia per la parte privata, sia per quella pubblica l’interesse può venir meno solo nel caso del sopravvenire di nuove disposizioni di legge o di nuove interpretazioni da parte della stessa Corte.
In tali casi, per vero, l’Amministrazione finanziaria già oggi, sia pur con i tempi che le sono propri, emana di frequente apposite direttive agli Uffici sottordinati volte all’abbandono della lite.
Tale orientamento va – secondo la Commissione – adeguatamente rafforzato e magari fatto oggetto di specifica normazione.
3. La possibile e proposta introduzione di forme di definizione agevolate delle liti di fronte alla Corte di cassazione
Anche sul piano macroeconomico, nel quale si colloca l’attribuzione delle risorse di cui al PNRR, vi è da chiedersi se le condizioni straordinarie in cui la giustizia tributaria versa richiedano un intervento legislativo straordinario, nella forma d’una definizione agevolata delle liti.
Un intervento di questo tipo sarebbe giustificato dall’interesse pubblico a una ordinata composizione delle controversie, non dall’interesse a fare cassa; esso avrebbe ad oggetto soltanto il contenzioso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Non mancano precedenti, ai quali si può fare utilmente riferimento. Disposizioni recenti, correttamente, non hanno mai imposto soluzioni, offrendo una mera facoltà ai contribuenti.
Questo tipo di approccio può essere ripreso, secondo la Commissione, nel senso di consentire ai contribuenti di decidere – in connessione con lo strumento processuale cui è appena fatto riferimento – se intendano servirsene o meno. Possono prevedersi quindi forme d’incentivazione economica, maggiori nel caso in cui il contribuente abbia prevalso nel secondo grado di giudizio; che ci si debba chiedere se, a fronte di due sentenze sfavorevoli, la resistenza dell’amministrazione debba essere, assoggettata ad aggravamenti sul piano organizzativo o procedurale.
A tale riguardo occorre considerare che normalmente la misura del condono[6] (perché nella sostanza di una misura clemenziale si tratta, in verità) è accompagnata da una sospensione dei giudizi potenzialmente interessati; la fissazione di un limite di valore consentirebbe alla Corte di non vedere paralizzata o rallentata la sua attività (come è avvenuto in passate occasioni), potendo invece la stessa proseguire senza sospensione alcuna a vantaggio delle controversie di valore più elevato che peraltro verrebbero definite con tempi più celeri.
Ad esempio, secondo i dati disponibili alla Commissione, una definizione delle liti di valore fino ad € 100.000, interesserebbe circa il 63,89% del contenzioso pendente in Cassazione, per un totale di 33.337 controversie (probabilmente si tratta di un numero in concreto minore, dovendosi escludere le liti aventi per oggetto gli atti di mera riscossione quali ad esempio le cartelle di pagamento e le cause relative all’impugnazione dei dinieghi di rimborso).
Affinché la definizione possa avere un effetto deflattivo di rilievo, è opportuno però che – a differenza di tutti i precedenti condoni – il legislatore preveda non solo che dagli importi dovuti per condonare “si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio” (v. ad es. art. 6 comma 9 del d.L. 119/2018), ma anche che l’eventuale eccedenza debba essere restituita al contribuente (e non invece, sempre secondo l’art. 9 comma 6 citato, che “La definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione”.
Se infatti si riproponesse anche questa volta tale ultimo inciso, molti contribuenti non avrebbero alcun interesse ad aderire al condono, soprattutto quando (come avviene di norma), dopo la soccombenza in CTR sono stati tenuti a pagare l’intero importo indicato nell’atto impugnato, come previsto dall’art. 68 comma 1 lett. c) del d. Lgs. 546/1992. Tali somme infatti, anche se nettamente superiori a quelle necessarie per definire la vertenza, non verrebbero mai restituite con conseguente importante incentivo per il debitore dei tributi a proseguire la causa.
A tale riguardo la Corte di Cassazione ha affermato che “la norma in esame ha natura di disposizione eccezionale e derogatoria della previsione generale in forza della quale il condono, in quanto incide in via definitiva sui debiti tributari dei contribuenti, che vengono ad essere definiti transattivamente con il versamento delle somme a tal fine dovute, non può dare luogo a restituzione alcuna degli importi in precedenza corrisposti (cfr. Cass. S.U. 14828/08), sebbene eccedenti rispetto a quanto dovuto per il perfezionamento della definizione stessa” (Cass. 26776/2020).
Tuttavia l’applicazione di tale principio da un lato (come si è detto) fa sì che molti soggetti non siano interessati a definire la vertenza; dall’altro crea una disparità di trattamento in situazioni processuali identiche, a favore dei contribuenti che non hanno spontaneamente versato quanto dovuto in sede di riscossione graduale, rispetto a quelli che hanno tempestivamente provveduto al pagamento e che, proprio per tale motivo, si trovano a dover pagare somme maggiori per usufruire del condono rispetto ai primi (per effetto della mancata restituzione della differenza).
Qualora dunque – nell’ottica di ottenere una massima adesione alla definizione agevolata – la legge non prevedesse (per la prima volta) il citato divieto di restituzione della differenza tra le somme già versate e quelle necessarie per la definizione, si amplierebbe la platea dei soggetti interessati al condono e si potrebbero anche prevedere aliquote che garantiscano un gettito adeguato.
In particolare, si potrebbe prevedere – suggerisce ancora la Commissione - che le somme da versare per ottenere l’estinzione del giudizio per condono siano pari, in via esemplificativa al 30% del tributo (senza interessi e sanzioni), qualora il contribuente sia risultato vittorioso nel giudizio davanti alla C.T.R.; al 60% del tributo (senza interessi e sanzioni), qualora il contribuente sia risultato soccombente nel giudizio davanti alla CTR.
Trattasi di importi comunque senza dubbio convenienti per i contribuenti, tenuto conto della non debenza di interessi e sanzioni, che porta spesso ad un dimezzamento dell’aliquota reale, se rapportata all’intero credito (e pertanto, di fatto, rispettivamente al 15 e 30% del valore complessivo della causa).
Non appare opportuno, secondo la Commissione, introdurre altre aliquote per i casi di c.d. doppia conforme, (cioè di vittoria del contribuente sia in primo che in secondo grado), tenuto conto da un lato che la situazione processuale è identica a quella di chi è stato vittorioso solo in CTR, e dall’altro che statisticamente non sembra vi siano evidenze secondo cui nei casi di doppia conforme gli annullamenti da parte della Suprema Corte siano in misura inferiore.
È inoltre opportuno che le aliquote per la definizione agevolata non siano troppo basse, onde evitare
rilievi sotto il profilo comunitario[7], soprattutto in materia di IVA (imposta armonizzata). Né è altrimenti pensabile escludere tale imposta dalla definizione, in quanto ciò ridurrebbe in maniera rilevante l’effetto deflattivo, tenuto conto che spesso l’IVA viene richiesta con un unico avviso di accertamento insieme alle imposte dirette. Prevedendo un condono solo per queste ultime, la causa dovrebbe comunque proseguire per l’IVA e tal circostanza costituirebbe evidente disincentivo in capo al contribuente a definirla.
Un condono strutturato come sopra, potrebbe potenzialmente comportare un abbattimento del contenzioso pregresso tra le 15.000 e 20.000 cause (riducendo l’arretrato della Corte, sotto il profilo temporale, di 1,5/2 anni).
Il complesso delle misure proposte mira dunque a restituire alla Corte di Cassazione la funzione ordinamentale centrale che le spetta ex artt. 111 Cost e 65 ord. Giud. anche quale organo di vertice delle impugnazioni nei giudizi tributari.
La Commissione sottolinea poi l’intento di tener conto delle proposte di modifica che parallelamente stava formulando la “Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi” presieduta dal Prof. Francesco Paolo Luiso, che ritiene ampiamente condivisibili: in particolare viene richiamata l’opportunità condivisa di unificare i riti camerali, attualmente disciplinati dall’art. 380-bis c.p.c. (procedimento per la decisione in camera di consiglio sull’inammissibilità o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso) e dall’art. 380-bis.1 (Procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice). A ciò si aggiunge la suggerita abolizione della "apposita sezione" (tabellarmente definita quale Sesta Sezione civile) di cui all’art. 376 c.p.c.
4. Le vere innovazioni processuali suggerite: il rinvio pregiudiziale e il ricorso nell’interesse della legge in materia tributaria
Si è detto come l’interpretazione autorevole quanto all’origine, sistematica nella collocazione a livello dei principi, convincente quanto ad argomenti, resa della Corte con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, possa svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti nei gradi precedenti di giudizio.
Nella materia del diritto tributario, peraltro, l’esigenza appena descritta è avvertita con particolare importanza e urgenza per due ordini di ragioni: il continuo succedersi di norme di nuova introduzione, rispetto alle quali il giudice del merito non dispone all’atto della propria decisione di un indirizzo interpretativo di legittimità cui fare riferimento e la serialità dell’applicazione delle norme che si riflette sulla serialità del contenzioso: basti pensare alle frequenti controversie relative all’impugnazione di più avvisi di accertamento recanti i medesimi rilievi replicati per più periodi d’imposta.
La Commissione quindi propone pertanto due novità di tipo processuale tendenti a rendere più tempestivo l’intervento nomofilattico, con auspicabili benefici in termini di uniforme interpretazione della legge: ciò in diretta attuazione dell’art. 3 Cost. corollario è la prevedibilità delle decisioni e conseguenza del quale è la riduzione del contenzioso.
Il primo istituto, sulla scorta, peraltro, di esperienze straniere (e segnatamente dell’ordinamento francese che conosce la saisine pour avis al quale si fa espresso richiamo, sia pur con tutte le incognite in ordine al legal transplant di un istituto – specie processuale – da un sistema a un altro[8]), è denominato “rinvio pregiudiziale in cassazione”: si tratta di consentire al giudice tributario, in presenza di una questione di diritto nuova, che evidenzi una seria difficoltà interpretativa e che appaia probabile che si verrà a porre in numerose controversie, di chiedere alla Corte di legittimità l’enunciazione di un principio di diritto.
Il secondo istituto che può essere aggiuntivo o sostitutivo rispetto al primo è quello denominato “ricorso nell’interesse della legge in materia tributaria”. Tale strumento consente al Procuratore Generale presso la suprema Corte di formulare una richiesta al Primo Presidente della Corte stessa di rimettere una questione di diritto di particolare importanza che rivesta il carattere della novità o della serialità o che ha generato un contrasto nella giurisprudenza di merito in modo che venga enunciato un principio di diritto nell’interesse della legge, cui il Giudice del merito tendenzialmente deve uniformarsi, salva la possibilità di discostarsene con assunzione di responsabilità e con onere di adeguata motivazione.
I due istituti si fondano, a ben vedere, sui medesimi presupposti da intendersi alternativi tra loro.
La “novità” della questione da intendersi non solo come novità della norma che deve essere oggetto di interpretazione ma anche come assenza di precedenti espressi in termini dalla giurisprudenza di legittimità. Gli strumenti in esame potranno essere quindi utilizzati anche con riferimento a normative meno recenti o risalenti che, tuttavia, non siano state esaminate dal giudice della nomofilachia sotto lo specifico profilo oggetto di dubbio interpretativo.
Deve sussistere poi la particolare importanza della questione e la oggettiva difficoltà di interpretazione della norma, manifestate e conclamate nel formarsi di orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di merito. Tali circostanze possono dipendere dalla oscura formulazione del testo di legge ovvero alla esistenza di disposizioni contrastanti che regolano la medesima materia, ovvero ancora alle difficoltà di coordinamento della legge nazionale con disposizioni di fonte comunitaria o internazionale.
In ultimo, deve prospettarsi quantomeno ex ante al giudice di merito remittente, la serialità della questione. Quando una determinata norma abbia generato un rilevante contenzioso o sia astrattamente idonea ad essere applicata in un numero indeterminato di controversie, in modo tale da definire in modo rapido e per quanto possibile uniforme le stesse.
Tali strumenti processuali, sin qui concordi, divergono nella concreta modalità di applicazione da parte degli operatori chiamati a darvi attuazione.
Il rinvio pregiudiziale, infatti, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice tributario del merito e necessita quindi di un filtro particolarmente rafforzato, per evitare il rischio di un eccesso di ordinanze di rinvio che sortirebbe l’effetto opposto rispetto a quello sperato, gravando la Corte di un numero inaccettabile e inutile di ordinanze di rinvio.
Si prevede pertanto un vero e proprio filtro di ammissibilità affidato al Primo Presidente, che potrà avvalersi anche dell’Ufficio del Massimario, per una valutazione preliminare di ammissibilità che non preveda oneri motivazionali in caso di restituzione al Giudice per mancanza dei presupposti legittimanti il rinvio. Potrebbe qui risultare sufficiente, per negare l’accesso al procedimento incidentale di fronte alla Corte, il rilievo del difetto delle condizioni previste per l’instaurazione, o il mero rimando ad una pronuncia della Corte stessa che abbia medio tempore risolto la questione proposta, o ancora l’indicazione dello ius superveniens che risulti anch’esso risolutivo.
Il rischio di abuso dell’istituto qui paventato non sussiste con riferimento al secondo istituto proposto: l’affidamento dell’iniziativa alla Procura Generale della Corte di Cassazione, alla quale ben potrebbero comunque rivolgersi con apposite istanze sia il contribuente sia l’Amministrazione Finanziaria, segnalando l’opportunità di intervenire, è cautela idonea. La garanzia di equilibrio dell’Ufficio, peraltro, avrebbe potuto condurre la Commissione a prevedere la obbligatoria partecipazione, con onere di dare proprio parere, in sede di valutazione da parte del Primo Presidente in ordine all’ammissibilità del rinvio alla Suprema Corte onde consentire al decidente – nell’esercizio di una funzione del tutto monocratica – di fruire di un importante contributo dell’amicus curiae.
Altra differenza tra gli istituti dovrebbe risiedere nella diversa natura e forze del principio di diritto enunciato: ove la Corte esprima il principio di diritto richiestole, andrebbe prevista la sua natura vincolante solo nel caso del rinvio pregiudiziale e solo per il giudice che ha sollevato la questione in quei termini trattati e risolti dal Giudice della Legittimità, non diversamente da quanto accade in sede di giudizio di rinvio nel sistema ora vigente.
Nell’altro caso, resta fermo che l’interpretazione della Corte di Cassazione costituirà un autorevole precedente, al quale il giudice del merito potrà fare riferimento e dal quale difficilmente potrà discostarsi, sicuramente previo adempimento ad un onere motivazionale supplementare.
Infatti, una decisione del giudice di merito “difforme” dai precedenti della Cassazione, soprattutto se pronunciati dalle Sezioni Unite, “immotivata”, o “gratuita” o “immediata” può avere conseguenze anche in termini di responsabilità disciplinare a carico del giudice di merito stesso.
5. Le proposte modifiche ordinamentali e organizzative: la copertura dei posti di organico in Cassazione
La relazione della Commissione “Della Cananea” si sofferma anche sull’esigenza di coprire urgentemente i vuoti nell’organico della Corte Suprema di Cassazione, onde definire il gravoso arretrato, proprio nella Sezione Tributaria, ulteriormente incrementato dalla temporanea sospensione delle attività giudiziali durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.
Si ritiene nel documento che tale esigenza, come si legge nella relazione illustrativa della parte a ciò dedicata, possa essere soddisfatta dall’adozione di una norma che impieghi presso la Corte di Cassazione i magistrati del Massimario che, oltre ad aver maturato un quadriennio di servizio presso
l’Ufficio (e, cioè, il minimo previsto per il tramutamento ex art. 194 ord. Giud.), abbiano già svolto le funzioni di legittimità presso la sezione tributaria per un biennio o che siano prossimi alla maturazione di tale significativa e formativa esperienza.
L’Ufficio del Massimario e del Ruolo era composto – prima della modifica apportata dall’art. 74, comma 1, lett. a), d.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98 – da 37 magistrati, la cui attività era rivolta a supporto dell’esercizio delle funzioni di legittimità attraverso a) l’ordinata catalogazione dei precedenti della Corte Suprema (analisi dei provvedimenti e stesura delle massime), b) l’individuazione e la segnalazione di contrasti, problematiche meritevoli di attenzione, novità normative o giurisprudenziali, c) la predisposizione di relazioni e approfondimenti rivolti alle Sezioni Unite e alle Sezioni Semplici per la risoluzione delle controversie, d) l’elaborazione di rassegne periodiche tese a ricostruire l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità.
La predetta norma – aggiungendo un comma all’art. 115 Ord. Giud. – ha elevato il numero dei componenti dell’Ufficio a 67 magistrati e – fermo il principio secondo cui «Le attribuzioni dell’ufficio del massimario e del ruolo sono stabilite dal primo presidente della corte suprema di cassazione, sentito il procuratore generale della Repubblica» (art. 68, comma 3, Ord. Giud.) – ha istituito il compito di «assistente di studio», magistrato dell’Ufficio destinato alle Sezioni della Corte con compiti nuovi e con specifica facoltà di assistere alle camere di consiglio, pur senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione (art. 74, comma 1, lett. b), d.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98).
Successivamente, l’art. 1, comma 1, D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, ha inciso sul già menzionato art. 115 Ord. Giud., aggiungendo ulteriori due commi e ha previsto la possibilità, per il Primo Presidente, di disporre l’applicazione dei magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo con anzianità di servizio nel predetto ufficio non inferiore a due anni, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, alle sezioni della Corte per lo svolgimento vero e proprio delle funzioni giurisdizionali di legittimità.
In seguito, l’art. 1, comma 980, Legge 27 dicembre 2017, n. 205, con disposizione temporanea la cui efficacia è cessata il 31 dicembre 2020, ha stabilito che i magistrati dell’Ufficio possano essere applicati esclusivamente alla sezione tributaria (sezione quinta civile della Corte). Dal 2021, i magistrati del Massimario sono tornati a potere essere applicati anche alle altre Sezioni civili e alle Sezioni penali per lo svolgimento delle funzioni di legittimità.
L’art. 1, comma 379, della Legge 30 dicembre 2018, n. 145 ha previsto poi un aumento del ruolo organico del personale della magistratura ordinaria e aumentato il numero dei posti nella Corte di Cassazione.
La proposta normativa, analogamente a quanto operato in passato (art. 5 d. Lgs. 23 gennaio 2006, n. 24), prevede la destinazione (su domanda) dei magistrati del Massimario alla copertura delle vacanze della Corte di cassazione, la cui pianta organica è stata recentemente aumentata; costituiscono requisiti per tale destinazione 1) il possesso di una effettiva anzianità di servizio presso l'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione di almeno 4 anni (ex art. 194 ord. Giud.), anche maturata entro un anno dall'entrata in vigore della norma; 2) lo svolgimento delle funzioni di legittimità in applicazione alla sezione tributaria per almeno due anni (requisito che identifica, tra i vari magistrati, coloro che già abbiano acquisito o che, stanti le perduranti applicazioni, acquisiscano, nell’anno successivo all’entrata in vigore della norma, la peculiare attitudine all’esercizio delle predette funzioni).
Proprio per far fronte al gravoso carico incombente sulla Sezione Tributaria si prevede che i magistrati del Massimario destinati alla copertura dei posti vacanti di consigliere della Corte di cassazione siano assegnati alla Sezione tributaria per un periodo non inferiore a quattro anni.
Ritengo sul punto che la soluzione di ricorrere ai magistrati del Massimario sia non solo coerente con la funzione di centro culturale della Corte che l’ordinamento assegna a quell’Ufficio, ma risulti anche adeguata sul piano funzionale e organizzativo.
L’Ufficio del Massimario costituisce infatti un’importante struttura ausiliaria della Corte, il cui compito tradizionale consiste nell’analisi sistematica della giurisprudenza di legittimità, poi trasfusa in una capillare attività di massimazione dei provvedimenti, nella redazione a supporto dell’attività delle Sezioni unite e delle Sezioni ordinarie di relazioni periodiche e nella effettuazione di ricerche di legislazione, dottrina e giurisprudenza.
Se quindi, come scrive autorevole dottrina la cui affermazione pienamente condivido “specializzazione e circolazione, dei saperi e delle esperienze, sono, infatti, valori e indirizzi equiordinati, da preservare religiosamente”[9], è evidente che l’ingresso nella sezione tributaria e il ritorno al Massimario garantisce proprio tali effetti sia per i magistrati del massimario che veicolano quanto è oggetto della circolazione, sia per i magistrati della sezione tributaria, che arricchiscono quanto è oggetto della propria specializzazione nel confronto con i primi.
È quindi da auspicare convintamente che la riforma, sotto questo profilo, mantenga ferma l’integrazione in parola e anzi ne valorizzi e renda sistematica l’occorrenza accogliendo con decisione la sollecitazione proposta dalla Commissione nel contributo in commento.
[1] Ampio lo spazio che dedica questa Rivista; si vedano gli articoli che precedono questo contributo a firma di Alberto Marcheselli e Luigi Salvato. Si registrano invece commenti alle più sintetiche e meno specifiche, come è naturale, “Linee programmatiche sulla giustizia” tracciate dal nuovo Ministro Guardasigilli Marta Cartabia, emerito presidente della Corte costituzionale, in data 14 marzo 2021: si veda (con il consueto tono salace) Glendi Cesare, Riforma della giustizia tributaria: (finalmente) verso un conclusivo approdo, in Diritto e pratica tributaria, n. 3 del 2021, pag. 1278 e seguenti.
[2] Chi scrive ha preso parte, nel contesto delle attività della EJTN (European Judicial Training Network, la piattaforma comunitaria che promuove la formazione e lo scambio di conoscenze tra giudici dell’Unione), a un periodo di formazione presso la UK Supreme Court, vertice delle giurisdizioni (inclusa quella Costituzionale) del Regno Unito. Quella Corte, che svolge nell’ordinamento britannico per l’appunto la funzione di Corte di cassazione, di Consiglio di Stato e di Corte Costituzionale negli ordinamenti di civil law, ha esaminato nel 2019 unicamente 83 (proprio ottantatré!) casi. In quell’ordinamento, però, tale Corte “hears appeals on arguable points of law of general public importance; concentrates on cases of the greatest public and constitutional importance maintains and develops the role of the highest court in the United Kingdom as a leader in the common law world” (sottolineatura aggiunta - https://www.supremecourt.uk/about/role-of-the-supreme-court.html).
[3] https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/875-verso-il-processo-telematico-in-cassazione
[4] https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/Finale_PNRR.pdf
[5] https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/recovery-plan-priorita-riforma-riti-tagliare-durata-processi-ADDJbu6
[6] La Corte costituzionale in numerose occasioni si è pronunciata a favore della legittimità dei condoni fiscali (per tutte C. cost., 23.7.1980, n. 119; C. cost., 26.2.1981, n. 33; C. cost., 7.7.1986, n. 172; C. cost., 23.7.1992, n. 361; C. cost., 13.7.1995, n. 321; C. cost., 16.12.2004, n. 433; C. cost., 7.7.2005, n. 305; C. cost., 13.7.2007, n. 270), in quanto “l’istituto del condono costituisce una forma tipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti dei redditi ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria ed immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso e non in quella dell’accertamento dell’imponibile”.
[7] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/CJE_08_55
Sarà perdonato il rimando, sul tema, al mio Succio R., Comparazione delle procedure di soluzione dei conflitti in materia tributaria nei sistemi italiano e statunitense, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza della Università del Piemonte Orientale, Giuffrè, 2012.
[9] https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/1852-aspettando-godot-note-minime-e-minoritarie-a-margine-della-proposta-di-riforma-della-giustizia-tributaria-di-alberto-marcheselli