La discussa natura della fattispecie di cui al comma 3 art. 12 T.U. immigrazione dopo l’intervento delle Sezioni Unite di Ginevra Iacobelli
Le Sezioni unite con sentenza n. 40982/2018 hanno qualificato il comma 3 dell’art. 12 t.u. imm. come circostanza aggravante della fattispecie base di cui al comma 1 sulla scorta di un raffronto strutturale tra fattispecie. Si rileva, però, l’assenza di valutazione della clausola di apertura “salvo che il fatto costituisca più grave reato” che, invero, pare propendere per la qualifica della previsione in termini di fattispecie autonoma.
Sommario: 1. Inquadramento della questione. -2. Il rilievo della questione. 3. La decisione delle Sezioni Unite, i dubbi che restano. 3. La decisione delle Sezioni Unite, i dubbi che restano
1. Inquadramento della questione
Il D.lgs 286/98 (d’ora in poi T.U. immigrazione) è al centro di vivo dibattito interpretativo.
In questo filone si inserisce la recente sentenza delle Sezioni Unite 40982/2018 che qualifica l’art. 12, co. 3 del T.U. quale circostanza aggravante della fattispecie base di cui al comma 1 dello stesso articolo.
L’analisi della decisione passa, necessariamente, per la fissazione della previsione normativa che al suo primo comma prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 15.000 per ogni persona”.
L’art. 12 al comma 3 t.u. imm., riproponendo la medesima costruzione del primo comma dispone che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti”.
La tecnica legislativa di riprodurre la descrizione della condotta, definita “insolita” dalle stesse Sezioni Unite è, evidentemente motivo di contrasto sulla natura da attribuire al comma 3.
2. Il rilievo della questione.
E’ noto che la scelta di elevare un elemento naturalistico a circostanza del reato derivi unicamente da una libera decisione, potestativa e discrezionale, del legislatore, anziché da una sua presa d’atto dell’esistenza di un dato naturalistico definibile già ex ante, al di fuori del diritto, come circostanza o come elemento essenziale.
Uno stesso dato può, in teoria, essere assunto dal legislatore quale circostanza in senso tecnico, ovvero quale elemento costitutivo di un autonomo reato, come risulta espressamente dallo stesso disposto letterale dell’art. 61 c.p. (“aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali”), dell’art. 62 c.p. (“attenuano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti”) e dell’art. 84 c.p. (“la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti..). Non esiste alcuna differenza ontologica tra elementi circostanziali (o accidentali) ed elemento costitutivi (o essenziali) del reato. Si pensi alla tormentata figura dello spaccio di sostanza stupefacente di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, c.p. – pur richiamata dalle S.U. - prevista come circostanza attenuante fino alla riforma del 2012 che ne ha mutato la natura, trasformandola in fattispecie autonoma.
La questione non è meramente teorica poiché notevolissima è la differenza di disciplina sia sostanziale che processuale. Basti penare, come conseguenza di maggior rilievo pratico, che solo le circostanze sono soggette al giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p.
La qualificazione di un elemento come circostanza ovvero come elemento costitutivo del reato è, allora, foriera di importanti implicazioni pratiche.
Frequenti sono casi in cui il legislatore non fornisce una qualificazione espressa, né criteri generali di risoluzione, sicché spesso uno stesso elemento è stato qualificato ora come circostanza aggravante, ove come elemento costitutivo di reato autonomo (tra i casi più controversi figurano le fattispecie di cui agli artt. 319ter c.p. rispetto ai reati di cui agli artt. 318 e 319 c.p.; 378, co.3, c.p. rispetto al reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378,co.1, c.p.; 609octies c.p. rispetto al reato di violenza sessuale; 624bis e 626 c.p. rispetto al reato di furto di cui all’art. 624; art. 640bis c.p. rispetto al reato di truffa di cui all’art. 640 c.p.),
Se, come detto, il legislatore è libero di assumere un dato fattuale nell’una o nell’altra categoria, per risolvere la questione bisogna necessariamente accertare quale sia esattamente la voluntas legis.
La soluzione non è però semplice, perché gli indizi positivi a disposizione dell’interprete per risalire a questa volontà sono spesso incerti ed ambigui, sicché gli approdi giurisprudenziali e dottrinali risultano travagliati e contrastanti.
La dottrina e la giurisprudenza hanno, così, individuato taluni criteri per accertare la volontà legislativa in ordine alla qualificazione circostanziale o costitutiva di una fattispecie quando, come accade nella maggior parte dei casi, essa non sia espressamente manifestata. I criteri utilizzati sono di natura testuale o topografica, di natura strutturale o di natura teleologica. Primo tra i criteri probanti è stato inteso il rapporto di specialità, pur richiamato da orientamento che qualificava il co. 3 dell’art. 12 t.u. immigrazione quale circostanza aggravante.
3. La decisione delle Sezioni Unite, i dubbi che restano.
Ebbene, le Sezioni Unite, proprio richiamando il criterio strutturale, pur non espressamente facendo riferimento al criterio di specialità, richiamato per individuare le ragioni dell’orientamento giurisprudenziale che qualificava la fattispecie di natura circostanziale, sembrano far riferimento proprio alla specificazione per aggiunta.
Significativamente si afferma che “il criterio strutturale ben si attaglia alla fattispecie dell'art. 12, comma 3 T.U. imm. In effetti, in conseguenza della ripetizione della descrizione della condotta presente nel primo comma, risulta evidente che gli elementi essenziali della condotta non mutano, mentre le ipotesi descritte dalle lettere da a) ad e) riguardano elementi ulteriori, che non sono necessari per la sussistenza del reato e che, secondo valutazioni del legislatore, rendono più grave la condotta posta in essere”.
È bene, però, chiarire che è unanimamente condivisa l’idea che la specialità non assurga ad elemento determinante.
La relazione di specialità assurge, infatti, a precondizione del sorgere del problema della qualificazione in termini di circostanza o di reato autonomo. La fattispecie circostanziale, se è vero che svolge la specifica funzione di modificare tipologia o entità della risposta sanzionatoria riferibile ad un reato già integrato in ogni aspetto, deve includere necessariamente tutti gli elementi della fattispecie del reato semplice, con uno o più elementi specializzanti (per aggiunta o per specificazione); se questo non si verifica è senza dubbio da escludere che la fattispecie possa qualificarsi come circostanza del reato.
Il solo criterio di specialità, invero, non è di per sé risolutivo poiché è condizione necessaria, ma non sufficiente a fondare la natura circostanziale di una fattispecie, dal momento che anche un titolo autonomo di reato può risultare speciale rispetto ad un altro reato ( è il caso dell’infanticidio – art. 578 c.p.- che è speciale rispetto all’omicidio – art. 575 c.p.- eppure reato autonomo e distinto da esso).
La risposta, allora, non può essere nella sola specialità, senza la quale nemmeno si porrebbe un problema di qualificazione della fattispecie in termini di circostanza aggravante o fattispecie autonoma.
La Corte ammette che la riproduzione integrale della descrizione della condotta, come avviene nel terzo comma rispetto al primo comma dell’art. 12 t.u., è insolita, ma ottiene lo stesso risultato che avrebbe avuto un rinvio per relationem.
In tal senso le S.U. Fedi – richiamate più volte dalle Sezioni Unite – hanno sostenuto la natura di circostanza aggravante dell’art. 640 bis c.p. affermando che, “allorché una fattispecie speciale rispetto ad altra fattispecie, risulti altresì descritta per relationem ad essa, dovrebbe senz’altro essere ritenuta circostanziale”.
Sicuramente non erra la Corte nell’affermare che una ripetizione pedissequa della condotta non fa altro che realizzare lo stesso effetto del rinvio per relationem, ma a ben vedere, l’art. 12 t.u. imm si colora di una specialità rispetto alla norma oggetto della decisione Fedi.
L’art. 12, co. 1, t.u. imm si apre, infatti, con la clausola, nota al legislatore, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Clausola ripetuta nel comma 3 dello stesso articolo.
Ebbene, è noto che tale clausola tradizionalmente è utilizzata per affermare la natura di fattispecie autonoma della fattispecie. Non sfugge all’interprete che è proprio con l’ingresso della clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato” che il legislatore ha inteso riqualificare il fatto di lieve entità in materia di stupefacenti.
Proprio sulla scorta del rilievo strutturale, allora, fattispecie di cui al comma 3, più che come circostanza aggravante, parrebbe avere la natura di fattispecie autonoma, salvo a voler considerare la ripetizione anche della clausola “salvo che il fatto costituisca più grave reato” nel comma 3 dell’art. 12 t.u. come mera “sciatteria o dimenticanza del legislatore”, ma per vero l’affermazione non persuade.
Del resto, la qualifica della previsione come fattispecie base renderebbe ragione alla previsione del comma 3 ter dello stesso articolo che dispone “Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata”, senza necessità di andare ad interpretare la previsione come “fatti di cui al primo comma, come aggravati dal terzo”, come hanno fatto le Sezioni Unite.
Riconosciuta la natura di fattispecie autonoma del comma 3 dell’art. 12 t.u.imm. pare comunque indiscutibile ricondurre le ipotesi del reato de quibus a reato di evento, stante l’espressa punibilità di “chiunque compie atti diretti a produrre l’ingresso”. La permanenza, alternativamente prevista alla lett. a) non pare escludere la natura di reato di pericolo della fattispecie, avendo riguardo ad attività di agevolazione realizzate “autonomamente e posteriormente” rispetto all’ingresso, conformemente alle esigenze sorte dopo la legge Martelli (in cui le condotte successive all’ingresso integravano post facta non punibili) e attuate dal legislatore del’98. In tal senso, il sensibile aumento sanzionatorio, rispetto alla fattispecie base di cui al primo commo, parrebbe giustificato dagli elementi aggiuntivi alla fattispecie previsti dalle lett. da a) ad e).