La giustizia penale internazionale è sempre stata vista come un complemento necessario dell’ordine mondiale nato dalla Seconda Guerra Mondiale, basato sul multilateralismo e sul rispetto dei principi della Rule of Law.
Lo Statuto di Roma fu quindi salutato come uno strumento fondamentale di enforcement di quei principi, reso via via più completo per l’estensione del catalogo dei delitti nelle attribuzioni del Tribunale Penale Internazionale (International Criminal Court – d’ora in poi ICC), fino alla recente previsione del crimine di aggressione.
La ICC in realtà è solo una delle articolazioni della Giustizia penale internazionale, dovendosi considerare anche i Tribunali instituiti su deliberazione delle Nazioni Unite, Tribunali ad Hoc, o tramite la cooperazione tra le NU e Stati nazionali.
Il carattere innovativo della ICC è però costituito dalla sua stabilità e universalità e dall’affermazione di principi ritenuti viventi nel diritto consuetudinario, come la imprescrittibilità, la non amnistiabilità, l’assenza di privilegi di immunità, espressione della necessità – anche questa ritenuta consuetudinariamente vivente nel diritto internazionale – che i più gravi crimini contro l’umanità o di guerra siano perseguiti e puniti.
Tuttavia, la non sottoscrizione del Trattato di Roma da parte di nazioni particolarmente importanti, quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, hanno sin dall’inizio determinato gravi difficoltà, acuitesi in tempi recenti. Difficoltà moltiplicate dal fatto che i tre Paesi appena citati sono anche componenti di diritto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, organismo cui competono significativi poteri sulla base del Trattato.
Queste difficoltà possono ritenersi anche alla base delle critiche, rivolte spesso da Paesi del c.d. Sud del Mondo, alla Giustizia internazionale, vista come rivolta esclusivamente alle violazioni che accadono in tali aree, e sostanzialmente inefficace rispetto alle potenziali violazioni dei Paesi occidentali o delle grandi potenze.
Sono, a mio parere, due i fenomeni concomitanti e interrelati che hanno determinato l’attuale grande incertezza sulla ICC
Innanzitutto, la fine della impunità – almeno per il momento sotto il profilo procedimentale – delle grandi potenze, con le misure cautelari emesse a richieste del Procuratore (Office of The Prosecutor – d’ora in poi OTP) nei confronti del Capo dello Stato in carica della Russia (Valdimir Putin) e dei Governanti israeliani (Primo Ministro Netanyahu e il Ministro Gallant); nazioni entrambe non aderenti al Trattato di Roma.
In secondo e più ampio luogo, per via della crisi dell’ordine mondiale multilaterale, per il progressivo abbandono della partecipazione negli Organi della multilateralità e per il ricorso diretto alle armi per la risoluzione delle controversie, anche territoriali.
È arduo discutere del ruolo attuale della ICC e delle sue difficoltà, senza inquadrare l’uno e le altre nella più generale e risalente crisi delle Nazioni Unite (e ora anche di altri organi del multilateralismo, come l’OMS).
Le reazioni di Stati Uniti e Russia all’avvio delle indagini costituisce un punto davvero grave, senza precedenti, nel diritto internazionale. La reazione più grave è quella della Federazione Russa, che ha emesso un ordine di cattura nei confronti di giudici della ICC. Inoltre, l’adozione di misure, peraltro di particolare gravità, adottate anche con Ordine Esecutivo dal Presidente Trump (6 febbraio 2025), colpisce non solo chi ne è diretto bersaglio, il procuratore Khan, ma tutti coloro che forniscono in qualunque modo aiuto e sostegno alla ICC. Ciò ha già determinato significative dimissioni da parte di componenti della struttura della ICC, che hanno necessità di viaggiare negli Stati Uniti o che in essi vivono.
Già in passato, nel primo mandato presidenziale, Trump aveva emesso un EO di congelamento di beni e di restrizioni in accesso e nei viaggi, nei confronti della Procuratrice Fatou Bensouda, per accertamenti su violazioni asseritamente commesse da soldati statunitensi in Afghanistan, ordine poi revocato dal presidente Biden.
Si pone quindi con urgenza il tema di come realizzare efficacemente la tutela dei giudici, dei procuratori e della struttura organizzativa, come previsto dallo Statuto di Roma.
Dal punto di vista tecnico-interpretativo, due sono i quesiti principali, emergenti anche dall’ Executive Order appena menzionato.
Il primo riguarda le attribuzioni della ICC rispetto a Paesi che non sono parte del Trattato o a cittadini di tali Paesi. La questione è stata in passato ampiamente discussa dagli organi della giustizia penale internazionale. Essa può essere considerato un tema dell’approfondimento seminariale.
Sulla base dei provvedimenti della ICC e come possibile oggetto di discussione, segnalo i criteri applicati per affermare la giurisdizione internazionale nel conflitto israelo-palestinese, considerando che Israele non è Stato parte, mentre la Palestina (a sua volta non riconosciuta da tutti i contraenti) ha accettato tale giurisdizione:
1. Crimini commessi da cittadini di Stati parte o di cittadini di Stati non parte commessi nel territorio dei primi
2. Principio di complementarità ex art. 17 (la giurisdizione nazionale prevale solo se non vi è difetto di volontà o capacità di perseguire i crimini)
3. Conflitto internazionale armato (Israele – Palestina) in parallelo a conflitto armato non internazionale (Israele – Hamas)
La questione della immunità dei Capi di Stato o di governo è anch’essa centrale, non solo per via del rifiuto della Mongolia di eseguire la misura nei confronti di Putin, ma perché costituisce un nodo fondamentale circa l’effettività dell’azione della giustizia, mentre sono in corso le condotte illecite.
Oggetto della discussione seminariale potrebbe essere quindi il rapporto tra l’art. 27, comma 2, del Trattato, che espressamente esclude l’immunità per i crimini previsti dal Trattato, e l’art. 98, che sembrerebbe prevedere un’eccezione quando ciò comporterebbe per lo Stato richiesto di agire inconsistently with its obligations under international law with respect to the State or diplomatic immunity”.
Anche su tale questione vi sono pronunce risalenti della Camera d’Appello della ICC.
Entrambe le questioni si sono poi intersecate con quella relativa all’esercizio del potere di azione. Questo è attribuito sia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che al OTP. In quest’ultimo caso emerge il tema dei criteri cui l’ufficio deve attenersi e degli strumenti volti ad assicurarne l’imparzialità.
Il punto è centrale. Ad esempio, esso è emerso a proposito della contestualità dell’azione sia nei confronti di Hamas, pur essendo evidenti le responsabilità dell’organizzazione e dei suoi capi sin dal giorno dopo gli attacchi del 7 ottobre, così come evidente la violazione di plurime fattispecie di delitti contro l’umanità e di guerra, e di Israele, le cui condotte furono successive e pongono – almeno per alcune – questioni circa l’uso da parte di Hamas di ostaggi e di strutture civili a protezione di strutture militari.
I meccanismi di selezione del Prosecutor e dello staff e di successive garanzie di stabilità, sono tali da assicurare, oltre alla professionalità, anche l’indipendenza?
L’art. 53 dello Statuto prevede criteri per l’attivazione delle investigazioni e per i casi di non esercizio dell’azione; questa previsione è poi dettagliata nelle Regulations of the Office of the Prosecutors, in particolare 29 e ss.
Oltre al controllo da parte della Sezione istruttoria della ICC (Pre-trial Chamber) sia per l’autorizzazione alle indagini sia per alcuni casi di dismissione, quali sono le misure in genere adottate? I criteri predeterminati sopra menzionati sono risultati efficaci? Le decisioni sono gerarchiche o hanno profili formalizzati di collegialità (come nel caso di EPPO)?
La ICC non dispone di proprie strutture di polizia giudiziaria, cosicché deve rivolgersi per le attività di indagine e per l’esecuzione dei propri provvedimenti, agli Stati nazionali, che sono obbligati a collaborare sulla base delle previsioni del Trattato.
Gli Stati devono, di conseguenza, adeguare la propria normativa interna per rendere possibile la più efficace delle cooperazioni.
Questo deve avvenire innanzitutto dal punto di vista sostanziale, adeguando le previsioni interne dei delitti punibili e le statuizioni sostanziali a ciò correlate (imprescrittibilità, ecc.). Anche se da un eventuale mancanza di adeguamento non deriverebbero ostacoli, trattandosi di delitti e di previsioni discendenti direttamente dal diritto internazionale, la chiara previsione dei delitti agevolerebbe la cooperazione e consentirebbe casi di diretto esercizio nazionale della giurisdizione, quando ne ricorrano i presupposti.
L’Italia ha istituito una Commissione (Commissione Palazzo - Pocar) che ha redatto un testo di possibili interventi, nel 2023 recepito in parte in uno schema di disegno di legge governativo, mai presentato in Parlamento. L’articolato della Commissione contiene molti spunti di interesse, anche al fine della interpretazione di alcune delle questioni discusse innanzi. Ad esempio, l’art. 7 comma 2, espressamente riconosce che l’immunità dei Capi di Stato non può essere opposta alla ICC (“…. fatti salvi gli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale previsti dalla legge 20 dicembre 2012 n. 237 e con gli altri tribunali penali internazionali eventualmente competenti”), mentre l’art. 16 prevede che nessuno dei crimini sia prescrittibile.
Utile anche la definizione dei crimini di genocidio (declinati secondo le diverse ipotesi, risultanti dall’esperienza degli anni del dopoguerra), contro l’umanità e di guerra (anche questi ultimi dettagliatamente descritti, anche se non del tutto coincidenti con l’estensione recente nel diritto internazionale a forme di guerra e all’utilizzo di strumenti specifici). Particolarmente importante sembra la previsione e l’espressa indicazione degli elementi costitutivi del delitto di aggressione, in attuazione dell’art. 8 bis dello Statuto, previsione adottata nel 2010 e divenuta operativa nel 2018. Tale crimine, nello Statuto di Roma, come emendato, prevede una serie di garanzie aggiuntive coinvolgenti il Consiglio di Sicurezza delle UN, agli artt. 15 bis e ter.
Potrà costituire punto di discussione nell’incontro la completezza e adeguatezza dell’articolato, così come le ragioni per le quali il testo governativo è stato nella sostanza ritirato. Si intende procedere sulla strada dell’adeguamento o – in caso negativo – quali sono le prospettive alternative per recepire le indicazioni pattizie?
In conclusione, dovremmo interrogarci sulla adeguatezza dal punto di vista delle previsioni sostanziali della disciplina nazionale.
Certamente più rilevante è il tema procedurale. Al di là dei casi singoli, questo tema è da tempo oggetto sia della riflessione scientifica che del contenzioso nella ICC.
Il punto centrale è costituito dalle intrinseche caratteristiche della giurisdizione penale internazionale, che esercita un’attribuzione sovranazionale originaria e che dunque non segue strettamente le norme sulla cooperazione giudiziaria (gli Stati parte sono obbligati a fornire cooperazione piena e non valgono gli ordinari criteri di limitazione, ad esempio circa il carattere “politico” del crimine) o quelle sulla estradizione per la consegna.
Ciò porta a interrogarsi sui limiti del sindacato che può essere esercitato dagli Stati nazionali sulla legittimità e fondatezza delle richieste di assistenza o di consegna, ai sensi degli artt. 58 e 59 dello Statuto (quest’ultimo recita It shall not be open to the competent authority of the custodial State to consider whether the warrant of arrest was properly issued in accordance with article 58, paragraph 1 (a) and (b).).
Margini che, anche sulla base della giurisprudenza delle Corti, sono assai ristretti e soprattutto dovrebbero portare non al rifiuto di collaborazione ma all’interlocuzione con la ICC, cui dovrebbe spettare la decisione finale.
In questo contesto, il ruolo della valutazione politica appare essere del tutto ridotto. Anche l’esercizio dei poteri derivanti dalla tutela della sicurezza nazionale appare contenuto nella disciplina richiamata.
Qual è dunque il ruolo rispettivo dell’autorità politica (il Ministro della Giustizia, cui compete l’interlocuzione con la Corte), di quella giudiziaria nazionale e della ICC?
Quello della effettiva cooperazione degli Stati nazionali è problema che condiziona significativamente la ICC.
Nel periodo 2019 – 2020 solo il 58% delle richieste ha avuto risposta positiva. Nel periodo 2022-2023 questa percentuale è calata al 38.5% (dati estratti dal documento della IBA, Strengthening the International Criminal Court and the Rome Statute System: A Guide for States Parties Second Edition, Ottobre 2024).
In caso di mancata cooperazione, il rimedio della segnalazione all’Assemblea degli Stati parte può considerarsi effettivo? Quali sono stati gli esiti dei casi di devoluzione all’Assemblea? Esistono altri strumenti di sanzione o coercizione degli Stati nazionali?
*La Fondazione Vittorio Occorsio organizza, con Taobuk, nell’ambito del Festival 2025, un incontro cui partecipano il giudice Rosario Aitala, primo vicepresidente della Corte penale internazionale, il Viceministro Francesco Paolo Sisto, l’on.le Luciano Violante, già presidente della Camera dei Deputati, e Nicoletta Parisi, professoressa di diritto internazionale. L’incontro sarà presentato da Vittorio Occorsio e coordinato da Giovanni Salvi.
Obiettivo dell’incontro è mettere a fuoco i problemi che la transizione verso un ordine mondiale diverso da quello che ha retto il mondo dal 1945 determina per la Giustizia penale, emersi con drammatica evidenza negli ultimi anni, soprattutto a causa dei conflitti in Ucraina e in Palestina. L’approccio prescinderà dall’esame delle singole vicende per cercare di individuare le possibili prospettive.