In seguito alla concessione dell’autorizzazione a procedere, è stato disposto il giudizio nei confronti del Sen. Matteo Salvini, all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno, per i delitti di sequestro di persona aggravato e di rifiuto di atti d’ufficio per non avere esitato positivamente, senza giustificato motivo, le richieste di place of safety provenienti dalla nave Open Arms, che aveva effettuato il salvataggio di migranti.
Due giorni fa la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Pubblici Ministeri dott.ssa Marzia Sabella, dott. Calogero Ferrara, dott.ssa Giorgia Righi, ha rassegnato le sue conclusioni.
La vicenda processuale, e le conclusioni del Pubblico Ministero, hanno sollevato enorme clamore mediatico, come noto.
Riteniamo pertanto opportuna la pubblicazione del testo della requisitoria.
Nel corpo della stessa è stato affrontato il tema della necessità per il Governo di indicare un "porto sicuro" a norma di legge per l'imbarcazione e la violazione delle norme internazionali in tema di soccorso in mare, partendo da una ricostruzione del quadro normativo in tema di soccorso in mare, gli accordi tra Stati per l'indicazione del porto sicuro e l'individuazione di posto sicuro come obbligo di risultato, le competenze e le responsabilità in materia del Ministero dell'Interno e la nozione di soccorso in mare. Si è poi passati ad una disamina dei fatti e delle risultanze processuali per concludere con l'analisi delle ragioni giuridiche per cui l'organo dell'accusa ha ritenuto perfezionati i reati contestati e individuato nell'imputato il responsabile di cui ha chiesto la condanna.
QUI SI PUÒ SCARICARE IL TESTO: REQUISITORIA-VOL.
In materia, su Questa Rivista, si veda anche Il Tribunale dei ministri, questo sconosciuto. Annotazioni sparse di Zaira Secchi, La richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Open Arms (1-20 agosto 2019). Nota a Tribunale di Palermo. Collegio per i reati ministeriali, 30 gennaio 2020 di Fulvio Vassallo Paleologo, Atto politico vs giustizia "politica". Quale bilanciamento con i diritti fondamentali? di Roberto Giovanni Conti.
Proc. n. 18138/2019 R.G.N.R.
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo
Al Tribunale di Palermo II Sezione Penale
MEMORIA CONCLUSIONALE DEL PUBBLICO MINISTERO
- art. 121 c.p.p. -
Il Pubblico Ministero,
visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe nei confronti di:
Matteo SALVINI, già Ministro dell’Interno, nato a Milano il 9 marzo 1973,
difeso di fiducia dall’avv. Giulia Bongiorno del Foro di Roma
IMPUTATO
1) per il delitto di cui agli artt. 81, comma 1 c.p., 605 comma 1, comma 2 n. 2) e comma 3 c.p., per avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno pro-tempore, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 147 migranti di varie nazionalità giunti in prossimità delle coste di Lampedusa nella notte tra il 14 ed il 15 agosto 2019; in particolare, in violazione di convenzioni internazionali e di norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani (Convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il soccorso marittimi del 1979 - c.d. Convenzione SAR – Search and Rescue, ratificata con L. 3 aprile 1989, n. 147 e regolamento di attuazione emanato con D.P.R. n. 662/1994; Convenzione UNCLOS – United Nations Convention on the Law Of the Sea, sottoscritta nel 1982 a Montego Bay e ratificata con L. 2 dicembre 1994 n. 689; Risoluzione MSC 167-78 del 20.5.2004; art. 33 della Convenzione di Ginevra, approvata il 28.7.1951 e ratificata con L. 24.7.1954 n. 722,art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo; art. 10-ter D. Lgs. n. 286/1998; L. n. 47/2017) ed abusando dei poteri allo stesso rimessi quale Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, ex art. 1 L. n. 121/1981 ed ex art. 11 comma 1 bis del D. Lgs. n. 286/1998, ometteva, senza giustificato motivo, di esitare positivamente le richieste di POS (place of safety) inoltrate al suo Ufficio di Gabinetto da I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) in data 14, 15 e 16 agosto 2019, così provocando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale dei predetti migranti, costringendoli a rimanere a bordo della nave per un tempo giuridicamente apprezzabile, precisamente, dalla notte tra il 14 ed il 15 agosto 2019 sino al 18 agosto 2019, quanto ai soggetti minorenni, e per tutti gli altri sino al 20 agosto 2019, data in cui, per effetto dell’intervenuto sequestro preventivo della nave, disposto dalla Procura della Repubblica di Agrigento, venivano evacuate tutte le persone a bordo.
Fatto aggravato per essere stato commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età.
Fatto commesso in Lampedusa dal 14 al 20 agosto 2019;
2) per il delitto di cui agli artt. 81, comma 2 c.p. e 328, comma 1 c.p. per avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in violazione di convenzioni internazionali e di norme interne (Convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il soccorso marittimi del 1979 - c.d. Convenzione SAR – Search and Rescue, ratificata con L. 3 aprile 1989, n. 147 e regolamento di attuazione emanato con D.P.R. n. 662/1994; Convenzione UNCLOS – United Nations Convention on the Law Of the Sea, sottoscritta nel 1982 a Montego Bay e ratificata con L. 2 dicembre 1994 n. 689; Risoluzione MSC 167-78 del 20.5.2004; art. 33 della Convenzione di Ginevra, approvata il 28.7.1951 e ratificata con L. 24.7.1954 n. 722, art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo; art. 10-ter D. Lgs. n. 286/1998; L. n. 47/2017; art. 11 comma 1 bis e comma 1 ter D. Lgs. n. 286/1998) indebitamente rifiutato di esitare positivamente le richieste di POS (place of safety) inoltrate al suo Ufficio di Gabinetto da I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) in data 14, 15 e 16 agosto 2019, atto del suo ufficio che, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica, di igiene e sanità, doveva essere compiuto senza ritardo.
Fatto commesso in Lampedusa dal 14 al 20 agosto 2019.
rassegna le seguenti conclusioni.
§ Introduzione
In seguito alla concessione dell’autorizzazione a procedere, è stato disposto il giudizio nei confronti del Sen. Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno, per i delitti di sequestro di persona aggravato e di rifiuto di atti d’ufficio per non avere esitato positivamente, senza giustificato motivo, le richieste di place of safety provenienti da una imbarcazione, la Open Arms, che aveva effettuato tre diversi salvataggi di migranti i quali, pertanto, finirono per raggiungere la terraferma soltanto dopo alcuni giorni dall’arrivo nello specchio d’acqua antistante a Lampedusa e in assenza del pur invocato provvedimento amministrativo ministeriale.
La questione principale, oggetto del processo celebrato innanzi a codesto Tribunale, si è dunque risolta nella sussistenza, o meno, dell’obbligo del Ministro dell’Interno italiano di procedere all’indicazione del posto sicuro per consentire lo sbarco, sul territorio nazionale, delle 147 persone salvate in acque internazionali.
La risposta a tale interrogativo, di per sé indubbia in ossequio alle leggi del mare secondo cui “bisogna dare terra ai naufraghi”, ha impegnato il dibattimento nella ricerca capillare di qualsiasi elemento idoneo ad evidenziare la eventuale non configurabilità di quell’obbligo o il suo venir meno o, più semplicemente, la possibilità di un suo adempimento postergato. Analisi questa che, di converso, ha dovuto considerare l’eventuale corrispondente insorgenza del diritto delle 147 parti offese a vedere immediatamente garantito, da parte dello Stato italiano ove erano sopraggiunte, il bene giuridico della loro libertà personale che la Repubblica tutela nell’art. 13 della sua Carta Costituzionale.
L’istruzione dibattimentale ha dato luogo, così, all’acquisizione di un ampio e variegato materiale probatorio che consente oggi, senza i tentennamenti del dubbio, la completa ricostruzione di una vicenda semplice ma, al contempo, complessa.
La presente memoria, pertanto, si propone di offrire una sintesi ragionata e approfondita che la copiosità delle prove impone, partendo da una breve ricognizione della legislazione sovranazionale e nazionale in materia di soccorso in mare, che costituisce la cornice normativa di riferimento; proseguendo con la minuziosa ricostruzione, giorno per giorno, dei fatti entro cui si intersecano le condotte contestate; concludendo con la lettura incrociata tra tali norme e tali condotte al fine di individuare gli elementi costitutivi dei due delitti contestati.
Per esemplificare l’esposizione, ma anche per rappresentare un altro punto di vista di sicuro pregio, si evidenzia che la relazione conclusiva del Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Palermo del 30 gennaio 2020, con cui è stato disposto l’avvio della procedura prevista dall’art. 9 L. Cost. n. 1/1989, acquisita agli atti per comprovare l’esistenza della condizione di procedibilità, deve ritenersi allegata e parte integrante di questo scritto in quanto fatta propria dal Pubblico Ministero.
§ PARTE I)
LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO GIURIDICO
INTERNO E INTERNAZIONALE
§ 1. Premessa
Occorre, preliminarmente, inquadrare l’alveo normativo delle condotte per cui si procede, e cioè la legislazione - frutto di una molteplicità di fonti, di diritto nazionale e sovranazionale - che disciplina il trattamento del soccorso delle vite in mare e impone precisi obblighi agli Stati al fine di garantire e salvaguardare, sempre e comunque, la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, particolarmente coinvolti durante le traversate in mare considerate da sempre situazioni di potenziale pericolo.
Tale disamina risulta vieppiù imprescindibile anche per fugare alcuni equivoci di fondo, in cui vi è il rischio di incorrere, laddove ai medesimi fatti si desse una diversa sottolineatura normativa - del resto più volte richiamata dalla difesa e dagli atti ministeriali emanati durante la vicenda che ci occupa - come, appunto, quella relativa al contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani, sì da traghettare impropriamente l’odierna fattispecie in contesti alieni ma egualmente inidonei, come si preciserà più avanti, a interferire sugli obblighi gravanti sugli Stati in tema di soccorso in mare e sulle consequenziali responsabilità derivanti a carico di coloro che omettono di conformarvisi.
Bisogna, dunque, sottolineare, a chiare note e sin d’ora, che i delitti contestati hanno come presupposto il verificarsi di taluni eventi SAR (search and rescue o ricerca e soccorso); eventi che, coinvolgenti, in primis, il bene della vita e della salute umana, trovano particolare tutela nella normativa sovranazionale e nazionale.
Ci si riferisce, in primo luogo, ai tre salvataggi in mare operati dalla Open Arms (1, 2 e 9 agosto 2019) in acque non territoriali, nonché ad un quarto evento, come si avrà modo di spiegare, del 14/15 agosto 2019 verificatosi in acque nazionali, nei pressi di Lampedusa, quando, anche secondo affermato dal Tribunale per i reati ministeriali, si era venuta a delineare una situazione di tale gravità ed urgenza da potere <<di per sé configurare un ulteriore sopravvenuto “evento SAR”, che non consentiva allo Stato italiano di sottrarsi ulteriormente alle proprie responsabilità>>; eventi questi conclusisi con lo sbarco di tutti i migranti solo in ragione di decreto di sequestro della Procura della Repubblica di Agrigento e nell’assoluto silenzio, ed anzi contro la volontà, dell’autorità politico-amministrativa, da individuarsi senza dubbio alcuno, nell’allora Ministro dell’Interno, Matteo SALVINI, competente a completare, con il rilascio del place of safety, le operazioni di soccorso e, conseguentemente, consentire ai naufraghi di raggiungere la terraferma.
§ 2. Il principio del soccorso in mare e la progressiva formazione del quadro normativo internazionale
Le norme di diritto internazionale consuetudinario, che hanno poi assunto rango costituzionale nell’ordinamento italiano, e che affermano l’obbligo di soccorso in mare, hanno origini assai risalenti poiché rispondono al principio antichissimo, unanimemente riconosciuto, secondo cui, ben prima di ogni altra cosa, “occorre dare terra ai naufraghi” (come ricordato anche dal teste DE FALCO, nel corso della sua deposizione); principio di diritto naturale che ha poi trovato una progressiva, piena affermazione nel diritto positivo internazionale e, conseguentemente, in quello nazionale per il valore primario degli interessi coinvolti: la vita, la salute e la libertà degli esseri umani.
I mutamenti nel regime giuridico del mare e l’evoluzione del diritto internazionale marittimo hanno progressivamente modificato il principio della libertà dei mari, affermatosi nel XVII e XVIII secolo, con il riconoscimento sempre più ampio di poteri sovrani degli Stati costieri in determinate zone di mare e l’affermazione progressiva di un controllo degli Stati sugli spazi marini.
Nell’evoluzione dell’ordinamento internazionale, però, l’obbligo di soccorso in mare è rimasto immutato (poiché principio consuetudinario fondato su un dovere sia giuridico[1] che morale in virtù «di una tradizione marittima ancestrale del diritto internazionale del mare»[2]) e poi codificato in diverse convenzioni.
Anche quando il mare era uno spazio aperto è sempre stata sentita come regola giuridica e come dovere morale l’azione per assicurare il soccorso a imbarcazioni e a persone in difficoltà, con la conseguenza che se erano e sono numerose le controversie tra Stati circa gli spazi entro cui esercitare la propria giurisdizione, non si erano mai poste - almeno in via generale e fino a quando le questioni di soccorso non hanno riguardato soprattutto i migranti ed hanno assunto un rilievo come elemento di lotta politica e strumento di consenso elettorale - questioni che abbiano messo in discussione tale obbligo, codificato sin dalla Convenzione di Bruxelles del 23 ottobre 1910 sull’unificazione di alcune regole in materia di assistenza e di salvataggio marittimi[3], la quale includeva finanche il salvataggio del nemico, a conferma della universalità dei beneficiari e sua portata pressoché illimitata.
Inoltre, in ragione dell’evoluzione del diritto internazionale che ha condotto all’ampio riconoscimento ed alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, tale principio è oggi vieppiù rafforzato in quanto gli Stati sono tenuti a garantire beni giuridici come quello alla vita, a lasciare il proprio Paese, a impedire che ogni persona possa essere vittima di tortura, di trattamenti inumani o degradanti, nonché a tutelare ogni individuo che ha diritto a trovare rifugio in altri Stati perché vittima o a rischio di persecuzioni nel proprio Paese.
Proprio l’applicazione anche nello spazio marino delle regole a tutela dei diritti dell’uomo ha condotto a un decisivo, importante sviluppo perché, al di là di una configurazione di un obbligo statale di soccorso, si può considerare ormai affermata l’esistenza di un diritto individuale ad essere salvati in caso di condizioni di distress, con la possibilità per i singoli individui di azionare tali diritti dinanzi ad organi internazionali – e finanche giurisdizionali- di garanzia ed ai giudici nazionali.
Invero, sottesa al diritto ad essere soccorsi è la tutela del diritto alla vita, il cui rispetto da parte degli Stati si fonda su un obbligo di carattere cogente per ogni Paese e in cui l’obbligo di soccorso risulta funzionale alla salvaguardia di valori primari e diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento internazionale e interno, tra cui le Costituzioni di pressoché tutti i Paesi.
Pertanto, accanto a interventi di carattere generale, con convenzioni e risoluzioni, senza limitazioni geografiche, si sono ulteriormente sviluppate regole ad hoc in ambiti regionali - come nel contesto europeo - in cui, proprio per l’applicazione simultanea di più regole relative al diritto del mare e ai diritti umani, organi di garanzia come la Corte europea dei diritti dell’uomo[4] hanno svolto un ruolo fondamentale nel chiarire gli obblighi degli Stati in materia di soccorso in mare (anche procedendo a un chiarimento sull’effettivo esercizio della giurisdizione degli Stati costieri), nel settore del controllo alle frontiere, dell’accoglienza e dell’espulsione.
Non sono mancati, inoltre, interventi di organismi internazionali di controllo, come il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani[5], che hanno precisato gli obblighi in materia di soccorso in mare, funzionali alla tutela dei citati beni fondamentali.
*
Se il principio del soccorso in mare risale ad epoca antica ed è stato sempre avvertito e applicato da chiunque utilizzi il mare (dalle navi dello Stato alle navi private), in qualsiasi zona, dalle acque interne a quelle internazionali, la sua regolamentazione, sotto il profilo del coordinamento e delle modalità di attuazione, è di epoca più recente (seppure ugualmente risalente nel tempo).
Si è progressivamente formato, infatti, un quadro normativo internazionale che coinvolge regole del diritto del mare, del diritto dei rifugiati e dei diritti umani da applicarsi congiuntamente, con la conseguenza che gli stessi trattati specifici adottati nell’ambito marittimo devono essere interpretati alla luce di altre regole e convenzioni internazionali.
È dunque pacifico e condiviso dall’intera comunità internazionale l’esistenza dell’obbligo universale di salvare le vite umane, senza che abbia rilievo la zona di mare in cui sorge la necessità di un intervento funzionale al soccorso e se l’azione sia svolta da mezzi statali o privati.
Anzi, a tale ultimo proposito, quell’obbligo si è trasformato in quello della due diligence che comporta un dovere per gli Stati di adottare ogni misura per far sì che anche i comandanti di navi private adempiano al dovere di soccorso in modo da rafforzare la sua caratteristica, come si dirà, di obbligo di condotta e di risultato. Dunque, può dirsi che la complessiva disciplina del diritto internazionale marittimo, sin dalle origini della navigazione, ha avuto come proprio elemento centrale l’obbligo per ogni soggetto, statale e non, di intervenire per aiutare i natanti e le persone che necessitano di soccorso in mare, a prescindere dalla nazionalità, provenienza, razza, lingua, religione o colore della pelle.
Proprio per rafforzare e assicurare il soccorso, anche attraverso una imprescindibile cooperazione tra gli Stati, sono state adottate specifiche convenzioni internazionali, inizialmente al fine precipuo di assicurare la sicurezza della navigazione e, successivamente, a causa della diffusione di fenomeni migratori via mare che conducevano a controversie circa la Nazione tenuta a intervenire, anche al fine di coordinare l’adempimento degli obblighi di protezione.
Così, da un lato si è consolidata una norma consuetudinaria che stabilisce l’obbligo degli Stati di intervenire a soccorrere le persone in mare, anche attraverso decisioni dei comandanti delle navi che battono la propria bandiera, dall’altro lato, attraverso norme pattizie, universali e regionali, sono state adottate regole volte a disciplinare e a procedimentalizzare le attività di soccorso.
Sin da ora merita di essere richiamato che, proprio a fronte di episodi del tipo di quello oggetto di contestazione, anche di recente la tutela della salute e della vita dei migranti gravante su ogni Stato è stata ribadita universalmente nel Patto Globale per le migrazioni («Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration») adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 2018 con risoluzione 73/195, approvato da ben 152 Stati tra cui l’Italia; atto con cui si richiede una cooperazione per salvare le vite umane in mare, sottolineando che, anche nelle operazioni di search and rescue dei migranti l’obiettivo primario è proprio la tutela della vita umana (par. 24, lett. a).
§ 3. Le principali Convenzioni in materia di soccorso in mare e la loro portata di fonte primaria nell’ordinamento interno
La materia del soccorso in mare è disciplinata nell’ordinamento italiano (come in quello di quasi tutti i Paesi) da fonti di diverso rango, alla cui stregua va effettuato il bilanciamento tra i valori costituzionali coinvolti, segnatamente tra gli obblighi imposti allo Stato in ordine al rispetto dei diritti umani fondamentali (in primisquello della vita e dell’incolumità personale) e, d’altro lato, il potere/dovere dello Stato di tutelare la propria sovranità, l’ordine pubblico e la sanità pubblica, anche mediante il controllo delle frontiere.
In questo contesto devono essere richiamate le norme costituzionali che riguardano i diritti inviolabili della persona umana ma anche quelle, ed in particolar modo, sull’uniformazione dell’ordinamento interno alle “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” (art. 10 Cost.) e sulla limitazione della “sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (art. 11 Cost.), anche come conseguenza degli obblighi assunti dallo Stato italiano in sede comunitaria ed internazionale per effetto della stipula di trattati.
Tenuto conto di tale cornice normativa, lo Stato italiano risulta espressamente vincolato al rispetto dei principi di diritto internazionale universalmente riconosciuti tra i quali, per quanto attiene l’ambito della sicurezza in mare, quello che impone ad ogni Stato l’obbligo di salvare la vita di chi si trovi in pericolo in mare, obbligo che prevale su ogni altra norma nazionale e/o accordo fra Stati finalizzato al contrasto dell’immigrazione irregolare.
Tale principio, come anticipato, ha trovato esplicita codificazione in diversi trattati e convenzioni ratificati dallo Stato italiano che, in base alla regola internazionale del “pacta sunt servanda”, assumono, nella gerarchia delle fonti, un rango primario, anche ai sensi dell’art. 117 Cost..
Tra queste meritano di essere menzionate:
1) la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione UNCLOS – United Nations Convention on the Law Of the Sea) sottoscritta nel 1982 a Montego Bay, ratificata in Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689, che, tra l’altro, all’art. 98 sancisce che “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri; presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa”;
2) la Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS - Safety of Life at Sea, ratificata dall’Italia con L. 131 del 23.5.1980) che afferma l’obbligo del“comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione” (Capitolo V, Regolamento 33);
3) la Convenzione di Amburgo sulla ricerca ed il soccorso marittimi del 1979 (Convenzione SAR– Search and Rescue, ratificata dall’Italia con L. 3 aprile 1989, n. 147 cui ha fatto seguito il regolamento di attuazione emanato con DPR n. 662/1994) che, al punto 2.1.10, prevede: “Le Parti si assicurano che venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Esse fanno ciò senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata”.
Le convenzioni citate impongono direttamente precisi obblighi agli Stati firmatari e, una volta adottate e recepite nell’ambito dell’International Maritime Organization (Organizzazione internazionale marittima- IMO),riflettono il citato principio consuetudinario dell’obbligo di soccorso in mare e si inseriscono in una «delle più antiche tradizioni marinare secondo cui nessuna richiesta di soccorso in mare deve restare senza risposta»[6], aggiungendo, in ragione della erosione del principio della libertà dei mari a vantaggio della ripartizione della giurisdizione tra Stati, talune modalità procedurali, senza che, però, ciò implichi un’individuazione dell’obbligo di soccorso in capo a un unico Stato, “liberando” gli altri.
In ogni caso, l’apporto principale di queste convenzioni è stato quello di introdurre un procedimento di cooperazione tra Stati finalizzato a migliorare, anche grazie ai cambiamenti apportati ai testi convenzionali nel corso degli anni, il raggiungimento dell’obiettivo del salvataggio di individui in pericolo.
Tale procedimento rappresenta la via principale a disposizione degli Stati per adempiere all’obbligo previsto dall’art. 98 comma 2 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) secondo cui “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.
Il concetto di collaborazione tra Stati limitrofi è comune anche alle citate Convenzioni SOLAS e SAR alle quali, nel maggio 2004, sono stati apportati significativi emendamenti (in vigore dal 2006) aventi, come obiettivo principale, quello di consentire che all’obbligo del comandante della nave di prestare soccorso si accompagni un correlativo obbligo degli Stati di cooperare, consentendo al comandante della nave soccorritrice di essere sollevato dai relativi oneri quanto prima, ed alle persone soccorse di essere trasferite in un luogo sicuro (POS: place of safety).
In particolare, gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR si resero necessari (nel maggio 2004) a seguito dell’incidente della nave M/V Tampa, avvenuto nel 2001[7], laddove l’Australia si era rifiutata di fare entrare nel proprio mare territoriale un’imbarcazione umanitaria con a bordo 400 profughi afgani, rendendo gli Stati consapevoli dei rischi per la vita umana derivanti dall’utilizzo, sempre più frequente, del mare a fini migratori; vicenda ictu oculi singolarmente sovrapponibile al caso di specie.
§ 4. Le zone SAR
Il quadro normativo modificato proprio al fine di rendere le Convenzioni più adeguate ai cambiamenti relativi alle situazioni di distress che riguardano spesso, a differenza del passato, proprio i migranti[8], fanno sì che, innanzitutto, ogni Stato stabilisca, d’accordo con gli Stati confinanti, la rispettiva “zona di ricerca e di salvataggio” (SAR), zona non legata a quella delle frontiere e che non le pregiudica in alcun modo.
Per tale ragione, la concreta attuazione della Convenzione SOLAS ha richiesto la adozione della Convenzione SAR che disciplina le operazioni di ricerca e di soccorso al fine di standardizzare[9] le attività di coordinamento funzionali alla cooperazione tra gli Stati parti in vista del soccorso.
Il momento preliminare rispetto alle attività di search and rescue è l’istituzione di zone SAR, cui fanno seguito due ulteriori fasi operative, quella in cui viene inviato e ricevuto un messaggio di soccorso (allertamento), con la valutazione della situazione di distress, e la fase di intervento delle navi (soccorso), nella quale è inclusa, grazie agli emendamenti del 2004, la fase di sbarco in un luogo sicuro, che non è autonoma ma è divenuta parte integrante della procedura di soccorso.
Ove l’intesa sulla istituzione delle SAR non sia intervenuta, le stesse parti “fanno tutto il possibile per raggiungere un accordo sull'adozione di disposizioni adeguate che permettano di assicurare un equivalente coordinamento generale dei servizi di ricerca e di salvataggio in detta zona” (cap. 2.1.5. Convenzione SAR).
Le zone SAR stabiliscono, dunque, un’area marittima all’interno della quale, normalmente, l’autorità cui fa capo la zona medesima assume la funzione di coordinamento delle operazioni di soccorso. Si tratta, in sostanza, di zone di controllo affidate agli Stati, senza un diretto collegamento con i confini nazionali e senza che dette zone possano pregiudicare le frontiere esistenti o costituire un ampliamento dei propri confini, funzionali allo svolgimento di determinati servizi, quali appunto quelli di ricerca e di salvataggio di cui gli Stati si assumono la responsabilità ai fini del soccorso, senza determinare né un ampliamento della giurisdizione dello Stato SAR né una limitazione alla sovranità di altri Stati, trattandosi piuttosto di «zone di responsabilità» (regola. 2.1.4. «Ogni area di ricerca e di salvataggio viene stabilita mediante accordo tra le Parti interessate. Il Segretario generale [dell’IMO] viene informato della conclusione di un tale accordo»).
§ 5. La nozione di distress
La Convenzione SAR riproduce una nozione classica di distress (già presente nella Convenzione SOLAS) laddove, alla regola 1.3.11 dell’Allegato, precisa che la fase di pericolo è rappresentata da una «situazione nella quale vi è luogo di pensare che una persona, una nave o altro congegno sono minacciati da un pericolo grave e imminente e hanno bisogno di soccorso immediato». Inoltre, come da regola 3 dell’Allegato, la situazione di distress si concretizza nel momento in cui «le informazioni ricevute indicano chiaramente che una persona, una nave…» sono in pericolo.
Risulta così evidente che, al di là delle zone di responsabilità, è determinante il momento in cui si ricevono informazioni sullo stato di pericolo, perché da tale momento uno Stato coinvolto attraverso una segnalazione effettuata dal comandante della nave non può sottrarsi all’obbligo di soccorso, avendo il dovere e la possibilità di esercitare un potere affinché cessi la situazione di pericolo e gli individui godano dei diritti che la comunità internazionale nel suo insieme è tenuta ad assicurare loro.
Per quanto riguarda le caratteristiche della situazione di distress, va osservato che si tratta di una situazione per la quale è necessario un intervento urgente in presenza di un pericolo grave e imminente che, però, non è necessariamente connesso a una necessità fisica effettiva, ma può dipendere da un complesso di elementi.
Va sottolineato che sull’interpretazione della nozione di distress non è necessaria una estrema concreta gravità della situazione, ma è richiesta una “più generica pericolosità”. In tal senso, l’art. 18, par. 2 della Convenzione di Montego Bay, per chiarire la nozione del diritto di passaggio inoffensivo (che deve essere continuo e rapido) nel mare territoriale, prevede il diritto di fermata e ancoraggio se questo è necessario per cause di forza maggiore o dettato da condizioni di difficoltà oppure se finalizzato a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in distress, vale a dire «in pericolo o in difficoltà».
Nell’interpretazione della nozione di distress si richiama anche il Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, approvato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite nel 2001, che lo ha incluso tra le cause di esclusione dell’illecito commesso da Stati (art. 32). Pertanto, in una situazione di pericolo lo Stato che interviene, anche commettendo un illecito è tenuto a farlo senza che possa avere rilievo la propria volontà (eventualmente, in ipotesi, anche contraria), e conseguentemente l’illecito viene eliminato dalla situazione stessa di pericolo. In queste situazioni non si tratta di scegliere tra il dovere di adempiere agli obblighi internazionali e altri legittimi interessi dello Stato (come nel caso dello stato di necessità), perché la situazione di distress richiede, e anzi impone, in presenza di una ragionevole convinzione, un intervento per salvare vite umane, sempre potenzialmente a rischio su un’imbarcazione, senza che abbia rilievo la nazionalità o il motivo del pericolo. Pertanto, nel momento in cui lo Stato interviene per salvaguardare le persone in pericolo non commette alcun illecito anche qualora sussistano ripartizioni di giurisdizione, tenendo conto che la nave che si trova in una situazione di distress gode di diritti di cui in genere non godono altre navi (in tal senso l’art. 8, par. 5 del Protocollo di Palermo, addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, impone alle navi di Stato impegnate nel contrasto al traffico di esseri umani di chiedere l’autorizzazione allo Stato di bandiera per ogni misura nei confronti della nave intercettata, eccetto le misure necessarie a preservare i migranti da pericoli di vita).
§ 6. Il Coordinamento tra gli Stati al fine della garanzia del place of safety
I frequenti problemi legati al difficile coordinamento tra gli Stati confinanti nella gestione delle operazioni di soccorso, soprattutto con riferimento alla fase di sbarco ed accoglienza, hanno determinato l’IMO alla redazione degli emendamenti al paragrafo 1-1 del regolamento SOLAS V/33 ed al paragrafo 3.1.9 dell'allegato alla Convenzione SAR, imponendo così ai governi l'obbligo di coordinarsi e cooperare per garantire che i comandanti delle navi che forniscono assistenza, imbarcando persone in difficoltà in mare, siano liberati dai loro obblighi con un'ulteriore minima deviazione dalla rotta prevista per quel viaggio.
L’intenzione espressamente perseguita da tali emendamenti (v. Risoluzione MSC 167-78) “è quella di garantire in ogni caso che un luogo sicuro venga fornito entro un termine ragionevole”.
Nell’affermare tale intenzione, che è la chiave interpretativa di tutto l’impianto normativo di riferimento, sono stati individuati i seguenti principi cardine, alla cui stregua si è voluto prevenire o evitare l’insorgenza di conflitti “negativi” di competenza in ordine alla responsabilità delle operazioni di soccorso:
1. “La responsabilità di fornire un luogo sicuro o di garantire che venga fornito un posto di sicurezza, spetta al governo responsabile della regione SAR nella quale i sopravvissuti furono recuperati”;
2. tuttavia (punto 2.6), “Ciascun caso… può comportare circostanze diverse. Questi emendamenti danno al governo responsabile la flessibilità di affrontare ogni situazione caso per caso, al fine di assicurare che i comandanti delle navi che forniscono assistenza siano sollevati dalle loro responsabilità all'interno di un tempo ragionevole e con il minor impatto possibile sulla nave”.
Allo scopo di assicurare il sostanziale perseguimento delle esigenze appena ricordate, la Risoluzione MSC 167-78 ha quindi individuato le “linee guida” alla luce delle quali ciascuno Stato dovrebbe disporre di piani operativi per disciplinare in dettaglio le modalità con cui effettuare l’azione di coordinamento, per affrontare tutti i tipi di situazioni SAR, con la precisazione che detti piani “dovrebbero coprire gli incidenti che si verificano all’interno della propria regione SAR e, se necessario, dovrebbero coprire anche incidenti al di fuori della propria regione fino a quando l'RCC responsabile della regione in cui viene fornita l'assistenza (v. paragrafo 6.7) o un altro RCC in una posizione migliore intervenga a gestire il caso accettandone la responsabilità”.
Tali piani – alla luce della menzionata risoluzione – devono riguardare il modo in cui il centro di coordinamento del soccorso (RCC, in Italia è l’I.M.R.C.C.) può coordinare le operazioni di recupero, lo sbarco dei sopravvissuti da una nave, la loro consegna in un luogo sicuro, nonché affrontare rapidamente i problemi iniziali di controllo delle frontiere e/o di immigrazione al fine di ridurre al minimo i ritardi che potrebbero avere un impatto negativo sulla nave assistente e sulla sorte delle persone salvate, incluse disposizioni temporanee per ospitare i naufraghi mentre tali problemi vengono risolti.
In coerenza con il dichiarato intento di risolvere eventuali situazioni di conflitto, la Risoluzione individua altresì il principio del centro di coordinamento di “primo contatto” stabilendo che (punto 6.7) “Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l'assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio, poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l'RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità.”
L’intervento deve avvenire in modo tale che lo sbarco sia effettuato al più presto e nelle Linee Guida si sottolinea che sussiste un obbligo per cui tutte le persone in una situazione di pericolo siano assistite senza ritardo[10] e che ogni operazione di soccorso sia realizzata «senza tenere conto della nazionalità o dello status di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata» (reg. 2.1.10 SAR/reg. 33.1 SOLAS).
Proprio gli emendamenti alla Convenzione SAR permettono di concludere che per il diritto internazionale, che s’impone e prevale sul diritto interno in forza del citato riconoscimento costituzionale, il migrante in mare è unicamente una persona da salvare e, ai fini del suo soccorso, non rilevano né il motivo per cui si trova nella situazione di pericolo, né la nazionalità. Ugualmente del tutto irrilevante è la “classificazione” della persona in pericolo che può essere un passeggero, un membro dell’equipaggio o un migrante e, astrattamente anche un trafficante di esseri umani o un qualsiasi altro criminale.
In conclusione, la qualificazione effettuata dalle autorità nazionali di un evento in cui è necessario il soccorso come rientrante in un’operazione di contrasto all’immigrazione irregolare o come evento di salvataggio è del tutto ininfluente e non incide sugli obblighi primari di soccorso sulle stesse gravanti.
§ 7. L’indicazione del Place of safety (POS)
Il coordinamento delle operazioni di salvataggio comprende, come detto, anche l’indicazione di un “place of safety” (POS), che anzi ne costituisce il momento fondamentale, atteso che è solo con lo sbarco delle persone soccorse presso tale luogo che le operazioni di salvataggio possono dirsi concluse. E poiché il fattore tempo è un elemento essenziale per la realizzazione effettiva delle attività di soccorso[11], lo sbarco in un luogo sicuro deve avvenire in tempi ragionevoli e il relativo luogo deve essere indicato appena possibile.
Va ora sottolineato che, tra gli emendamenti alla Convenzione SAR, il più rilevante è quello che ha introdotto lo sbarco in un luogo sicuro che ha sostituito il porto più vicino che era quello individuato, per una sorta di presunzione generale circa la sicurezza, nella Convenzione di Montego Bay.
Il luogo sicuro è così qualificato: «un luogo in cui le operazioni di soccorso si considerano terminate. È altresì un luogo ove la sicurezza relativa alla vita dei sopravvissuti non è più minacciata e dove i loro bisogni umani di base (come cibo, riparo e necessità sanitarie) possono essere soddisfatti. È inoltre un luogo dal quale possono essere organizzati i trasporti verso la prossima destinazione o la destinazione finale dei sopravvissuti»(allegato alla Convenzione SAR, par. 1.3.2 - punto 6.12 della Risoluzione MSC 167-78).
Nella stessa direzione, con il regolamento (UE) n. 656/2014 del 15 maggio 2014 recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata da FRONTEX[12], è stato indicato come sicuro «un luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi e in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento» (articolo 2, n. 12).
Appare dunque evidente una convergenza delle diverse nozioni in cui la considerazione dei diritti umani nell’individuazione del luogo sicuro appare cruciale.
La previsione dell’obbligo di ritenere concluso il soccorso solo con lo sbarco in un luogo sicuro ha determinato un cambiamento fondamentale nel salvataggio in mare poiché implica un preliminare accertamento sul rispetto dei diritti umani, insito nella stessa Convenzione SAR, con particolare riferimento alle persone soccorse che, sempre più di frequente, sono richiedenti asilo o protezione internazionale.
Da tali circostanze deriva, ad esempio, che se in genere vi può essere una coincidenza tra POS e porto più vicino, questa identificazione non è automatica perché se il porto più vicino all’imbarcazione che necessita di soccorso è in un Paese che viola costantemente i diritti umani, in particolare dei migranti, lo sbarco non può avvenire in questo luogo perché, ai fini della Convenzione, esso non costituisce un POS, proprio in quanto non luogo sicuro per le persone da salvare, senza dimenticare che, in ogni caso, si configurerebbe una violazione di altri obblighi internazionali come quelli relativi alla tutela dei diritti dell’uomo e del divieto di respingimento.
§ 7.1 La nave di salvataggio può essere considerata un luogo sicuro?
La risoluzione MSC 167-78 sottolinea che “Una nave ausiliaria non deve essere considerata un luogo di sicurezza solo perché i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato una volta a bordo della nave. Una nave che assiste non può disporre di strutture e attrezzature adeguate per sostenere altre persone a bordo senza mettere in pericolo la propria sicurezza o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è capace di ospitare in sicurezza i sopravvissuti e può servire come luogo temporaneo di sicurezza, dovrebbe essere sollevata da questa responsabilità non appena possono essere presi accordi alternativi” (punto 6.13).
Pertanto, in conformità con la citata Risoluzione, una nave può essere considerata un POS temporaneosoltanto se risponde al requisito di fornire, secondo le circostanze del caso concreto (la situazione a bordo della nave assistente, le condizioni dei luoghi, le esigenze mediche e la disponibilità di trasporto o altre unità di salvataggio), un idoneo luogo di sicurezza fino allo sbarco dei sopravvissuti per la loro prossima destinazione.
In sintesi, le Linee guida hanno chiarito che la nave che fornisce assistenza di base non è di per se un POS, anche se manca un pericolo immediato e anche se sia in grado di garantire accoglienza e supporto alle persone salvate; si tratta, infatti, di un luogo temporaneo di ospitalità nel quale, da un lato, le persone non possono vedere rispettati i propri diritti, incluso quello alla libertà personale e, dall’altro, (punto 6.13) la nave deve essere sollevata prima possibile dalle responsabilità connesse all’avere persone a bordo.
Inoltre, il punto 6.14 stabilisce che «Un luogo sicuro può essere sulla terra o può essere a bordo di un’unità di soccorso o altra nave o struttura in mare adatta che può servire da luogo sicuro fino a quando i sopravvissuti non saranno sbarcati alla prossima destinazione», con evidente riferimento a navi predisposte ad hoc per ospitare in modo temporaneo le persone salvate e non a tutte le navi che procedono al salvataggio.
Anche la definizione del Manuale IAMSAR conferma che il POS è il luogo in cui l’operazione di soccorso può dirsi terminata e dove i bisogni primari risultano essere soddisfatti, inclusa la possibilità di raggiungere il luogo di destinazione. Del resto, le citate Linee Guida prevedono che lo sbarco deve avvenire in tempi ragionevoli mentre le Convenzioni SOLAS e SAR stabiliscono che gli Stati cooperino per fare in modo che i comandanti delle navi siano sollevati dagli obblighi di assistenza[13].
In sostanza, è soltanto la terraferma ad essere un POS, anche perché solo in quel luogo possono essere riprese le diverse attività, incluso il viaggio verso la destinazione finale, e solo in quel luogo cessano i rischi inerenti alla navigazione.
Sull’impossibilità di considerare la nave come «luogo sicuro» ai fini del soccorso si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 6626 del 16 gennaio 2020[14]: «Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa…», ciò, tra l’altro, perché le persone a bordo devono avere anche la possibilità di esercitare il diritto alla presentazione della domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, «operazione che non può certo essere effettuata sulla nave».
La citata sentenza richiama la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa avente ad oggetto «L’intercettazione e il salvataggio in mare dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare» con la quale è stato ribadito che il place of safety non è solo il luogo che assicura la protezione fisica, ma un luogo dove vengono rispettati tutti i diritti fondamentali[15].
Anche nella direttiva n. 1636 del 2 maggio 2006, approvata dalla Presidenza del Consiglio Ministri – Dipartimento della Protezione civile[16], al punto 2.3 sull’assistenza a terra è disposto che «a latere dell’intervento e delle operazioni di ricerca e salvataggio condotte in mare, è necessario prevedere a terra l’organizzazione del soccorso sanitario e l’assistenza alla popolazione interessata dall’evento» prevedendo, tra le altre misure, «l’attività di triage, l’assistenza psicologica, la vigilanza igienico-sanitaria», misure che, evidentemente, non possono essere condotte a bordo di una nave.
Lo stesso Piano SAR Marittimo nazionale precisa che il POS è il luogo dove le operazioni di soccorso sono terminate nonché il luogo dove non solo la vita dei sopravvissuti non è più in pericolo, ma anche dove «i loro bisogni umani di base (come cibo, riparo e necessità sanitarie) possono essere soddisfatti e dove possono essere organizzati i trasporti verso la prossima destinazione o la destinazione finale dei sopravvissuti».
Ad ulteriore conferma che la nave, in via generale, non è considerata un luogo sicuro, si richiama anche la sentenza Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione - depositata il 1 agosto 2022, cause riunite C-14/21 e C-15/21, Sea Watch eV) con cui si riconosce un diritto dello Stato di approdo di compiere ispezioni sulla nave, ma solo dopo che sono «state completate tutte le operazioni di trasbordo o di sbarco delle persone alle quali i rispettivi comandanti hanno deciso di prestare soccorso» (punto 126), con ciò precisandosi che la permanenza di migranti a bordo di una nave non adibita al trasporto di un alto numero di persone in mare non può essere considerata come sicura, e questo addirittura anche quando non siano rispettate le regole dello Stato di approdo.
Da ultimo si aggiunga che la permanenza a bordo di una nave ai sensi dell’art. 2, lett. h) della Direttiva 2013/33, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, va qualificata come «trattenimento» che comporta, come nel caso di specie, un «confinamento da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione e della libertà personale tenendo conto che i migranti si trovano a vivere in un perimetro estremamente ristretto e inadatto, nonché in una situazione di isolamento rispetto al mondo esterno e di impossibilità di godere dei diritti umani dei quali sono titolari”.
A tal proposito, si sottolinea, inoltre, che una nave non certificata per il trasporto di persone è un luogo circoscritto e sul punto la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza FMS, FNZ e SA (cause riunite C-924/19, C-925/19), depositata il 14 maggio 2020) ha rilevato che il trattenimento in una zona di transito, in un perimetro estremamente ristretto, è una misura privativa della libertà del richiedente asilo anche perché egli è tenuto a vivere in un ambiente «circoscritto e ristretto» che non può abbandonare di propria iniziativa. La circostanza che gli individui interessati potessero rientrare nel proprio Paese di origine, dal quale erano scappati, non è stata considerata dalla Corte come una misura effettiva e realistica ai fini del godimento del diritto alla libertà personale, perché sarebbero stati sottoposti a sanzioni penali e avrebbero dovuto rinunciare a presentare la domanda di asilo.
§ 7.2 Tutti i Paesi possono essere considerati un posto sicuro?
Non tutti i territori possono ritenersi place of safety laddove in tali luoghi essi abbiano un fondato timore di persecuzione e, spesso, per questo motivo, abbiano preannunciato di volere chiedere asilo o protezione internazionale.
Certamente, dai numerosi rapporti internazionali acquisiti in atti (ONU, UE e UNCHR) non potevano essere considerati POS né la Libia né la Tunisia, Paesi ove i diritti dei migranti sono ripetutamente oggetto di violazione.
In tal senso, oltre a rinviare alle deposizioni dei numerosi testi escussi nel dibattimento (MOAVERO, DE FALCO, CONTE ed altri), si richiama, tra esse, quella dell’attuale Ministro dell’Interno PIANTEDOSI, già Capo di Gabinetto all’epoca dei fatti, il quale ha testimoniato le tragiche condizioni in cui vengono tenuti i migranti in Libia:
“Sì, nei Centri tenuti dai trafficanti sì, sì. C’è ampia Letteratura che nei Centri tenuti dai trafficanti, nei quali è preferibile che non finiscano le persone, sì. (..) Le condizioni sono sicuramente di Centri illegali, quelle tenute dai trafficanti. Dai trafficanti. Ed ecco perché è importante anche da questo punto di vista contrastare in ogni modo il traffico di esseri umani, perché oltre che quello che succede, le persone nel transito dalla Libia spesso vengono intercettate e trattenute illegalmente dai trafficanti, che ne fanno poi oggetto di compravendite in qualche modo (..) Ma infatti nessuno ha mai stabilito che la Libia.., cioè da parte nostra non abbiamo mai dato, come dire, non abbiamo mai consegnato ai libici delle persone dicendogli di portare...”.
Con riferimento alla Libia merita di essere menzionato, altresì, il Rapporto del Relatore speciale sui diritti umani dei migranti («Human rights violation at international borders: trends, prevention and accountability» del 26 aprile 2022[17] discusso dal Consiglio per i diritti umani nella sessione 13 giugno - 8 luglio 2022) nel quale si afferma testualmente che, per le gravi violazioni dei diritti umani, la Libia non può essere considerata come place of safety[18].
Analoghe considerazioni valgono per la Tunisia, come evidenziato dall’allora Ministro degli Esteri MOAVERO (All’epoca la Tunisia non faceva parte di nessuna lista di Stati da ritenersi sicuri…come per la Libia).
Sempre per quanto concerne la situazione libica, va detto che le conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018 - citate dall’imputato nel corso delle dichiarazioni spontanee rese all’udienza del 12 gennaio 2024 - hanno sì previsto che l’Unione Europea avrebbe accresciuto il proprio sostegno a favore della Guardia costiera libica e che “tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della Guardia Costiera Libica”, senza però in alcun modo sostenere che la Libia può essere considerata un posto sicuro, ma, anzi, ribadendo la necessità di intensificare gli sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti in Libia e contrastare la conseguente tragica perdita di vite umane. Le conclusioni del Consiglio Europeo del 28 giugno 2018, inoltre, hanno ribadito, in più punti, la necessità di rispettare il diritto internazionale e di operare un distinguo tra i migranti irregolari, che possono essere rimpatriati nei rispettivi paesi d’origine, e le “persone bisognose di protezione internazionale”, che vanno invece accolte nel territorio dell’Unione in base al principio di solidarietà. Tale distinzione, ovviamente, può essere fatta solo dopo aver fatto sbarcare i migranti e averli trasferiti in centri appositamente istituiti presso gli Stati membri, con un trattamento rapido e sicuro[19].
In sostanza, una cosa è considerare la Libia un posto non sicuro ai fini dell’indicazione del POS, altro è evitare che, in mare e a fronte di pericoli per i migranti in navigazione, si creino deleterie situazioni di conflitto tra gli stessi soccorritori, libici e di altri Paesi, e che il mancato coordinamento tra loro possa comportare gravi ritardi nei salvataggi.
Tuttavia, in ipotesi, anche la mancata collaborazione con la Guardia costiera libica, nel tempo, si è resa necessaria per il preciso ruolo svolto da taluni dei suoi appartenenti di vertice nel traffico dei migranti e nella gestione dei centri di prigionia, veri e propri lager con quotidiano ricorso alla tortura quale mezzo per estorcere altro denaro ai detenuti desiderosi di intraprendere il viaggio verso l’Europa e quale mezzo deterrente per il controllo dell’ordine nei sovraffollati e malsani locali ove i profughi vengono tenuti in condizioni inumane e degradanti .
Getta ulteriore luce sul ruolo della Guardia Costiera Libica, il suo modus operandi, il personale che ne fa parte, il trattamento che da essa viene riservato ai migranti, una vicenda recentemente salita agli onori della cronaca ma ben nota, e da tempo, a questo Ufficio inquirente che - come è ormai riconosciuto patrimonio condiviso anche a livello internazionale - è da un decennio l’Ufficio di frontiera nel contrasto alle organizzazioni criminali transnazionali operanti nel redditizio, e purtroppo spietato per le sorti delle vittime, settore del traffico di esseri umani, in particolare sulla rotta cosiddetta del Mediterraneo Centrale.
È notizia di pochi giorni[20] fa la esecuzione con modalità tipicamente mafiose e nonostante la scorta blindata, di Abdurahman Al Milad detto 'Bidja', uno dei principali trafficanti di esseri umani in Libia – già oggetto di indagine proprio da questo Ufficio che attraverso complesse attività investigative in Italia ed all’estero era riuscito ad ottenere un mandato di arresto a suo carico per associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani, tortura e sequestro di persona a scopo di estorsione, purtroppo rimasto ineseguito per mancanza di collaborazione da parte delle autorità libiche. Ai fini che interessano in questa sede di ricorda che “Bija” al momento della uccisione rivestiva il grado di comandante dell'Accademia Navale libica, cui era stato nominato nonostante lo stesso fosse considerato dall’ONU e dalla Corte Penale internazionale, oltre che dalle autorità giudiziarie italiane, uno dei maggiori organizzatori del traffico di migranti della Libia sulla rotta che porta in Italia, anche in forza del ruolo rivestito in passato di Capo della Guardia costiera di Zawiya (Zauia), uno dei punti caldi delle partenze dei migranti verso l'Europa, cui era stato designato nonostante fosse assurto alla notorietà internazionale nel 2017 per il suo ruolo di primo piano nell'uso della violenza contro i migranti e il suo diretto coinvolgimento in operazioni di traffico di esseri umani gestite dalla “Brigata Nasr” della tribù Awlad Buhmira. Lo stesso veniva definito dalle Nazioni Unite nel provvedimento che lo inseriva dal 2018 nella lista del Comitato delle Sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come "uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell'area di Zawyah". Ebbene alla luce di questo curriculum Bija veniva posto a capo della Accademia competente per l’addestramento degli appartenenti alla Guardia Costiera Libica a cui, si è sostenuto anche in questo processo, avrebbero dovuto essere “consegnati” i migranti salvati dalla Open Arms.
§ 8. Lo sbarco in un luogo sicuro come obbligo di risultato
Alla luce di quanto detto e, in particolare, degli emendamenti introdotti nel 2004, nonché delle Linee guida IMO, risulta con chiarezza che non sussiste solo un obbligo di condotta nell’individuazione delle zone SAR e nell’intervento per salvare le vite, ma anche un obbligo di risultato quanto allo sbarco in un luogo sicuro.
La Convenzione SAR è fortemente ispirata al principio di solidarietà nel salvare le vite umane in mare, che si manifesta sia nella circostanza che, se in via generale è lo Stato della zona SAR a intervenire, ogni altro Stato resta destinatario dell’obbligo di soccorso, sia nel fatto che le persone salvate devono essere portate in un luogo sicuro, da valutare tenendo conto dei fattori indicati nelle Linee guida e delle circostanze di ciascun caso, poiché «ogni caso è unico» (punto 6.15). Tra gli elementi da considerare va tenuto conto del numero delle persone a bordo, dell’insufficienza di acqua, cibo, assistenza medica e della sicurezza del personale dell’equipaggio che potrebbe essere in pericolo anche a causa dell’allungamento della permanenza a bordo in situazioni non adatte.
La Convenzione, quindi, non individua in modo certo lo Stato di sbarco, che invece avrebbe potuto essere stabilito in anticipo se si fosse scelto il porto più vicino, e non individua particolari procedure per determinarlo.
Inoltre, nel citato regolamento (UE) n. 656/2014 si chiarisce che le misure adottate ai fini di un’operazione marittima sono attuate in modo da assicurare in ogni caso l’incolumità delle persone intercettate o soccorse, delle unità partecipanti o di terzi (art. 3), con la precisazione che, in ogni operazione marittima, gli Stati devono garantire che sia rispettato l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali (art. 9).
Anche da tale atto risulta evidente che l’operazione di soccorso non si conclude con il mero intervento nella situazione di pericolo, ma solo con la fase di sbarco delle persone soccorse in un luogo sicuro (art. 10, 1, c): il regolamento, infatti, prevede che uno Stato non sia sollevato dalle sue responsabilità fino a quando vi è un rischio per l’incolumità delle persone e, in questo senso si dispone che «l’unità partecipante è autorizzata a effettuare lo sbarco delle persone soccorse nello Stato membro ospitante»[21].
È opportuno ricordare che l’Italia, a differenza di altri Stati, ha aderito a detti emendamenti, laddove ad esempio Malta si è opposta, ritenendo che gli stessi portassero lo Stato SAR, in via generale, a dovere assumere la responsabilità di individuare il luogo di sbarco sicuro[22].
La divergenza tra Paesi che hanno o non hanno ratificato gli emendamenti è un elemento da tenere in conto durante lo svolgimento delle operazioni di soccorso, in quanto elemento rilevante da considerare circa il mancato rilievo dato da un determinato Stato all’importanza dei diritti umani nelle attività di soccorso[23].
Proprio con riguardo a Malta, il Comitato ONU per i diritti umani, che procede all’esame della situazione del rispetto del Patto sui diritti civili e politici del 1966, nel rapporto adottato il 21 novembre 2014, al termine dell’esame periodico del rispetto del Patto da parte di Malta, ha espresso preoccupazioni per le espulsioni collettive successive alle attività di soccorso in mare e per la circostanza che Malta rifiuta la giurisdizione sulle persone soccorse in mare.
§ 9. Il ruolo dello Stato di Bandiera
La citata Risoluzione MSC167-78 stabilisce che il luogo sicuro deve essere individuato anche in modo tale che il trasporto delle persone verso tale luogo non comporti, per la nave assistente, un eccessivo disagio, dovendo, in tal caso, RCC tentare di organizzare delle alternative ragionevoli per questo scopo (punto 6.18).
Inoltre, l’individuazione del porto più vicino, che in via presuntiva può essere considerato quello più sicuro, va contemperata con l’esigenza di tutelare i diritti umani, con la conseguenza che l’indicata presunzione deve essere ribaltata in tutti i casi in cui gli individui possano correre il rischio di subire violazioni dei diritti dell’uomo nel porto più vicino.
In tal senso, l’articolo 98 Conv. UNCLOS continua a prendere in considerazione come luogo sicuro il porto più vicino «presso cui si farà scalo», escludendo così che la nave debba necessariamente essere ricondotta o debba dirigersi verso lo Stato di cui batte bandiera. Nei confronti di questo Stato, l’art. 98, semmai, stabilisce solo che sia assicurata una comunicazione tra Stati che agiscono in soccorso (anche attraverso navi private) e lo Stato di cui la nave batte la bandiera.
A sua volta, la Convenzione SAR, per quanto riguarda le competenze dello Stato di bandiera, non dispone che questo abbia una primaria responsabilità nell’individuazione del luogo sicuro, mentre è tenuto ad adottare leggi, regolamenti e altre misure volte a garantire che «una nave sia idonea al servizio a cui è destinata…» (risoluzione A.1138 (31) adottata dall’IMO il 4 dicembre 2019 intitolata «Procedure di controllo da parte dello Stato di approdo»).
In sostanza, l’attività dello Stato di bandiera è connessa alla fase del rilascio dei documenti per la navigazione, in linea con la Convenzione SOLAS e con la direttiva 2009/16/CE del 23 aprile 2009 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo recepita in Italia con il decreto legislativo 24 marzo 2011 n. 53, che attribuisce allo Stato di bandiera il controllo del rispetto delle norme in materia di sicurezza, prevenzione dell’inquinamento e condizioni di vita e lavoro a bordo della nave.
Non c’è dubbio che, in ragione della comunicazione costante del comandante della nave con lo Stato della bandiera, anche quest’ultimo possa avere un ruolo nelle operazioni e nella gestione dell’evento di soccorso ma senza che nella convenzione SAR sia in alcun modo individuata una sua particolare e precipua responsabilità. Del resto, ciò è in linea con l’obiettivo della Convenzione che mira ad assicurare, su un piano operativo, un soccorso basato sulla cooperazione tra nave soccorritrice e Stati SAR, mentre lo Stato di bandiera sovente non è suscettibile di coinvolgimento perché lontano dalla zona di intervento.
Oltre alla circostanza che dal dato letterale non risulta affatto l’attribuzione di un ruolo primario allo Stato della bandiera, va anche considerato l’art. 98 della Convenzione di Montego Bay secondo cui ogni Stato costiero – e non solo quello della bandiera – deve assicurare un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso. Pertanto, nelle operazioni di soccorso nel loro complesso, sono coinvolti lo Stato costiero, lo Stato della zona SAR (spesso vicino al primo se, ovviamente, non corrisponde ad esso) e gli altri Stati che hanno ricevuto un allarme/segnalazione da una nave e sono così a conoscenza del pericolo, incluso, ma certo non in via esclusiva o preminente, lo Stato della bandiera.
Nella stessa direzione si richiama la Raccomandazione n. 2020/1365 del 23 settembre 2020 sulla cooperazione tra gli Stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso, adottata dalla Commissione Europea a seguito della crisi migratoria che ha riguardato l’Unione a partire dal 2014. Nella predetta Raccomandazione, proprio tenendo conto che l’attività di ricerca e di soccorso nel Mediterraneo è spesso compiuta da organizzazioni non governative (ONG), si sottolinea che sussistono «esigenze operative specifiche di coordinamento e cooperazione rafforzate tra le navi che trasportano le persone tratte in salvo e le autorità nazionali, che riguardano gli Stati membri in modi diversi: alcuni Stati coordinano le operazioni di ricerca e soccorso; altri ricevono le persone soccorse, che sono sbarcate sul loro territorio; altri sono gli Stati in cui hanno sede legale le organizzazioni non governative; altri sono gli Stati di bandiera delle navi usate per le attività di ricerca e soccorso»[24]. La Commissione non indica una responsabilità principale dello Stato della bandiera ma prevede una cooperazione rafforzata tra le ONG e gli Stati membri, tra i quali lo Stato della bandiera delle navi utilizzate e lo Stato di approdo in cui le persone soccorse sono, o possono, essere sbarcate.
In tal senso, la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), con la citata sentenza nelle cause riunite C-14/21 e C-15/21, Sea Watch eV, ha chiarito che l’obbligo di soccorso marittimo e, in termini generali, gli obblighi degli Stati in materia di diritto del mare, devono essere interpretati alla luce di ogni convenzione internazionale esistente come quella sulla salvaguardia della vita umana in mare, non delimitando l’obbligo di soccorso né allo Stato di bandiera né allo Stato costiero inteso come Stato di approdo.
Anche lo Stato italiano ha aderito a questa interpretazione nel marzo 2019, nel caso della nave italiana «Mare Jonio», ove è stato sostenuto che non vi era una responsabilità dello Stato di bandiera (Italia) ai fini dello sbarco come atto finale del soccorso, ma quella dello Stato del porto più vicino.
Tale ricostruzione sul ruolo dello Stato di bandiera è stata ampiamente condivisa da numerosi qualificati testi escussi nel corso della istruttoria dibattimentale che, in ragione delle funzioni rivestite, erano a conoscenza del ruolo dello Stato di bandiera nella prassi.
In particolare, l’allora Ministro degli Esteri MOAVERO ha specificato, come si vedrà, che la Spagna, quale Stato di bandiera della Open Arms, sosteneva fermamente di non essere tenuta, in quanto tale, al rilascio del POS (il Ministro degli Esteri (spagnolo n.d.r.) me lo ha ripetuto a più riprese: non c’era dubbio che non esistesse una responsabilità della Spagna in quanto Stato di bandiera della nave (..) voi siete Paese più vicino, perché’ devono venire da noi?”).
Anche il teste comandante Gregorio DE FALCO, Ufficiale delle Capitanerie di Porto e, all’epoca dei fatti, Senatore della Repubblica nonché membro della Giunta per le immunità ed autorizzazioni a procedere, è stato chiaro ed efficace sul punto:
“lo Stato di Bandiera ha rilievo nelle vicende della navigazione, per quanto attiene la garanzia della corretta costruzione della nave, del corretto equipaggiamento della nave, ma non ha la primaria responsabilità in termini di soccorso marittimo, ecco perché c’è, esiste, è stata sottoscritta e fatta la Convenzione SAR, proprio perché ciascuno Stato confermi ciò che è da tradizione come dicevo prima, la propria disponibilità a ricevere nel proprio territorio i naufraghi, e poi dopo, soltanto dopo a valutare le eventuali richieste di asilo, ma una volta a terra.(..) Se la nave fosse stata panamense la mandavamo a Panama?”.
§ 10. Lo Stato competente ad indicare il POS
Per quanto riguarda lo Stato competente a indicare il POS, l’Allegato Convenzione SAR, capitolo 3, par. 3.1.9, dispone che «La Parte responsabile dell’area di ricerca e di salvataggio nella quale tale assistenza è fornita dovrà esercitare la primaria responsabilità per assicurare che sia svolto il coordinamento e la cooperazione, in modo che i superstiti assistiti siano sbarcati dalla nave assistente e consegnati in un luogo sicuro, considerate le particolari circostanze del caso e le Linee guida sviluppate dall’Organizzazione. In questi casi le Parti interessate dovranno organizzare tutto il necessario affinché lo sbarco sia effettuato al più presto, come ragionevolmente praticabile».
Tale disposizione mostra con chiarezza non solo che non è affatto escluso che in una zona SAR appartenente a un Paese debbano intervenire altri Stati, ma anche che altri Stati subentrino allo Stato SAR nei compiti di salvataggio e di sbarco in un luogo sicuro, poiché la previsione che la norma citata indichi lo Stato SAR come quello che ha la responsabilità primaria (“primary responsibility”) fa ritenere che tale responsabilità non sia esclusiva.
Tale circostanza ha trovato conferma anche nella prassi. In tal senso si ricorda il caso Pinar E, dell’aprile 2009, in cui una nave, di proprietà di una società turca, battente bandiera panamense, era stata salvata nella zona SAR maltese, ma Malta sosteneva che la nave avrebbe dovuto essere condotta nel luogo più vicino a Lampedusa, mentre l’Italia riteneva che la responsabilità fosse di Malta in quanto Paese SAR. Proprio in quel caso è risultato chiaro che uno Stato come l’Italia non può sottrarsi all’obbligo di soccorso, nel quale è incluso lo sbarco in un luogo sicuro, per il solo fatto che un evento si verifica in una zona SAR di un altro Stato e, a conferma di ciò, infatti, l’Italia, in quell’occasione, aveva acconsentito a trasbordare i migranti su una nave della Marina militare per il successivo sbarco a Lampedusa.
Pertanto, ogni Stato a conoscenza di una situazione di pericolo mantiene l’obbligo di soccorso che si conclude nel momento in cui i naufraghi o altre persone in pericolo approdino in un luogo sicuro.
Una lettura delle Convenzioni volta a delimitare e a stabilire una competenza esclusiva in capo a uno Stato sarebbe contraria non solo al diritto internazionale generale e pattizio ma allo stesso obiettivo della Convenzione UNCLOS che è, come precisato nel Preambolo, «favorire la cooperazione tra le organizzazioni di ricerca e di salvataggio del mondo intero e tra tutti coloro che partecipano ad operazioni di ricerca e salvataggio in mare».
Proprio l’obiettivo della cooperazione e il fine di ampliare il soccorso in mare fino a includere l’obbligo di individuare un luogo sicuro esclude ogni interpretazione limitativa anche dal punto di vista soggettivo nelle azioni di soccorso, pur prevedendo, in linea di principio, una primaria responsabilità dello Stato competente per la zona SAR, nonché degli Stati che hanno ricevuto una segnalazione circa la situazione di pericolo, incluso lo Stato della bandiera della nave che presta soccorso.
La portata ampia della cooperazione funzionale a salvare la vita dei naufraghi è stata sottolineata anche nel già citato Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare laddove all’obiettivo n. 8 si legge che gli Stati si impegnano a cooperare per prevenire la morte di migranti attraverso operazioni congiunte e individuali di «search and rescue».
In questo senso, deve essere letta la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 25 giugno 2019, nel caso Rackete e altri contro Italia (ricorso n. 32969/19) relativo allo sbarco in Italia della nave Sea Watch 3, con la quale la Corte non ha escluso la giurisdizione italiana, malgrado la nave (battente bandiera straniera) fosse intervenuta nella zona SAR libica e l’imbarcazione si trovasse, al momento del ricorso, al di fuori delle acque territoriali italiane.
Nei casi di segnalazione per fatti avvenuti al di fuori del proprio territorio, quindi, si può ritenere sussistente una presunzione di competenza di ogni Stato che riceva una segnalazione della situazione di pericolo, anche perché, come chiarito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera) con la sentenza del 13 febbraio 2020, N.D. e N.T. contro Spagna, le specificità del contesto migratorio non possono portare «ad ammettere uno spazio di non-diritto all’interno del quale gli individui non siano soggetti ad alcun regime giuridico che permetta loro di beneficiare dei diritti e delle garanzie previsti dalla Convenzione»[25].
In sintesi, dagli obblighi degli Stati coinvolti nelle operazioni di soccorso, alla luce del principio cardine ispiratore di tutta questa fase, ossia quello secondo cui “I governi e l'RCC responsabile dovrebbero compiere ogni sforzo per ridurre al minimo i tempi in cui i sopravvissuti rimangono a bordo della nave assistente” (punto 6.8), deriva che:
1) il coordinamento delle operazioni di salvataggio, compreso l’obbligo di indicare o chiedere un POS, grava principalmente sul RCC dello Stato nella cui zona SAR è avvenuto il soccorso ed è richiesta assistenza;
2) se lo Stato che ha avuto per primo notizia della situazione SAR è diverso, questo deve assumere immediatamente il coordinamento sino a quando tale coordinamento venga assunto dallo Stato competente per la zona SAR o da altro che si trovi in una posizione più idonea a fornire una risposta di sicurezza immediata e adeguata;
3) in caso contrario, lo Stato che ha avuto per prima notizia mantiene la responsabilità sino all’esaurimento delle relative operazioni.
§ 11. La normativa italiana in tema di immigrazione via mare e le relative competenze del Ministro dell’Interno
La normativa interna sulla gestione del fenomeno del soccorso in mare ha messo in luce il carattere articolato dell’assetto delle competenze amministrative in materia, correlato alla contestuale implicazione di interessi diversi e potenzialmente confliggenti, riconducibili, da un lato, alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, dall’altro, alla tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e della sanità pubblica dello Stato accogliente, nonché alla gestione dei flussi migratori.
Le autorità amministrative, quindi, cui spetta, secondo le proprie competenze, l’attivazione in casi di eventi SAR coinvolgenti lo Stato italiano, sono pertanto plurime.
Innanzitutto va indicato il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto (articolazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), che, per la normativa italiana, assume la veste di I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre)[26] ed “assicura l'organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio, coordina le operazioni di ricerca e salvataggio nell'ambito dell'intera regione di interesse italiano sul mare e tiene contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati”,
Va altresì menzionato il Centro Nazionale di Coordinamento (N.C.C.), cioè un organo interforze, istituito con decreto del Capo della Polizia del 20.1.2012, in cui collaborano rappresentanti della Direzione Centrale dell’Immigrazione della Polizia di Stato, operatori della Marina Militare, del Corpo delle Capitanerie di Porto, della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri, e svolge funzioni di raccordo ed informazione di tutte le operazioni di monitoraggio e soccorso in mare.
Ancora, va ricordato il Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione, incardinato presso il Ministero dell’Interno, cui sono attribuite funzioni di tutela dei diritti civili in materia di immigrazione, asilo di persone straniere, cittadinanza italiana e confessioni religiose.
Così come va menzionato lo stesso Ministro dell’Interno quale autorità di pubblica sicurezza a mente dell'articolo 1 della legge n. 121/81[27].
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Quanto alle procedure, in Italia, il “piano operativo” raccomandato dalla Risoluzione MSC n. 167-78 del 2004 è stato adottato con la direttiva SOP 009/15, edita nel 2015 dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, all’esito di un “tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare”, tenutosi il 28 luglio 2015 presso il Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia di Frontiera.
Orbene, secondo il predetto tavolo, ove l’attività di soccorso in mare sia stata effettuata da unità navali della Guardia Costiera Italiana, la richiesta di assegnazione del POS deve essere presentata da IMRCC (o MRCC Roma) al Centro Nazionale di Coordinamento (NCC) che, a sua volta, provvederà all’inoltro della medesima al Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, Ufficio (allora) competente all’indicazione del POS e che, a tal fine, “terrà in considerazione le citate previsioni delle pertinenti convenzioni internazionali, avendo cura di limitare per quanto possibile, la permanenza a bordo delle persone soccorse e di far subire alle navi soccorritrici la minima deviazione possibile dal viaggio programmato”.
Tali linee operative, inoltre, alla luce delle problematiche implicate nella gestione degli sbarchi, legate in particolare alla necessità di predisporre un complesso servizio di assistenza che involge profili sanitari, logistici e di ordine pubblico, demandati al Ministero dell’Interno[28], hanno previsto che, “nel caso di interventi di soccorso connessi con i fenomeni migratori”, l’individuazione del POS, da parte del predetto Dipartimento, va “concertata anche con le competenti Autorità del Ministero dell’Interno... oltre a tenere conto delle eventuali esigenze e problematiche di carattere prettamente nautico”.
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Con l’avvento al Viminale, nell’estate 2018, del Ministro SALVINI che, ha promosso, come si dirà, l’introduzione nel procedimento di una nuova fase, tesa all’interlocuzione con gli altri Paesi dell’Unione Europea per una condivisione nella distribuzione dei migranti, la titolarità esclusiva all’autorizzazione allo sbarco è stata assunta direttamente dallo stesso Ministro dell’Interno.
Invero, in occasione di un “Tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare”, tenutosi in data 12.2.2019, dato il mutato andamento dei flussi migratori e della presenza di ben tre “hotspots” in Sicilia, le autorità coinvolte nella gestione dei flussi migratori hanno ritenuto di apportare alcune significative modifiche alla procedura dei soccorsi in mare.
Va subito precisato che tali nuove prassi, pur non essendo state riprodotte in un atto amministrativo formale, di fatto sono state pedissequamente applicate dalle strutture coinvolte poiché considerate comunque cogenti indipendentemente dalla loro formalizzazione (così come emerso da diverse testimonianze raccolte in dibattimento).
In particolare, in occasione del suddetto tavolo tecnico si è ritenuto che fosse venuta meno “la necessità della competenza del Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione nella determinazione del POS ai fini della prima accoglienza dei migranti presso le località di sbarco”. Si è pertanto stabilito che le richieste di POS continuano oggi ad essere indirizzate da I.M.R.C.C. al NCC il quale, direttamente, “inoltrerà la richiesta di POSalle competenti articolazioni del Ministero dell’Interno, al fine di consentire l’avvio dell’istruttoria interna e la condivisione europea per la indicazione della località di sbarco e la dislocazione dei migranti” mentre, nelle more delle interlocuzioni finalizzate alla distribuzione tra i Paesi Membri dei migranti, “sarà considerata la possibilità di ritenere quale POS temporaneo l’assetto navale intervenuto nell’evento di soccorso, valutata preliminarmente la capacità dell’unità medesima, assicurando, in ogni caso il necessario assolvimento dell’obbligo di assicurare il soddisfacimento dei bisogni primari (alimentazione, cure mediche, rifugio ecc.) ai migranti ”.
Tuttavia, la procedura prevede che MRCC Roma inoltri a NCC richiesta di POS (soltanto) qualora nell’evento di soccorso siano state coinvolte unità navali della Guardia Costiera e mercantili, con il coordinamento di MRCC Roma, mentre, “qualora l’intervento di soccorso avvenga in acque internazionali – al di fuori dell’area SAR nazionale – e le operazioni di soccorso siano state effettuate da navi battenti bandiera straniera, senza il coordinamento dell’Autorità SAR italiana, qualora la situazione dovesse presentare aspetti connessi con l’immigrazione illegale e la nave si diriga verso le acque territoriali italiane, MRCC tempestivamente fornirà al NCC i dettagliati elementi necessari a consentire l’adeguata valutazione del caso da parte delle competenti articolazioni del Ministero dell’Interno per l’eventuale adozione dei provvedimenti di competenza, previsti dalla vigente normativa nazionale ed internazionale”.
Tale generica previsione, - si dica per inciso - spiega la qualificazione dell’evento effettuata nelle numerosissime comunicazioni inoltrate, nella vicenda in esame, da I.M.R.C.C. alle varie articolazioni ministeriali competenti, quale “fenomeno immigrazione clandestina” piuttosto che come “evento SAR”.
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Con riferimento alle suddette competenti articolazioni del Ministero dell’Interno, quelle nuove linee guida, con il richiamo alla normativa interna sul contrasto all’immigrazione clandestina, già implicitamente attribuiscono un ruolo di particolare rilievo al Ministro dell’Interno, cui quella normativa riconosce rilevanti e incisivi poteri in quanto Autorità nazionale di pubblica sicurezza.
Del resto, l’introduzione dell’alternativa – estranea, invero, alla normativa sul salvataggio - tra interventi di soccorso coordinati da IMRCC e interventi eseguiti da navi straniere che si dirigano verso le acque territoriali italiane, costituisce l’ennesima conferma dell’attribuzione proprio al Ministro dell’Interno di un preliminare vaglio circa la qualificazione dell’evento al suo esame in termini di evento SAR, meritevole di assegnazione di POS, o, viceversa, in termini di fenomeno di immigrazione clandestina, da fronteggiare mediante l’esercizio dei poteri riconosciutigli dal d.lgs. 286/98, ed in particolare dall’art. 11 comma 1-bis[29], poi accresciuti, come si dirà, con l’entrata in vigore del comma 1-ter[30] del medesimo art. 11.
In ogni caso, quantomeno dal tavolo tecnico (ma anche prima), tutti i soggetti interessati non hanno avuto dubbi nell’identificare le competenti articolazioni del Ministero dell’Interno nella figura del Ministro dell’Interno – con il suo Ufficio di Gabinetto, quale struttura di stretta collaborazione con il primo – quale unico soggetto competente alla indicazione del POS.
Il carattere ormai consolidato di questa prassi amministrativa emerge, del resto, dalla miriade di dichiarazioni in tal senso rese nel corso del processo in cui autorevoli esponenti sia dei predetti uffici che del Governo allora in carica (Prefetto GARRONI, Dott. MANCINI, Ministro TRENTA, Presidente CONTE, Ministro TONINELLI, Ministro LAMORGESE, Ministro DI MAIO, e altri), non hanno mostrato dubbi di sorta nell’affermare che, in quel contesto, il soggetto competente, in ultima analisi, all’indicazione del POS era il Ministro dell’Interno.
Lapidaria, ad esempio, l’affermazione dell’allora Ministro della Difesa, Elisabetta TRENTA:
PUBBLICO MINISTERO – A chi spettava la decisione finale in ordine alla autorizzazione allo sbarco e alla designazione di un post di un Place of Safety per la Open Arms?
TESTIMONE TRENTA E. – Al Ministro dell'Interno.
PUBBLICO MINISTERO – All'epoca Matteo Salvini.
TESTIMONE TRENTA E. – Certo.
Ed ancora, l’allora Presidente del Consiglio CONTE:
“comunque il Ministro dell'Interno, a mia conoscenza, aveva la responsabilità di questo procedimento amministrativo della concessione del POS”.
Dello stesso tenore le dichiarazioni dell’allora Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, Luigi DI MAIO, all’udienza del 13 gennaio 2023:
PUBBLICO MINISTERO – … all'epoca dei fatti quindi siamo lo ripeto nell'agosto del 2019, a chi apparteneva la competenza a concedere il POS, il Place of Safety?
TESTIMONE DI MAIO L. – Al Ministro Salvini.
Efficace anche la deposizione della teste LAMORGESE che, con cognizione di causa, ha spiegato la ratiodell’attribuzione del rilascio del POS al Ministro dell’Interno, ruolo svolto anche dalla stessa proprio dopo l’odierno imputato:
“… perché ripeto il POS perché lo dà il Ministero dell'Interno, proprio perché oltre quelli che sono i problemi di carattere nautico, che è tipico delle Autorità SAR Nazionale, poi ci sono problemi che attengono non soltanto all'ordine pubblico, importantissimo, ma anche questioni di accoglienza; quindi, concretamente per fronteggiare quando sono numeri così elevati.”
Del resto, anche lo stesso imputato non ha negato tale sua competenza, fino anche ad affermare che, nella vicenda della Open Arms, avrebbe lui stesso provveduto al rilascio del POS, se non fosse intervenuto il provvedimento della Procura della Repubblica di Agrigento.
Non mutano il quadro finora ricostruito le dichiarazioni rese in dibattimento dall’allora Capo di Gabinetto, Matteo PIANTEDOSI, che, distinguendo tra il salvataggio di naufraghi in difficoltà per cui occorre l’indicazione di un place of safety, e un fenomeno di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per il quale non va rilasciato, ha ritenuto che il POS sia di competenza della Capitaneria di Porto (verosimilmente sovrapponendo l’indicazione di un posto sicuro sia con le materiali operazioni di sbarco in un determinato porto, proprie della Capitaneria, sia con le evacuazioni mediche di singoli naufraghi gestite dalla Guardia Costiera insieme alle autorità mediche), anche se poi, proprio con riferimento alla vicenda della Open Arms, ha fatto intendere, nella deposizione del 16 febbraio 2024, che il suo ufficio, infine, avrebbe fatto sbarcare i migranti (“non è che il Ministro o io potessimo pensare che lì potessero rimanere a vita, no, quindi ci sarebbe stato un momento in cui se non maturavano tutte le questioni che stavamo ponendo in essere, sarebbe successo che lo sbarco sarebbe avvenuto non c'è dubbio”).
La natura vincolante dell’indicazione del Ministro dell’Interno in merito all’indicazione o meno del POS, del resto, emerge, ancora, univocamente, oltre che dal fatto che nessuna altra autorità ne ha finora rivendicato la competenza, da quei numerosi atti tramite i quali il predetto Ministro ha esplicitamente palesato di essere il soggetto a cui spettava la decisione al riguardo.
Ci si riferisce, ad esempio, come meglio si vedrà, alla corrispondenza intrattenuta, sulla posizione dei minori presenti a bordo della Open Arms, con il Tribunale per i minorenni di Palermo e con il Presidente del Consiglio avente ad oggetto proprio l’intenzione del Ministro di non concedere il POS. Va, altresì, considerata la nota del 19 agosto 2019, sulla quale si ritornerà, con cui veniva esplicitata formalmente la linea del Ministro secondo il quale non sussistevano i presupposti al rilascio del POS da parte sua.
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La tendenza ad accentrare in capo al Ministro dell’Interno il potere di esitare, in ultima analisi, le richieste di assegnazione di POS risulta confermata anche dai più recenti sviluppi della prassi e del piano operativo.
Appare significativo, al riguardo, che i contenuti del citato tavolo tecnico sono stati ripresi dallo stesso Ministro SALVINI nella direttiva 14100/141(8), emanata il 18.3.2019[31] “per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ex articolo 11 del d.lgs. n. 286/1998 recante il Testo Unico in materia di Immigrazione”, in cui egli ha fornito agli organi incaricati delle attività di prevenzione e contrasto del traffico di migranti via mare[32] - tra cui il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - precise indicazioni in merito alla qualificazione degli interventi di salvataggio di migranti effettuati nel Mediterraneo, in aree SAR non italiane, senza il coordinamento di IMRCC, da navi battenti bandiera straniera o nazionale che, agendo d’iniziativa e disattendendo le direttive delle competenti Autorità SAR, si dirigano dunque verso le frontiere marittime europee, richiedendo un POS alle Autorità Italiane.
In questo provvedimento, partendo dalla premessa che, dall’analisi di “casi concreti di soccorso verificatisi in acque internazionali”, sono emersi “molteplici elementi sintomatici di una strumentalizzazione da parte dei trafficanti della doverosa attività di salvataggio al fine di perseguire lo scopo ultimo dell’ingresso irregolare sul territorio nazionale dei migranti”, il Ministro ha sottolineato come, nell’ambito di un “approccio globale e concreto al flusso migratorio proveniente via mare”, tali elementi non possano non essere valutati dall’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza e presuppongano, “ferma restando l’esigenza di garantire il tempestivo salvataggio”, la necessità e l’opportunità “di accertare e verificare in modo immediato se, nella situazione concreta, vi sia stata una violazione dolosa e preordinata delle norme internazionali in materia di soccorso, allo scopo di eludere le norme che regolano l’immigrazione regolare, ponendo in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica interna dello Stato costiero”: valutazione resa in concreto possibile dalla comunicazione che, in occasione di un evento di soccorso in acque internazionali o in acque SAR di competenza di altro Paese estero, il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, attraverso MRCC Roma, dovrà inoltrare ai sensi del decreto interministeriale del 14 luglio 2003 al Centro di Coordinamento Internazionale (NCC), avente ad oggetto “tutte le circostanze relative all’intervento effettuato per gli aspetti connessi al contrasto dell’immigrazione irregolare”.
L’indicazione fornita dal Ministro, cui le amministrazioni incaricate dovevano attenersi è che, in presenza di interventi di salvataggio di migranti effettuati in aree SAR non italiane, senza il coordinamento di IMRCC, da navi battenti bandiera straniera o nazionale, “ferma restando l’esigenza di garantire il tempestivo salvataggio”, non veniva in considerazione alcun ulteriore obbligo per le Autorità Italiane, non sussistendo, a suo giudizio, le condizioni previste dalla normativa vigente per l’assegnazione di un place of safety in Italia e configurandosi, semmai, un passaggio non inoffensivo nelle acque territoriali ai sensi degli artt. 17, 18 e 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, trattandosi di condotta di soccorso e navigazione sistematicamente “finalizzata al trasferimento sul territorio italiano di migranti irregolari soccorsi nel mar Mediterraneo”, attraverso il “ricorso strumentale alle Convenzioni internazionali sul diritto del mare in materia di soccorso”.
Tale modus operandi, ritenuto “pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello stato costiero in quanto ... finalizzato a introdurre migranti irregolari, in violazione delle leggi vigenti in materia di immigrazione, privi altresì di documenti di identità e provenienti in parte da paesi stranieri a rischio terrorismo, per diffuse attività terroristiche verificatesi ed in atto in quei territori”, imponeva, dunque, ad avviso del Ministro, l’adozione di una precisa linea d’azione, apparendo “opportuno e doveroso che l’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, sulla base dell’analisi del rischio delle informazioni emergenti dalle circostanze concrete caratterizzanti specifici eventi di salvataggio, adotti le direttive ed i provvedimenti tesi a garantire il rispetto del complessivo quadro normativo, internazionale, comunitario e nazionale, posto a presidio della sicurezza pubblica”.
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Con riferimento ai tentativi di redistribuzione in ambito europeo dei migranti, considerati nel suddetto tavolo tecnico, va precisato che tale prassi o, meglio, tentativo di prassi, non approvata in via normativa dai Paesi interessati, perdurando la vigenza del Regolamento di Dublino, si può porre in contrasto con la normativa internazionale sugli eventi SAR.
È opportuno chiarire, infatti, che l’obbligo di soccorso e le misure per lo sbarco, come elemento conclusivo e indispensabile dell’attività di soccorso, non sono condizionati dalla conclusione di intese sulla ricollocazione (c.d. relocation) di migranti[33] e sul loro reinsediamento perché questo atto, che è limitato per di più al solo contesto UE, così come gli eventuali rimpatri, attengono alla fase post soccorso, che necessariamente si conclude con lo sbarco in un luogo sicuro.
Pertanto, in primo luogo si conclude lo sbarco e poi si procede al ricollocamento perché non sussiste, in base al diritto internazionale e al diritto europeo, alcun «rapporto di propedeuticità», né di subordinazione o condizionamento, tra un eventuale accordo europeo e lo sbarco dei migranti.
Questo risulta anche dall’Agenda europea sulla migrazione adottata dalla Commissione europea il 13 maggio 2015 (COM(2015)240 final) e dal nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo del 23 settembre 2020 (COM(2020)609 final) nel quale si afferma che il nuovo regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione «fornirà assistenza attraverso la ricollocazione a seguito degli sbarchi dopo le operazioni di ricerca e soccorso».
Inoltre, dal punto di vista sostanziale non ha alcun rilievo la Dichiarazione di intenti adottata a La Valletta il 23 settembre 2019 conclusa tra Italia, Malta, Germania e Francia (atto non vincolante) sull’impegno al ricollocamento a seguito di operazioni SAR in alto mare e che cadono sotto la responsabilità dell’Italia o di Malta[34] perché, in ogni caso, non si subordina il soccorso e lo sbarco al ricollocamento.
Ancora, in base all’ordinamento internazionale, una norma pattizia non può essere modificata da un atto non vincolante che, al massimo, può contribuire a formare una norma consuetudinaria che certo non si è consolidata con riguardo alla ricollocazione come condizione preliminare allo sbarco in un luogo sicuro, parte essenziale del soccorso.
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Con riguardo alle modalità di emissione del POS, inerendo alla conclusione di una fase di soccorso, esso non deve essere rilasciato con formalismi particolari essendo sufficienti, e certamente più adeguate alla necessità di agire in tempi ristretti, mere comunicazioni del tutto informali effettuate a mezzo di ordinari canali telefonici o telematici (telefonate, SMS, e-mail) indirizzate alla Guardia Costiera, come emerso anche nel corso del dibattimento.
Anche tale assenza di forma lascia evidenziare che il provvedimento di rilascio o di diniego del POS sono atti di natura meramente amministrativa e non politica e, pertanto, è sindacabile dall’autorità giudiziaria.
Si ricorda che si qualifica atto politico "quello caratterizzato dalla compresenza di due requisiti: il primo, di carattere soggettivo, consistente nel promanare da un organo di vertice della pubblica amministrazione, individuato fra quelli preposti all'indirizzo della direzione della cosa pubblica al massimo livello; il secondo, di carattere oggettivo, consistente nell'essere l'atto concernente la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione" (Consiglio di Stato - Sezione 4 - Sentenza n. 6083 del 18 novembre 2011)
L’insindacabilità dell'atto politico, che si giustifica alla luce delle motivazioni di opportunità e discrezionalità che lo sostengono, è stata nel tempo sottoposta a revisione evolutiva, soprattutto con riferimento alla necessità che anche gli atti politici si muovano all'interno di un alveo di legalità, sia costituzionale, sia sovranazionale, in maniera che non si incorra nel pericolo che, facendo leva su esigenze connesse alla ragion di Stato, si pervenga alla lesione dei diritti inviolabili dell'uomo.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 81 del 5 aprile 2012 si è espressa in tal senso affermando che "gli spazi della discrezionalità politica trovano il loro confine nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo: e quando il legislatore predetermina i requisiti di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l'ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un'azione di governo, è circoscritto da vincoli imposti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'azione, sindacabile nelle sedi appropriate"
Peraltro non vi è dubbio sulla sindacabilità giurisdizionale dei cosiddetti atti di alta amministrazione, alla luce della giurisprudenza costituzionale ed amministrativa che li ha inquadrati come una sorta di anello di collegamento fra la fase di programmazione politica, esclusa dal sindacato giurisdizionale in ragione della sua natura generale ed astratta, in quanto tale ancora insuscettibile di ledere direttamente posizioni giuridiche soggettive, e la concreta attività amministrativa, propriamente detta che, invece, anche ai livelli più alti dell’attuazione dell’indirizzo politico, è a tale sindacato soggetta.
Ciò premesso, non vi è dubbio che gli atti posti in essere o omessi dall'imputato - e di cui all'odierno procedimento – non sono qualificabili come atti politici bensì atti amministrativi e, come tali, sindacabili in sede giurisdizionale.
Del resto, che le condotte afferenti il rilascio del POS costituiscano un atto amministrativo, e non politico è stato riconosciuto, oltre che, più volte, da diversi Tribunali dei Ministri che si sono occupati di casi similari, anche dal GIP presso il Tribunale di Catania nella sentenza n. 422/2021 ove, pur adottando il proscioglimento dello stesso imputato nella vicenda della nave Gregoretti, ha ritenuto tuttavia che non si rientrasse nell’alveo degli atti politici, come pure chiesto dalla difesa dell’imputato, poiché occorreva distinguere la politica governativa in materia di immigrazione dai singoli atti posti in essere dai Ministri in attuazione della stessa, soggetti al sindacato giurisdizionale, incidendo gli stessi su singole posizioni giuridiche in relazione alle diverse peculiarità dei casi nell’ambito dei quali venivano assunti (cfr. pag. 88 ss.).
Invero, il rilascio del POS si inserisce in un determinato procedimento, del quale costituisce l’atto finale, disciplinato da fonti internazionali e nazionali che ne individuano i presupposti giuridici e fattuali, in presenza dei quali esso assume il carattere di un atto vincolato nell’”an”, seppure discrezionale nel “quomodo”, in quanto la sua localizzazione dipende da valutazioni di tipo organizzativo, logistico e tecnico-amministrativo.
Proprio perché sia il rilascio che il diniego del POS sono suscettibili di produrre immediati e diretti effetti giuridici in capo a singoli individui ed astrattamente determinare una lesione dei loro diritti, non vi è dubbio che detti atti siano sindacabili dal giudice, nella misura in cui dette posizioni giuridiche soggettive si ritengano lese e se ne invochi, conseguentemente, tutela giurisdizionale.
Infatti, nella citata sentenza del GUP di Catania si legge che “tutto ciò che sta a valle dell’indirizzo politico generale, vale a dire i singoli comportamenti omissivi o commissivi compiuti dagli esponenti politici del Governo, costituiscono una libera estrinsecazione del potere del singolo Dicastero … che vanno ad interessare i diritti e gli interessi legittimi dei singoli individui cui sono diretti. Per tale ragione non possono essere sottratti alla giurisdizione del giudice penale, in quanto debbono essere assoggettati ad un adeguato controllo, verificando se gli stessi siano aderenti alla legislazione vigente ed alla normativa primaria e secondaria scaturente dall’indirizzo politico assunto dal Governo”.
Nello stesso senso recita anche la decisione del Tribunale dei Ministri di Palermo nel presente procedimento che ha ritenuto, per escludere la natura politica delle condotte ascritte per la omessa indicazione del POS, che “alla luce di tali norme, considerate, come detto, jus cogens, il legittimo diritto dello Stato di proteggere i propri confini e di porre in atto tutte le misure necessarie per salvaguardare la sicurezza e la sanità sul territorio nazionale non può giammai attuarsi mediante un illegittimo respingimento collettivo, né può mai essere attuato mediante una violazione del generale obbligo giuridico di salvaguardare, sopra ogni cosa, l’incolumità della vita umana. Come, infatti, ha affermato la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, “le difficoltà nella gestione dei flussi migratori non possono giustificare il ricorso da parte degli Stati, a pratiche che sarebbero incompatibili con i loro obblighi derivanti da convenzioni. La Corte riafferma a questo proposito che l’interpretazione delle norme di convenzioni deve essere fatta con riguardo al principio della buona fede e all’oggetto e allo scopo del trattato, nonché della regola dell’effetto utile” (v. sentenze Mamatkulov e Askarov; Hirsi c/ Italia). L’evidente contraddittorietà del provvedimento e la sua conseguente illegittimità non consentono, dunque, di ritenerlo idoneo a svincolare lo Stato italiano dalle responsabilità per lo stesso scaturenti dalle norme internazionali più volte richiamate; responsabilità, comunque, non più declinabili a seguito della sospensione degli effetti del provvedimento in parola. Conclusivamente deve affermarsi che la condotta omissiva ascritta agli indagati, consistita nella mancata indicazione di un POS alla motonave Open Arms, è illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana, universalmente riconosciuti come ius cogens” (cfr. Trib.Palermo, collegio per i reati min.30 maggio 2020, pag.55 ss.).
Una conferma indiretta a tale impostazione proviene anche dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe CONTE il quale, nel corso della sua deposizione del 13 gennaio 2023, ha affermato testualmente che: “Non ho mai inteso che il rilascio del POS potesse essere questione diciamo, sottratta al Ministero competente, agli uffici che avevano per altro, se mi permette, come dire, avevano tutta l'istruttoria ed erano in condizione ovviamente.., ho sempre inteso quella come.., adesso lo dico un po’ volgarmente, come una pratica amministrativa di competenza del Ministero competente, non mi sono mai interessato insomma in particolare del POS o di acquisire gli elementi istruttori specifici per vedere e ravvisare che c’erano gli estremi”.
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Nel valutare quali “provvedimenti di competenza, previsti dalla vigente normativa nazionale ed internazionale”, secondo il citato Piano Operativo, possano essere adottati dal Ministero dell’Interno, va ricordato che all’epoca dei fatti che ci riguardano era entrato in vigore il Decreto-legge n. 53 del 14 giugno 2019, noto come decreto sicurezza bis recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica, convertito con modificazioni dalla legge n. 77 dell’8 agosto 2019.
L’art. 1 del citato decreto una modifica all’art. 11 del «Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» e prevede che il Ministro dell’Interno, in quanto autorità nazionale di pubblica sicurezza, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, informandone il Presidente del Consiglio dei Ministri, nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può «limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, par. 2, lett. g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite su diritto del mare…».
Ai fini di una corretta lettura, e dunque applicazione, di tale disposizione, ormai abrogata, deve evidenziarsi che il richiamato art. 19, par. 2, lett. g), della Convenzione di Montego Bay, secondo cui “Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività:…..g) il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero”, va letto congiuntamente all’art. 18, par. 2 il quale riconosce «la fermata e l’ancoraggio» nel mare territoriale se ciò è necessario e finalizzato a «prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà».
Sul punto è rilevante l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella citata pronuncia Sea Watch eV con cui si è chiarito che proprio l’art. 18, par. 2 fa sì che «la circostanza che una nave abbia prestato soccorso a dette persone [migranti] può comportare il passaggio di tale nave attraverso il mare territoriale di uno Stato costiero, ivi compresi la fermata o l’ancoraggio in una siffatta zona, se necessari» (punto 105).
Inoltre, l’art. 25 della Convenzione di Montego Bay, relativo al diritto di protezione dello Stato costiero, prevede che uno Stato possa sospendere il passaggio non inoffensivo, ma senza stabilire una discriminazione di diritto o di fatto tra le navi straniere e solo nei casi in cui ciò sia indispensabile per la protezione della propria sicurezza, che deve essere dimostrata in quanto eccezione alla regola.
Ancora, l’art. 19, comma 2, citato non può essere letto in modo contrario alle regole consuetudinarie che assicurano l’obbligo di soccorso; per cui se il divieto è astrattamente compatibile con il diritto internazionale nella parte in cui si tratti, ad esempio, di un’imbarcazione condotta da trafficanti di migranti, in cui comunque l’esigenza di proteggere la sicurezza nazionale deve essere bilanciata con la tutela delle persone in stato di pericolo, lo stesso non può dirsi certamente per le imbarcazioni che hanno svolto un’attività di soccorso.
In aggiunta, l’art. 311 della Convenzione di Montego Bay, al 2° comma specifica che la stessa Convenzione non modifica i diritti e gli obblighi degli Stati parti che derivano da altri accordi come l’obbligo di soccorso previsto dalle Convenzioni SOLAS, SAR e SALVAGE, oltre che dal diritto consuetudinario e dai trattati in materia di diritti umani.
Peraltro, l’inderogabilità della normativa internazionale sul soccorso in mare era stata evidenziata anche dal Presidente della Repubblica che in data 8 agosto 2019, al momento della promulgazione della legge di conversione del citato decreto di sicurezza bis, aveva inviato una lettera ai Presidenti di Senato, Camera e del Consiglio dei Ministri (agevolmente reperibile su fonti aperte), segnalando alcuni profili che suscitavano “rilevanti perplessità”. Il Presidente MATTARELLA sottolineava, in particolare, che, “con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”. Il Presidente della Repubblica ricordava, altresì, che “la limitazione o il divieto di ingresso può essere disposto “nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia”, e che “il comandante della nave è tenuto ad osservare la normativa internazionale”, tra cui proprio la Convenzione di Montego Bay che impone, come illustrato, di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo[35].
Dunque, se in via generale uno Stato può chiudere l’accesso ai propri porti, non può farlo laddove sorgano questioni umanitarie e di rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti umani. Invero, lo Stato del porto non può impedire al comandante della nave di adempiere all’obbligo di soccorso, nel quale è incluso lo sbarco in un luogo sicuro[36] perché violerebbe norme di diritto internazionale sul soccorso in mare e sui diritti dell’uomo, inclusa la norma di ius cogens sul diritto alla vita[37].
Tali criteri sono stati confermati anche nella Guida ai principi e alle misure da applicare ai rifugiati e ai migranti in caso di soccorso in mare, adottato nel 2015 dall’IMO, dall’International Chamber of Shipping e dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati in cui è precisato l’obbligo di applicare le regole di diritto marittimo alla luce dei diritti dei rifugiati.
La preminenza e l’inderogabilità dell’obbligo di soccorso risultano anche dal Protocollo contro il traffico di migranti per terra, mare e aria, del 25 novembre 2000 (entrato in vigore sul piano internazionale il 28 gennaio 2004), adottato nel contesto della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale del 15 novembre 2000 (nota come Convenzione di Palermo, adottata con risoluzione 55/25 dall’Assemblea generale, entrata in vigore il 29 settembre 2003), ratificati in Italia con legge n. 146 del 16 marzo 2006[38]. Invero il Protocollo impone, in ogni caso, anche nell’adozione di misure per la lotta al traffico di migranti, il rispetto dell’incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo, tenendo «debitamente conto della necessità di non mettere in pericolo la sicurezza della nave o del suo carico» (art. 9, lett. b)[39]. Il Protocollo, inoltre, chiarisce la sua funzionalità anche nella protezione dei diritti dei migranti oggetto di traffico clandestino (art. 4), precisando che «i migranti non diventano assoggettati all’azione penale fondata sul presente Protocollo» e richiede, invece, un intervento degli Stati al fine di punire coloro che, per fini di profitto, procedono al traffico di migranti, ma senza limitare il soccorso in mare, seppure con misure indirette.
Inoltre, una misura di chiusura dei porti comporta, inevitabilmente, il divieto di sbarco da un’imbarcazione anche per eventuali autori di crimini come il traffico dei migranti, determinandosi una violazione dell’obbligo internazionale per gli Stati parti, in base all’art. 6, di punire tali autori. In sostanza, rimandando indietro l’imbarcazione con tutte le persone a bordo, le autorità nazionali omettono di eseguire un obbligo internazionale, quale quello, tra gli altri, dell’identificazione degli autori dei crimini e dell’applicazione delle relative sanzioni.
Nella stessa direzione vi sono numerosi atti dell’Unione Europea, come la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in cui l’art. 1, par. 1, dopo aver stabilito che ogni Stato membro deve adottare sanzioni appropriate nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti, a scopo di lucro, una persona che non sia cittadino di uno Stato membro a soggiornare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa al soggiorno degli stranieri, dispone che gli Stati membri non sono tenuti ad adottare sanzioni nei casi in cui l’aiuto sia fornito per prestare assistenza umanitaria alla persona interessata. In modo analogo, il Parlamento Europeo, con la Risoluzione del 5 luglio 2018 sugli orientamenti destinati agli Stati membri per prevenire la configurazione come reato dell'assistenza umanitaria (P8_TA(2018)0314), ha rilevato che, in linea con il Protocollo sul traffico di migranti, gli atti di assistenza umanitaria non sono da configurare come reato.
Proprio perché l’obbligo di soccorso è un obbligo universale e complesso che comporta obblighi positivi e negativi, sia l’adozione di provvedimenti, sia l’omissione nell’adozione di specifiche misure impeditive del soccorso, risultano contrarie al diritto internazionale, come rilevato dal Relatore speciale sui diritti umani dei migranti nel rapporto del 12 maggio 2021 sugli strumenti per rispondere alle conseguenze per i diritti umani in caso di respingimento dei migranti sul territorio o in mare[40], ove si sottolinea che finanche le azioni statali volte a iniziare procedimenti amministrativi o penali contro le ONG possono condurre a un abbassamento delle capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo[41].
Pertanto, risulta chiaro che a una nave che intervenga nel soccorso di persone in mare, che hanno come fine quello di richiedere protezione internazionale o di emigrare, seppure non nel rispetto delle leggi dello Stato costiero, non può essere opposto il divieto di ingresso – con misure legislative o amministrative o di altro genere - in ragione delle norme interne sull’immigrazione irregolare.
L’adozione, quindi, di un decreto interministeriale o altro atto amministrativo che stabilisce la chiusura dei porti e il divieto di ingresso in una situazione in cui si è verificato il soccorso è in aperto contrasto con le regole consuetudinarie internazionali e convenzionali in materia di diritto del mare, oltre che con le regole a tutela dei diritti umani e con il diritto dell’Unione europea.
D’altra parte, lo stesso art. 10 ter del D.lgs. n. 286/1998 stabilisce che “Lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell'ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito”.
Detta norma, pur facendo riferimento, tra i casi di ingresso di stranieri nel territorio nazionale che impegnano lo Stato nelle attività descritte, anche a quello derivante da “operazioni di salvataggio in mare”, non distingue affatto – come è ovvio che sia - a seconda che si tratti di soggetti soccorsi da unità navali italiane ovvero straniere.
Sotto altro profilo, l’art. 11 comma 1-ter, neppure può consentire che, mediante il decreto interdittivo in esso previsto, vengano realizzati respingimenti collettivi, ovvero una misura che “possa produrre l’effetto di rinviare un richiedente asilo o un rifugiato verso le frontiere di un territorio in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate e in cui rischierebbe una persecuzione. Ciò include il rigetto alle frontiere, l’intercettazione e il respingimento indiretto, che si tratti di un individuo in cerca di asilo o di un afflusso massiccio” (v. sentenza CEDU del 23.2.2012 nel caso Hirsi Jamaa ed altri v. Italia).
I predetti respingimenti sono, infatti, vietati dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 che ha codificato “un principio di diritto internazionale consuetudinario che vincola tutti gli Stati, compresi quelli che non sono parti alla Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati o a qualsiasi altro trattato di protezione dei rifugiati. È inoltre una norma di jus cogens: non subisce alcuna deroga ed è imperativa, in quanto non può essere oggetto di alcuna riserva” (v. sentenza della CEDU cit.), nonché dall’art. 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 Protocollo Addizionale n. 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Pertanto, tra i “provvedimenti di competenza” del Ministero dell’Interno, menzionati dalle linee guida del tavolo tecnico del 12.2.2019, in caso di richiesta di POS inoltrata per effetto di soccorsi in mare effettuati da navi battenti bandiera straniera, senza il coordinamento dell’Autorità SAR italiana, non può mai essere inclusa l’adozione del divieto di ingresso previsto dall’art. 11 comma 1-ter del D. Lgs. n. 286/1998, come introdotto dal D.L. n. 53/2019, non ricorrendo l’ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19 par. 2 lett. g) della Convenzione UNCLOS del 1982. Preme inoltre rilevare che l’art. 11 comma 1-ter del D. Lgs. n. 286/1998 è stato successivamente abrogato dall’art. 1 comma 1 del D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 73.
Tra gli altri provvedimenti di competenza del Ministero dell’Interno vanno certamente individuati quelli previsti dal citato art. 10-ter del decreto legislativo 286/1998 e nei conseguenti adempimenti in tema di disposizioni in materia di protezione internazionale.
Ancora, laddove tra i naufraghi vi siano soggetti minori non accompagnati, rilevano quelli previsti dalla legge n. 47/2017, c.d. Legge Zampa, che, unitamente al D. Lgs. n. 142/2015, prevede espressamente il loro diritto di essere accolti in strutture idonee e ottenere il permesso di soggiorno per minori di età, vietandone in modo assoluto il respingimento e l’espulsione.
§ 12. Il principio del non respingimento
La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati che «costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati», come chiarito nella direttiva 2011/95/UE relativa alla protezione internazionale, recepita in Italia con Decreto legislativo n. 18 del 21 febbraio 2014, afferma il principio di non refoulement (non respingimento) per il quale gli Stati hanno l’obbligo di non respingere e, quindi di accogliere, coloro che, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione, hanno il giustificato timore di essere oggetto di persecuzione per motivi legati alla razza, alla religione, alla nazionalità, all’appartenenza a un particolare gruppo sociale e alla opinione politica, che non possono avvalersi della protezione del proprio Stato.
In relazione ai soggetti che devono essere tutelati in forza di detto principio si ricorda che le direttive 2003/84/CE e 2005/85/CE del 1° dicembre 2005 hanno fornito una nozione di status di rifugiato più ampia o, almeno, più tipizzata rispetto alle definizioni di cui alla Convenzione di Ginevra (art. 1, II comma e art. 33, I comma) e della stessa Carta EDU, introducendo la nozione di beneficiario di protezione internazionale di cui si rappresentano differenti declinazioni in ragione dei requisiti costitutivi lo status di rifugiato e lo status di beneficiario di protezione sussidiaria. In particolar, il quid pluris compreso nella definizione corrispondente dello status di rifugiato nell’art. 2, l. d) della direttiva è costituito dalla dissociazione della condizione di rifugiato dall’attualità della persecuzione nello Stato di allontanamento poiché il «fondato timore» di subire persecuzioni per i motivi indicati nella disciplina comunitaria e internazionale è sufficiente per riconoscere al richiedente la condizione di meritevole di protezione internazionale. Inoltre, la direttiva prevede uno status di tutela ulteriore rispetto a quello di rifugiato nella condizione di colui il quale «non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno (…)» (art. 2, l. f), individuato dall’art. 15 nella condanna o esecuzione di condanna a morte, nella tortura o nell’inflizione di trattamenti inumani o degradanti e nella minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente derivante dalla violenza indiscriminata alimentata da un conflitto attuale nello Stato di allontanamento. Al quadro di fonti delineato si aggiunge, la Carta europea dei diritti fondamentali che all’art. 19 co. II ha definito una autonoma nozione di rifugiato, sebbene ricalcata su quella della Convenzione di Ginevra in cui il «rischio serio» sostituisce il «fondato timore» con evidente, ulteriore ampliamento di tutela.
Ciò premesso sullo statuto giuridico-individuale più ampio della condizione di rifugiato, deve sottolinearsi che lo stesso riceve una chiara copertura costituzionale sancito dal combinato disposto tra l’art. 10, terza alinea, della Carta Costituzionale (“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”) e le norme che disciplinano le libertà fondamentali dell’individuo consacrate nella prima parte (art. 13 – 28 Cost.)[42].
Proprio in relazione al citato principio costituzionale ex art. 10 (2) Cost. per cui il trattamento dello straniero è disciplinato dalla legge in conformità agli obblighi internazionali e che detti obblighi sono vigenti e tendenzialmente applicabili anche a prescindere dall’esistenza di specifiche disposizioni di attuazione, merita di essere ricordato il noto messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato al Presidente del Consiglio nel momento della firma del primo dei cc.dd. “Decreti Sicurezza” – il D.L. 113 del 2018 - che aveva modificato proprio una delle norme di attuazione di tali obblighi, in cui il Capo dello Stato affermava testualmente: “Al riguardo avverto l’obbligo di sottolineare che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”.
Ciò detto, deve sottolinearsi che il divieto di respingimento opera anche prima che l’individuo entri sul territorio di uno Stato e finanche in spazi dove non viene esercitata la sovranità di uno Stato, come l’alto mare[43], e del resto l’art. 3 delle citate Direttive prevede che l’area in cui può essere legittimamente presentata richiesta di asilo comprende tanto le frontiere quanto le zone di transito, riconoscendo il dovere degli Stati contraenti di esaminare le richieste di asilo ricevute anche al di fuori del mare territoriale.
Inoltre, poiché l’obiettivo è proteggere persone che «hanno il giustificato timore» di essere oggetto di persecuzioni, le autorità nazionali non possono lasciare gli individui in una situazione di incertezza.
Il divieto di respingimento opera sia nel caso di azioni dirette sia indirette, ad esempio con provvedimenti che, se in linea generale possono apparire legittimi - è il caso del diritto degli Stati di disporre delle proprie acque interne -, in realtà risultano illegittimi perché impediscono, con una misura delle autorità nazionali, l’ingresso nel porto dello Stato causando alle vittime di persecuzioni, che possono essere a bordo di una nave, la impossibilità di richiedere la protezione loro dovuta dalla Convenzione di Ginevra.
Va ricordato che il divieto di respingimento è previsto in determinate convenzioni a prescindere dal fatto che si tratti di individui-rifugiati, come ad es. nella Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti adottata a New York il 10 dicembre 1984 (ratificata ed eseguita dall’Italia con legge n. 498 del 3 novembre 1988[44]), il cui art. 3 vieta in modo assoluto la possibilità di respingere o allontanare una persona che corra il rischio di tortura[45].
Analogamente, l’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce non solo il divieto di espulsione, ma anche che «nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti», norma che, in base all’art. 52, par. 3 della Carta deve essere intesa secondo il significato e la portata delle regole della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Inoltre, per delineare l’incidenza dei diritti dell’uomo nel contesto dell’obbligo di soccorso, non limitatamente ai richiedenti protezione internazionale, si rileva che i migranti, fermo restando il diritto di uno Stato di regolare l’accesso sul proprio territorio, esercitano un diritto riconosciuto sul piano internazionale, ossia il diritto di lasciare il proprio Paese, come affermato dall’articolo 12 del Patto sui diritti civili e politici del 1966, dall’articolo 2, comma 2, del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (eseguito dall’Italia con d.P.R. 14 aprile 1982 n. 217) in cui si afferma che «Ognuno è libero di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio»[46] nonché, anche con riguardo ad altri contesti geografici regionali, dall’art. 22, par. 2 della Convenzione americana dei diritti dell’uomo adottata il 22 novembre 1969 nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati americani e dall’art. 12 della Carta africana sui diritti dell’uomo e dei popoli, adottata il 28 giugno 1981 dall’Unione africana.
Pertanto, in relazione ai diritti dell’uomo sopra citati, gli Stati hanno determinati obblighi da bilanciare con il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri - come affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in diverse occasioni[47] - ma sempre nel rispetto degli obblighi internazionali. Questo avviene con effetti sicuri nel caso dei rifugiati in cui un individuo ha diritto di cercare rifugio e lo Stato è tenuto a non respingerlo senza il previo esame della domanda, ma anche, seppure con un maggiore potere degli Stati, nei casi di individui migranti che hanno diritto a un primo soccorso.
In tal senso, si richiama la opinione concorrente allegata alla sentenza del 23 febbraio 2012 resa dalla Grande Camera nel caso Hirsi e altri contro Italia[48], in cui si afferma che è essenziale «che tutte le forme di controllo dell’immigrazione e dei confini da parte di uno Stato contraente della Convenzione europea dei diritti dell’uomo siano soggette agli standard di protezione dei diritti umani in essa stabiliti e al controllo della Corte qualunque sia il luogo in cui sono adottate e qualunque sia la persona che le mette in atto»[49].
§ 13. I minori migranti
Va altresì considerata la particolare disciplina per i minori migranti che costituiscono categorie particolarmente vulnerabili che, sul piano internazionale, godono di una tutela rafforzata.
L’Italia è vincolata dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata ed eseguita con legge 27 maggio 1991 n. 176, che impone a ogni autorità nazionale di adottare provvedimenti e misure tenendo conto dell’interesse superiore del minore. Il minore straniero in generale, e quello non accompagnato in particolare, sono in una peculiare situazione di vulnerabilità, soprattutto nel caso di migrazioni via mare, in cui minori di 18 anni si trovano a bordo della nave senza l’accompagnamento di un adulto che abbia la loro responsabilità[50].
Sul piano internazionale, diversi organi hanno chiarito che la tutela dei minori impone, con riguardo al fenomeno migratorio, di tenere separati minori non accompagnati e adulti e di accertare, agendo in buona fede, l’età del minore in modo tempestivo[51] con una presunzione, in caso di dubbio circa l’età, a favore dei minori, come precisato nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umaniadottata a Varsavia il 16 maggio 2005 (l’Italia ne ha dato esecuzione con legge 2 luglio 2010 n. 108, con modifiche al codice penale)[52].
Su quest’obbligo si è espresso anche il Comitato Onu per i diritti umani che monitora l’attuazione da parte degli Stati del Patto sui diritti civili e politici e che, nel rapporto adottato l’8 settembre 2020, ha evidenziato le insufficienze dell’Italia circa le misure di salvaguardia dei minori e nella valutazione dell’età dei minori che ha condotto, in alcuni casi, a una convivenza in spazi angusti tra adulti e minori stranieri non accompagnati. Il Comitato[53] ha evidenziato la contrarietà agli obblighi internazionali a tutela dei diritti umani della permanenza di minori stranieri non accompagnati in strutture dedicate agli adulti (e, questo deve valere a maggior ragione per luoghi molti ristretti come le navi) e per le lungaggini nelle procedure di nomina del tutore che non sono tempestive[54].
Malgrado, quindi, l’adozione della legge 7 aprile 2017 n. 47 (c.d. Legge Zampa, «Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati»), che ha introdotto il divieto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati (art.19, 1-bis, decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286) e del decreto legislativo n. 142/2015, l’applicazione effettiva dei diritti dei minori migranti è stata varie volte oggetto di critiche sul piano internazionale.
Di recente, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Darboe e Camara contro Italiadepositata il 21 luglio 2022[55], ha accertato la violazione dell’articolo 8, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, dell’articolo 3, che vieta i trattamenti inumani o degradanti e dell’articolo 13, che garantisce il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva. La Corte ha sottolineato l’importanza dell’accertamento dell’età dei minori nel contesto migratorio, constatando l’obbligo positivo degli Stati tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per proteggere il minore. L’obbligo positivo che grava sugli Stati (in questo caso l’Italia) comporta anche l’adozione di procedure rapide per l’accertamento dell’età e, in ogni caso, nel momento del soccorso quello che rileva, nella fase iniziale, prima che vengano predisposti gli accertamenti è che, in mancanza di documenti, si consideri quanto dichiarato dal minore se ciò non appare infondato o irragionevole[56].
In sintesi, la presenza di soggetti estremamente vulnerabili a bordo impone alle autorità nazionali di operare con una particolare diligenza applicando in modo immediato il principio dell’interesse superiore del minore, tenendo conto del divieto di trattamenti degradanti in grado di provocare nelle vittime – come chiarito dalla CEDU nella sentenza del 28 febbraio 2019 Khan contro Francia[57], riguardante minori stranieri non accompagnati – sentimenti di paura, angoscia, inferiorità e sensazione di avvilimento e umiliazione. In presenza di possibili minori stranieri non accompagnati, nei casi in cui le autorità nazionali sanno o avrebbero dovuto sapere della presenza a bordo di tali minori o presunti tali le autorità nazionali devono intervenire con strumenti di protezione efficaci, considerando i bisogni speciali dei minori e la situazione di estrema vulnerabilità che predomina sulla eventuale situazione di irregolarità.
Inoltre, ogni misura limitativa dalla libertà personale – come chiarito dalla CEDU sin dalla sentenza del 5 aprile 2011 Rahimi contro Grecia[58], in relazione a un minore straniero non accompagnato arrivato in Grecia attraverso l’ingresso irregolare dall’isola di Lesbo – ha «inevitabilmente un grado di sofferenza e di umiliazione»e, se gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso sul proprio territorio essi sono tenuti a farlo nel rispetto delle regole convenzionali, adottando misure che impediscano trattamenti inumani o degradanti con particolare riguardo ai minori.
Pertanto, risulta evidente che sono incompatibili provvedimenti emessi dalle autorità nazionali che dispongono in relazione a uno specifico caso o in via generale, la chiusura di porti e il divieto di ingresso di imbarcazioni non procedendo invece a una valutazione indispensabile per accertare la presenza di minori e la loro particolare situazione che porta a uno sbarco immediato. L’adozione di simili provvedimenti, quindi, non costituisce una base legale per impedire l’ingresso in quanto contrari agli obblighi internazionali.
Si ricorda altresì che la protezione dei minori stranieri nel contesto migratorio, e una presunzione a beneficio di tale categoria più vulnerabile, hanno un ampio riscontro[59], anche nel diritto dell’Unione europea, in via generale nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[60] e, in modo particolare, nella direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Considerando che l’interesse superiore del minore è un criterio fondamentale per gli Stati membri, all’art. 17 sono state individuate diverse garanzie a tutela dei minori stranieri non accompagnati precisando che sia tali minori sia le famiglie con minori possono essere trattenuti «solo in mancanza di altra soluzione» e per il più breve tempo possibile, come riconosciuto anche nella direttiva qualifiche n. 2011/95/UE del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria.
Analoghe garanzie sono riconosciute nella direttiva rimpatri 2008/115/CE del 16 dicembre 2008(recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che ha portato all’introduzione del divieto di respingimento o di espulsione nei confronti dei minore[61]), nella direttiva 2013/32 (direttiva procedure- recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale che impone che il minore sia rappresentato e assistito da un tutore e che sia informato dei suoi diritti) e nella direttiva 2013/33 (direttiva accoglienza - recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, con gli articoli 23 e 24 dedicati ai minori).
§ 14. Il soccorso in mare e la tutela dei diritti dell’uomo nelle deliberazioni e degli organismi internazionali
Si è sottolineata l’importanza delle regole di diritto internazionale e della loro costituzionalizzazione in relazione all’obbligo di soccorso imposto agli Stati e della conseguente necessità di intervenire a tutela degli individui in situazioni di pericolo in mare, soprattutto se soggetti vulnerabili, con conseguente rilevanza dei principi internazionali in materia di diritto dei rifugiati e di protezione dei diritti umani.
In sintesi, l’irrompere dei diritti umani nell’ambito del soccorso in mare ha portato a un ampliamento degli obblighi statali, in considerazione della universalità di alcuni diritti, come quello alla vita e al divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti, che hanno portata erga omnes, facendo sì che non è di rilievo, ai fini dell’applicazione di tali obblighi, la qualificazione di un’attività all’interno della SAR o in un’operazione rientrante nel contesto dei controlli in materia di immigrazione perché i diritti umani devono essere assicurati a ogni persona e in ogni fase, dal soccorso allo sbarco in un luogo sicuro.
Per tali ragioni, organizzazioni e corti, internazionali sono intervenute ripetutamente in materia ed appare opportuno una breve disamina delle decisioni di maggiore rilevanza che hanno affermato regole e principi che trovano applicazione nel caso di specie.
Come specificato dalla Corte internazionale di giustizia nel parere del 9 luglio 2004 relativo alle conseguenze legali della costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, anche nelle zone di mare, valgono le regole in materia di diritti dell’uomo come riconosciuti dal diritto internazionale, da applicarsi finanche in situazioni di conflitto armato[62].
Il Tribunale internazionale sul diritto del mare, nella sentenza del 4 dicembre 1997 nel caso M/V Saiga N. 2, Saint Vincent and the Grenadines contro Guinea ha precisato che considerazioni di umanità devono essere applicate nell’ambito del diritto del mare, così come in altre aree del diritto internazionale e, nella sentenza del 28 maggio 2013, nel caso M/V Louisa (Saint Vincent and Grenadines contro Spagna), ha chiarito che gli Stati devono adempiere agli obblighi internazionali, in particolare nell’ambito dei diritti dell’uomo, anche in mare.
Del resto, il rischio di perdita di vite umane in mare è stato ritenuto una grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale tanto che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nella risoluzione n. 2240 adottata il 9 ottobre 2015, tenendo conto delle tragedie nel Mar Mediterraneo e richiamando l’obbligo per gli Stati membri di fornire assistenza ai migranti e alle vittime del traffico degli esseri umani, ha osservato, autorizzando qualsiasi nave statale ad effettuare dei controlli su navi nelle acque internazionali a ridosso della Libia e applicare il Protocollo alla Convenzione di Palermo, che ogni migrante deve essere trattato con umanità e dignità e i suoi diritti devono essere pienamente rispettati affinché gli Stati adempiano in modo effettivo al rispetto dei diritti umani e dei diritti dei rifugiati.
Analogamente, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con la risoluzione n. 2229 del 27 giugno 2018 («International obligations of Council of Europe: a member States to protect life at sea»[63]), dando seguito al rapporto del 26 giugno 2018, ha richiesto agli Stati di consentire l’ingresso nei porti di navi commerciali e di ONG e di fornire assistenza a quelle navi per le operazioni di salvataggio al fine di assicurare l’attuazione effettiva dei diritti dell’uomo.
La giurisprudenza della CEDU si è pronunciata più volte per chiarire su quali Stati gravino gli obblighi di rispettare i diritti umani, con la conseguenza che, in caso di violazione, si determina una responsabilità internazionale dello Stato e la perpetrazione di violazioni sul piano interno.
In un primo tempo, la Corte ha seguito una nozione di giurisdizione unicamente territoriale e, successivamente, proprio con riguardo a casi di migranti e richiedenti asilo, ha allargato il perimetro di applicazione della Convenzione con l’affermazione di una nozione di giurisdizione funzionale o personale, e conseguente obbligo degli Stati di assicurare i diritti anche in spazi diversi rispetto al proprio territorio o al mare territoriale.
In diverse occasioni la Corte ha accertato la violazione della Convenzione con riguardo a diverse disposizioni come l’articolo 2 (diritto alla vita), l’articolo 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti) e l’articolo 5 (diritto di ogni persona a non essere privata della propria libertà fisica in maniera arbitraria, fuori dei casi previsti dalla legge e senza il rispetto delle garanzie procedurali e sostanziali stabilite dalla legge di ciascuno Stato contraente) ed all’articolo 4 del Protocollo n. 4 che vieta le espulsioni collettive.
Si richiamano alcune pronunce in cui la Corte ha ampliato l’ambito di applicazione della Convenzione proprio con riguardo allo spazio marino, riconoscendo l’applicazione extraterritoriale della Convenzione e precisando che la giurisdizione di uno Stato parte si può estendere ad atti delle autorità nazionali che producono effetti al di fuori del proprio territorio, al fine di garantire effettività ai diritti convenzionali[64].
Nella sentenza Women on Waves e altri contro Portogallo del 3 febbraio 2009, la Corte ha stabilito che lo Stato che nega l’ingresso nel mare territoriale risponde di eventuali violazioni della Convenzione europea, ritenendola applicabile anche al di fuori della zona di mare appartenente allo Stato costiero (si trattava del divieto di ingresso opposto a una nave battente bandiera olandese che voleva entrare nel mare territoriale portoghese per lo svolgimento di un’attività non offensiva, che, invece, era qualificata come tale dalle autorità portoghesi). Nella sentenza è stato affermato che vi era stata una violazione della Convenzione da parte del Portogallo causata non in uno spazio su cui lo Stato esercitava la giurisdizione, ma in relazione a navi che si trovavano a ridosso, seppure non all’interno, del mare territoriale. La Corte ha sostenuto che vi era stata un’ingerenza nei diritti dei ricorrenti perché il divieto di ingresso delle navi nel mare territoriale portoghese aveva impedito agli interessati la possibilità di esercitare il diritto alla libertà di espressione, nonché di riunione e di associazione[65].
Ancora con la decisione dell’11 gennaio 2001, Xhavara e altri contro Italia e Albania, relativa all’affondamento della nave Kater I Rodes[66] in acque internazionali al largo del canale di Otranto, la Corte ha stabilito che, nel momento in cui uno Stato ha il controllo delle frontiere con il potere di decidere se un individuo può sbarcare sul proprio territorio, sussiste il suo obbligo di applicare la Convenzione, anche quando compie un’attività di controllo ai confini.
Da ultimo, per cogliere l’importanza dell’ampliamento della nozione di giurisdizione ai fini dell’applicazione dei diritti convenzionali, in particolare nel mare, è centrale la già citata sentenza Hirsi e altri contro Italia con la quale la Grande Camera è stata chiara nello stabilire che «la specificità del contesto marittimo non può portare a sancire uno spazio di non diritto all’interno del quale gli individui non sarebbero soggetti ad alcun regime giuridico che possa accordare loro il godimento dei diritti e delle garanzie previsti dalla Convenzione e che gli Stati si sono impegnati a riconoscere alle persone poste sotto la loro giurisdizione» (par. 178)[67]. La Corte[68] ha osservato che il caso di specie costituisce «proprio un caso di esercizio extraterritoriale della giurisdizione dell’Italia, suscettibile di chiamare in causa la responsabilità di quello Stato ai sensi della Convenzione» (par. 78) e che l’Italia «non può sottrarsi alla sua giurisdizione ai sensi della Convenzione definendo i fatti controversi un’operazione di salvataggio in alto mare» (par. 79) e, pertanto, era da respingere la tesi del Governo italiano secondo il quale il ridotto livello di controllo sui ricorrenti al momento dei fatti escludeva la giurisdizione dell’Italia.
Per la prima volta la Corte ha applicato l’articolo 1 a un caso di consegna di immigrati a un terzo Stato che, successivamente, procede alle espulsioni, dando rilievo, ai fini della giurisdizione, alla circostanza che lo Stato «sapeva o doveva sapere» delle conseguenze della consegna di migranti alla Libia sotto il profilo della violazione dei diritti umani, poiché «gli allontanamenti di stranieri eseguiti nell’ambito di intercettazioni in alto mare da parte delle autorità di uno Stato e nell’esercizio dei pubblici poteri, e che producono l’effetto di impedire ai migranti di raggiungere le frontiere dello Stato, o addirittura di respingerli verso un altro Stato, costituiscono un esercizio della giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione, che impegna la responsabilità dello Stato in questione sul piano dell’articolo 4 del Protocollo n. 4» (par. 180). Pertanto, la Corte ha accertato la violazione, da parte dell’Italia, dell’articolo 3 della Convenzione che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti e dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 che stabilisce il divieto di espulsioni collettive di stranieri, precisando che «tenuto conto dell’assolutezza del diritto sancito, non è escluso che l’articolo 3 trovi applicazione anche in caso di pericolo proveniente da persone o gruppi di persone non collegate alla funzione pubblica. Inoltre, occorre dimostrare che il rischio esiste realmente e che le autorità dello Stato di destinazione non sono in grado di ovviarvi con una tutela adeguata (H.L.R. c. Francia, sopra citata, § 40)».
Per accertare se sussiste la giurisdizione di uno Stato ai fini dell’applicazione della Convenzione, la Corte ha stabilito che è necessario fare riferimento al (par. 120) nesso personale e funzionale ed a talune circostanze specifiche, che nel corso degli anni sono divenute sempre più numerose, vale a dire gli effetti degli atti degli Stati contraenti compiuti al di fuori del proprio territorio o che producono effetti in esso, in cui l’azione o l’omissione di uno Stato comporta effetti sui diritti convenzionali di un individuo[69]. In particolare, la Corte ha riconosciuto che se uno Stato esercita autorità e controllo su individui al di fuori del proprio territorio o se lo Stato detiene o sta esercitando pubblici poteri va ritenuto responsabile ai sensi della Convenzione, in virtù di una giurisdizione personale o funzionale[70].
Non si tratta, dunque, di ampliare la responsabilità internazionale degli Stati in ogni caso di violazione dei diritti umani ovunque nel mondo, ma solo di riconoscere detta responsabilità quando lo Stato ha un chiaro potere di controllo con la possibilità e il dovere di compiere atti funzionali ad evitare la violazione della Convenzione[71]. Questo non implica in alcun modo la compromissione del diritto di uno Stato di disporre regole e condizioni relative all’ingresso degli stranieri sul proprio territorio, nonché al soggiorno e all’espulsione[72] ma di assicurare che lo Stato eserciti tale diritto, che non è assoluto, nel perimetro determinato dai diversi limiti derivanti dal diritto internazionale.
Nel senso dell’ampliamento della nozione di giurisdizione va ricordata anche la prassi del Comitato per i diritti umani dell’ONU[73], con particolare riguardo all'Italia che è stata “condannata” da tale Comitato nel ricorso A.S., D.I., O.I. e G.D. contro Italia (noto come “Strage di Lampedusa”) riconoscendosi un’applicazione extraterritoriale del Patto[74]. La difesa italiana, in questo caso, era stata incentrata proprio sulla circostanza che l’episodio era avvenuto al di fuori delle acque territoriali italiane e della zona SAR italiana e, quindi, non si poteva ritenere la giurisdizione italiana secondo l’art. 2 della Convenzione e l’art. 1 del Protocollo addizionale. Inoltre, Malta – sosteneva il Governo italiano - aveva preso chiaramente un impegno a coordinare le operazioni di soccorso. Queste tesi sono state respinte dal Comitato che, in linea con gli obblighi in materia di diritto internazionale, ha rilevato che sussisteva la giurisdizione italiana in ragione di un controllo de facto delle autorità italiane che erano in contatto continuo con la nave in situazione di distress, contatto che si ravvisa in modo evidente anche nella vicenda in oggetto, in ragione dell’invio di continue e-mail e messaggi dalla Open Arms alle autorità italiane.
Come chiarito dal Comitato nel Commento generale n. 36 adottato il 30 ottobre 2018 sull’articolo 6 del Patto che garantisce il diritto alla vita, l’obbligo sugli Stati di assicurare tale diritto grava sullo Stato anche con riguardo a persone che si trovino al di fuori del territorio, ma sotto un controllo effettivo dello Stato e deve essere garantito anche nei confronti di individui che si trovano in una situazione di distress in mare, in conformità agli obblighi di soccorso in mare. Invero, il Comitato rileva che Malta aveva accettato di coordinare l’operazione nella zona SAR, ma anche dopo l’intervento di Malta le autorità italiane rimanevano coinvolte nell’operazione di soccorso, anche in ragione della vicinanza di una nave italiana all’imbarcazione in distress. Il Comitato non esclude in alcun modo la responsabilità italiana, pur ricostruendo gli obblighi statali anche in forza della Convenzione SOLAS e SAR, per il solo fatto che la nave in distress si trovasse nella zona SAR maltese e che Malta aveva assunto il coordinamento perché il Comitato considera rilevante gli elementi di fatto che mostrano i contatti con l’Italia come l’invio di una comunicazione iniziale con l’M.R.C.C. italiana e la possibilità di una nave italiana (ITS Libra) di intervenire sull’imbarcazione in pericolo[75]..
In sintesi, nel caso in cui uno Stato non adotti le misure necessarie a soccorso di migranti sussiste un alto rischio che esso incorra in una responsabilità internazionale e in condanne da parte di organi giurisdizionali internazionali, ad esempio per violazione dell’art. 5 della Convenzione europea (diritto alla libertà personale) e dell’art. 9 del Patto sui diritti civili e politici che impongono la prevedibilità di ogni misura restrittiva della libertà personale[76] e la sua non arbitrarietà (come da Linee guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) sui criteri e gli standards da applicare nel caso di detenzione di coloro che cercano asilo).
Per quanto riguarda il diritto a non essere privato della libertà personale ex art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo si richiama la pronuncia della Grande Camera del 15 dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri contro Italia[77]. Nell’affermare il diritto alla libertà personale, l’art. 5 ammette talune restrizioni, ma solo se previste in una norma interna chiara (e non contraria al diritto internazionale), in grado di assicurare che un individuo possa prevedere quali comportamenti potrebbero determinare l’applicazione di misure restrittive della libertà personale che, in sé, procurano un livello di sofferenza e umiliazione che può condurre anche al rischio di trattamenti inumani o degradanti (art. 3) e al mancato rispetto della dignità umana. Nella sentenza Khlaifia, la Grande Camera ha osservato che l’impossibilità di comunicare con l’esterno e la sorveglianza continua delle forze di polizia, in quel caso in un centro di accoglienza, ha fatto sì che, tenendo conto degli effetti, della durata e delle modalità di esecuzione, vi sia stata una privazione della libertà personale e non una mera restrizione alla libertà di circolazione. La Corte ha chiarito che gli Stati possono stabilire limiti alla libertà degli stranieri nel quadro dei piani di controllo dell’immigrazione, ma ogni restrizione deve avere una base giuridica sufficiente, per evitare che si configuri una privazione arbitraria della libertà personale. Non ha rilievo, inoltre, la qualificazione effettuata sul piano interno relativamente ai soggetti interessati da una misura di trattenimento a bordo di una nave o una giustificazione della misura per ragioni di sicurezza perché anche misure adottate nell’interesse del destinatario possono essere qualificate come privazione della libertà personale. Inoltre, la Corte europea, proprio alla luce del rilievo del diritto alla libertà personale come elemento per godere di ogni altro diritto, ha stabilito che l’art. 5, par. 1 si deve applicare anche a privazioni della libertà personale di durata molto breve (in taluni casi finanche di ore e non di giorni)[78].
Con riferimento alle situazioni in cui si verifica un confinamento dei migranti in una determinata zona di territorio o su una nave sulla quale lo Stato ha un potere di controllo potendo autorizzare lo sbarco, la Corte ha rilevato, in diverse occasioni, che anche in questi casi si può configurare, in relazione a restrizioni della libertà personale, una violazione dell’art. 5 poiché il confinamento in determinati luoghi, senza una base giuridica conforme agli obblighi internazionali, comporta una privazione della libertà personale. L’art. 5, par. 1, lett. f, permette agli Stati di intervenire con limitazioni alla libertà personale per impedire l’ingresso irregolare sul proprio territorio, ma a condizione che tale intervento non sia arbitrario e, dal punto di vista temporale, non vada al di là di quanto ragionevolmente necessario.
Il rispetto delle norme convenzionali, quindi, comporta che l’adozione di un provvedimento amministrativo con il quale si vieta l’ingresso nei porti è in sé contrario, oltre che alle norme costituzionali relative alla riserva di legge (art. 13 Cost.), laddove comporti limitazioni della libertà personale - anche nei casi di trattenimento occasionale e temporaneo - agli obblighi internazionali e, quindi, all’art. 117 della Costituzione.
§ PARTE II)
LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI
È altresì preliminare alla valutazione delle condotte contestate, procedere alla ricostruzione, in ordine temporale, della sequenza di accadimenti in base ai quali la Procura della Repubblica di Agrigento finiva per avviare il procedimento penale a carico dell’odierno imputato, in seguito trasmesso a Palermo trattandosi di reati ministeriali; accadimenti questi che risultano essere stati pedissequamente accertati attraverso la produzione documentale e l’attività istruttoria dibattimentale e che, nella loro sostanza, non sono mai stati messi in discussione dalla stessa Difesa con riguardo al loro verificarsi.
§ 1° agosto 2019
In data 1° agosto 2019, la nave Open Arms, battente bandiera spagnola, al servizio dell’organizzazione non governativa “Pro-Activa Open Arms”, fondata da Oscar CAMPS, procedeva ad una prima attività di salvataggio.
In particolare, quel natante, all’epoca omologato per il trasporto di 19 persone - già salpato il 29 luglio dal porto di Siracusa nel corso della “Missione 65” - in seguito ad alcune informazioni ricevute via e-mail da Alarm Phone (altra organizzazione non governativa operante nel continente africano)[79] si metteva alla ricerca di un’imbarcazione, con a bordo circa 50 persone, che, secondo le indicazioni ricevute, versava in situazione di pericolo.
In tal modo, finiva per effettuare, in area di responsabilità SAR libica, un primo intervento di salvataggio di 55 persone di varie nazionalità (39 uomini, 14 donne e 2 bambini) che si trovavano a bordo di un natante in legno in distress[80].
Il comandante della Open Arms, Marc Reis CREUS, dava immediata comunicazione di tale evento, mediante e-mail, alle autorità governative libiche e ai Centri di Coordinamento (RCC) italiano e maltese[81].
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Nel corso del dibattimento, emergeva anche che le operazioni di soccorso effettuate dalla Open Arms in data 1° agosto 2019 erano state casualmente riprese dall’Unità subacquea della Marina Militare, “sommergibile Venuti”, impegnata in attività di vigilanza nell’ambito dell’operazione “Mare Sicuro” e il relativo materiale audio, video e fotografico acquisito consentiva di approfondire lo stato di pericolo in cui versava il natante soccorso dalla Open Arms[82].
Questa vicenda, comunque, sarà approfondita più avanti, in un apposito paragrafo[83].
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Lo stesso 1° agosto 2019, l’allora Ministro dell’Interno, Matteo SALVINI, disponeva nei confronti della Open Arms il “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale”, con decreto emesso ai sensi dell’art. 11 comma 1-ter D. lgs. n. 286/98, come modificato dal D.L. n. 53/2019, convertito nella L. n. 77/2019, e controfirmato dai Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti (ruoli allora rispettivamente ricoperti da Elisabetta TRENTA e Danilo TONINELLI).
Tale decreto, acquisito agli atti del processo, dava atto, espressamente, di come la Open Arms avesse imbarcato i migranti a bordo di un natante in distress[84] e riteneva che la condotta del comandante, che aveva effettuato l’intervento “in totale autonomia”, potesse configurare un’ipotesi di passaggio non inoffensivo ai sensi dell’art. 19, comma 2, lettera g) della Convenzione UNCLOS.
Secondo quanto rappresentato nel provvedimento, in particolare si riteneva che “ove la nave Open Arms indirizzasse in maniera arbitraria la navigazione verso l’Italia, dalle circostanze dell’intervento e dal complessivo modus operandi della stessa, in tutto simile a quello tenuto in precedenti analoghe occasioni, potrebbe desumersi l’intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia”, tale da integrare la fattispecie dello “scarico di persone in violazione delle leggi di immigrazione vigenti nello stato costiero” e, conseguentemente, un’ipotesi di passaggio non inoffensivo ai sensi del citato art. 19, comma 1, lettera g).
Il divieto di ingresso poggiava, altresì, sulla considerazione che l’attività della Open Arms avrebbe potuto determinare “rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica”, pericolosità che veniva desunta dalla circostanza per cui “le persone tratte a bordo della Open Arms sono verosimilmente cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni”.
Circa le reali ragioni sottese all’emanazione del decreto e quindi della relativa firma da parte dei tre Ministri firmatari, in primo luogo, l’imputato, in sede di esame, in data 12 gennaio 2024, ha chiarito che il passaggio della Open Armas era stato considerato non inoffensivo, ai sensi della relativa normativa internazionale, poiché tali erano considerati automaticamente tutti i passaggi di imbarcazioni battenti bandiere straniere che avevano “raccolto immigrati” in acque non di competenza italiana e senza il coordinamento delle autorità italiane; così come ha chiarito che non aveva ricevuto alcuna specifica segnalazione di potenziali terroristi a bordo della nave della ONG.
IMPUTATO SALVINI M. – L’ingresso in acque nazionali di imbarcazioni battente bandiere non italiane, che non avevano assunto il coordinamento italiano, e avevano raccolto immigrati in acque non di competenza italiane, erano trattate tutte allo stesso modo, io mi occupavo di sicurezza nazionale, quindi per quello che mi riguarda le fattispecie riguardavano l'immigrazione clandestina. Senza entrare nel merito poi degli episodi delittuosi a carico di alcuni degli sbarcati a Lampedusa che non riguardano ovviamente quello di cui stiamo parlando.
PUBBLICO MINISTERO – Quindi il fatto che la Open Arms conteneva a bordo degli immigrati, cioè questo era motivo per ritenere quel passaggio non inoffensivo?...
IMPUTATO SALVINI M. – … abbiamo statuito con mia personale direttiva, … (..) del 18 marzo 2019: “Nel caso in cui l'evento di soccorso si sia verificato in acque di responsabilità libiche” come il primo agosto Open Arms “e sia stato compiuto di iniziativa da una nave soccorritrice, senza il coordinamento del Comando di Roma, non sussistono i criteri dettati dalle convenzioni internazionali per l’attribuzione di un Place Of Safety in Italia”, quindi non ci ritenevamo assolutamente responsabili per episodi avvenuti in acque non italiane, senza il coordinamento italiano. Ed è il motivo per cui adottammo il secondo Decreto Sicurezza.
PRESIDENTE – Però la domanda aveva ad oggetto un tema differente, e cioè quella del passaggio non inoffensivo, cioè veniva considerato per il fatto o solo che avesse imbarcato dei migranti, il passaggio di questa nave, offensivo.
IMPUTATO SALVINI M. – Sì.
PRESIDENTE – Quindi una sorta di considerazione, di valutazione automatica.
IMPUTATO SALVINI M. – Sì.
PUBBLICO MINISTERO – Avevate delle indicazioni specifiche, sempre al momento dell’emanazione del divieto di ingresso di terroristi a bordo, a parte delle valutazioni di ordine generale, a cui faceva riferimento anche nelle spontanee dichiarazioni, dico ma c’erano indicazioni specifiche, con nomi e cognomi, di possibili terroristi a bordo dell’Open Arms?
IMPUTATO SALVINI M. – No.
A sua volta l’allora Ministro della Difesa, Elisabetta TRENTA, all’udienza del 2 dicembre 2022, ha spiegato che, al di là di concreti pericoli: “il divieto di ingresso nel momento in cui è stato concepito doveva essere un atto che scoraggiasse le organizzazioni non governative dal decidere di arrivare direttamente sempre in Italia, concepiva però diciamo una multa per le organizzazioni, le quali dopo aver ricevuto il divieto di ingresso, decidessero comunque di entrare nel territorio”. E, con specifico riferimento alla Open Arms, sottoscrisse il decreto interdittivo poiché “Per quanto mi riguarda, io ricevo soltanto il Decreto da firmare, e il Decreto era firmato dal Ministro della Difesa e dal Ministro delle Infrastrutture, per competenza, ovvero nel mio caso, la competenza del Ministro della Difesa era verificare che non si trattasse di una nave militare, perché questo era stato escluso dalle possibilità di fermo delle navi, delle ONG, e questo era il mio ruolo, non c'era un ruolo di decisione rispetto a delle decisioni che erano del Ministro dell'Interno”.
Da parte sua, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo TONINELLI, ha precisato, durante la sua escussione, che prima dell’adozione del divieto di ingresso, proposto e voluto dall’imputato, non vi era stata in realtà alcuna interlocuzione tra il medesimo e i Ministri contro-firmatari perché “quello era un momento in cui il Governo di fatto era già finito, dove non c'era più nessun tipo di interlocuzione da parte dei Ministri, certamente non da parte del sottoscritto con l'allora Ministro dell'Interno, e la firma, la sottoscrizione di quel Decreto di divieto di ingresso nel mare e nelle acque italiane fatta mi pare il primo di agosto, a me venne.., io sostanzialmente la feci.., una volta raggiunto dalle Autorità di Polizia col documento del Decreto e la relativa firma”.
§ 2 agosto 2019
Nella prima mattina del 2 agosto 2019, alle ore 4:26, la Open Arms effettuava, in area SAR maltese, un ulteriore salvataggio di 69 persone (di cui 16 donne, 2 delle quali in stato di gravidanza, e 2 bambini piccoli) a bordo di un gommone in distress[85].
In relazione a tale secondo intervento, Francesco GENTICO, soccorritore della Open Arms che, a bordo della scialuppa “ECO1” aveva avvicinato il natante in difficoltà, ha riferito che: “era un gommone, azzurro, che era sgonfio … si vedeva che era molto fragile, e aveva persone sedute tutto attorno al gommone, con una gamba dentro e l'altra fuori. Erano 69 persone e c'erano due donne in stato di gravidanza, però una gravidanza avanzata, 8-9 mesi, una di loro, a parte la pancia della gravidanza, aveva come una seconda pancia diciamo così.. Era come se il bambino che si trovava dentro fosse messo male, e la testa fosse fuori, si vedeva come una sporgenza molto grande … dopo c'era una bambina di all'incirca 7 anni, e un bambino di 5 anni. Quando siamo arrivati là ci hanno detto che la bambina era svenuta. Poi c'era una persona che aveva una bruciatura molto, molto importante, diciamo del sedere. C'era un'altra persona e c'erano tanti feriti, tra cui una persona che aveva due spari nella caviglia”[86].
*
Come emerso dalla documentazione acquisita agli atti del fascicolo del dibattimento[87], in occasione dei primi due eventi di salvataggio effettuati dalla Open Arms su segnalazione di Alarm Phone - il primo in acque libiche ed il secondo in acque internazionali, in zona SAR maltese - il comandante della nave informava, in via diretta, le autorità libiche (limitatamente al primo soccorso) e RCC Spagna, Paese di bandiera della nave[88].
La medesima comunicazione veniva inviata a I.M.R.C.C. (Centro di Coordinamento Italiano: Italian Maritime Rescue Coordination Centre) e a RCC maltese, evidenziando, in particolare, come il secondo evento si fosse verificato in zona SAR maltese.
Le autorità spagnole rispondevano invitando il Comandante CREUS a mettersi in contatto con RCC Malta nelle cui acque era avvenuto il secondo intervento di soccorso[89].
A loro volta, le autorità maltesi declinavano la responsabilità di coordinamento dell’evento evidenziando, sin da subito, che non intendevano occuparsi della vicenda come, peraltro, accaduto in altre circostanze in passato[90].
*
Nella stessa serata del 2 agosto 2019, il comandante CREUS inviava a I.M.R.C.C. una prima richiesta di place of safety per i 123 naufraghi presenti a bordo, indicando come porto più vicino quello di Lampedusa e precisando di avere inoltrato analoga richiesta alle autorità maltesi nonché’ di aver informato il proprio Stato di bandiera[91].
§ 3-8 agosto 2019
Nei giorni immediatamente successivi, mantenendosi in acque internazionali a sud ovest di Lampedusa, in zona SAR maltese, la Open Arms reiterava più volte la richiesta di POS, evidenziando il progressivo deterioramento delle condizioni igienico-sanitarie:
· con e-mail, in atti, del 4.8.2019, ore 11:03, inviata a RCC Malta, si domandava il rilascio del POS che veniva espressamente rifiutato dalle autorità maltesi con e-mail del 4.8.2019, ore 13:35;
· con e-mail del 6 e del 7.8.2019[92], Open Arms inviava ai centri di coordinamento italiano, maltese e spagnolo altra richiesta di POS rimarcando, in particolare, la presenza a bordo di diversi minori, anche non accompagnati, dei quali forniva un elenco, oltre a sottolineare la situazione di grave disagio psico-fisico e sanitario nella quale versavano i migranti che rendeva assai difficile la protrazione della loro permanenza a bordo;
· con altra e-mail del 6 agosto 2019, la Open Arms inviava a I.M.R.C.C. l’elenco dei minori a bordo, chiedendone urgentemente lo sbarco[93].
A sua volta, I.M.R.C.C. inoltrava tempestivamente tutte le predette comunicazioni e richieste di POS alle competenti autorità italiane e, in particolare, al Gabinetto del Ministero dell’Interno[94] che provvedeva a veicolarle, in tempo reale, al Ministro SALVINI per tutta la durata della vicenda, come affermato dallo stesso imputato in sede di esame, all’udienza del 12 gennaio 2024:
PRESIDENTE – Lei su queste richieste di POS che venivano avanzate da Open Arms a Malta e all'Italia eccetera, lei era al corrente?
IMPUTATO SALVINI M. – Sì, sì c’era un costante carteggio..
PRESIDENTE – In tempo reale insomma, veniva informato in tempo reale.
IMPUTATO SALVINI M. – Quasi.
Le autorità italiane, tuttavia, non facevano pervenire alcuna risposta – né di concessione né di diniego del POS – e la Open Arms, pertanto, si manteneva in acque internazionali, a 24 miglia di distanza dall’isola di Lampedusa, ritenuta dal comandante CREUS il porto sicuro più vicino.
In data 8 agosto 2019, la medesima ONG comunicava, altresì, a I.M.R.C.C. che 89 dei migranti soccorsi avevano manifestato la volontà di richiedere asilo e trasmetteva in allegato le relative richieste debitamente sottoscritte, anche in tal caso senza ottenere alcuna risposta[95].
*
Sempre in data 8 agosto 2019, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo e il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, inviavano una missiva indirizzata ai Ministri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture, con cui rappresentavano che, il precedente 7 agosto 2019, il legale rappresentante della fondazione Open Arms aveva depositato un ricorso segnalando che la nave aveva prestato soccorso in mare a ventotto minorenni in condizioni di emergenza e pericolo di vita, dei quali chiedeva lo sbarco sul suolo italiano [96].
Il Presidente e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo chiedevano, pertanto, di conoscere quali provvedimenti i Ministri intendessero adottare in osservanza della normativa internazionale e nazionale che imponeva il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro, invece, il diritto ad essere accolti in strutture idonee, nonché di avere nominato un tutore e di ottenere il permesso di soggiorno.
A tale richiesta l’odierno imputato avrebbe risposto solo molti giorni dopo, come meglio si dirà.
Si riportano alcuni passaggi della lettera in questione, datata 8 agosto 2019 e riportante quale oggetto “minori stranieri non accompagnati imbarcati sulla Nave Open Arms”:
“Il 7 agosto 2019 il legale rappresentante pro tempore della Foundacion Proa (Pro-activa Open Arms), titolare della imbarcazione Open Arms iscritta al registro marittimo di Bilbao (Spagna), ha rappresentato a questi Uffici di avere prestato soccorso in mare a ventotto minorenni in condizione di emergenza e pericolo di vita. Ha aggiunto di avere ricevuto dalle autorità italiane, in data 1° agosto 2019, il divieto per la nave di ingresso, transito o sosta nel mare territoriale italiano. Ha segnalalo, quindi, la situazione dei predetti minorenni trattenuti in alto mare, a circa trenta miglia dal porto di Lampedusa, in acque internazionali, chiedendo al Tribunale e alla Procura per i Minorenni di Palermo lo sbarco sul suolo italiano e la nomina di un tutore.
Subito dopo la presentazione del ricorso sono state chieste al Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza informazioni in ordine alla posizione dei predetti minori e si è così appreso che il capitano della nave aveva dato comunicazione della presenza di minori stranieri non accompagnati a bordo della Open Arms, nella tarda serata del 6 agosto 2019, che la nave si trovava in acque internazionali in zona SAR di Malta e che non era stata ancora attivata dalle autorità italiane alcun tipo di procedura ad eccezione di tre evacuazioni mediche (Medevac) certificate dal Centro Internazionale Radio medico ed effettuate dall'Italia su richiesta di Malta.
Tutto ciò premesso, si rileva che, come è ben noto, le convenzioni internazionali a cui l'Italia aderisce e soprattutto l’art. 19 co. l bis D. Lvo 286/98, come integrato dall'art. 3 della legge 47/17, impongono il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnali, riconoscendo loro, invece, il diritto ad essere accolti in strutture idonee, nonché di avere nominato un tutore e di ottenere il permesso di soggiorno.
Evidentemente tutti questi diritti vengono elusi a causa della permanenza dei suddetti minori a bordo della nave Open Arms nella condizione di disagio fisico e psichico descritta dal medico di bordo, che ha riferito della presenza di minori con ustioni, con difficoltà di deambulazione, con traumi psichici gravissimi in conseguenza delle terribili violenze subite presso i campi di detenzione libici.
Invero, deve evidenziarsi come i predetti minori si trovino in prossimità della frontiera con lo stato italiano, in quanto a circa 18 miglia marittime dal confine delle acque territoriali italiane, impossibilitati a farvi ingresso per il divieto comminato in data 1° agosto 2019 dalle autorità italiane al capitano della nave sulla quale sono imbarcati e, quindi, in una situazione che equivale, in punto di fatto, ad un respingimento o diniego di ingresso ad un valico di frontiera.
Si chiede, pertanto, di conoscere quali provvedimenti le autorità in indirizzo intendano adottare in osservanza della normativa internazionale e italiana sopra richiamata”.
§ 9-11 agosto 2019
Il 9 agosto 2019 la Open Arms eseguiva, con il coordinamento di RCC Malta e in zona SAR maltese, un terzo salvataggio di 39 migranti[97].
La capo missione della Open Arms, Anabel MONTES, escussa all’udienza del 13 maggio 2022, ha riferito che si trattava di un’imbarcazione di legno, inclinata da un lato[98], circostanza questa riferita alle autorità maltesi: “abbiamo rilevato che questa imbarcazione era inclinata pericolosamente, e a quel punto abbiamo avvisato Malta, attraverso il telefono satellitare, del fatto appunto che c’era questa imbarcazione in pericolo, e a quel punto Malta ci ha detto che se questo era il pericolo potevamo intervenire. La stessa conversazione telefonica quindi avvenuta con il telefono satellitare è stata poi replicata via e-mail, con gli stessi identici contenuti, per cui Malta ha detto a Open Arms che potevano intervenire nel caso in cui lo si ritenesse necessario e quindi potessero anche imbarcare a bordo di Open Arms le persone in difficoltà”.
A sua volta, il soccorritore della Open Arms, Francisco GENTICO, su questo terzo intervento ha riferito: “Erano 39 persone, in maggioranza magrebini, due siriani e uno che parlava inglese con cui io potevo comunicare. Le persone si trovavano in uno stato scarso, vomitavano, e uno faceva a vedere la gamba di continuo, perché diceva di avere sei spari fatti con la pistola. …. molti di loro si trovavano lì a vomitare. E una cosa che mi ricordo, che uno di loro che ha fatto l'interprete, diceva in continuazione che queste persone avevano bevuto l'acqua del mare e chiedeva acqua, di dare acqua. E nella RIB noi abbiamo l'acqua solo per i soccorritori”[99].
Assunto il coordinamento delle operazioni, Malta si dichiarava disponibile ad acconsentire allo sbarco, sul proprio territorio, però per i soli 39 naufraghi soccorsi in tale ultimo evento[100].
Il comandante della Open Arms, come dallo stesso dichiarato all’udienza dell’8 aprile 2022, non riteneva praticabile tale soluzione, per i possibili disordini che uno sbarco parziale avrebbe cagionato tra i diversi gruppi di migranti soccorsi nei tre diversi eventi SAR e il conseguente pericolo per la sicurezza della navigazione, di cui egli era il solo responsabile[101].
La valutazione del comandante era pienamente condivisa dalla capo missione MONTES, sentita all’udienza del 13.5.2022: “non abbiamo consegnato queste trentanove persone, perché essendoci già da nove giorni tante persone a bordo, temevamo che consegnare soltanto quelle relative all’ultima operazione di salvataggio, avrebbe creato una situazione tesa, quindi una tensione a bordo, per cui il comandante ha ritenuto opportuno rifiutare questo trasbordo dei trentanove migranti, per motivi di sicurezza”.
Il comandante CREUS decideva, dunque, di tenere a bordo tutte le persone soccorse, continuando al contempo a informare le autorità spagnole dello svolgersi degli eventi, unitamente a RCC Malta e IMRCC Roma, cui erano indirizzate tutte le e-mail inviate dalla Open Arms nell’evolversi della vicenda[102].
In data 9 agosto 2019, inoltre, il Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale inviava una missiva al Comandante Generale della Guardia Costiera Italiana (ammiraglio Giovanni PETTORINO), con la quale evidenziava possibili profili di responsabilità, in capo alle Autorità Italiane, derivanti dalla violazione dei diritti fondamentali dei migranti soccorsi dalla Open Arms, riconosciuti dal diritto internazionale, e in particolare dalla Convezione di Ginevra del 1951 e dalla CEDU.
Secondo quanto prospettato dal Garante, infatti, pur trattandosi di una nave battente bandiera spagnola che in quel momento si trovava ancora in acque internazionali, doveva ritenersi sussistente la giurisdizione italiana, come confermato dal fatto che la Guardia Costiera italiana era già intervenuta a effettuare tre evacuazioni mediche, azione “indicativa di una presa in carico della situazione delle persone ospitate”, alla quale conseguiva una “complessiva responsabilità” per lo Stato italiano, trattandosi di una forma di esercizio della giurisdizione.
Lo stesso divieto di ingresso del 1° agosto 2019, sempre secondo quanto prospettato dal Garante, rappresentava, di fatto, una forma di esercizio della sovranità, e della giurisdizione, italiana, “tanto sul Comandante che sugli individui a bordo della nave e, di conseguenza, il dovere a essi tutti quei diritti derivanti dagli obblighi internazionali che lo Stato stesso si è vincolato a rispettare”.
Di seguito il testo della missiva:
Signor Comandante Generale,
in data 8.08.2019 questa Autorità di garanzia ha ricevuto dalla "Foundacion Proa (Pro-activa Open Arms) - in particolare dal rappresentante legale pro-tempore Oscar Camps Gausachs, per il tramite di propri legali — una lettera in cui viene descritta la situazione dell'imbarcazione "Open Arms" che nei giorni 1 e 2 agosto 2019 ha soccorso e preso a bordo in acque internazionali, con due distinti interventi, 124 persone, tra cui 33 minori, di cui 28 non accompagnati: tutte persone che erano in natanti partiti dal porto libico di Abu Kammash.
Nella lettera si chiede al Garante nazionale di «effettuare ogni intervento necessario e opportuno previsto dalla legge, con estrema urgenza, al fine di verificare di far cessare la situazione descritta».
Secondo quanto indicato dall'Organizzazione scrivente, il giorno 1° agosto 2019, successivamente al primo salvataggio, l'equipaggio della nave ha ricevuto via mail comunicazione del provvedimento di divieto di ingresso, transito e sosta «nel mare territoriale nazionale» emesso «sin da ora» dal Ministro dell'Interno, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.…
Questo Garante - ove quanto riferito trovasse conferma nei termini indicati - rileva come, ancora una volta, a seguito di attività di soccorso in acque internazionali, si sia determinata una situazione di stallo rispetto all’individuazione del luogo di approdo da parte degli Stati a vario titolo coinvolti. Impasse che ha un impatto rilevante sui diritti fondamentali delle persone soccorse, impossibilitate allo sbarco e in quanto tali impedite nella propria libertà di movimento, ed esposte al rischio di trattamenti contrari sia al senso di umanità sia alla dignità delle persone stesse.
In veste di Meccanismo nazionale di prevenzione ai sensi del Protocollo ONU alla Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (OPCAT), ratificato dall'Italia con legge 195/2012, questa Autorità di garanzia ha pertanto il compito di invocare la tutela dei diritti delle persone tratte in salvo e di portare all'attenzione delle Autorità italiane i profili di responsabilità in cui potrebbe incorrere il nostro Paese in tale vicenda.
Preliminarmente deve essere precisato che questo Garante è ben consapevole che si tratti in questo caso di nave straniera (battente bandiera spagnola) in acque Internazionali. Tuttavia, è parere di questo Garante che esistano i presupposti che consentono di ritenere sussistente anche nel caso in specie una giurisdizione italiana che attribuisce al nostro Paese responsabilità non solo per le azioni, ma anche per le omissioni a esso addebitatili. Tale premessa, qui di seguito articolata, determina l'esercizio delle prerogative istituzionali che questo Garante intende mettere in atto.
La circostanza che la nave "Open Arms” e i suoi ospiti ricadano nella sfera di esercizio della giurisdizione italiana appare, infatti, confermata, anzitutto, dalla preliminare valutazione delle vulnerabilità effettuata dalla Guardia costiera italiana, in esito alla quale sarebbe stata disposta l'evacuazione di tre donne, di cui di cui due in stato di gravidanza. Questa meritoria azione è indicativa di una "presa in carico" della situazione delle persone ospitate, di elementi valutativi effettuati direttamente o riconosciuti validi se effettuati dai responsabili a bordo, di conseguenti azioni: tutto ciò determina l'assunzione di una complessiva responsabilità, che è fattore determinante per ogni accertamento delle eventuali successive azioni omesse o compiute. Una responsabilità che ne configura una forma di esercizio di giurisdizione.
Inoltre, tenendo presente la nota sentenza della Grande Camera della Corte europea per 1 diritti umani nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia (27765/09), la giurisdizione appare confermata dalla situazione di soggezione al potere di controllo delle Autorità italiane in cui versa l'imbarcazione raggiunta dal divieto di ingresso lo scorso 1° agosto 2019. Tale provvedimento, produttivo di effetti al di fuori del territorio, costituisce esercizio, seppur a titola eccezionale, della sovranità; pertanto implica la giurisdizione tanto sul Comandante che sugli individui a bordo della nave e, di conseguenza, il dovere di riconoscere a essi tutti quei diritti derivanti dagli obblighi internazionali che lo Stato stesso si è vincolato a rispettare.
Ne consegue che ai migranti soccorsi devono essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie (divieto di non refoulement, diritti dei minori stranieri non accompagnati, diritto di protezione internazionale, ...) che spettano alle persone nei confronti delle quali l'Italia esercita la propria giurisdizione. In tal senso si esprime, peraltro, anche l'articolo 2 del Testo Unico Immigrazione stabilendo che «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti».
Ciò premesso, vanno considerati i seguenti principali profili di responsabilità configurabili nel caso di specie.
1) Violazione del principio di non refoulement (articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
A seguito del divieto di ingresso in acque territoriali emesso nei confronti della nave "Open Arms", che ha prestato soccorso in mare, da parte delle Autorità italiane e l'omologo divieto di approdo di quelle maltesi, per i migranti soccorsi si è determinato il rischio del loro ritorno nel luogo da cui sono partiti, la Libia. Come indicato da numerosi osservatori internazionali e opportunamente dichiarato dallo stesso Ministro per gli Affari esteri e la Cooperazione del nostro Paese, Enzo Moavero Milanesi, lo scorso 28 giugno 2019, la Libia non può essere considerata un porto sicuro. Pertanto, un eventuale trasferimento verso quel Paese, delle persone soccorse oltre a non consentire loro di esercitare il diritto di cercare asilo in un altro Paese, li espone al rischio di trattamenti inumani e degradanti.
2) Violazione del divieto di espulsioni collettive (articolo 4 del Protocollo n. 4 della CEDU)
Il divieto di ingresso, che può essere visto come azione di respingimento delle persone soccorse, è stato esercitato senza un preventivo esame delle condizioni individuali delle stesse. Inoltre, nel caso del secondo intervento di salvataggio operato dalla "Open Arms" lo scorso 2 agosto, risulta addirittura antecedente alla salita a bordo delle persone nei cui confronti è risultato così gravido di conseguenze implicite nella stessa funzione del salvataggio.
Stando alle notizie sopraindicate, una valutazione delle situazioni personali, sotto il profilo esclusivamente sanitario, è stata effettuata ex post, due giorni dopo l’invio del provvedimento interdittivo di ingresso in data 3 agosto.
A parere di chi scrive, una tale condotta potrebbe integrare una violazione del divieto di espulsioni collettive previsto dall'articolo 4 del Protocollo n. 4 della CEDU, che la Corte EDU - sempre nel citato caso Hirsl Jamaa e altri c. Italia - ha ritenuto applicabile a un’ipotesi di respingimento in acque internazionali (come è noto, operato da alcune navi italiane nel maggio del 2009). In tal caso, tra i profili di responsabilità ravvisati, emergerebbe una situazione per la quale vale la pena richiamare l'articolo 19, comma I-bis del Decreto legislativo 286/98 in base al quale «In nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati».
§ Le evacuazioni mediche
Durante il periodo nel corso del quale la Open Arms stazionava in acque internazionali a sud-ovest di Lampedusa in attesa dell’assegnazione (o dell’espresso diniego) di un POS, in diverse occasioni la ONG richiedeva, congiuntamente a RCC Malta ed a I.M.R.C.C., di effettuare alcune evacuazioni mediche (Medevac) di migranti in precarie condizioni di salute.
La prima di tali operazioni veniva eseguita già il 3 agosto 2019[103] da personale dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Lampedusa (così rendendo l’Italia lo “Stato di primo contatto” secondo la richiamata normativa internazionale) in relazione a due donne in stato di gravidanza e un’accompagnatrice.
Due ulteriori evacuazioni mediche venivano effettuate l’11 ed il 14 agosto 2019 a cura sia dell’Autorità marittima italiana che di quella maltese, per un totale di 13 migranti sbarcati[104].
A tale ultimo proposito, secondo la capo missione MONTES: “La situazione peggiorava di giorno in giorno, tanto che sono state richieste delle evacuazioni, se non ricordo male una è stata chiesta l’undici agosto di tre persone, in tre condizioni fisiche diverse, era una con tubercolosi e l’altra con tumore celebrale, una cosa che aveva a che fare con tumore celebrale, quindi non esattamente magari quello e un altro con la polmonite. Il tredici agosto è stato invece sollecitato... è stata richiesta una evacuazione di un bambino di nove mesi con il suo fratello gemello, il padre e la madre”[105].
Anzi, la teste, ha spiegato pure che le stesse evacuazioni creavano, a loro volta, allarme: “inizialmente non c’era nessun problema, perché si comprendeva perfettamente il perché ci fossero delle evacuazioni mediche, con il passare dei giorni invece ogni volta che si realizzava una evacuazione medica, soprattutto alla fine, c’era uno stato di alterazione, diciamo che la situazione era tesa, c’erano anche delle liti, perché non si capiva perché alcuni sì e altri no”.
§ 12-13 agosto 2019
Il 12 agosto 2019, la Open Arms inviava all’ambasciata spagnola a Malta la richiesta di provvedimenti a favore dei minori non accompagnati, rappresentando la grave situazione di pericolo nella quale essi versavano, come da e-mail agli atti.
La mattina del 13 agosto 2019 saliva sulla Open Arms il dott. Alessandro DI BENEDETTO, psicologo di Emergency chiamato a valutare le condizioni psichiche dei migranti a bordo e ad effettuare un “servizio di stabilizzazione della sintomatologia”[106], ossia un tentativo di riportare i migranti all'interno della c.d. “finestra di tolleranza”, aiutandoli a trovare le risorse mentali per sopportare quella situazione emergenziale.
Il medico riscontrava in molti naufraghi disturbi da stress post-traumatico, quali disturbi del sonno, dolori fisici, reazioni emotive di allerta e/o di rabbia incontrollata, sintomatologie ansiose-depressive, episodi dissociativi, episodi di autolesionismo, soprattutto nei minori, ideazioni suicidarie[107].
All’esito dell’accesso a bordo, il dott. DI BENEDETTO relazionava che la condizione dei migranti stava “raggiungendo livelli di sofferenza altissimi”, con conseguente rischio che, nel brevissimo tempo, si potesse “perdere il controllo della situazione”.
Nel corso del suo esame dibattimentale, lo psicologo ha chiarito anche che tale situazione era “esplosiva” a causa del contesto ambientale che esacerbava e amplificava ancor di più la condizione, già a monte dolorosa, per ciascun naufrago, nonché a causa della stanchezza, dello “stillicidio di quei giorni passati sul ponte a terra”[108].
Da tale data, come evidenziato dal medesimo teste, iniziava anche un particolare peggioramento delle condizioni del mare, circostanza questa, come si vedrà, di estremo rilievo nella vicenda che ci occupa: “io ho lasciato la l'Open Arms proprio perché le condizioni del mare erano proibitive. Mentre mi trovavo lì, il 13 di agosto, un elicottero maltese era venuto per fare un’evacuazione di un nucleo familiare, non ci riuscì, quindi si calò il militare dall'elicottero, ma è dovuto ripartire perché le condizioni erano.., quindi le condizioni ambientali, il contesto di vicinanza, i traumi subiti, come vi dicevo prima erano trigger, micce che rendevano esplosiva la situazione”.
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Il 13 agosto 2019, quindi, proprio a causa del maltempo, la capo missione MONTES, con e-mail, in atti, delle ore 6.18, avanzava richiesta di ridosso all’isola di Malta, richiesta che veniva però respinta dalle autorità maltesi che prospettavano la possibilità per la nave di trovare un più vicino punto di riparo a Lampedusa o in Tunisia[109].
Si veda, sul punto, anche la deposizione della stessa MONTES all’udienza del 13.5.2022:
PUBBLICO MINISTERO - Arrivando al tredici agosto del 2019, come erano le condizioni meteo marine il tredici agosto?
TESTIMONE MONTES (INTERPRETE) - Le condizioni andavano a peggiorare. Fondamentalmente il meteo indicava che anche le condizioni del mare sarebbero andate a peggiorare e prevedeva onde di tre metri e un vento a ventotto nodi di velocità.
PUBBLICO MINISTERO - A quel punto avete inviato una richiesta di riparo per il maltempo a Malta?
TESTIMONE MONTES - Sì.
PUBBLICO MINISTERO, - E che cosa vi è stato risposto da Malta?
TESTIMONE MONTES (INTERPRETE) - (..) Malta ha rifiutato l’ingresso nelle acque territoriali per ottenere appunto rifugio dalle cattive condizioni meteo.
PUBBLICO MINISTERO - Quali erano le opzioni più vicine in relazione alla vostra posizione?
TESTIMONE MONTES (INTERPRETE) - Abbiamo fatto la stessa richiesta a Tunisi, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta.
(..) Le condizioni erano già diciamo cattive prima che ci fosse cattivo tempo, quando il tempo è peggiorato le condizioni sono peggiorate anche le loro, le condizioni dei migranti stiamo parlando. Le onde erano molte alte e quindi entrava anche acqua all’interno dell’imbarcazione.
§ 14 agosto 2019
Il giorno 14 agosto 2019 si verificavano diversi eventi di estremo rilievo.
Per quanto riguarda l’aspetto “amministrativo” della vicenda, si ricorda, innanzitutto che, in tale data, in accoglimento dell’istanza di “misure cautelari monocratiche” (ai sensi dell’art. 56 cod. proc. amm.) proposta dai legali di Open Arms con il ricorso avverso il decreto interministeriale del 1° agosto 2019, il Presidente della Sezione Prima ter del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sospendeva con proprio decreto l’efficacia del divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale emesso in data 1° agosto 2019.
Quanto al fumus del ricorso, in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione delle norme del diritto internazionale del mare, si sottolineava come la stessa amministrazione intimata avesse riconosciuto, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in distress, cioè in situazione di evidente difficoltà (“per cui appare contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994”).
Con riferimento al periculum in mora, inoltre, il TAR Lazio rilevava che “sicuramente sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione), la prospettata situazione di eccezionale gravità e urgenza tale da giustificare la concessione di consentire l’ingresso della Nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli)”.
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A fronte del provvedimento del TAR, quello stesso 14 agosto 2019, il Ministero dell’Interno predisponeva un nuovo decreto interdittivo per la Open Arms che, però, veniva sottoscritto dal solo Ministro SALVINI poiché, come più volte emerso nel dibattimento, gli altri Ministri che avrebbero dovuto sottoscriverlo si erano rifiutati di controfirmarlo.
Invero, il Ministro della Difesa, Elisabetta TRENTA, ha spiegato, all’udienza del 2 dicembre 2022, le ragioni della sua mancata sottoscrizione, precisando anche di avere chiesto un parere legale al suo Gabinetto secondo cui reiterare quel divieto di ingresso avrebbe potuto comportare anche responsabilità penali. In particolare, specificava che: “Io ero convinta dall'inizio che non andasse firmato un nuovo decreto di divieto, perché non si reitera in mancanza di novità, delle quali io non ero al corrente, non sono mai stata messa ufficialmente al corrente, se ce ne fossero state, un decreto con delle motivazioni che sono soltanto peggiorate con il passare dei giorni, per cui quello era qualcosa che non andava firmato”. (..) Io rifiutai di firmarlo, perché ritenni che valesse ancora di più la decisione del TAR del Lazio, perché comunque erano passati altri giorni e la situazione a bordo era peggiorata ancora di più, e poi era una reiterazione di un Decreto già annullato, immotivata, e senza che fossero intervenute altre novità, se non novità peggiorative rispetto alla vita di chi era a bordo. (..) ritengo che le nostre battaglie, giuste, non debbano ricadere sulla vita dei più fragili e che ci siano dei diritti umani che vadano sempre, sempre, sempre rispettati (..)Seppure ci fosse stata una minaccia di terrorismo, si poteva far sbarcare immediatamente le persone, assisterle e nel frattempo fare tutte le verifiche del caso.
Di analogo tenore le dichiarazioni rese, alla medesima udienza del 2 dicembre 2022, dall’allora Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo TONINELLI, che, anch’egli, non aveva condiviso la scelta del Ministro SALVINI di adottare un nuovo divieto di ingresso, sostanzialmente identico a quello annullato dal TAR: “le informazioni che arrivavano erano informazioni che a bordo della nave la situazione diventava complicata, dobbiamo ricordare che si tratta non di una nave preposta all’attività di soccorso di persone in mare, ma una nave di carico, è una nave che mi sembra portasse una portata di 15-20 persone al massimo, ne aveva a bordo molto molto di più, e quindi una situazione che (..) certamente iniziava a complicarsi e quindi per questo motivo, e perché.., ma per senso di logica non si potesse più firmare, reiterare un decreto già annullato che era identico a quello annullato con le sue condizioni, ovviamente il sottoscritto e penso anche la collega della Difesa, abbiano ritenuto che non fosse logico farlo.
Anche il comandante Gregorio DE FALCO, Ufficiale delle Capitanerie di Porto e, all’epoca dei fatti, Senatore della Repubblica nonché membro della Giunta per le immunità ed autorizzazioni a procedere, aveva manifestato enorme preoccupazione per una ingiustificabile ri-emanazione del decreto e, come ha riferito all’udienza del 15 settembre 2023, si era sentito in dovere di chiedere formalmente al Ministro TRENTA di non controfirmare un nuovo divieto di ingresso che avrebbe rappresentato, a suo avviso, un aggiramento del provvedimento del TAR e una violazione delle convenzioni internazionali e dei diritti inviolabili dell’uomo: “a quel punto, il 15, io scrissi appunto al Ministero della Difesa, chiedendo di non firmare proprio perché quel decreto di per sé, già contrastante con le convenzioni internazionali, in concreto era anche stato sospeso dal Tribunale Amministrativo Regionale, il Presidente del Tribunale, e quindi una reiterazione sostanzialmente, anche se sotto forma diversa di quel decreto avrebbe comportato sicuramente una violazione ancor più aberrante del diritto e dei diritti delle persone”.
Lo stesso imputato, in sede di esame, ha chiarito di essere stato lui a proporre l’adozione di questo secondo divieto di ingresso, continuando a ritenere “offensivo” il passaggio della Open Arms in acque territoriali italiane: “perché avevamo ritenuto, con l'ingresso nelle acque territoriali, superato il divieto del TAR, … se era offensivo prima, continuava a essere offensivo per quello che ci riguarda. Poi perché Toninelli e Trenta non firmarono, dovreste chiederlo a loro” e temendo che il provvedimento del TAR potesse creare un precedente per altri episodi successivi[110].
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Sempre in data 14 agosto 2019, l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe CONTE, inviava una prima missiva al Ministro SALVINI con cui rappresentava di avere avuto notizia della presenza di soggetti minorenni a bordo della Open Arms e lo invitava ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare loro assistenza e tutela, rammentando la normativa vigente in materia[111]:
Gentile Ministro Salvini,
ho ricevuto informazioni che confermerebbero la presenza, sull'imbarcazione Open Arms, di alcune decine di minorenni in condizioni di emergenza e in pericolo di vita. In proposito, Ti ricordo che il riordino delle competenze e delle misure attuative in tema di minori stranieri non accompagnati è stato realizzato con il decreto legislativo n. 142 del 2015, che ha dettato regole in materia di accoglienza e di assistenza, prevedendo strutture di accoglienza aperte a tutti i minori, anche se non richiedenti asilo. La legge n. 47 del 2017 ha poi introdotto importanti novità nel superiore interesse dei minori. In particolare, ha previsto che i minori non possono essere respinti e che devono essere tutelati attraverso un sistema di protezione e di inclusione sociale. Peraltro, l’art. 3 della medesima legge n. 47 estende ai minori non accompagnati la disciplina di cui all'art. 19, comma I-bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998, in materia di categorie vulnerabili. La disciplina vigente è peraltro coerente con la consolidata giurisprudenza in materia.
Ti invito, pertanto, nel rispetto della, normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti nell'imbarcazione.
Cordiali saluti
Giuseppe Conte.
Come ha precisato all’udienza del 13 gennaio 2023, il Presidente del Consiglio riteneva inaccettabile che non si procedesse allo sbarco immediato quantomeno dei soggetti minorenni, poiché ciò appariva in contrasto con tutte le normative, nazionali e sovranazionali, a loro tutela: “fu una cosa che evidentemente mi colpì, e ragionai con i miei collaboratori sulla possibilità che insomma dei minori, in una situazione già critica, potessero rimanere a bordo, e quindi di qui vergai quella lettera con i collaboratori, sollecitando il Ministro, al di là delle sue specifiche competenze sul rilascio del POS, insomma a rilasciare quanto meno i minori, che era un fatto, secondo me, che non doveva essere discusso in accordo con la normativa vigente…. cercai di esercitare una sorta di moral suasion, rispetto a quantomeno alla situazione dei minori che mi appariva, ecco, la posizione in quel momento del Viminale, veramente non.., come dire, che non avesse il benché minimo fondamento giuridico, al di là di qualsiasi altra valutazione politica”.
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Con riferimento, invece, agli accadimenti riguardanti la navigazione della Open Arms, sempre quel 14 agosto 2019, alle ore 18:07, I.M.R.C.C. inoltrava a diverse autorità italiane (tra cui al Capo dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno, alla Direzione Centrale Immigrazione e Polizia e, per conoscenza, al Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno) l’ennesima richiesta di POSavanzata dalla Open Arms[112], senza ricevere risposta alcuna[113].
Anche qualche ora più tardi, con diverse e-mail, il comandante della Open Arms tornava a chiedere a RCC Malta e a I.M.R.C.C. Roma lo sbarco di tutti i migranti, evidenziando le critiche condizioni psicologiche nelle quali essi versavano documentate con il report del medico di bordo, ma le autorità maltesi esplicitavano, ancora una volta, il rifiuto di concedere un POS[114].
Open Arms inoltrava, quindi, medesima richiesta a I.M.R.C.C., evidenziando il rifiuto già ottenuto dalle autorità maltesi ma non ottenendo risposta alcuna[115].
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Il 14 agosto 2019, inoltre, si assisteva ad un ulteriore peggioramento delle condizioni meteo-marine - come attestato dal diario di bordo della Open Arms e confermato anche dall’ammiraglio Sergio LIARDO nel corso della sua deposizione dibattimentale: “c’era mare 4 e un’onda di due metri e mezzo, con circa 25 nodi di vento … condizioni che suggerivano un riparo, un ridosso verso l’unità di Lampedusa … più che suggerivano, imponevano, ecco, a quel punto”- che poneva la Open Arms in una situazione di grave pericolo.
Conseguentemente, alle ore 21:41 la Open Arms trasmetteva a I.M.R.C.C. il provvedimento del TAR Lazio che sospendeva il divieto di ingresso e comunicava che: “la nostra nave si sta dirigendo nelle acque territoriali italiane per poter cercare rifugio dalle avverse condizioni meteo e procedere alle relative richieste per salvaguardare la sicurezza e la salute delle persone a bordo”.
Poco dopo, la nave, già in zona SAR italiana, faceva ingresso nelle acque territoriali italiane.
Pertanto, diveniva urgente e necessario quantomeno concedere un ridosso sicuro alla Open Arms nei pressi di Lampedusa, essendo la località più prossima alla nave, come confermato dall’ammiraglio Nunzio MARTELLO (“in quel momento, con quelle condizioni, non si poteva non dare al Comandante della nave la possibilità di ridossarsi a Lampedusa”[116]), nonché dal teste Leandro TRINGALI, Comandante della Capitaneria di Porto di Lampedusa (“considerate che in quel periodo, la notte, c’era vento da nord, c’era vento forte, quindi l’unica zona ridossata nel canale era a sud di Lampedusa”)[117].
Del resto, a dimostrazione della drammaticità della situazione, va ricordato che, dopo l’ingresso della Open Arms in acque italiane, una pattuglia della Guardia di Finanza tentava di effettuare un controllo di polizia a bordo, non riuscendo però ad affiancare il natante, a cause delle avverse condizioni del mare (cfr. dichiarazioni rese dal Cap. Edoardo ANEDDA, comandante della Sezione Unità Navali della Guardia di Finanza di Palermo, alla medesima udienza del 17 dicembre 2021: “la notte del 14 agosto 2019 io ho preso imbarco a bordo di una nostra unità navale, in particolare P01 Monte Sperone, siccome la Open Arms dopo il ricorso fatto al Tar con cui, diciamo, era stato dichiarato non effettivo il decreto interministeriale di divieto di ingresso nelle acque territoriali da parte della stessa, ovviamente aveva iniziato ad intraprendere una rotta in ingresso alle acque territoriali, allorché noi, come Polizia del mare, insomma, eravamo andati incontro all’unità navale per capire un attimo quali fossero le intenzioni dell’unità navale, l’idea iniziale era di fare un controllo di Polizia a bordo, un controllo documentale, cosa che non fu possibile perché c’erano condizioni meteo marine avverse, per cui non sarebbe stato possibile, tant’è che ci fu uno scambio, una interlocuzione via radio, all’esito della quale la Open Arms comunicò che aveva necessità di ridossarsi sotto l’isola per ripararsi dalle condizioni in peggioramento, tant’è che io personalmente riferii di contattare il competente ufficio circondariale marittimo della Capitaneria di Porto per farsi assegnare un punto di ridosso”).
Dichiarazioni di analogo contenuto sono state rese dal citato teste Leandro TRINGALI all’udienza del 17 dicembre 2022: “…via radio il Comandante ci chiese, appunto, ridosso sull’isola, mandammo una motovedetta di Lampedusa per verificare le condizioni meteo sul posto, comunque c’erano delle onde alte, c’era anche forte vento e, quindi, acconsentimmo al ridosso dell’unità sotto l’isola di Lampedusa… si tentò un approccio, ma le condizioni meteo marine non erano favorevoli, cioè non … si metteva a rischio la sicurezza anche dei ragazzi della motovedetta, e quindi decidemmo semplicemente di verificare le condizioni e di non salire nell’immediatezza lì a bordo per verificare le condizioni a bordo dell’unità”.
Nelle prime ore del 15 agosto 2019, dopo aver fatto legittimamente ingresso in acque territoriali italiane, la Open Arms chiedeva, dunque, ad I.M.R.C.C. di ottenere un punto di fonda nei pressi dell’isola di Lampedusa per porsi al riparo dalle condizioni meteo-marine avverse.
A quel punto, diverse autorità coinvolte nella vicenda avevano ben chiaro che, a fronte della ormai netta posizione del Ministro dell’Interno, che non intendeva rilasciare il POS, occorreva trovare comunque una soluzione per salvaguardare la vita dei passeggeri della Open Arms, messa a ulteriore repentaglio dall’aggravarsi delle condizioni meteo-marine.
Pertanto, il Comando Generale della Guardia Costiera, come riferito dal teste LIARDO, riteneva di accordare alla Open Arms il permesso di trovare riparo in prossimità di Lampedusa, poiché tale opzione era l’“unica condizione di sicurezza per evitare tragedie”: “faccio riferimento al fatto che, una volta giunti dopo 14 giorni con un numero di migranti consistente a bordo, in una condizione oggettiva di maltempo, l’unica soluzione, quindi forzatamente in questo senso, era l’unica condizione di sicurezza per evitare tragedie, era quella di ridossarsi e di entrare a Lampedusa”[118].
Tale circostanza è stata confermata anche dal dott. CAPUTO, allora Prefetto di Agrigento, sentito all’udienza dell’8 aprile 2022: “una delle preoccupazioni, in presenza di una difficoltà nell’autorizzare l’attracco della nave, è stata determinata dal fatto che, appunto, l’improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche potesse porre a repentaglio la vita dell’equipaggio e dei migranti presenti a bordo”[119].
La richiesta, per le ragioni prima evidenziate, veniva esitata positivamente dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto che consentiva alla nave di ridossarsi nelle immediate vicinanze dell’isola fino al miglioramento delle condizioni del mare.
La gravità della situazione, del resto, veniva altresì comprovata dal fatto che, a seguito dell’ingresso della Open Arms in acque territoriali italiane, il personale della Capitaneria di Porto effettuava un primo tentativo di affiancare la nave, nella notte tra il 14 e il 15 agosto, per procedere ad alcune Medevac, che però non andavano a buon fine a causa delle pessime condizioni meteo-marine, come riferito dagli ammiragli LIARDO e MARTELLO all’udienza del 17 dicembre 2021[120].
Tale permesso di ridosso veniva subito comunicato dalla Capitaneria di Porto, alle ore 02:28, al Gabinetto del Ministro dell’Interno e ad altre autorità, con la conferma che, effettivamente, le condizioni meteo-marine non consentivano una sicura navigazione verso altri porti e che, pertanto, salvo diverso avviso di NCC, il Comando Generale non avrebbe posto “diniego al solo ridosso della predetta unità, in attesa del miglioramento delle condizioni metereologiche, vietandone altresì, all’attualità, l’ingresso in porto”[121].
In effetti, la peculiare situazione, dava luogo a varie interlocuzioni tra la Capitaneria di Porto, che in qualche modo pressava ai fini del rilascio del POS, e il Gabinetto del Ministro dell’Interno che, però, nonostante il grave pericolo, ancora non accennava a indicare il posto sicuro, come meglio riferito dall’ammiraglio Nunzio MARTELLO all’udienza del 17 dicembre 2021. Anzi, il capo di Gabinetto, pur non potendo opporsi al ridosso, tuttavia provava a indirizzare la Open Arms verso porti più distanti rispetto a Lampedusa, ma non come POS, situazione fermamente non ritenuta praticabile dalla Capitaneria al fine di salvaguardare l’incolumità dei migranti e del personale della nave, in quel momento sottoposti a gravi rischi:
TESTIMONE MARTELLO – … Quella sera io ho avuto delle interlocuzioni con il capo di Gabinetto del Ministero per vedere se davano Pos Lampedusa oppure altro Pos.
PUBBLICO MINISTERO – Chi era il capo di Gabinetto del Ministero?
TESTIMONE MARTELLO – Il Dottore Piantedosi. Dalle interlocuzioni, loro ancora non avevano dato delle indicazioni su cui dare il Pos, però, come io ho detto prima, … ho disposto che la nave potesse entrare e dare fondo nelle acque a ridosso a Lampedusa, indipendentemente dal fatto se davano o meno il Pos, .… quello che era importante era dare la sicurezza e la salvaguardia delle vite umane, del personale della nave (..)
PUBBLICO MINISTERO – Ci può riferire esattamente che cosa le disse Piantedosi con riferimento all’assegnazione e all’individuazione di un Pos per la Open Arms?
TESTIMONE MARTELLO – Il Dottore Piantedosi in quel momento mi disse che a Lampedusa non era possibile (..) probabilmente perché il centro era pieno, a Lampedusa mi disse che in quel momento non era possibile, allora, ovviamente, al di là se fosse stato il Pos Lampedusa o altri (Inc.), io l'ho messo anche nel messaggio, era prioritario accettare, com’è stato fatto, la disponibilità (di) dare al Comandante la possibilità di andare in acque tranquille, questo era prioritario. È stato fatto, è stato detto al Dottore Piantedosi, il quale non ha controbattuto, nell’ambito di una normale dialettica istituzionale, ha accettato quello che gli ho detto, d’altronde diversamente non si poteva fare e non sarebbe stato fatto.
PUBBLICO MINISTERO – Le furono proposti altri possibili Pos in Italia?
TESTIMONE MARTELLO – Sono stati proposti altri due porti, ma non come Pos, se eventualmente poteva andare là la nave, e io dissi che in quelle condizioni la nave non poteva andare in nessun altro posto se non a ridosso a Lampedusa, e così è stato fatto.
PUBBLICO MINISTERO – Quali erano questi altri due porti?
TESTIMONE MARTELLO – Se non ricordo male, Trapani e Taranto o Reggio Calabria.
PUBBLICO MINISTERO – Che in ogni caso non erano indicati come Pos.
TESTIMONE MARTELLO – In quel momento no.
PUBBLICO MINISTERO – In quelle condizioni sarebbe stato possibile per la Open Arms recarsi verso Taranto o Trapani?
TESTIMONE MARTELLO – Con quel mare e in quelle condizioni no, come le ho detto e l'ho scritto nel messaggio, perché, ripeto, poi nessuno ha contestato niente o ha forzato qualche cosa.
Di analogo tenore, circa l’interlocuzione tra l’ammiraglio MARTELLO e il prefetto PIANTEDOSI, sono state le dichiarazioni dell’ammiraglio LIARDO[122].
§ 15 agosto 2019
Nella mattinata del 15 agosto, intorno alle 10:30, personale della Capitaneria di Porto e della Guardia di Finanza riusciva a salire a bordo della Open Arms e a effettuare un sopralluogo congiunto unitamente a personale sanitario del CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta) che dava conto, nel relativo verbale, di condizioni igienico-sanitarie assai precarie e della presenza di diverse patologie a carico dei migranti a bordo[123].
In quel momento, come riferito dalla dott.ssa Katia DI NATALE all’udienza del 13 maggio 2022, i naufraghi a bordo erano 147 e si trovavano “tutti ammassati sulla nave”, con a disposizione due soli bagni chimici, tanto che erano costretti a espletare i propri bisogni fisiologici nello stesso spazio in cui dormivano e mangiavano.
Per i medici del CISOM era in concreto impossibile effettuare accertamenti individuali sulle condizioni di salute psico-fisica dei singoli migranti[124], ma dall’osservazione generale della situazione sul ponte della nave, e dal colloquio con il medico di bordo, i sanitari riscontravano segni di parassitosi, segni di infezioni della cute, e in particolare segni di scabbia.
Le precarie condizioni di salute psico-fisica dei naufraghi soccorsi dalla Open Arms erano evidenziate anche dal medico di bordo, Inas URROSOLO MARTINE DE LOGOS, che ha riferito come la situazione fosse in costante peggioramento, perché i migranti si trovavano da giorni stipati sul ponte della nave, con i vestiti bagnati, sempre più disperati e di frequente colpiti da attacchi di panico[125].
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Nella stessa giornata la Open Arms avanzava ulteriori richieste di POS[126] tornando ad evidenziare la grave situazione che affliggeva i migranti soccorsi. Contestualmente trasmetteva alle autorità italiane la dichiarazione di libera pratica sanitaria nel frattempo ottenuta dal personale medico dell’USMAF[127], così evidenziando, in sostanza, che non si frapponevano eventuali ostacoli allo sbarco.
Anche queste richieste di POS venivano trasmessa in pari data da I.M.R.C.C. alle autorità competenti (in primis, come di consueto, al Gabinetto del Ministro dell’Interno)[128] senza ricevere risposta.
Sulla necessità di procedere immediatamente allo sbarco di tutti i migranti soccorsi dalla Open Arms si è espresso anche il Comandante DE FALCO, secondo cui: “il soccorso deve essere compiuto e deve essere compiuto nel più breve tempo possibile, cioè portato a termine dall’obbligato …lo Stato Costiero che abbia ricevuto notizia del soccorso e che possa ricevere i naufraghi … I naufraghi in quel momento avevano la terra dinanzi a sé, e quindi non c'era motivo di discutere d'altro, e soprattutto, a mio modo di vedere, non si poteva, non si doveva, non si sarebbe dovuto far sì che su quelle persone si facesse la politica, la politica si fa attraverso atti generali astratti, si fa attraverso idee, non sulla carne della gente che già sta soffrendo”[129].
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Dato il protrarsi dell’assenza di POS e la fondata previsione che il suo eventuale rilascio non sarebbe giunto in tempi brevi, considerato il peculiare clima di quel momento, le autorità locali, sempre il 15 agosto 2019, erano costrette a riunire il Comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza pubblica per prevenire eventuali situazioni di pericolo derivanti dallo stazionare in mare della Open Arms, come si legge nel resoconto acquisito all’udienza dell’8 aprile 2022 da cui emerge che il Prefetto richiamava l’attenzione sul fatto che, pur rimanendo affidata alle Autorità centrali la decisione per l’eventuale sbarco dei migranti, in attesa di tali determinazioni si rivelava necessario predisporre misure per evitare che i migranti si gettassero in mare (come poi in effetti accaduto) per cercare di raggiungere a nuoto l’isola di Lampedusa.
Più precisamente, come riferito in dibattimento dal Prefetto di Agrigento, Dario CAPUTO: “posso confermare in particolare che una delle preoccupazioni maggiori che abbiamo affrontato con i colleghi in occasione di questa riunione del comitato derivava dallo stato d’animo di almeno alcuni dei migranti presenti sulla nave, in particolare il timore che, da parte loro, potesse essere effettuato un tentativo di abbandonare la nave, quindi esporsi al rischio di annegamento qualora, appunto, si fossero gettati in mare. E per questo motivo, d’intesa con gli organi della Capitaneria di Porto, della Guardia di Finanza, ovviamente con il coordinamento del signor Questore, abbiamo adottato misure finalizzate a fare in modo che, anche nell’eventualità in cui si fosse verificata una esigenza, un’emergenza del genere, fosse stato comunque possibile agli organi dello Stato intervenire per portare soccorso a chi si fosse buttato in mare. Mi pare che poi questa cosa effettivamente, questo problema si è verificato almeno in un paio di casi, se non erro verso la fine della situazione di emergenza, intorno al 15… intorno al 20 di agosto, 19-20 agosto”.
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Il 15 agosto il Presidente CONTE scriveva una lettera aperta, diffusa da vari quotidiani nazionali, in cui si doleva del fatto che il Ministro SALVINI avesse reso pubblica la corrispondenza tra la Presidenza del Consiglio e il Viminale, peraltro non riportandola fedelmente.
CONTE rappresentava, inoltre, che vari Stati Membri dell’Unione Europea - tra cui Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo - nel corso delle trattative per la redistribuzione, gli avevano già comunicato la loro disponibilità ad accogliere i migranti a bordo della Open Arms:
Gentile Ministro dell’Interno, Caro Matteo,
ti scrivo questa lettera aperta perché il caso della nave Operi Arms domina ormai le prime pagine dei giornali e perché sono costretto a constatare che anche la corrispondenza d'ufficio tra la Presidenza dei Consiglio e il Viminale viene poi riportata sui giornali e allora tanto vale renderla pubblica all'origine, per migliore trasparenza anche nei confronti dei cittadini.
Ti ho scritto ier l'altro una comunicazione formale, con la quale, dopo avere richiamato vari riferimenti normativi e la giurisprudenza in materia, ti ho invitato, letteralmente, "nel rispetto della normativa in vigore, ad allottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti nell'imbarcazione".
Con mia enorme sorpresa, ieri hai riassunto questa mia posizione attribuendomi, genericamente, la volontà di far sbarcare i migranti a bordo.
Comprendo la tua fedele e ossessiva concentrazione nell'affrontare il tema dell'immigrazione riducendolo alla formula "porti chiusi". Sei un leader politico e sei legittimamente proteso a incrementare costantemente i tuoi consensi. Ma parlare come Ministro dell'Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è questione diversa.
È un chiaro esempio di sleale collaborazione, l'ennesima a dire il vero, che non posso accettare. Come ho sempre pubblicamente rappresentato, il tema dell'immigrazione è un tema complesso. Va affrontato con una politica di ampio respiro, come ho provato a fare sin dal primo Consiglio Europeo al quale ho partecipato, a fine giugno 2018, evitando di lasciarci schiacciare dai singoli casi emergenziali.…
Un ultimo aggiornamento sulla vicenda Operi Arms.
Francia, Germania, Romania, Portogallo, Spagna e Lussemburgo mi hanno appena comunicato di essere disponibili a redistribuire i migranti. Ancora una volta, i miei omologhi europei ci tendono la mano.
Siamo ormai agli sgoccioli di questa nostra esperienza di governo.
Abbiamo lavorato fianco a fianco per molti mesi e ho sempre cercato di trasmetterti i valori della dignità del ruolo che ricopriamo e la sensibilità per le istituzioni che rappresentiamo.
La tua foga politica e l'ansia di comunicare, tuttavia, ti hanno indotto spesso a operare "slabbrature istituzionali", che a tratti sono diventati veri e propri "strappi istituzionali".
Per queste ragioni mi sono ritrovato costretto a intervenire varie volte - l'ho fatto perlopiù riservatamente - non per l'ansia di contrappormi politicamente alle tue iniziative, ma per la necessità di rivendicare l'applicazione del principio di "leale collaborazione", che è fondamentale per il buon funzionamento delle istituzioni pubbliche.
Il consenso politico a cui ogni leader politico aspira si nutre della fiducia degli elettori. Ma se non alimentiamo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche si crea un cortocircuito e alla fine prevalgono rabbia e disaffezione. Dobbiamo tutti operare per riconoscere piena dignità alle istituzioni che rappresentiamo, nel segno della leale collaborazione.
Hai alle spalle e davanti una lunga carriera politica. Molti l'associano al potere, io l'associo a una enorme responsabilità.
Buon ferragosto,
Giuseppe Conte
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Sempre in data 15 agosto 2019 il Ministro SALVINI sottoscriveva una nota di risposta formale alla precedente missiva del 14 agosto 2019 del Presidente del Consiglio dei Ministri, con cui era stato invitato, come detto, “ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti sull’imbarcazione”.
Con tale nota, il Ministro respingeva ogni responsabilità al riguardo, anche quando ormai la Open Arms era entrata in acque territoriali italiane, evidenziando:
- che i minori a bordo della nave spagnola dovevano ritenersi soggetti alla giurisdizione dello Stato di bandiera anche con riferimento alla tutela dei loro diritti umani;
- che non vi erano evidenze per escludere che gli stessi viaggiassero accompagnati da adulti che ne avevano la responsabilità, comunque ricadente sul comandante della nave;
- che aveva già dato mandato all’Avvocatura Generale dello Stato per impugnare il decreto di sospensiva del Presidente del Tar del Lazio[130]:
Gentile Presidente,
faccio riferimento alla nota in data 14 agosto 2019, con la quale, nel richiamare l'attenzione sulla presenza a bordo della nave Open Arms di alcune decine di presunti minorenni in condizioni di emergenza e in pericolo di vita, viene sollecitata l'adozione, nel rispetto della normativa vigente, dei necessari provvedimenti per assicurare agli stessi assistenza e tutela, richiamando, in particolare, il divieto di respingimento alla frontiera sancito dall'art. 19, comma I-bis, del decreto legislativo n.286 del 1998.
Al riguardo, osservo, in via preliminare, che la nave, battente bandiera spagnola, si trovava al momento della ricezione della Tua nota, in acque internazionali, a circa 58 miglia nautiche dal porto di Lampedusa, ossia a 46 miglia dal limite delle acque territoriali nazionali e dunque ben lontana dalla frontiera, circostanza questa che esclude possa configurarsi, nel caso di specie, l'ipotesi del respingimento.
Soggiungo, che in base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, la competenza sulle persone tratte a bordo delle navi appartiene allo Stato di bandiera. In tal senso la Corte si è chiaramente pronunciata nel leading case Hirsi e altri contro Italia ed, invero, se un principio giuridico vale per il nostro Paese, non può ritenersi che lo stesso non valga, in casi analoghi, anche nei confronti degli altri Stati.
Del resto, nel recente caso, del tutto simile, concernente la nave Sea Watch 3, battente bandiera olandese, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, nel negare la misura richiesta di far sbarcare ì migranti in Italia, ha motivato il diniego facendo riferimento proprio alla carenza di giurisdizione da parte dell’Italia.
Non può dunque dubitarsi che, nel caso di specie, la giurisdizione appartenga alla Spagna, le cui coste, peraltro, ben avrebbero potuto essere raggiunte dalla Open Arms nell'arco temporale intercorso dal primo degli interventi in mare, per consentirvi lo sbarco dei migranti tratti a bordo, minori non accompagnati inclusi. Non risulta, tuttavia, inspiegabilmente, che tale opzione sia mai stata presa in considerazione dal comandante.
Osservo, sotto altro profilo, che la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS, ed. Convenzione di Montego Bay), nell’attribuire allo Stato di bandiera giurisdizione esclusiva sul proprio naviglio in alto mare (art. 92), dispone che lo stesso eserciti efficacemente tale giurisdizione ed il proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale (art. 94) e non vi è dubbio che, fra le "questioni di carattere sociale", rientri proprio la protezione dei diritti umani delle persone a bordo.
Ancora, altre norme convenzionali (art. 98 UNCLOS), prevedendo l'obbligo di cooperazione nell'attività di ricerca e soccorso, fanno a questo obbligo conseguire anche una responsabilità per condotta omissiva nei confronti degli Stati di bandiera che rifiutino di collaborare nell'identificazione di un place of safety per la conclusione delle operazioni di soccorso di una nave che batte la bandiera dello Stato. Ne consegue che lo Stato di bandiera, in ragione del vincolo giurisdizionale che esercita sulla nave in alto mare, non può sottrarsi all'attività di cooperazione nella identificazione di un porto sicuro.
Alla luce di lutto quanto esposto, ritengo che la Spagna, stato costiero che ha giurisdizione sulla Open Arms, compreso per ciò che riguarda la tutela dei diritti delle persone a bordo, andrebbe investita della questione posta nella nota che si riscontra, dovendosi, di contro, ritenere violata la normativa internazionale citata ove tale Stato disconoscesse di avere responsabilità rispetto alla protezione dei minori non accompagnati che si trovano al momento a bordo della nave.
Rilevo, infine, che la Direttiva europea 2001/55 del 2001, definisce minori non accompagnati «i cittadini di paesi terzi o gli apolidi di età inferiore ai diciotto anni che entrano nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnati da una persona adulta responsabile per essi in base alle leggi o agli usi, finché non ne assuma effettivamente la custodia una persona per essi responsabile, ovvero i minori lasciati senza accompagnamento una volta entrati nel territorio degli Stati membri». Nel caso di specie risulta che i minori abbiano effettuato il tragitto in mare insieme ad altri adulti, cui erano stati verosimilmente affidali secondo gli usi. Inoltre, una volta a bordo della nave, è il comandante della stessa ad esercitarne legalmente la custodia, per cui non si tratta di minori non accompagnati secondo la definizione giuridica europea.
Per altro verso, la normativa nazionale concernente le misure dì protezione dei minori stranieri non accompagnati, definisce “minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato”, cui si applica il sistema di accoglienza e protezione ivi previsto, «il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano».
Tanto premesso, nel ribadire che al momento della ricezione della Tua nota, i presunti minori non accompagnati non erano né sul territorio italiano, né sottoposti alla giurisdizione del nostro Paese, faccio presente che, in relazione alla decisione del TAR Lazio dello scorso 14 agosto, da me non condivisa, ho dato mandato all'Avvocatura Generale dello Stato per attivare le relative procedure di impugnazione.
È del tutto evidente che, in attesa degli esiti e qualora Tu non ritenga di condividere le mie suesposte argomentazioni, potrai valutare di assumere le iniziative che Ti competono.
L'occasione mi è gradita per inviarTi un cordiale saluto.
Matteo Salvini
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È dello stesso giorno l’altra nota di risposta del Ministro SALVINI alla richiesta congiunta del Presidente e del Procuratore della Repubblica del Tribunale per i Minorenni di Palermo avanzata in data 8 agosto 2019[131], dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello della missiva inviata al Presidente CONTE, sopra riportata.
Anche stavolta, il Ministro dell’Interno - pur essendo medio tempore la Open Arms entrata in acque nazionali - evidenziava la giurisdizione spagnola in materia (richiamando però i principi del diritto internazionale operanti quando le navi si trovano in alto mare) e tornava a declinare ogni competenza ad assumere provvedimenti in ordine alla protezione dei minorenni[132].
Ancora in data 15 agosto 2019, alle ore 20:00, il Comando Generale del Corpo Capitanerie di Porto - Guardia Costiera trasmetteva al Ministero dell’Interno sia i reports del personale medico del CISOM a seguito del sopralluogo effettuato a bordo della Open Arms, sia la libera pratica sanitaria dell’USMAF di Palermo, nonché ulteriori richieste di Medevac. Con lo stesso messaggio, evidentemente per la ferma convinzione che i minori necessitassero di un trattamento diverso e immediato, si chiedevano espressamente indicazioni su eventuali azioni da intraprendere a loro tutela: “a bordo della predetta unità sono presenti n. 31 minori in merito ai quali si richiede di voler far conoscere ogni eventuale azione da intraprendere”.[133]
§ 16 agosto 2019
Protraendosi la situazione di stallo dovuta al mancato rilascio del POS, il 16 agosto 2019 i legali della Fondazione Pro-Activa Open Arms notificavano al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e a I.M.R.C.C. un “atto stragiudiziale di comunicazione e diffida”, con cui, alla luce del decreto del Presidente del TAR Lazio del 14.8.2019, chiedevano di autorizzare l’ingresso della nave nel porto di Lampedusa; anche tale atto di diffida veniva in pari data inoltrato da I.M.R.C.C. all’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno[134], ma senza esito.
Nello stesso giorno, la Open Arms reiterava la richiesta di POS alle Autorità italiane e allegava i report medici e psicologici attestanti le gravi condizioni di salute psico-fisica in cui versavano i migranti, nonché la valutazione psicologica sui minori a bordo.
Si veda, al riguardo, l’e-mail inviata alle ore 9:22 dal Capo Missione Anabel MONTES: “Siamo stati in attesa di un POS, con persone a bordo, per 15 giorni, facendo sempre tutto all’interno del quadro legale. Siamo stati in attesa dell’autorizzazione a sbarcare le persone soccorse, per troppi giorni. A causa di questa attesa, Open Arms ha già fatto 6 evacuazioni mediche e come abbiamo puntualmente informato le autorità in tutti questi giorni, la situazione sta peggiorando di minuto in minuto. Siamo testimoni del deterioramento della salute fisica e mentale delle persone a bordo e data la situazione estrema chiediamo con urgenza uno sbarco umanitario nel porto di Lampedusa”.
La Guardia Costiera, a quel punto, cominciava a sollecitare al fine di sbloccare la situazione che, all’evidenza, non riteneva legittima oltre che pericolosa per i migranti.
Così, IMRCC Roma, nel trasmettere l’ennesima richiesta di POS all’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno, chiedeva di comunicare, “con massima cortese urgenza”, le determinazioni delle autorità competenti “circa l’assegnazione di POS per la nave Open Arms”, nonché in ordine alle eventuali disposizioni “circa lo sbarco dei 31 minori ancora presenti a bordo della nave”.[135]
Non avendo ricevuto alcuna risposta, la Guardia Costiera inviava un ulteriore messaggio, alle ore 16:10 del 16 agosto 2018, allegando l’atto stragiudiziale di diffida dei legali della Open Arms e rappresentando che, per lo stesso I.M.R.C.C., non vi erano impedimenti di sorta all’individuazione del POS nel Porto di Lampedusa: “Si allega copia dell’atto stragiudiziale di comunicazione e diffida pervenuto in data odierna dallo studio legale in indirizzo con il quale si chiede di autorizzazione senza ulteriore indugio l’ingresso della M/N Open Arms nel Porto di Lampedusa. Per quanto attiene questo I.M.R.C.C. non vi sono impedimenti di sorta, si prega voler far conoscere, con ogni ulteriore cortese urgenza, gli intendimenti di codesto NCC in merito alla questione in parola”[136].
Anche tale richiesta, però, rimaneva senza esito, come confermato Fabrizio MANCINI, Direttore del Servizio Immigrazione del Ministero dell’Interno, sentito all’udienza del 13 maggio 2022, che ha riferito come ancora si tergiversasse, nell’ambito del Ministero dell’Interno, sullo sbarco sia dei minori che degli adulti, creando situazioni di notevole imbarazzo[137]: “la mattinata è stata molto lunga, voglio dire comunque al di là di contattare, come feci poi alla fine della mattinata, la dottoressa Garroni… Sì, la dottoressa Garroni io la contattai al fine mattinata, perché a quel punto insomma in qualche modo, visto che insomma la Capitaneria di Porto giustamente anche loro avevano le loro... le loro esigenze e pressavano noi per sapere che cosa dovevano fare.E quindi chiamai la dottoressa Garroni e sostanzialmente diciamo la risposta che mi fu data è che per quanto riguardava i presunti minori, i minori insomma o presunti tali che venivano dichiarati essere a bordo, non si erano avute indicazioni da parte del Tribunale dei Minorenni di Palermo, e che per quanto riguarda invece il decreto di sospensiva del Tar, diciamo l’orientamento diciamo del Gabinetto era che questa sospensiva, in alcun modo comunque aveva annullato l’atto, che imponeva... che imponeva di prestare assistenza etc. etc., ma non imponeva diciamo l’obbligo di sbarco per la... per la nave”.
Nel pomeriggio del 16 agosto, il dott. MANCINI contattava anche il Prefetto Daniela PARISI, Vice-Capo Dipartimento Vicario del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, “per sapere se vi fossero novità in ordine all’individuazione del POS”. Il Prefetto PARISI rispondeva “che a suo giudizio la località più indicata era Lampedusa, ma che non aveva ricevuto alcuna indicazione dal Gabinetto del Ministro”[138].
A sua volta, sempre il 16 agosto 2019, il Prefetto PARISI inoltrava una nota all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, inviata per conoscenza al Gabinetto del Ministro dell’Interno e al Comandante Generale della Guardia Costiera, in cui rappresentava che, per quanto di competenza del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, si era tempestivamente provveduto ad organizzare le necessarie misure di accoglienza previste dalle normative vigenti, che sarebbero state attivate al momento di autorizzazione allo sbarco[139].
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Nella stessa giornata, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo dichiarava aperte le tutele dei minori non accompagnati presenti a bordo della Open Arms e nominava i relativi tutori, ritenendo sussistente la giurisdizione italiana per le misure di protezione da adottare in tutela dei minori presenti a bordo della nave Open Arms[140].
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Sempre quel 16 agosto 2019, saliva nuovamente a bordo della Open Arms lo psicologo di Emergency, Alessandro DI BENEDETTO, che accertava le condizioni di estrema prostrazione e di disagio psichico dei migranti soccorsi e auspicava l’immediato sbarco dell’intero gruppo (cfr. deposizione all’udienza del 17 giugno 2022: “la sintomatologia che i migranti presentavano è una sintomatologia che può far riferimento a quello che noi chiamiamo disturbo da stress post-traumatico, quindi disturbo del sonno, partiamo dai sintomi fisici, quindi dolori, anche perché non dimentichiamo che sono persone che hanno vissuto esperienze di torture, c'erano donne che erano state abusate ripetutamente, alcune erano in stato di gravidanza, e non era una gravidanza frutto di un rapporto amoroso, ma frutto di un abuso, e alcuni presentavano reazioni emotive, come dicevo prima di allerta, di rabbia incontrollata, era una situazione un po' Borderline, si viveva un po' da una situazione esplosiva, a situazione di ottundimento, c'erano anche pazienti che avevano (inc.) cioè collassavano, cioè proprio una situazione del genere, quindi la sintomatologia era a volte ansioso-depressiva, ecco, anche perché la condizione a bordo era una condizione che noi chiamiamo trigger, cioè di innesco, cioè qualunque evento rumore, chi grida, la promiscuità all'interno del ponte, erano tutte situazioni che potevano riattivare la sintomatologia anche passata, e quindi c'era una sorta di ritraumatizzazione, ecco questo è quello che ho riscontrato”)[141].
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Ancora il 16 agosto 2019, il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe CONTE rispondeva alla missiva del Ministro SALVINI del giorno antecedente, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave nelle acque territoriali e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento:
Gentile Ministro, caro Matteo,
quanto alla vicenda della nave Open Arms, non ritengo di poter condividere il Tuo assunto in ordine a una presunzione di affidamento dei minorenni che si trovano a bordo di detta nave agli altri migranti maggiorenni ivi parimenti ospitati.
A tacer d'altro, non è affatto corrispondente all'id quod plerumque accidit l'assunto, implicito nella Tua tesi, che sui barconi in partenza dalla Libia salgano gruppi di parenti o di amici in cui l'uno, il minorenne, venga affidato ad un altro individuo maggiorenne.
All'opposto, è nozione di comune esperienza che, purtroppo, ognuno sale sui barconi in partenza da quella zona dell'Africa per conto proprio, nella mera e spesso illusoria speranza di riuscire a mettersi in qualche modo in salvo per via individuale.
La tesi contraria, da cui muove la Tua argomentazione, potrebbe avere un qualche fondamento sollo nelle ipotesi, invero del tutto marginali e comunque allo stato assolutamente indimostrabili, che singoli minorenni a bordo siano in rapporti di parentela, o quantomeno di affinità tribale, con singoli maggiorenni ivi parimenti imbarcati, ma certamente non si tratterrebbe comunque di un'ipotesi generalizzabile.
Neppure mi pare di poter condividere l'ulteriore Tuo assunto, relativo all'inconfigurabilità di un respingimento in ragione della posizione della nave (lontana dalle acque territoriali al momento della ricezione della mia prima lettera), se non altro perché esso ha progressivamente perduto valore giuridico col mero decorso del tempo, giacché la nave si è successivamente avvicinata alle nostre acque territoriali fino a raggiungerne il limite, con l'ineludibile corollario che, almeno a quel punto, il tema dell'illegittimità del respingimento implicito dei minori a bordo è venuto oggettivamente a porsi.
Quanto, infine, all'assunto che il minore non accompagnato abbia cessato di essere tale allorché dal barcone sia stato accolto su una nave non italiana, mi limito a osservare che esso non risulta aver trovato, allo stato, alcuna condivisione nel decreto cautelare del TAR del Lazio n. 5479 del 14 agosto 2019, che, almeno fino a diversa determinazione giudiziale, costituisce il dictum giurisdizionale applicabile alla specifica vicenda in oggetto.
Alla stregua delle argomentazioni di cui sopra, è dunque necessario che sia autorizzato lo sbarco immediato delle persone di età inferiore agli anni 18 presenti a bordo della nave Open Arms.
Resta ovviamente impregiudicato, epperò inevitabilmente successivo all'esecuzione di tale indifferibile incombente giuridico (oltre che umanitario), il tema di un'adeguata condivisione con gli altri Stati europei, ivi inclusa la Spagna, della distribuzione delle persone sbarcate dalla suddetta nave, così come anche di tutte le altre che sono ivi ancora ospitate.
In proposito, dalla Commissione europea ci è stata confermata la disponibilità di una pluralità di Paesi europei (Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo, Romania e Spagna) a condividere gli oneri dell'ospitalità per tutte le persone di cui ci stiamo occupando, anche indipendentemente dalla loro età.
Per cui anche per quest'ultima prospettiva potrai attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, per rendere operativa la redistribuzione. Ma ribadisco, ritengo ora assolutamente necessario che sia immediatamente autorizzato lo sbarco prioritario in Italia di tutti i minorenni che si trovano a bordo della nave.
Cordiali saluti
Giuseppe Conte.
Il Presidente CONTE aggiungeva, dunque, di avere già ricevuto conferma dalla Commissione Europea della disponibilità di una pluralità di Stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, “indipendentemente dalla loro età”, e invitava il Ministro dell’Interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi simili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione[142].
§ 17 agosto 2019
Il Ministro SALVINI rispondeva all’invito del Presidente del Consiglio con missiva del 17 agosto 2019, assicurando che, nonostante non condividesse la lettura della normativa propostagli, tuttavia, “suo malgrado”,avrebbe dato disposizioni per non frapporre ostacoli allo sbarco dei “presunti” minori a bordo della Open Arms, provvedimento questo che avrebbe emesso non per sua spontanea volontà ma per la “esclusiva determinazione” del Presidente del Consiglio[143]:
Carissimo Presidente,
questa mia lettera è divisa in due parti: una attinente il profilo giuridico, l'altra quello politico.
Per quanto riguarda i principi giuridici, a parte l'attribuzione o meno della qualifica di "minore non accompagnato" agli immigrati, presenti sulla Open Arms, che non abbiano asseritamente ancora raggiunto la maggiore età, noto che per il resto la pensiamo allo stesso modo e cioè: una nave che batte bandiera spagnola e che si trova in acque internazionali, è soggetta alla giurisdizione dello Stato di bandiera, il quale deve, in via principale, provvedere all'esercizio di tale giurisdizione anche per quel che concerne la tutela e la protezione dei diritti di coloro che si trovino a bordo, ivi compresi gli immigrati non accompagnati.
La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo (ex multis, caso Hirsi e mancata concessione dello sbarco nel recente caso Sea Watch 3), nonché la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (articoli 92, 94(1-6-7) e 98) sono sul punto tetragone.
La cosa interessante è che questo aspetto cruciale non è contestato nemmeno dai Paesi la cui bandiera è battuta dalle navi in questione. Solo che, quando si tratta poi di dare applicazione ai principi giuridici, ecco che quei Paesi si tirano indietro adducendo motivazioni di ordine pratico ed economico.
Come non ricordare la recente risposta del Segretario di Stato olandese per le migrazioni che a proposito della Sea Watch 3 - battente bandiera olandese - concordò che "gli interventi della Sea Watch 3 non dovrebbero affiancare e facilitare le operazioni criminali degli scafisti", per poi dichiarare l'indisponibilità del suo Paese a cooperare nel ricollocamento degli immigrati considerandolo "uno spreco di sforzi e risorse finanziarie del contribuente che dovrebbe essere evitato"?
Come non rammentare il secco "no" dato qualche giorno fa dalle autorità spagnole alla richiesta, veicolata attraverso l'ambasciata spagnola a Malta, del comandante della Open Arms - battente bandiera spagnola - a concedere asilo a 31 minori non accompagnati?
Ecco dunque che i principi giuridici, destinati a regolare i ruoli degli Stati nel governo del fenomeno delle migrazioni, sono dagli altri Paesi invocati a parole e disapplicati nella pratica, col risultato di far pesare sul solo contribuente italiano le conseguenze dell'attività di fiancheggiamento dell'immigrazione clandestina, attuata da navi straniere!
Per tutte le ragioni suesposte, resto convinto della validità delle tesi che ho avuto già modo di rappresentarTi con la mia precedente lettera del 15 scorso e che, lo dico con franchezza, non colgo che Tu voglia o riesca a contraddire con la Tua successiva risposta.
Quest'ultima, peraltro, mi appare fondata più su ragionamenti di ordine fattuale ed emozionale - di discutibile corrispondenza al reale - che non su quelle argomentazioni giuridiche che sempre dovrebbero caratterizzare l'azione dei pubblici poteri.
In ogni caso, avendo già rimesso in precedenza a Te, in ragione delle funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento che l'ordinamento attribuisce al Presidente del Consiglio, la valutazione dell'adozione di provvedimenti anche in difformità dal mio orientamento, prendo atto che disponi che vengano sbarcati i (presunti) minori attualmente a bordo della nave Open Arms.
Darò pertanto, mio malgrado, per quanto di mia competenza e come ennesimo esempio di leale collaborazione, disposizioni affinché non vengano frapposti ostacoli all'esecuzione di tale Tua esclusiva determinazione, non senza ribadirTi che continuerò a perseguire in tutte le competenti sedi giurisdizionali l'affermazione delle ragioni di diritto che ho avuto modo di esporti.
Lo farò perché coerentemente e profondamente convinto delle mie ragioni e per evitare che la Tua decisione per il caso Open Arms costituisca un pericoloso precedente per tutti coloro che potranno ritenere normale individuare il nostro Paese come unico responsabile dell'accoglienza e assistenza di tutti i minori non accompagnati (o presunti tali) presi a bordo in qualsiasi angolo de! Mediterraneo o del mondo.
Lo farò, inoltre, perché animato dallo spirito di affermare la dignità del nostro Paese e delle istituzioni che lo rappresentano, che non può essere messa in discussione e irrisa da discutibili comportamenti di soggetti privati stranieri che, peraltro, dimostrano continuamente che mai si sognerebbero di lanciare simili sfide agli ordinamenti e alle istituzioni di altri paesi, meno che meno a quelli di propria nazionalità.
Con altrettanta sincerità Ti rappresento il rammarico e la preoccupazione che tale Tua determinazione possa provocare una irreversibile ed onerosa presa in carico, per il nostro Paese, dell’assistenza di soggetti che, successivamente, potrebbe rivelarsi non dovuta.
Ricambio con l'occasione i più cordiali saluti.
Matteo Salvini
È del 17 agosto anche la nota del Comandante Generale della Guardia Costiera Italia, Ammiraglio Giovanni PETTORINO, il quale, prendendo le distanze dalla posizione del Ministero dell'Interno, rappresentava, alla richiesta di informazioni pervenuta il giorno precedente dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, come le cinque richieste di Place of Safety pervenute dalla Open Arms fossero state tempestivamente inoltrate, da IMRCC, alle competenti Autorità nazionali[144] “senza, al momento, ricevere alcun riscontro”. Scriveva inoltre che: “Si specifica, infine, che i mezzi ed il personale della Guardia Costiera presenti su Lampedusa sono pronti a procedere al trasferimento dei 28 minori non accompagnati sull’isola, non ravvisando, per quanto di competenza, alcun impedimento a tale operazione; quanto sopra previa autorizzazione allo sbarco da parte della competente Autorità di Pubblica Sicurezza”.
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In tale stessa data, la Open Arms inviava una e-mail alla Procura della Repubblica di Agrigento[145], con allegata una relazione attestante la gravità delle condizioni igienico-sanitarie a bordo, “condizioni molto complesse, sia dal punto di vista fisico, che dal punto di vista psicologico, per motivi di spazi, per motivi di alimentazione, per motivi di acqua, c’erano diverse liti anche a bordo perché ormai tutti erano disperati, per la disperazione anche tra le persone”[146], come riferito dalla Capo Missione MONTES nel corso della sua escussione dibattimentale.
Di conseguenza, alle ore 20:00 del 17 agosto veniva eseguita, su delega della Procura della Repubblica di Agrigento, dalla Polizia giudiziaria e dal personale medico dell’USMAF (Uffici di Sanità Marittima, Area di Frontiera), un’ispezione della nave.
Nella circostanza si constatavano il sovraffollamento e le pessime condizioni in cui versavano i migranti[147] i quali, tra l’altro, dal punto di vista meramente logistico, vivevano ammassati sul ponte della nave, mentre per i loro bisogni godevano di soli due bagni alla turca e di un tubo di plastica per lavarsi (come riferito, tra gli altri, dal teste di P.G. Nicolò DI GIORGI[148]).
Condizioni queste che, al di là di ogni testimonianza, sono oggettivamente evidenti grazie al fascicolo fotografico redatto dalla Polizia Scientifica a cui si rinvia per la particolare eloquenza delle immagini che restituiscono, nella loro immediata crudezza, l’evidente sovraffollamento della nave e le pessime condizioni in cui si trovavano i migranti.
Anche dal punto di vista psicologico, la condizione dei naufraghi aveva subito un netto peggioramento tanto che il dott. Alessandro DI BENEDETTO riteneva che, a quel punto, si fosse giunti a un tipping point, ossia a un punto di non ritorno, in cui la situazione era ormai fuori controllo: “se prima la situazione era altamente critica, poi per me è da considerare che negli ultimi giorni si è verificato quello che si direbbe il tipping point, il punto di non ritorno, cioè nel senso che la situazione era così andata oltre, secondo me, nelle manifestazioni di questi migranti che si buttavano a mare, quindi tentano il suicidio, quando risalivano a bordo, i migranti che non si erano buttati si sono scagliati contro quelli che si sono buttati, perché dicono ora per colpa vostra non ci faranno.., ci puniranno e non ci faranno sbarcare, quindi quella situazione era diventata una situazione ormai fuori controllo, …ecco la percezione che si è avuta in quei giorni del 17, del 18 eccetera, era un punto di non ritorno”[149].
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Pure il 17 agosto 2019, nonostante la criticità della situazione in cui versava l’Open Arms, le richieste di POS non ricevevano risposta, come riferito, tra gli altri, dal dott. MANCINI durante l’esame testimoniale prima citato: “chiesi e mi vennero riferite notizie, ma non ce ne erano di diverse rispetto al giorno precedente. Quindi non si aveva avuto alcuna indicazione sull’eventuale porto di sbarco, né su un’eventuale decisione contraria. Credo non ricordo, ma credo perché si susseguivano costantemente le richieste di POS da parte della Open Arms. Ricordo che vennero effettuate altre evacuazioni mediche, in relazione a particolari situazioni che venivano evidenziate, e basta. Diciamo la mattinata del diciassette è andata così”.
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Tra il 17 e il 18 agosto, i 27 minori non accompagnati presenti a bordo della Open Arms venivano fatti sbarcare a Lampedusa.
Tuttavia, non vi è alcuna certezza, perché le stesse autorità coinvolte non hanno un preciso ricordo su quanto accaduto, né su chi ordinò lo sbarco né quando materialmente avvenne.
Certamente i minori toccarono la terraferma dopo la lettera del Ministro SALVINI del 17 agosto in cui, pressato dal Presidente Conte, affermava che suo malgrado avrebbe impartito disposizioni “affinché non vengano frapposti ostacoli..” e dopo quella dell’Ammiraglio PETTORINO che, al Garante per l’Infanzia, aveva scritto, sempre il 17 agosto, di essere pronto a farli sbarcare ma di attendere ancora la “previa autorizzazione allo sbarco da parte della competente Autorità di Pubblica Sicurezza”.
Probabilmente, lo sbarco avvenne dopo le indicazioni del Prefetto di Agrigento, CAPUTO, che, a sua volta, aveva ricevuto il via libera dal Ministero dell'Interno, anche se egli, sentito all’udienza dell’8 aprile 2022[150], non ha saputo fornire indicazioni precise circa la genesi e le tempistiche dell’autorizzazione allo sbarco dei minori: “ho avuto varie interlocuzioni telefoniche con il Capo di Gabinetto del signor Ministro e, quindi, non escludo che, una volta formalizzata la decisione del Tribunale con la comunicazione che è stata inviata al Ministero, poi possa aver ricevuto l’autorizzazione, anche nelle vie brevi, a procedere allo sbarco dei minori. Io sono quasi sicuro che, se non il 17, il 18 o il 19 i minori sono poi sbarcati, credo di ricordare che le cose siano andate così”.
Analoghe incertezze si rinvengono nell’esame dell’imputato:
PRESIDENTE – Si vorrebbe sapere con maggiore precisione, nel dettaglio, chi avesse disposto lo sbarco dei minori che si trovano a bordo dell'Open Arms, poi? (..)
IMPUTATO SALVINI M. – Noi!
PRESIDENTE – Noi, chi?
IMPUTATO SALVINI M. – Allora mi vado a riprendere il carteggio.(..)
Questa è la nostra lettera, il 17 nominati tutori dal Tribunale, fu disposto lo sbarco. (..) immagino anche in questo episodio, perché non è stato il primo, né l'ultimo episodio in cui c'era sbarco di minori, il Capo di Gabinetto mi rappresentava la necessità di fare sbarcare X minori, e io davo assolutamente l’autorizzazione, ed immagino che sia andata così anche in questa occasione”.
Incertezze, queste, ancora più evidenti laddove l’imputato non ha escluso che allo sbarco dei minori possa avere proceduto il Ministro della Difesa, TRENTA (SALVINI. – Se la Ministra Trenta ha detto che lo sbarco avvenne di sua iniziativa, non ho motivo di dubitare che sia stato così) che, a sua volta, nel suo esame, ha rappresentato, come meglio si vedrà, di avere dato “l’ordine attraverso il Capo di Stato Maggiore della Difesa, la Marina, … di andare a prendere i minori sulla Open Arms”.
§ 18 agosto 2019
Così come già immaginato e previsto nel corso della riunione citata del Comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza pubblica, effettivamente il 18 agosto 2019 alcuni naufraghi, esasperati, avevano iniziato a lanciarsi in mare.
Invero, la Guardia Costiera di Lampedusa comunicava che, alle ore 13:03, cinque migranti si erano gettati in mare ed erano stati recuperati da personale della Open Arms[151], cosa che, si sottolinea sin d’ora, accadeva anche l’indomani fino a quando, dal 18 al 20 agosto, un numero sempre più elevato di migranti si lanciava in acqua, come meglio si evidenzierà nel prosieguo, fino a rendere ingestibili i soccorsi.
Sui primi migranti in mare si riportano le dichiarazioni della capo missione MONTES rese all’udienza del 13 maggio 2022: “poi Open Arms si è preoccupata di riportarli a bordo, e una volta a bordo ci sono stati atti di violenza vera e proprio nei loro confronti. Violenza dovuta al fatto che c’era preoccupazione che questa azione di... appunto di gettarsi in acqua, potesse andare a influire anche sullo sbarco di tutti gli altri. Giorno diciannove invece è successo che si sono buttate in acqua persone che non volevano gettarsi in acqua, che avevano detto prima che non si sarebbero gettate in acqua e invece l’hanno fatto per disperazione”.
La teste MONTES ha anche precisato di avere avvisato di tale situazione la Guardia Costiera italiana, chiedendo supporto per gestire la situazione: “Abbiamo inviato una mail o il diciotto o il diciannove di agosto, la notte tra il diciotto e il diciannove di agosto alla guardia costiera italiana, affinché potesse avvicinarsi o restare intorno a Open Arms, perché c’era già stata una intenzione, era stata manifestata una intenzione di alcuni di gettarsi in acqua. Tutto questo perché? Perché c’erano soltanto due persone che facevano diciamo da guardia, tutto diciamo l’equipaggio era già abbastanza comunque esaurito, era abbastanza preso dalla stanchezza e quindi abbiamo chiesto aiuto alla guardia costiera appunto perché ci potesse dare questo tipo di aiuto”.
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Lo stesso giorno, 18 agosto, quando ormai la vicenda che si protraeva da tempo aveva assunto ampia rilevanza mediatica, perveniva conferma dell’indicazione, da parte del Governo spagnolo, di un POS presso la località spagnola di Algeciras[152].
Tale soluzione era ritenuta impraticabile dal Comandante CREUS, in quanto troppo rischiosa per la sicurezza a bordo poiché i migranti “non stavano bene psicologicamente, fisicamente, erano a 700 metri da un porto, c'erano persone che avevano già minacciato di gettarsi in acqua. … noi non eravamo in condizioni di poter navigare neanche per un’ora e, quindi, abbiamo proposto che fosse un'altra imbarcazione a venire a recuperarli... che entrasse al porto di Lampedusa e poi fossero inviati in Spagna”[153].
Analoghe le dichiarazioni rese dalla capo missione MONTES all’udienza del 13 maggio 2022: “Allora arrivare in Spagna, dirigersi in Spagna fondamentalmente era in ogni caso impossibile, perché parliamo di oltre venti giorni a bordo della nave, era… anche lo stesso equipaggio aveva difficoltà a gestire controllare tutta la situazione, che era divenuta complicata, con migranti che convivevano stretti da oltre diciotto giorni, alcuni magari un po’ meno, e quindi la situazione era assolutamente insostenibile. È difficile dare una spiegazione di quanta fosse la disperazione a bordo, e in quel caso la cosa più sicura era sbarcare in Italia, e evitare di esporre a ulteriore pericolo le persone a bordo appunto di Open Arms”.
Anche il comandante DE FALCO, a fronte della sua esperienza, all’udienza del 15 settembre 2023 ha riferito che la Open Arms, in quelle condizioni, non era in grado di navigare ancora e che “non avrebbe avuto senso giuridico, logico, umano, mandarli in Spagna”.
La concreta impossibilità, per la Open Arms, di raggiungere in condizioni di sicurezza il porto di Algeciras, è stata confermata anche dal capitano della Guardia di Finanza Edoardo ANEDDA, all’udienza del 17 dicembre 2021: “…il primo Pos proposto fu il porto di Algeciras, che si trova, diciamo, oltre lo stretto di Gibilterra, in Spagna, chiaramente il più lontano possibile, spagnolo, dalla posizione in cui si trovava la Open Arms e sicuramente in quelle condizioni era una distanza troppo lunga da percorrere, tant’è che successivamente la Spagna, evidentemente a seguito di alcune interlocuzioni anche a livello centrale, propose poi il porto di Mahon, quindi di Minorca, che è il porto più vicino, spagnolo, rispetto alla posizione in cui si trovava la Open Arms, però allo stesso modo, insomma, stiamo parlando di distanze piuttosto importanti, soprattutto considerato che, se non erro, il porto spagnolo fu individuato in data 18 agosto, fu proposto in data 18 agosto 2019, quindi stiamo parlando sempre di migranti, per i migranti soccorsi l’1 agosto, cioè dopo 18 giorni, quindi dopo 18 giorni intraprendere un ulteriore viaggio che sarebbe stato di almeno altri sette giorni, insomma, non … a mio avviso non c’erano le condizioni per farlo, in sicurezza”.
Di analoga opinione anche Leandro TRINGALI, secondo cui la Open Arms non avrebbe potuto raggiungere il porto di Algeciras, considerato che sulla base dei certificati di sicurezza posseduti all’epoca dalla nave, la stessa avrebbe potuto trasportare al massimo 19 persone[154].
A quel punto, I.M.R.C.C. offriva la propria disponibilità a scortare la Open Arms fino al porto spagnolo con un proprio dispositivo navale, sul quale trasbordare parte dei migranti.
Tuttavia, alle ore 13:55 il comandante della Open Arms, inviava una nuova e-mail a I.M.R.C.C. con cui richiedeva l’autorizzazione allo sbarco dei migranti ancora a bordo o, in alternativa, il loro trasferimento su una nave idonea a raggiungere il porto spagnolo di Algeciras, dichiarandosi non disponibile a proseguire la navigazione per timore di compromettere la sicurezza della nave e dell’equipaggio in ragione, anche, della notevole tensione a bordo, “divenuta ingestibile a causa delle ripetute manifestazioni di insofferenza da parte delle persone soccorse 17 giorni fa, alcune delle quali hanno anche tentato di raggiungere la costa a nuoto buttandosi in mare (..) A causa del clima di tensione e nervosismo a bordo, le persone sono preda di frequenti attacchi di ansia e panico, dando luogo a episodi di rissa a bordo, come riferito da Alessandro Di Benedetto, lo psicologo di bordo della ONG Emergency”.
Quanto rilevato dal Comandante CREUS era effettivamente confermato dallo psicologo DI BENEDETTO che relazionava in ordine al grave deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica dei migranti a bordo e auspicava l’immediata evacuazione dell’intero gruppo[155].
Anche lo stesso Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, all’udienza del 2 dicembre 2022, ha confermato l’impraticabilità dell’accompagnamento offerto alla Open Arms, anzi ravvisando in quella proposta una ingiustificabile anomalia: “erano parecchi giorni che quella nave pendolava di fronte alle coste italiane … bisogna capire che accompagnare una nave ONG, a centinaia di chilometri di navigazione, attraverso una imbarcazione della Guardia Costiera non è un'anomalia, di più. La prassi è farli sbarcare, identificarli, e ridistribuirli, questa è la prassi, il nodo della vicenda è lo sbarco, quando, sì, no, ma non può essere intesa come una fattispecie ordinaria quella di cui stiamo parlando, dell'accompagnamento in un altro Stato per aprire un porto a distanza di centinaia di chilometri. La fattispecie di questo tipo sono.., bisogna farli sbarcare nel porto sicuro più vicino, POS, aprire un POS, identificarli, metterli in salute, far rimpatriare chi non ha diritto di protezione internazionale, e ridistribuire quelli che hanno diritto, questo è”.
A tal proposito, l’imputato, in sede di dichiarazioni spontanee, ha fatto riferimento ad alcuni post pubblicati sui social network dal Ministro TONINELLI il 18 e il 19 agosto 2019, in cui quest’ultimo si rammaricava del comportamento della Open Arms poiché aveva “incredibilmente” rifiutato la proposta di accompagnamento della Guardia Costiera “con un atteggiamento che fa sospettare, che ci sia malafede da parte loro”.
Sul punto, in sede di controesame, il teste TONINELLI ha chiarito meglio quale fosse la sua posizione: da Ministro aveva cercato di fare tutto il possibile per trovare una soluzione al caso Open Arms superando il muro frapposto dal Ministro SALVINI e, per questo, aveva messo a disposizione una nave della Guardia costiera, proposta rifiutata dalla ONG (che, del resto, a suo giudizio, stentava a rispettare le regole); mentre, nella realtà dei fatti, a suo avviso, il POS doveva essere concesso quanto prima in un porto italiano, perché ormai erano troppi giorni che la nave stazionava al largo di Lampedusa, in condizioni sempre più critiche: “– Io da Ministro cercavo di fare di tutto per trovare una soluzione definitiva al caso Open Arms. Certamente se alla richiesta di POS fatto in conseguenza del provvedimento del TAR, fatta dalla stessa Open Arms, fosse stato aperto un porto italiano, io non avrei fatto questo, l'ho semplicemente fatto perché il Viminale non stava, nonostante le richieste aprendo un Place of Safety in territorio italiano. (..) bisogna capire che accompagnare una nave ONG, a centinaia di chilometri di navigazione, attraverso una imbarcazione della Guardia Costiera non è un'anomalia, di più. La prassi è farli sbarcare, identificarli, e ridistribuirli, questa è la prassi, il nodo della vicenda è lo sbarco, quando, sì, no, ma non può essere intesa come una fattispecie ordinaria quella di cui stiamo parlando, dell'accompagnamento in un altro Stato per aprire un porto a distanza di centinaia di chilometri”.
§ 19 agosto 2019
Tenuto conto della notevole distanza intercorrente tra Lampedusa ed il porto di Algeciras, I.M.R.C.C. richiedeva a RCC Spagna la concessione di un POS in una località più vicina. In risposta a tale richiesta, veniva indicato un porto presso le isole Baleari[156].
Anche tale soluzione veniva contestata dal comandante della nave che, pur non opponendosi al trasferimento in Spagna dei migranti, tuttavia evidenziava che tale incombenza non poteva gravare sulla Open Arms che non era più in grado di svolgere altri giorni di navigazione, anche in considerazione delle generali condizioni di salute psico-fisica di tutte le persone a bordo, equipaggio compreso[157].
Pertanto, richiamate le Linee guida sul trattamento delle persone salvate in mare di cui alla Risoluzione MSC 167-78 del 20.5.2004, il comandante CREUS chiedeva che le autorità italiane o spagnole si facessero carico del trasbordo e del trasporto della totalità dei migranti, sollevandolo da ogni responsabilità: …data l’impossibilità di arrivare in qualsiasi porto spagnolo rispetto al più vicino porto di Lampedusa, dove ci consentono l’accesso con l’unico scopo di consentire il trasferimento dei migranti in Spagna, è necessario autorizzare l’ingresso della nave Open Arms in questo porto, oltre a preparare urgentemente tutte le misure necessarie per consentire lo sbarco delle 107 persone che sono ancora a bordo della nave, o comunque il loro corretto trasferimento su un’altra nave per raggiungere il porto spagnolo. L’imbarcazione Open Arms non è in grado di prolungare ulteriormente la navigazione nemmeno di un’ora, e che dunque se la soluzione del porto spagnolo fosse ritenuta l’unica possibile dovrebbe essere la Guardia Costiera Italiana a occuparsi sin da subito e relativamente a tutte le operazioni di trasbordo e di tutela rese necessarie dal prolungamento della permanenza in mare di quelle 107 persone. Chiediamo che la nave si faccia carico della TOTALITA’ dei soccorsi a bordo. Non siamo in grado di fare un viaggio in queste condizioni. Chiedo di essere esentato dalla mia responsabilità e con il minor numero possibile di conseguenze per la nave, poiché nelle condizioni in cui si trova la nave e dopo 18 giorni con le persone sulla coperta, supera il tempo ragionevole, come riferito nel punto 2.6 della risoluzione MSC 167 (78) e fornire una soluzione immediata”[158].
In effetti, in quel frangente si profilava l’invio di una nave da parte della Spagna (cfr. ad es. esami di SALVINI e MOAVERO) della quale, però, null’altro si è appreso.
A fronte della richiesta di sbarco dei migranti anche in relazione alle loro condizioni di salute, la Capitaneria di Porto, nel tentativo di trovare una soluzione attraverso le Medevac (di competenza del Ministero della Salute e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), rispondeva con e-mail del 19 agosto, delle ore 15:35, richiedendo la trasmissione di un report medico individuale per ciascun migrante.
Tale richiesta, in concreto, era materialmente impossibile da soddisfare, come rilevato dai consulenti tecnici nominati dalla Procura della Repubblica di Agrigento, dalla dott.ssa DI NATALE, e dalla capo missione MONTES: “c’è stata una richiesta da parte di Open Arms di fare uno sbarco di tutti i migranti, perché sono state valutate le condizioni mediche generali, anche psicologiche. La risposta dell’Italia è stata che avevano bisogno per effettuare questo sbarco di relazioni individuali, quindi una per una le persone, riguardo le patologie di ogni singola persona. … parliamo di centosette persone che erano già a bordo da oltre una settimana in attesa di un porto. Materialmente non c’era disponibilità temporale, quindi il tempo per realizzare questi colloqui, la situazione era abbastanza complessa, una situazione fatta di attacchi di panico, di gente che comunque si gettava in acqua, e non per ultimo non c’erano le persone che potessero fare materialmente questi colloqui”.
*
Infine, il 19 agosto 2019 veniva emanata una nota avente ad oggetto “Richiesta di assegnazione di pos (place of safety) per la nave Open Arms”, a firma del Vice Capo di Gabinetto del Ministro dell’Interno, prefetto Paolo FORMICOLA, in cui, per la prima volta, veniva dato riscontro, seppur negativo, alle plurime richieste di POS inoltrate dalla Open Arms alle autorità italiane sin dal 2 agosto 2019.
La nota, indirizzata al Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, chiariva come, secondo la prospettiva del Ministero, il decreto interministeriale con cui il precedente 1° agosto era stato disposto per la nave il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali nazionali, non avesse cessato di produrre i suoi effetti a seguito del decreto del Presidente del TAR Lazio del 14 agosto, con cui, lungi dall’annullare l’atto impugnato, si erano unicamente indicate le misure d’urgenza da compiere in favore dei migranti per assicurare il loro stato di salute, non imponendo alle Autorità Italiane alcun obbligo in ordine all’assegnazione di un porto di sbarco nel territorio nazionale.
Si sottolineava, dunque, che le autorità italiane avevano già adempiuto ai doveri di assistenza caldeggiati dal decreto presidenziale, concorrendo nell’effettuazione delle evacuazioni mediche necessarie e curando lo sbarco dei 27 minori non accompagnati presenti a bordo.
Si evidenziava, altresì, come la complessiva condotta tenuta da Open Arms denotasse, al di là delle finalità asseritamente perseguite, la precisa intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia:
“Con la nota in riferimento, codesto Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo ha chiesto notizie in merito all'assegnazione di un Pos (place of safety) per la nave "Open Arms", alla fonda nelle immediate vicinanze del porto di Lampedusa.
Al riguardo, come è noto, lo scorso primo agosto, con decreto del Ministro dell'Interno, di concerto con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stato disposto, nei confronti della nave Open Arms, il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali nazionali.
Tale provvedimento, pur impugnato innanzi al TAR per il Lazio, è tuttora esecutivo. Si fa notare, infatti, che, la pronuncia dello scorso 14 agosto, con la quale il Presidente del TAR per il Lazio ha accolto l'istanza di misure cautelari monocratiche, ai sensi dell'art. 56 del decreto legislativo n. 104 del 2010 (Codice del processo amministrativo), non ha certamente avuto ad effetto l'annullamento dell'atto, limitandosi a indicare — in coerenza con la ratio di tale provvedimento presidenziale -misure cautelari d'urgenza, finalizzate a consentire l'ingresso del natante nella acque territoriali, al fine di garantire assistenza alle ''persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici".
In particolare, dalla chiara interpretazione di tale pronuncia d'urgenza, peraltro tuttora sub iudice - avendo lo scrivente Ufficio interessato, lo scorso 16 agosto, l'Avvocatura Generale dello Stato ad attivare al riguardo ogni iniziativa percorribile -non emerge, a carico delle competenti Autorità nazionali, alcun obbligo relativo alla assegnazione di un porto di sbarco nel territorio nazionale, bensì la richiesta di fornire adeguata assistenza alle persone più bisognevoli.
Riguardo a tale ultimo profilo, d'altra parte, le Autorità italiane hanno pienamente concorso all'effettuazione delle evacuazioni mediche necessarie ad assicurare ogni efficace e tempestiva assistenza alle persone ritenute più bisognevoli. In particolare, anche precedentemente all'ingresso nelle acque territoriali(avvenuto alle ore 01.27 del 15 agosto scorso) e, quindi nella giurisdizione esclusiva dello stato di bandiera, le Autorità italiane avevano già effettuato, in data 3, 11 e 14 agosto, diverse operazioni di evacuazione medica, mentre, come è ben noto, ulteriori evacuazioni sanitarie sono state effettuate successivamente all'ingresso della nave nelle acque nazionali, dimostrando, pertanto, una presa in carico effettiva e continua delle attività connesse alla piena assistenza e tutela delle persone a bordo in condizioni di bisogno.
Inoltre, lo scorso 17 agosto è stato autorizzato lo sbarco a Lampedusa di 27 minori non accompagnati presenti a bordo della nave, 9 dei quali, successivamente allo sbarco, si sono dichiarati maggiorenni.
In termini più generali si osserva, peraltro, come una richiesta di POS possa essere legittimamente avanzata alle Autorità compenti in un quadro, ben diverso da quello in esame, caratterizzato dalla adesione alle regole dettate, dalla normativa nazionale e internazionale, in materia di soccorso in mare.
Nel caso di specie, al contrario, va evidenziato che le complessive condotte operate dalla "Open Arms", incluso il mancato coinvolgimento delle Autorità dello Stato di bandiera, il rifiuto di raggiungere Malta - nonostante la disponibilità manifestate dalle Autorità maltesi - per procedere allo sbarco delle 39 persone tratte a bordo il 9 agosto scorso e, in generale, la contraddittorietà delle condotte concretamente poste in essere rispetto alle finalità asseritamente perseguite, concorrono a delineare un modus operandi, da cui, analogamente a quanto avvenuto in altre precedenti occasioni, può desumersi l'intenzione della "Open Arms" di operare ben al di fuori del rispetto delle predette norme e regole di condotta, ponendo in essere un'attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia. Occorre, da ultimo, aggiungere che l'impostazione sinora coerentemente tenuta, in adesione ai principi e alle norme del diritto internazionale, relativa agli obblighi posti in capo alle Autorità dello Stato di bandiera, risulta da ultimo confermata dalla decisione, da parte delle Autorità spagnole, di esercitare pienamene la propria giurisdizione, anche ai fini della protezione dei diritti umani delle persone a bordo, nonché dal coinvolgimento della Commissione europea, con riguardo alle attività di redistribuzione”.
Che tale nota fosse stata concordata con il Ministro dell’Interno, lo ha dichiarato l’allora Capo di Gabinetto Matteo PIANTEDOSI:
PRESIDENTE – .. c'è stata appunto il 19 agosto del 2019 la Nota del Vice Capo di Gabinetto, Formicola…..Le vorrei chiedere intanto come mai questa nota è del Vice Capo del Gabinetto e non del Capo Gabinetto?
TESTIMONE PIANTEDOSI M. – Perché era presente lui materialmente in ufficio, come ho detto prima Presidente, i quei giorni ero formalmente, anche se non sostanzialmente in ferie, (..)
PRESIDENTE – Quindi fu concordata con il Vice Capo di Gabinetto.
TESTIMONE PIANTEDOSI M. – Era il mio Vice.
PRESIDENTE – E il Ministro di questa.(..) era al corrente del fatto che questa fosse la linea di pensiero del Gabinetto?
TESTIMONE PIANTEDOSI M. – E beh certo (..) Certo, c'è una comunicazione costante col Ministro, certo, certo.
§ 20 agosto 2019
Alle ore 8:07 del 20 agosto 2019, con una accorata e-mail, la Open Arms aggiornava I.M.R.C.C. sul continuo peggiorare delle condizioni a bordo, dove sempre più migranti tentavano di gettarsi in mare per raggiungere a nuoto l’Isola di Lampedusa e l’equipaggio non era più in grado di gestire la situazione[159].
Anche Francisco GENTICO, soccorritore della Open Arms sentito all’udienza del 7 luglio 2023, ha riferito che: “L’equipaggio era molto stanco, neanche rispettavamo le guardie, Avevamo un minimo di persone, ma chi si sentiva più forte faceva la guardia…. era sempre più difficile, avevamo bisogno di più persone”.
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Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, dal suo canto, effettuava un’ispezione a bordo della Open Arms, unitamente a due consulenti tecnici, cioè i medici Vincenzo ASARO e Cristina CAMILLERI, e a personale di Polizia Giudiziaria[160].
Sul ponte dell’imbarcazione (ricoprente un’area di circa 100 metri quadri) si trovavano oltre cento naufraghi, donne e uomini, di etnie, religioni e culture diverse, in mare da ormai venti giorni, che si riparavano sotto una specie di tettoia improvvisata con alcuni teli. Le condizioni di sovraffollamento erano evidenti, avendo ciascun migrante uno spazio di movimento inferiore a un metro quadro a testa che non consentiva di camminare (cfr. deposizione del dott. ASARO all’udienza dell’8 aprile 2022: “gli spazi a disposizione erano minimi, quindi avevano poco da fare, potevano stare o seduti o sdraiati o all’impiedi”), non era riscontrata inoltre la presenza di sedie, tavoli, materassini e cuscini per dormire, né di prodotti per l’igiene personale (cfr. deposizione del dott. ASARO: “non c'erano suppellettili a bordo del ponte, non c'era niente, non c'erano sedie, c'erano soltanto queste persone”).
I due medici nominati consulenti tecnici, constatata l’impossibilità di effettuare accertamenti individuali sulle condizioni di salute di tutti i naufraghi[161], effettuavano un colloquio con il medico di bordo e verificavano, anche osservando visivamente i migranti, la presenza di numerosi casi di scabbia, di pediculosi del pube e di infezione delle vie respiratorie, nonché lo stato di generale di profonda sofferenza psicologica in cui versavano (“era la storia personale di ciascuno, era la stretta convivenza a bordo, le condizioni, vorrei definirle anche estreme in cui si trovavano, giorno e notte, per venti giorni, sul ponte di una nave. Quindi, tutto questo determinava una situazione chiaramente di notevole difficoltà e stress psicofisico” cfr. deposizione cit. del dott. ASARO).
In particolare, all’esito delle operazioni, i consulenti, nella loro relazione, evidenziavano la peculiare, delicata, situazione riscontrata a bordo, caratterizzata da “condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione” ove “il vissuto di morte collegato a un eventuale rimpatrio e la percezione di vita affrontando a nuoto lo specchio di mare” che li separava dall’Isola di Lampedusa “comportavano una marginalizzazione del rischio individuale e collettivo che si inseriva in un contesto di scarso controllo critico - cognitivo, con conseguente pericolo di agiti comportamentali inappropriati (mettere a repentaglio l’incolumità fisica e la vita medesima) senza possibilità, da parte di terzi, di contenere dette condotte né di arginare un ulteriore sviluppo di gravi situazioni psicopatologiche”[162].
Inoltre, la dott.ssa Cristina CAMILLERI, specializzata in psichiatria e in psicopatologia forense, nel corso della deposizione in data 8 aprile 2022, ha precisato di aver proceduto, da un lato, alla raccolta anamnestica, e quindi alla ricostruzione della storia del gruppo dei migranti, e, dall’altro lato, all’osservazione clinica, alla fotografia della situazione in atto, alla diagnosi, e quindi al riconoscimento psicopatologico.
Sotto il profilo della anamnesi, dalle testimonianze dei naufraghi era emerso “un cammino incerto, con attraversamento di confini, i migranti erano di etnie e culture diverse, c'era il gruppo dei sub-sahariani, che quindi avevano anche attraversato il deserto, assieme poi ai magrebini, la prigionia in Libano, con le tragedie oggettivamente, obiettivamente evidenziabili nei corpi, nelle ferite, nei tagli, o verbalizzati e raccontati soprattutto dalle esperienze di violenze, anche in termini di abusi da parte delle donne. Quindi, l’attraversamento del mare con i gommoni di fortuna, l’essere stati soccorsi dalla Ong e lo stallo davanti le coste di Lampedusa”.
Per quanto attiene, invece, l’osservazione diretta in occasione del sopralluogo effettuato il 20 agosto 2019, la dott.ssa CAMILLERI ha riferito di aver riscontrato la presenza di un centinaio tra uomini e donne, di età compresa tra i 20 e i 50 anni, di etnie diverse, con forti difficoltà di comunicazione anche tra di loro, molti dei quali riportavano i segni delle torture subite in Libia. Le donne si trovavano molto vicine tra di loro, raccolte nella parte anteriore del ponte. La posizione osservata era quella della “posizione depressiva, immediatamente visibile nella postura e nella mimica, quindi il viso crucciato, la testa china, le spalle curve, lo sguardo vago”.
La psichiatra ha riferito, quindi, di come molte donne lamentassero “problemi di infezioni, di otite, di dolori addominali, alcune, un paio aspettavano un bimbo” e di come ciascuna, individualmente, ripetesse sempre la stessa frase: “noi in Libia non ci torniamo”.
Anche tra i migranti uomini si registrava un generale stato depressivo, con interpretazioni di tipo persecutorio, e prevaleva “l’indifferenza, la rabbia, la mancanza di fiducia”.
L’intero gruppo era accomunato dal terrore di essere riportato in Libia e la situazione, dal punto di vista medico, era valutata come una situazione d’urgenza, di crisi, “di rischio di agiti che potessero mettere in pericolo l’intero gruppo”, in cui era necessario intervenire immediatamente per evitare che la situazione d’urgenza si trasformasse in emergenza.
Con riferimento ai migranti che si gettavano in mare, inoltre, la dott.ssa CAMILLERI ha chiarito che non si trattava di gesti autolesionistici, come la stessa aveva inizialmente sospettato: “i migranti si lanciavano in mare perché la pulsione di vita era maggiore, noi diciamo in un linguaggio psicopatologico, scientificamente psichiatrico, naturalmente più sana rispetto a quella di morte, perché, ripeto, l’idea così come mi è stata rappresentata, non dico dagli 87 presenti, ma dagli 80 con cui sono entrata in comunicazione verbale, era la paura di tornare in Libia e, quindi, per loro la morte, lanciarsi in mare significava la salvezza, perché potevano raggiungere l’isola di Lampedusa”.
Infine, la consulente ha concluso che, in quelle condizioni critiche, la Open Arms, dal punto di vista medico, non avrebbe potuto riprendere il mare per recarsi altrove, in particolare in Spagna, in quanto i migranti a bordo non avrebbero accettato tale soluzione, vedendo prolungare la loro permanenza e rischiando reazioni incontrollate[163].
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All’ispezione effettuata il 20 agosto 2019 aveva presenziato anche il capitano della Guardia di Finanza Edoardo ANEDDA il quale, nel corso del suo esame dibattimentale, ha riferito di come le condizioni a bordo della Open Arms fossero sensibilmente peggiorate rispetto al suo precedente accesso del 15 agosto 2019: “sicuramente erano peggiorate perché più passava il tempo e più la situazione andava deteriorandosi, chiaramente, perché, ripeto, il ponte di coperta della Open Arms era evidentemente sovraffollato, e sicuramente anche cinque giorni in più di permanenza a mare influiscono sulla stanchezza, insomma, sullo stato fisico, su questo non c’è dubbio”.
Il teste ANEDDA ha confermato, altresì, che numerosi migranti si erano gettati in mare nel tentativo di raggiungere a nuoto la terraferma - precisando che lo stesso 20 agosto le unità navali della Guardia di Finanza e della Capitaneria di Porto ne avevano soccorsi 15 per poi condurli Lampedusa - e sottolineando “che i migranti non volevano nemmeno farsi soccorrere, cioè perché nella loro idea volevano raggiungere, avevano un po’ perso fiducia in tutto e volevano raggiungere a nuoto l’isola. Questa è la realtà dei fatti”[164].
Del tutto analoga è la deposizione del Comandante TRINGALI il quale ha precisato che il primo migrante gettatosi a mare, la mattina del 20 agosto 2019, era stato soccorso dalla motovedetta 312 ed era stato trattenuto circa mezz’ora, nel tentativo di riportarlo a bordo. Ciò non era stato materialmente possibile perché gli altri naufraghi erano andati “in escandescenza” e quindi l’unica soluzione praticabile era stata quella di condurre in porto il migrante[165].
Da quel momento si era assistito al totale deteriorarsi della situazione, in cui sempre più migranti, stremati e intimoriti, si buttavano in acqua e cercavano anche di evitare i soccorsi: “poi, si, dalle nove e mezza in poi, dieci di mattina, fu un susseguirsi di migranti che si buttavano in mare, tant’è che mandammo quasi tutte le nostre motovedette con gli operatori specializzati, i rescue swimmer, a bordo per recuperare i migranti che erano stremati e non riuscivano nemmeno più a nuotare e non erano nemmeno collaborativi, perché non volevano essere soccorsi, cioè volevano ritornare a nuoto a terra, e quindi ci fu un po’ difficile l’attività di soccorso, comunque di recupero di queste persone che si buttarono in mare” [166].
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A fronte di tale situazione emergenziale, la Procura della Repubblica di Agrigento, nell’ambito del procedimento n. 3770/19 RGNR, iscritto allora a carico di ignoti e solo per il delitto di cui all’art. 328 c.p., disponeva il sequestro preventivo in via d’urgenza della nave Open Arms, determinando, di conseguenza, lo sbarco di tutti i migranti che avveniva a partire dalle ore 19:24 circa[167].
Il decreto veniva convalidato dal GIP di Agrigento che riteneva sussistenti, al momento dell’attivazione dei poteri urgenti del Pubblico Ministero, entrambi i presupposti del sequestro preventivo, ossia il fumus commissi delicti e il periculum in mora.
Con riferimento al fumus dell'addebitato reato previsto dall'art. 328 c.p., in particolare, il G.I.P. di Agrigento osservava che: “nella fattispecie in esame, i pubblici ufficiali competenti (in corso di individuazione da parte del pubblico ministero) hanno dato luogo, a fronte di una situazione di fatto connotata da eccezionale urgenza di intervento come quella sopra illustrata (con pericolo imminente per l'incolumità e la salute dei migranti trasportati, molti dei quali disperatamente gettatisi in mare per raggiungere le coste di Lampedusa, oltre che dell'equipaggio dell'imbarcazione trasportante), a una condotta omissiva consistita nella mancata assegnazione del P.O.S. e, di conseguenza, nell'adozione dei provvedimenti indifferibili volti a salvaguardare beni giuridici di primaria rilevanza; ciò, in assenza di adeguati elementi sufficienti ad escluderlo, col necessario dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di un evento contra ius (anzi, le circostanze emergenziali vissute dalle persone a bordo, in vario modo monitorate e palesate all'esterno, erano ben note agli agenti pubblici muniti di potestà di intervento sul punto)”.
Rilevava, inoltre, il G.I.P. di Agrigento:
- che l'individuazione del P.O-S. - secondo la Convenzione di Amburgo "SAR" e secondo le successive linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Linee guida IMO) - pertiene allo Stato di c.d. «primo contatto» con le persone in pericolo (nella specie l'Italia), anche al di fuori della propria zona "SAR" (così il Tribunale dei Ministri di Catania nella sua relazione del 7 dicembre 2018/22 gennaio 2019, resa con riguardo alla c.d. «vicenda Diciotti»);
- che, nel caso in esame, il Presidente della Sezione Prima Ter del T.A.R. Lazio, con provvedimento del 14 agosto 2019, aveva sospeso l'efficacia del provvedimento interministeriale dell'1 agosto 2019 vietante l'ingresso in territorio italiano dell'imbarcazione OPEN ARMS (IMO 7325887), così implicitamente autorizzandone l'ingresso medesimo (la sospensione degli effetti di un atto, infatti, pur non eliminandolo dal modo giuridico, lo rende tamquam non esset rispetto alla concreta fattispecie giudicata) e rendendo operativi, dal momento dell'ingresso (qui appunto verificatosi il 14 agosto 2019, si ribadisce autorizzato e, quindi, lecito), gli obblighi internazionali dello Stato Italiano, nonché quelli dettati dall'art. 10 ter d. lgs. n. 286/1998.
Secondo le valutazioni del G.I.P. di Agrigento, peraltro, l’Ufficio di Procura aveva errato nel contestare il solo reato di rifiuto di atti di ufficio, sussistendo, nella vicenda in esame, tutti i presupposti integranti anche il delitto di sequestro di persona:
“il pubblico ministero, contestando il solo reato di cui all'art. 328, primo comma, c.p., ha colto solo una parte della vicenda umana e giuridica di cui si discute, avendo pretermesso un dato assai rilevante: che il rifiuto di atti d'ufficio nella specie compiuto, lungi dall'esaurire i suoi effetti nel senso anzidetto, ha comportato, almeno dal 14 agosto 2019, l'illecita e consapevole privazione della libertà personale dei migranti soccorsi, costretti a bordo per un apprezzabile lasso di tempo contro la loro volontà, con integrazione del concorrente, perché posto a tutela di un differente bene giuridico, reato di sequestro di persona”.
Per le suddette ragioni il G.I.P. di Agrigento convalidava il sequestro preventivo d’urgenza, rigettando la richiesta di emissione di un nuovo decreto, essendo venuto meno, proprio grazie all’intervento surrogatorio e urgente del Pubblico ministero, il periculum in mora: “il vincolo reale impresso dal medesimo pubblico ministero, infatti, ha comportato lo sbarco dei migranti e la prestazione agli stessi delle necessarie cure (oltre che la loro liberazione), con conseguente venir meno degli effetti antigiuridici inizialmente esistenti”.
In ogni caso - cessato il pericolo per l’incolumità dei naufraghi, e posto fine alla prolungata privazione della loro libertà personale - la permanenza del vincolo reale risultava a quel punto ingiustificata, considerato che l’imbarcazione Open Arms apparteneva a un soggetto terzo in nessun modo ricollegabile, sul versante attivo, sia al reato di rifiuto di atti d’ufficio contestato, che a quello di sequestro di persona, non contestato dalla Procura, ma ravvisato dal G.I.P.
Quest’ultimo, pertanto, disponeva il dissequestro e l’immediata restituzione dell’imbarcazione all’avente diritto.
In data 20 agosto 2019, subito dopo aver appreso del decreto di sequestro della Open Arms emesso dalla Procura della Repubblica di Agrigento, l’imputato ribadiva la sua assoluta contrarietà allo sbarco degli “immigrati” in territorio italiano e proclamava che avrebbe continuato a difendere i confini, la sicurezza e la dignità del paese, senza spaventarsi per l’ennesima denuncia e “minaccia di processo”[168], come meglio si vedrà nel prosieguo della presente memoria, affrontando il tema dell’elemento soggettivo del delitto di sequestro di persona.
§ PARTE III)
I REATI CONTESTATI
§ 1. IL SEQUESTRO DI PERSONA:
L’ELEMENTO OGGETTIVO DEL REATO
§ Premessa
La ricostruzione dei fatti accertati nel dibattimento, in uno all’effettuata analisi della normativa che li regolamenta, consente ora di addentrarsi nella valutazione giuridica delle condotte contestate, poste in essere dall’imputato all’interno della catena degli eventi analizzati, sì da potere stabilire se la mancata assegnazione del POS alla Open Arms, prima in forma omissiva e poi con l’espresso diniego del 19 agosto 2019, possa integrare l’elemento oggettivo del reato di sequestro di persona.
È noto, infatti, che la condotta tipica è rappresentata dal compimento di atti che privano taluno della propria libertà personale, atti che, trattandosi di un delitto a forma libera, possono avere natura commissiva o anche omissiva, purché però la condotta del soggetto agente sia illegittima, cioè non ordinata o autorizzata dalla legge, né resa lecita dell'esistenza di una causa di giustificazione.
Occorre verificare pertanto se, nelle circostanze che portarono la nave della Open Arms a svolgere quei salvataggi in acque non territoriali per poi dirigersi e giungere in acque nazionali, si fossero o meno palesati, e quando, i necessari presupposti che, in base alla normativa interna ed esterna, facessero gravare sullo Stato italiano, e indi sul suo Ministro dell'Interno, il cogente obbligo di indicare il place of safety, sì da evidenziare l’eventuale illegittimità dell’omissione, prima, e del rifiuto, poi.
In particolare, a tal fine, si rivela necessario rispondere ad una serie di quesiti, e cioè:
- se sussistessero elementi, sia di fatto che di diritto, in grado di esonerare il Ministro dell'Interno dall’obbligo di rilasciare il POS;
- se sussistessero, in ogni caso, elementi che consentissero di ritardare il rilascio del POS;
- se sussistessero, al contrario, i presupposti, sia in fatto che in diritto, che obbligassero, e in che tempo, al rilascio del POS;
- se, in ultimo, il mancato rilascio del POS, eventualmente obbligatorio, si fosse tradotto nella privazione della libertà personale dei migranti.
In realtà, appare preliminare ad ogni altra valutazione stabilire se, nell’agosto del 2019, l’autorità italiana competente al rilascio del POS fosse individuabile nel Ministro dell'Interno, carica questa a quel tempo facente capo all’odierno imputato.
Nella parte iniziale della presente memoria già si è fatto riferimento a quel coacervo di elementi in base ai quali, all’epoca, il rilascio del POS - quale momento decisionale finale di un’attività istruttoria svolta all’interno della struttura ministeriale - era rimesso direttamente alla persona del Ministro dell'Interno. Ciò anche a supporto del perseguimento della sua linea politica contro il fenomeno dell’immigrazione clandestina, a sostegno della quale, peraltro, venne altresì emesso il decreto sicurezza bis che consentiva al medesimo Ministro di potere intervenire ex ante, cioè prima ancora dell’arrivo in acque nazionali delle navi trasportanti migranti, evitandone l’ingresso nel mare territoriale.
Non è opportuno, pertanto, ritornare sulle risultanze già illustrate alle quali, semmai, nel corso della seguente esposizione si aggiungeranno altri elementi concreti a sostegno del fatto che, all’epoca, l’autorità amministrativa a cui spettava adempiere all’obbligo del rilascio del POS, era, appunto e senza dubbio alcuno, l’allora Ministro dell'Interno.
§ 1.1. L’eventuale sussistenza di elementi di fatto idonei ad esonerare l’autorità italiana dall’obbligo di rilasciare il POS
La linea difensiva, conformemente a quanto evidenziato nei provvedimenti ministeriali emessi nel corso della vicenda - e, in particolare, il divieto di ingresso in acque nazionali della Open Arms del 1° agosto 2019 e il diniego di POS del successivo 19 agosto e la relativa condotta omissiva tenuta all’interno di detto spazio temporale - ha cercato di fare emergere, nel corso del processo, la sussistenza di una serie di elementi di fatto che sarebbero stati idonei sia a qualificare il passaggio della Open Arms nel mare territoriale come non inoffensivosecondo le normative internazionali, sia a evidenziare, in ogni caso, che la nave della ONG intendesse mettere a rischio l’ordine e la sicurezza pubblica fino a condizionare la sovranità dello Stato.
Fatti questi che, sin da subito, avrebbero imposto al Ministro dell’Interno, non solo di omettere prima e negare poi il rilascio di un POS non dovuto ed anzi lesivo degli interessi dello Stato, ma anche di adottare, a monte, adeguati provvedimenti a tutela degli interessi e dei confini del Paese, ai sensi dell’allora neo-decreto sicurezza bis, sì da impedire, preventivamente, l’ingresso in acque nazionali della nave.
Tali elementi di fatto, in base ai quali, appunto, si ricaverebbe la non inoffensività del passaggio della Open Arms in base alla normativa internazionale, sono sintetizzati nel decreto interdittivo emesso in data 1° agosto 2019, ma poi ribaditi e ulteriormente specificati nel diniego del 19 agosto e, infine, sempre secondo l’impostazione difensiva, arricchiti dalle ulteriori risultanze dibattimentali come, tra l’altro, la vicenda del sommergibile Venuti che si esaminerà in dettaglio dimostrandone la assoluta irrilevanza nel caso concreto.
In particolare, stando al primo provvedimento amministrativo, il Ministro dell'Interno, con l’avallo degli altri due Ministri contro-firmatari - premettendo che la Open Arms aveva “imbarcato persone a bordo di un natante, in distress, in area SAR libica ... effettuando l’intervento in totale autonomia” – evidenziava che “dalle circostanze dell’intervento e dal complessivo modus operandi della stessa, in tutto simile a quello tenuto in precedenti analoghe occasioni ”, “potrebbe desumersi l’intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia” e che la “medesima attività potrebbe determinare rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto le persone tratte a bordo della Open Arms sono verosimilmente cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni”. Pertanto, concludeva che una siffatta condotta integrava “la fattispecie dello scarico ... di persone in violazione delle leggi ... di immigrazione vigenti nello Stato costiero” ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. g) dell’UNCLOS.
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Orbene, prima di analizzare i singoli e concreti rischi che la Open Arms avrebbe potuto rappresentare per il nostro Paese, così come descritti nei citati provvedimenti, deve premettersi che, come è notorio, la linea politica del Ministro dell’Interno era, in quel periodo, proprio quella dei porti chiusi. Tale politica, peraltro, riguardò ogni salvataggio di migranti, compresi quelli svolti dalla nostra Guardia Costiera con i propri mezzi, come avvenuto nel precedente caso, altrettanto noto, della nave U. Diciotti, fatto per cui il Tribunale dei Ministri di Catania vedeva però negata la richiesta di autorizzazione a procedere per il delitto di sequestro di persona contestato all’odierno imputato. Proprio in linea con detta politica, come visto, vennero modificate le procedure di soccorso in occasione del “Tavolo tecnico” del 12 febbraio 2019 (in base al quale veniva introdotta una differenza tra i tipi di soccorso stabilendo, in sostanza, che quelli effettuati in autonomia dalle ONG venissero trattati come fenomeno di “immigrazione illegale” non automaticamente meritevoli di POS) e venne emessa, sulla medesima falsariga, la direttiva 14100/141(8) del 18 marzo 2019 dello stesso Ministro SALVINI ed emanato il decreto sicurezza bis (decreto-legge n. 53 del 14 giugno 2019).
Va quindi rimarcato che nessun rilievo può essere attribuito alla dicitura - ricorrente nelle segnalazioni delle autorità marittime acquisite agli atti - che definisce la presente vicenda come “fenomeno immigrazione clandestina” e non come “evento SAR”.
Tale indicazione, come già illustrato nella parte relativa alla ricostruzione del quadro normativo, è infatti priva di significato sostanziale per la qualificazione in termini di offensività dell’ingresso della Open Arms nello Stato, rispondendo la stessa piuttosto a precise direttive classificatorie del Ministero dell’Interno.
Ciò è spiegato a chiare note dal Tribunale dei Ministri a pag. 34 della sua relazione, ove si chiarisce che la scelta tra l’una e l’altra dizione dipendeva, secondo le disposizioni del “tavolo tecnico” del 12.2.2019, da una mera circostanza di fatto: va scritto “evento SAR” quando il salvataggio dei migranti è coordinato direttamente dalla Capitaneria di Porto italiana; va scritto “fenomeno immigrazione clandestina” quando l’intervento di soccorso avvenga – al di fuori dell’area SAR nazionale – da navi battenti bandiera straniera, senza il coordinamento dell’autorità italiana.
Del resto, lo stesso imputato, nel suo esame, alla domanda sul perché avesse ritenuto, dal 1° agosto, che il passaggio della Open Arms fosse offensivo, ha risposto che considerava tale, automaticamente, ogni passaggio di nave straniera che trasportasse migranti (cfr. pag. 22 e 23 del verbale di udienza del 12 gennaio 2024); mentre, dal suo canto, il Ministro della Difesa, TRENTA, ha specificato che quel divieto di ingresso era semplicemente un atto volto a scoraggiare le ONG a scegliere l’Italia come luogo di sbarco in modo da evitare l’operatività del Regolamento di Dublino.
Deve altresì premettersi, al fine di delineare il contesto storico entro cui le presenti vicende si collocano, che finora non è mai stato dimostrato, in nessuno dei procedimenti penali in materia, un ruolo di tipo criminale delle ONG impegnate in operazioni di soccorso in mare, come dimostra chiaramente, ad esempio, il processo celebrato a Trapani n. 4060/2016 relativo alle condotte della nave Iuventa (di cui è stata acquisita la sentenza di non luogo a procedere n. 126/2024 resa dal G.U.P. in data 20 maggio 2024), più volte richiamato dalla difesa per dimostrare la sussistenza di illeciti accordi tra le suddette ONG e i trafficanti di uomini.
La giurisprudenza, di merito e di legittimità, invero, a fronte delle numerose informative a carico dei rappresentanti di tali organizzazioni per i delitti di cui agli artt. 416 comma 6 del c.p. e 12 del T.U. Imm. (ma non si ha memoria di denunce per attività connesse al terrorismo), ha sempre ritenuto che il trasporto di migranti ad opera delle ONG andasse invece apprezzato sotto il profilo del salvataggio delle vite in mare, con tutto ciò che ne deriva in termini giuridici.
Né, ancor meno, la Open Arms vantava precedenti penali in tal senso sebbene il citato decreto interdittivo facesse riferimento al suo complessivo modus operandi …. in tutto simile a quello tenuto in precedenti analoghe occasioni”, probabilmente riferendosi all’allora pendente procedimento penale, presso il Tribunale di Ragusa, a carico del comandante della nave, Marc CREUS, per il reato di cui all’art. 12 T.U. imm., che, al pari di tutti gli altri procedimenti avviati, quasi automaticamente in occasione dello sbarco di migranti grazie agli interventi delle ONG, si è concluso, anch’esso, con sentenza di proscioglimento (acquisita in atti).
Peraltro, non si ritiene di attribuire alcuna considerazione all’informativa indirizzata alla Procura di Agrigento a cui ha fatto riferimento nel corso del suo esame dibattimentale, quale redattore, il teste Edoardo ANEDDA, Comandante delle Sezioni Unità Navale e Operativa della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Palermo. Quest’ultimo, in sostanza, avendo sommariamente analizzato la rotta e le presunte omesse interlocuzioni della Open Arms con le autorità durante i tre salvataggi, aveva finito per ipotizzare la sussistenza del delitto di cui all’art. 12 T.U. Imm. a carico dei membri della nave; informativa questa, del resto, analoga alle numerose altre comunicazioni di notizie di reato a carico delle ONG che, come prima detto, mai si sono risolte in una sentenza di condanna, né ancor prima in un decreto che dispone il giudizio.
Invero, innanzitutto, anche tale notizia di reato non ha dato luogo all’esercizio dell’azione penale nei confronti del comandante o di altri membri dell’equipaggio della Open Arms; inoltre, lo stesso ANEDDA non si è mostrato particolarmente convinto della sussistenza di quei reati da egli stesso rimessi al vaglio dell’autorità giudiziaria agrigentina, poiché, rispondendo alle domande del Presidente, ha lasciato intendere che trattavasi spesso di sue deduzioni e/o convinzioni prive di approfondimento. Peraltro, gli elementi su cui si fondava l’informativa sono stati specificamente esaminati nel dibattimento e a queste risultanze occorre dunque fare riferimento poiché rientranti a pieno titolo nel patrimonio probatorio acquisito nel contraddittorio tra le parti, a differenza delle mere tesi del Capitano della G.d.F.
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Allora, tutto ciò consente, da subito, di ridimensionare la portata e la concretezza di quei pericoli che, nell’ottica dei porti chiusi, appunto, venivano ravvisato a priori, pure per le operazioni di soccorso gestite dalle autorità italiane, tant’è che il decreto interdittivo, più che riferirsi a fatti concreti, faceva riferimento a condotte del tutto generiche della Open Arms e a circostanze, come si dirà, ictu oculi pretestuose, come del resto ammesso da numerosi testimoni, che rivestivano ruoli chiave nella vicenda in oggetto. Questo è dunque il contesto entro cui analizzare i “rischi” in questione.
§ I “rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche”
Uno dei pericoli che la Open Arms avrebbe potuto procurare era quello dell’ingresso nello Stato di soggetti coinvolti in attività terroristiche, come evidenziato nel decreto interdittivo citato.
Già il dato letterale del decreto di divieto lascia emergere che la questione del terrorismo era stata invocata sine causa. A tal ultimo proposito, ad esempio, è evidente che l’affermazione, relativa allo specifico rischio del terrorismo, secondo cui trattavasi verosimilmente di cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni, non solo non si fonda su un reale accertamento dell’assenza dei documenti identificativi, ma è altresì contraddittoria (rispetto all’ordinamento giuridico che impone procedure di identificazione e di accoglienza degli stranieri, ormai collaudate in occasione di svariati sbarchi, e assicura i sistemi di repressione per i singoli responsabili di reati) e, al contempo, discriminatoria (nella parte in cui ritiene essenziale la conoscenza della nazionalità dei migranti come se l’appartenenza a questa o quell’altra nazione possa ex se incidere sulla generazione del pericolo).
Tuttavia, anche l’attività istruttoria ha ampiamente dimostrato che tale rischio si fondava su timori assolutamente generici piuttosto che su elementi concreti: l’ingresso di terroristi era cioè considerato una mera possibilità e non anche una probabilità seppure minima. Invero, tutti i testimoni sentiti sul punto hanno escluso che, alla data del 1° agosto (ma anche nei giorni successivi), fossero emersi elementi concreti di pericolo per la sicurezza pubblica collegati al terrorismo.
Tale circostanza è stata specificata dalle fonti, più che qualificate, preposte alla tutela e alla sicurezza del territorio agrigentino, come ad esempio, l’allora Questore di Agrigento (IRACI - non mi risulta che fra i migranti a bordo della Open Arms vi fossero persone pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica[169]); l’allora Capo della Squadra Mobile di Agrigento (MINARDI – ..sull’Open Arms né… non sono emersi né terroristi, tra virgolette, né profili terroristici, né profili di torturatori o comunque di organizzatori di questo tipo.); l’allora Prefetto di Agrigento (CAPUTO: Guardi, io non ricordo esattamente una segnalazione di questo tipo che riguardasse specifici soggetti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica.(..) Però, ripeto, in questo momento specificamente per la crisi Open Arms del 15-20 agosto 2020 io non ricordo di avere avuto indicazioni di soggetti specifici che potessero presentare un problema di questo tipo.).
Notizie di tal fatta non giunsero nemmeno alla Presidenza del Consiglio (CONTE – No assolutamente, mai sentito parlare personalmente di terroristi.(..) ecco terroristi, trasporto di armi mai sentito, non ricordo affatto che mi sia stata mai rappresentata una situazione del genere), né, ancor meno, ai competenti funzionari del Ministero dell’Interno (così MANCINI - Io non ho mai detto di essere a conoscenza dell’esistenza di terroristi a bordo della Open Arms; così anche GARRONI: P.M.– Avevate avuto contezza della presenza di terroristi a bordo della Open Arms? O di specifici problemi per la sicurezza pubblica? GARRONI E. – Allora, no perché l'individuazione delle persone sulle navi può avvenire solo al momento del loro arrivo e avvio delle procedure di identificazione, fotosegnalamento, tutte le operazioni di.., che fa la Polizia di Frontiera. Quello che.., e quindi diciamo sarebbe stato anche impossibile da fare.); tutte circostanze, del resto, confermate dallo stesso imputato nel corso del suo esame (P.M.– Avevate delle indicazioni specifiche, sempre al momento dell’emanazione del divieto di ingresso di terroristi a bordo, a parte le valutazioni di ordine generale, (..) con nomi e cognomi, di possibili terroristi a bordo dell’Open Arms? SALVINI– No.).
Sul punto, per completezza, anche i testi Elisabetta TRENTA e Danilo TONINELLI, all’epoca dei fatti Ministri della Difesa e dei Trasporti, contro-firmatari del divieto di ingresso, hanno chiarito che non era stato loro prospettato alcun specifico rischio per la sicurezza nazionale e che, in ogni caso, sarebbe stato opportuno fare sbarcare tutti i migranti per procedere alla loro identificazione e svolgere gli accertamenti necessari anche in proposito[170].
Inoltre, nonostante i vari accessi sulla Open Arms da parte delle forze di polizia, nessuna di esse ha mai evidenziato l’esistenza anche solo di indizi in merito alla presenza di terroristi a bordo (ad esempio, attraverso il rinvenimento di esplosivi, armi, documentazione contraffatta, materiale propagandistico e così via), tanto che mai ebbe ad avviarsi alcun procedimento penale al riguardo.
In sostanza, non sussistevano elementi concreti di rischio collegati al terrorismo internazionale al momento del decreto, né ne sopravvennero nel corso della vicenda, né emersero ex post dopo lo sbarco (tant’è che questo Ufficio, competente ex art. 51 comma 3-quater c.p.p., mai ebbe ad acquisire e/o a ricevere dalla P.G. notizie di reato in materia relative ai passeggeri/membri della Open Arms).
§ L’attività della Open Arms “volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia”
Quanto agli asseriti elementi sintomatici del preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia, indicati nel decreto interdittivo, poi puntualizzati nel successivo provvedimento di diniego del POS del 19 agosto 2019, pare desumersi che essi vadano individuati in quel coacervo di (presunte) condotte della Open Arms - la quale svolgendo attività di soccorso senza coordinarsi con le autorità preposte, ed anzi eseguendo operazioni più di trasporto che di salvataggio di migranti (come nella vicenda del sommergibile Venuti); dirigendosi poi verso le acque italiane pur potendo raggiungere altri Stati, compreso quello di bandiera; rifiutandosi di fare sbarcare i 39 migranti che Malta intendeva accogliere; rifiutando anche i POS dati dalla Spagna - avrebbe così dimostrato la ferrea intenzione di trasferire illecitamente cittadini stranieri in Italia.
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§ L’omesso coordinamento con le autorità nelle operazioni di salvataggio
Tra i diversi “addebiti” mossi alla Open Arms, viene contestata (a partire dal decreto interdittivo del 1° agosto 2019 in cui si afferma che effettuò “l’intervento in totale autonomia”) una certa anarchia nelle operazioni di salvataggio, probabilmente alludendo al fatto che il rispetto delle regole sarebbe stato incompatibile con le attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perseguite dalla ONG.
In realtà, la documentazione acquisita ha confermato che i primi due eventi di salvataggio, il primo in acque libiche ed il secondo in acque internazionali, in zona SAR maltese, vennero comunicati da Open Arms, in via diretta, alle autorità libiche e, per conoscenza, sia alle autorità di bandiera (Spagna) che a I.M.R.C.C. Roma e a RCC Malta; ciò in conformità agli obblighi imposti ai comandanti delle navi dal diritto internazionale e della navigazione, che prescrive di procedere al soccorso in caso di avvistamento di naufraghi e di informare dell’evento il proprio Stato di bandiera e gli Stati rivieraschi che possano, in quanto competenti per l’area SAR ove è avvenuto il soccorso ovvero situati in una posizione favorevole, prestare un’efficace e tempestiva collaborazione nelle operazioni di salvataggio.
La medesima documentazione ha dimostrato anche che, anzi, il terzo evento del 9 agosto 2019 avvenne, in zona SAR maltese, con il coordinamento di RCC Malta.
Quanto, in particolare, al primo evento del 1° agosto 2019 realizzato in area SAR libica, tra i più evidenziati dalla difesa, come si dirà, quali sintomatici delle asserite irregolarità della ONG, può aggiungersi che il dibattimento, ben oltre la documentazione cartacea, ha ulteriormente confermato il pieno rispetto delle normative in materia da parte della Open Arms e in particolare delle disposizioni del Consiglio d’Europa del 2018, richiamate dallo stesso imputato durante le sue dichiarazioni spontanee, secondo cui occorre collaborare, nelle operazioni di soccorso e salvataggio, con la Guardia costiera libica.
Invero, secondo quanto affermato dal comandante della Open Arms, Marc CREUS, all’udienza in data 8 aprile 2022, la ONG ebbe a comunicare con il pattugliatore della guardia costiera libica che si trovava in zona per altre operazioni di salvataggio, mentre le registrazioni effettuate dal sommergibile Venuti (di cui si dirà più avanti) hanno dimostrato che, effettivamente, conclusi i rispettivi soccorsi, le due navi, la spagnola e la libica, si avvicinarono in modo da potere interloquire. D’altra parte, per quanto già detto, una mancata collaborazione con la Guardia costiera libica, responsabile di efferati delitti, sarebbe stata ampiamente giustificabile.
Anzi, gli approfondimenti svolti sulla documentazione acquisita da detto sommergibile hanno dimostrato, come riconosciuto anche dai consulenti della difesa (v. infra), che la Open Arms riuscì ad avvicinare il barcone in distress carico di migranti alcune ore prima dell’arrivo del pattugliatore libico (pur anch’esso informato da Alarm Phone ma occupato in altre attività di soccorso) procedendo immediatamente alla distribuzione di salvagenti, sì da rendere inevitabile lo svolgimento dei soccorsi ad opera della ONG e non della Guardia costiera libica occupata in altre operazioni (si ricordi, sul punto, la Convenzione SOLAS che afferma l’obbligo del “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…”; Capitolo V, Regolamento 33).
§ Il “bighellonare” dell’Open Arms
Nelle sue dichiarazioni spontanee, l’odierno imputato ha più volte sottolineato, facendo propria un’espressione delle autorità maltesi, che la Open Arms, nelle date dal 2 al 9 agosto, e poi dal 9 al 14 agosto, aveva bighellonato in acque internazionali per poi fare ingresso in Italia il successivo 14 agosto, quando, in tutto quel tempo, “sarebbero arrivati due volte in un porto spagnolo, la nave navigava lento moto e senza destinazione apparente in una zona attualmente nell’area SAR maltese”.
Premesso che, da quella posizione, per raggiungere la Spagna occorrevano diversi giorni, come sarà specificato più avanti, in realtà, il bighellonare della suddetta ONG si traduce, ancora una volta, nel rispetto delle regole internazionali in tema di salvataggio in mare, come meglio spiegato dal comandante CREUS nel suo esame (spesso tradotto in terza persona dall’interprete):
PUBBLICO MINISTERO –..dal 3 al 9 agosto, in cui si verifica il terzo soccorso, che cosa hanno fatto? dove si sono diretti? …
INTERPRETE – Dopo aver richiesto Pos a Italia, sono rimasti a 24 miglia dalle acque italiane per evitare, appunto, di forzare l’ingresso (..) Sono rimasti a più di 24 miglia di distanza dal porto di Lampedusa, continuando a dare, appunto, ad alimentare e a dare assistenza alle persone salvate. (..) Il suo progetto in questi giorni è stato quello di mantenersi ad oltre 24 miglia dal porto sicuro più vicino (..) ; Il progetto era mantenersi quanto più vicino possibile al porto sicuro più vicino e non andare mai oltre, diciamo, non entrare mai oltre le 24 miglia per evitare di forzare l’ingresso nelle acque territoriali italiane.
PUBBLICO MINISTERO– In quel momento, dato che c'era il divieto di ingresso in acque nazionali, e non ricevevano il Pos da parte delle autorità italiane, hanno valutato la possibilità di andare in Spagna?
INTERPRETE – Era in attesa di una risposta.(..) prima di dirigersi in Spagna dovrebbe ricevere risposta negativa da parte di quelli che sono i porti sicuri più vicini, quindi Malta, che effettivamente ha detto di no, Italia, Grecia e Francia. (..)
La stessa spiegazione è stata fornita da CREUS per i giorni dal 9 al 14 agosto:
PUBBLICO MINISTERO– ... dal 9 al 13 agosto dove si dirige con la nave che, a questo punto, ha tutti i migranti a bordo di tutti e tre i soccorsi? .. Quali sono i suoi progetti per dove fare sbarcare, ovviamente, questi migranti? (..)
INTERPRETE – Un unico progetto, si, il porto sicuro più vicino, .. attendendo la risposta dalle autorità, (..) dell’area S.A.R. e dell’area vicina, così come prevede la legge. (..)
PRESIDENTE – E qual è l’autorità? In particolare qual era?
INTERPRETE – Italia e Malta, Malta ha detto di no e, quindi, l’Italia doveva ancora rispondere, dare una risposta. (..)
DIFESA– Il giorno 6 e 7 agosto, visto che non c'era nessuna novità e comunque il provvedimento ancora esisteva, perché non ha deciso di andare in Spagna?
INTERPRETE – Sarebbe stato contro legge, contro la legge dell’Italia, io non posso decidere da solo, devo attendere istruzioni dalle autorità .. (di) quelle più vicine all’evento S.A.R.
In ogni caso, quel bighellonare, a questo punto attribuibile esclusivamente alle condotte inerti delle autorità competenti a concedere il POS, e specie a quella italiana che mai ritenne di negarlo, non può comprovare il contestato “preordinato trasferimento illegale di migranti in Italia” posto che la Open Arms:
- ha più volte provato a richiedere il POS a Malta, ottenendo sempre risposta negativa (eccetto che per i 39 migranti di cui a breve si dirà);
- ha sempre informato lo Stato di bandiera che, peraltro sollecitato parallelamente dallo Stato italiano già a partire dal 2 agosto 2019 (cfr. dichiarazioni spontanee dell’imputato all’udienza del 12 gennaio 2024 e documenti in atti), ritenne di occuparsi del caso solo il successivo 18 agosto con l’indicazione di un POS particolarmente distante;
- si è diretta verso l’Italia solo quando, date le avverse condizioni meteo in corso a partire dalla notte del 14 agosto 2019, ricevuto il diniego sia di ridosso che di POS da parte delle autorità maltesi, l’unico riparo possibile era l’isola di Lampedusa e, in ogni caso, soltanto dopo avere ricevuto notizia della sospensione del decreto interministeriale interdittivo che, fino al momento della sua vigenza, aveva pedissequamente rispettato.
§ Il rifiuto allo sbarco dei 39 migranti salvati in area SAR maltese
Farebbe parte del preordinato trasferimento di clandestini in Italia, secondo l’impianto difensivo, anche il rifiuto della Open Arms di fare sbarcare a Malta i 39 migranti salvati nel terzo evento di soccorso in acque SAR maltesi e con il coordinamento della stessa autorità maltese (cfr. decreto di diniego del POS del 19 agosto 2019).
Tale episodio che, alla luce di quanto già evidenziato, si rivela di per sé insignificante per comprovare la predetta preordinazione, trova comunque la sua logica (e condivisibile) spiegazione sia nella ingiustificabile posizione di Malta che intendeva accogliere solo i migranti dell’ultimo soccorso, ma non anche i precedenti, compresi quelli del secondo evento SAR avvenuto anch’esso in acque ricadenti in area di responsabilità maltese[171], sia nelle ineccepibili spiegazioni fornite, in dibattimento, da Marc CREUS al quale, indiscutibilmente, spettavano le scelte per mantenere la sicurezza a bordo della Open Arms[172], proprio in relazione al peculiare clima di tensione indicato nella sua deposizione[173]; giustificazione questa portata a conoscenza delle autorità interessate già nell’immediatezza dei fatti come confermato dal teste LIARDO[174].
Né va dimenticato che, secondo i già menzionati Principi relativi alle procedure amministrative per lo sbarco di persone salvate in mare, adottati il 22 gennaio 2009 dall’IMO (Facilitation Committee, FAL.3/Circ. 194), sono gli Stati che, al contrario, devono tenere conto delle indicazioni del comandante della nave che ha proceduto al salvataggio al fine di determinare il luogo di sbarco, proprio per assicurare un legame tra la scelta e la situazione del caso specifico.
Né va omesso di dire che, in ogni caso, l’eventuale sbarco dei 39 migranti a Malta, non avrebbe esonerato lo Stato italiano, per gli altri naufraghi poi giunti in acque territoriali, dal dovere di rilascio del POS.
§ Il duplice “rifiuto” dei POS spagnoli
Il dibattimento ha accertato che, dal 18 agosto 2019, la Spagna indicava un POS, dapprima nella località di Algeciras e poi, a causa della sua eccessiva distanza dal luogo in cui si trovava la Open Arms (almeno altri 7/8 giorni di navigazione), in un altro porto più vicino, nelle isole Baleari (a circa altre 60 ore di navigazione), ma che la ONG decise di non proseguire la traversata, seppure una nave della Guardia costiera italiana si fosse resa disponibile ad accompagnarla.
Anche tale posizione è stata interpretata nell’ottica del preordinato trasferimento di migranti in Italia.
In realtà deve evidenziarsi, in primo luogo, che un “rifiuto” al trasferimento dei migranti in Spagna era di per sé assolutamente condivisibile, in quanto l’assegnazione di un porto spagnolo, eccessivamente distante, ad una nave che (già in uno stato di estrema difficoltà) si trovava ormai legittimamente a Lampedusa, si rivela contraria alla normativa SAR sul porto sicuro vicino e sulla necessità che i comandanti delle navi soccorritrici vengano al più presto sollevati dall’onere del soccorso, e, in ultima analisi, alla tutela dei diritti umani dei migranti che già navigavano da 18 giorni in condizioni drammatiche tanto che avevano preso a lanciarsi in mare; tutto ciò, peraltro, non per apprezzabili ragioni di tutela di un qualche altro bene giuridico, ma al solo fine di aggirare l’illegittimo muro innalzato dall’imputato sotto la bandiera dei porti chiusi.
Il comandante DE FALCO, all’udienza del 15.9.2023, a tal proposito si è espresso in questi termini: “non avrebbe avuto senso giuridico, logico, umano, mandarli in Spagna!”.
L’impraticabilità della soluzione, del resto, è stata riconosciuta dai diversi testi sentiti sull’argomento. Tra questo, ad esempio, ANEDDA:
“… Allora, il primo Pos proposto fu il porto di Algeciras, che si trova, diciamo, oltre lo stretto di Gibilterra, in Spagna, chiaramente il porto più lontano possibile, spagnolo, dalla posizione in cui si trovava la Open Arms e sicuramente in quelle condizioni era una distanza troppo lunga da percorrere, tant’è che successivamente la Spagna, evidentemente a seguito di alcune interlocuzioni anche a livello centrale, propose poi il porto di Mahon, quindi di Minorca, che è il porto più vicino, spagnolo, rispetto alla posizione in cui si trovava la Open Arms, però allo stesso modo, insomma, stiamo parlando di distanze abbastanza importanti, soprattutto considerato che, se non erro, il porto spagnolo fu individuato in data 18 agosto, fu proposto... in data 18 agosto 2019, quindi stiamo parlando sempre di, per i migranti soccorsi l’1 agosto, cioè dopo 18 giorni, quindi dopo 18 giorni intraprendere un ulteriore viaggio che sarebbe stato di almeno altri sette giorni, insomma, non… a mio avviso non c'erano le condizioni per farlo, in sicurezza.”.
In senso analogo, il testimone TRINGALI:
“ci fu notiziato da una e-mail direttamente da parte del comando di bordo e poi il Comando Generale ci girò, sempre via e-mail, l’ok da parte del Governo spagnolo di assegnare un Pos alla nave ad Algeciras e poi ricevetti via e-mail, sempre, diciamo, nell’ambito di quella componente indirizzi, ricevetti una nota da parte del comando della nave dove dicevano che erano impossibilitati a trasferirsi ad Algeciras proprio perché molto distante e per lo stato di salute delle persone. Quindi, non erano in grado di effettuare la navigazione (..) Stando ai certificati di sicurezza, no.”
Ma ciò che più va evidenziato, nell’ottica del preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia è che, in realtà, la Open Arms non si oppose al trasferimento dei migranti in Spagna ma al fatto di dovere provvedere essa stessa al loro trasporto, non essendo più in condizione di proseguire in sicurezza la navigazione, invitando invece le autorità spagnole e italiane a provvedere direttamente loro stesse.
I termini della vicenda sono stati riassunti e chiariti dal comandante CREUS:
INTERPRETE – Si, la Spagna telefonicamente ha suggerito, anzi ha proprio ordinato, anche se non proprio la Spagna ma il centro di coordinamento del salvataggio spagnolo, che si recassero al porto di Algeciras.(..) il 18 agosto.
PUBBLICO MINISTERO – .. secondo le sue conoscenze, la Spagna era uno Stato che poteva rilasciare loro un Pos, per la situazione, per il luogo in cui si trovavano in quel momento?
INTERPRETE – No. .. Allora, la Spagna, essendo lui in acque territoriali, essendo in acque territoriali italiane, essendo in zona S.A.R. italiana, doveva essere l’Italia a dirmi, a darmi istruzioni, la Spagna poteva al limite dire all’Italia “fai in modo che Open Arms faccia questo”.(..)
PUBBLICO MINISTERO – E lei era in condizioni di potere raggiungere la Spagna?
INTERPRETE – No.
PUBBLICO MINISTERO – Perché?
INTERPRETE – Non stavano bene psicologicamente, fisicamente, erano a 700 metri da un porto, c'erano persone che avevano già minacciato di gettarsi in acqua.
PUBBLICO MINISTERO – E quanti giorni o ore servivano per raggiungere Algeciras?
INTERPRETE – Otto giorni. (..) Ho preso una mappa e ho visto che il porto sicuro più vicino era Palma Di Maiorca, però noi non eravamo in condizioni di navigare ancora per un’ora, noi non eravamo in condizioni di poter navigare neanche per un’ora e, quindi, abbiamo proposto che fosse un'altra imbarcazione a venire a recuperarli, a venire recuperarli per... che entrasse al porto di Lampedusa e poi fossero inviati in Spagna.
PUBBLICO MINISTERO– .. perché dice, afferma che non erano in condizioni di navigare nemmeno per un'altra ora? ..
INTERPRETE – Molto stanchi, le persone salvate si stavano lanciando in acqua, già lo avevano fatto, allontanarsi ulteriormente dalla costa avrebbe messo in pericolo ulteriormente le loro vite e il mio obbligo, invece, è salvaguardare le loro vite, tutelarle.
PUBBLICO MINISTERO– Quante persone si erano buttate in acqua in quel momento? siamo al 18 di agosto, (..)
INTERPRETE – Credo quattro, credo quattro persone, quattro persone si erano già gettate in acqua però c'erano minacce che ci fosse un’azione di massa, quindi che più persone si gettassero in acqua.
PUBBLICO MINISTERO –, lei che proposte alternative ha avanzato alla Spagna?
INTERPRETE – La mia proposta è stata quella che venissero a prenderli con un’imbarcazione e li portassero in Spagna, in un posto sicuro, e mi scaricassero da questa responsabilità.
PUBBLICO MINISTERO – E la risposta della Spagna qual è stata?
INTERPRETE – Ancora stiamo aspettando, quando già ci avevano concesso di entrare a Lampedusa hanno detto che avrebbero inviato una imbarcazione da Algeciras.
PUBBLICO MINISTERO – Lo Stato italiano vi ha messo a disposizione delle imbarcazioni per portare i migranti in Spagna?
INTERPRETE – Ci hanno offerto alimenti e c'hanno chiesto di cosa avremmo avuto bisogno per portarli in Spagna e c'hanno proposto di portarne soltanto una parte in Spagna.
PUBBLICO MINISTERO– E l’altra parte chi la doveva portare in Spagna?
INTERPRETE – Noi avremmo dovuto portare l’altra parte.
PUBBLICO MINISTERO – E gli sarebbe stato possibile, diciamo, con un carico minore di persone a bordo andare in Spagna?
INTERPRETE – Il problema era lo stato, le condizioni delle persone, che a livello psicologico, il fatto che ci fossero queste minacce di gettarsi in acqua, quindi non era un problema di quantità di persone.
Del resto, si richiama il par. 6.18 della citata Risoluzione MSC 167-78 per cui la nave soccorritrice ha diritto di ottenere l’autorizzazione allo sbarco dei migranti in un luogo che implichi il minimo disagio per la nave stessa, gravando specularmente sui responsabili l’obbligo di tentare di organizzare delle alternative ragionevoli per questo scopo (v. par. 6.13 ris. cit. secondo cui la nave deve essere comunque sollevata da questa responsabilità non appena possono essere presi accordi alternativi”).
Al riguardo il Tribunale dei Ministri, nella sua relazione, si è espresso con chiarezza nei seguenti termini: “il grado di esasperazione in cui indubbiamente versavano i migranti, già stremati dalle durissime prove fisiche e psichiche subite prima del soccorso operato dalla Open Arms e nei successivi giorni di navigazione, angosciati dal terrore di venire respinti e riportati in Libia, rende intuitivo come non tanto il prolungamento anche di un solo giorno di navigazione (con il conseguente protrarsi della situazione di grave disagio), quanto il fatto stesso di allontanarsi dalle coste italiane, ormai tanto vicine da poter essere raggiunte a nuoto, si sarebbe rivelato del tutto insostenibile ed incomprensibile, in quanto sarebbe stato interpretato come un ulteriore esasperante allontanamento della fine delle loro sofferenze ed avrebbe, dunque, prevedibilmente provocato atti di ribellione o un tentativo collettivo di lasciare la nave anche a nuoto, pur a rischio della propria vita, comportando, nell’uno e nell’altro caso, seri rischi per la sicurezza”.
Di nessun pregio si rileva, dunque, in tale peculiare contesto, la presunta applicabilità di sanzioni pecuniarie alla Open Arms qualora avesse fatto rientro in Spagna, argomento sottolineato più volte dalla difesa a sostegno della mala fede della ONG; argomento che, però, paradossalmente potrebbe dimostrare, al contrario, che il mancato rientro in territorio spagnolo era dovuto alla finalità di sottrarsi alle multe e non certo a quella di introdurre illegalmente cittadini stranieri in Italia.
§ La vicenda del sommergibile Venuti
Appare necessario dedicare una più approfondita riflessione sulla vicenda del “sommergibile Venuti” di cui alla nota datata 5 agosto 2019 del Comando in Capo della Squadra Navale - che allega file audio, video e fotografici- indirizzata a diverse Procure italiane, e poi acquisita agli atti del dibattimento, dalla quale, secondo la tesi difensiva, emergerebbero talune importanti “anomalie” nella prima operazione di salvataggio effettuata dalla Open Arms in data 1° agosto 2019.
Si tratta, in particolare, di talune asserite stranezze da cui si ricaverebbe, in sostanza, che l’individuazione del barcone dei migranti da parte della Open Arms non sarebbe avvenuta grazie alle informazioni della ONG Alarm Phone (come emerso dal diario di bordo e come testimoniato da diversi membri dell’equipaggio), bensì attraverso altro genere di segnalazioni, verosimilmente provenienti da scafisti libici, sì da dimostrare che la ONG non aveva operato per il salvataggio delle persone in mare ma per l’introduzione illegale di stranieri nel territorio dello Stato.
Vicenda, questa, che ha avuto un’ampia risonanza processuale e mediatica, sia perché è stata rappresentata come sostanzialmente capace – anche se non si capisce bene per quale ragione - di scagionare l’imputato sia perché, nonostante la sua portata scriminante, sarebbe stata tenuta estranea al procedimento penale a carico del Ministro SALVINI.
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Con riferimento a quest’ultimo aspetto, deve preliminarmente rappresentarsi, sinteticamente, che l’odierno procedimento trova origine da quello inizialmente formato, in data 16 agosto 2019, dalla Procura della Repubblica di Agrigento nei confronti di ignoti (n. 3770/19 mod. 44) e, poi, iscritto da quell’Ufficio, in data 15 novembre 2019, a carico del Sen. Matteo Salvini (n. 5486/19 mod. 21) e, indi, trasmesso a Palermo ai sensi del comma 1 dell’art. 6 L. Cost. n. 1/1989, ove perveniva il 16 novembre 2019.
La Procura della Repubblica di Palermo, dopo l’esame degli atti, in data 26 novembre 2019 iscriveva il presente procedimento (n. 18138/2019 mod. 21) e, senza svolgere alcuna attività investigativa (in ossequio al comma 2 L. Cost. n. 1/1989 secondo cui “il Procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7”), in data 27 novembre 2019 trasmetteva pedissequamente il fascicolo pervenuto dalla Procura della Repubblica di Agrigento, unitamente alla formulazione delle proprie richieste, al Tribunale dei Ministri, anche per il compimento di eventuali indagini[175].
Il successivo 30 gennaio 2020, il Tribunale disponeva la ritrasmissione del procedimento al Procuratore della Repubblica “affinché ne curi l’immediata rimessione al Presidente del Senato”; procedimento formato, dunque, dagli atti della Procura di Agrigento e da quelli compiuti dal Collegio Speciale (che, come si dirà, non contenevano, entrambi, la predetta nota della Marina Militare).
L’indomani, 31 gennaio 2020, il Procuratore della Repubblica di Palermo, provvedeva all’invio degli atti al Presidente del Senato per l’avvio della procedura prevista dall’art. 9 della L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1.
Dopo la concessione dell’autorizzazione a procedere, la Procura della Repubblica di Palermo, ancora omettendo ogni indagine ai sensi della citata legge costituzionale, in data 19 ottobre 2020 esercitava l’azione penale nei medesimi termini indicati dal Collegio Speciale.
Deve ora sottolinearsi, come anticipato, che il fascicolo formato dalla Procura di Agrigento non conteneva la suddetta nota della Marina Militare seppure indirizzata (anche) all’autorità giudiziaria agrigentina (peraltro, l’unica competente a trattare la eventuale violazione dell’art. 12 TU Imm. da parte della Open Arms) che, evidentemente, non ritenne sussistere alcun reato o, comunque, non ritenne che la vicenda fosse rilevante nell’ambito del procedimento che iscrisse a carico di Matteo SALVINI.
Nemmeno il Tribunale dei Ministri, nella sua attività istruttoria, reputò utile svolgere approfondimenti su eventuali condotte illecite della Open Arms durante le operazioni di salvataggio, avendo ritenuto che, invece, per vagliare la condotta dell’imputato, occorresse verificare se, a partire dal 14 agosto 2019 (dunque due settimane dopo il primo salvataggio della Open Arms), l’odierno imputato avesse dovuto rilasciare il POS, e ciò indipendentemente dalla presenza a bordo di possibili favoreggiatori dell’immigrazione clandestina.
D’altra parte, la stessa posizione era già stata assunta dal Tar del Lazio che, in data 14 agosto 2019, aveva sospeso il decreto interministeriale di “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale” senza mai attribuire alcun pregio alla (presunta) sistematica violazione delle norme sull’immigrazione da parte della ONG posta ad elemento fondante del provvedimento interdittivo, essendo pacifico che il salvataggio delle vite umane prescinde dalla meritevolezza del salvato e dalle condotte di chi procede al soccorso.
Ed ancora, già il 1° agosto 2019, il comandante della Open Arms era indagato per il reato di cui all’art. 12 T.U. Imm. ipotizzato per pregresse operazioni di salvataggio; circostanza questa, sovrapponibile alla presente, ampiamente sottoposta alla valutazione del Senato, il 30 luglio 2020, in occasione della relazione della Giunta delle Immunità Parlamentari sulla domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del SALVINI, e che, però, non assunse alcun rilievo ai fini della decisione adottata.
Solo all’udienza del 13 maggio 2022, dunque, ed a seguito dell’escussione da parte della difesa del teste Fabrizio MANCINI, Direttore del Servizio Immigrazione del Ministero dell’Interno, è emersa l’esistenza della predetta nota della Marina Militare, sicché la Procura di Palermo non ha esitato a svolgere, immediatamente, un’attività integrativa di indagine ex art. 430 c.p.p., poi sfociata sia nell’acquisizione, al fascicolo del dibattimento, degli atti della Marina Militare e dei relativi seguiti (cfr. produzioni alle udienza del 2 dicembre 2022 e del 24 marzo 2023), sia nello svolgimento di ulteriore attività istruttoria dibattimentale (specie all’udienza del 24 marzo 2023 in cui sono stati sentiti gli ufficiali della Marina Militare, che avevano formato la nota del 5 agosto 2019, cioè Stefano OLIVA, il sommergibilista a bordo del sommergibile Venuti, e Andrea PELLEGRINO, capitano di fregata che ricevette e analizzò le registrazioni del sommergibile; i consulenti tecnici nominati, con riferimento a tale specifica vicenda, dalla procura, dalle parti civili e dalla difesa, e il perito nominato per la trascrizione del file audio).
Appare opportuno evidenziare altresì - oltre, appunto, al fatto che la vicenda, prima dell’esercizio dell’azione penale, venne ritenuta priva di rilievo da più autorità e che, una volta emersa nel dibattimento, è stata prontamente oggetto di accertamenti in contraddittorio - che la nota in questione della Marina Militare già nei primissimi giorni di agosto del 2019 venne portata a conoscenza del Ministero dell’Interno, allora facente capo all’odierno imputato, senza che, evidentemente, alla stessa venisse attribuito, anche in quella sede, valore alcuno, tant’è che non fu utilizzata né come quid novi per il tentativo di reiterazione del decreto di “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale” né ai fini della difesa del Ministro in ambito processuale o in sede di autorizzazione a procedere.
Ed invero, all’udienza dibattimentale del 13 maggio 2022, il teste Fabrizio MANCINI, Direttore del Servizio Immigrazione del Ministero dell’Interno (che già era stato sentito a sommarie informazioni il 30 settembre 2019 dalla Procura di Agrigento e, nuovamente, in data 8 gennaio 2020 dal Tribunale dei Ministri, senza però mai accennare alla nota in questione), ne ha rivelato l’esistenza, come detto, poiché sollecitato in tal senso da una specifica domanda, che introduceva un tema nuovo (“Ci fu per caso una informativa della Marina militare?”), posta dalla difesa dell’imputato che, evidentemente, ne era già a conoscenza.
Soprattutto, va ricordato che lo stesso MANCINI, nel suo esame, ha chiarito che la documentazione audio, video e fotografica, allegata alla nota, gli venne offerta in visione da “tre ufficiali della Marina” nei primi giorni di agosto del 2019.
Tale ultima circostanza, relativa all’esibizione, nell’agosto 2019, di quel materiale negli uffici dello stesso Ministero dell’Interno, è stata poi ampiamente e ulteriormente confermata dalle acquisizioni documentali e dagli esami testimoniali.[176]
Il Ministero dell’Interno, dunque, pur essendo venuto a conoscenza di quella documentazione, pur monitorando, in quei giorni, con estremo interesse, i comportamenti della Open Arms (vicenda posta al centro della crisi politica in atto, come si desume, tra l’altro, dallo scambio di corrispondenza tra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno), e pur aggiornando quasi in tempo reale di tutti gli accadimenti l’odierno imputato, come da quest’ultimo ammesso, non ritenne di valorizzare quelle registrazioni proprio perché da esse, appunto, nulla si ricava a difesa del Ministro odierno imputato.
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Quanto al merito della nota del Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare, datata 5 agosto 2019, relativa ad “evento 1/08/2019 – recupero naufraghi (circa 50) in area SAR libica (..) recuperati dalla nave denominata Open Arms…”, con allegati file audio, video e fotografici, secondo la tesi difensiva da essa emergerebbero, sostanzialmente, tre dati: l’assenza di una situazione di distress del barcone con i 55 migranti; la sospetta registrazione di un colloquio tra due soggetti; la conseguente rotta anomala seguita dalla Open Arms per intercettare il natante da soccorrere; tutti dati che, insieme considerati, farebbero ritenere - sempre secondo la prospettazione difensiva - che la ONG, in data 1 agosto 2019, più che effettuare attività di salvataggio, svolse invece un’illegittima attività di trasporto di migranti in accordo con i trafficanti libici che le fornirono le informazioni per rintracciare il barcone.
Orbene, in linea con le posizioni prima riportate del Tribunale dei Ministri e del T.A.R. Lazio, anche stavolta potrebbe ritenersi superfluo l’approfondimento di una vicenda che, non solo riguarda condotte di terzi antecedenti di 14 giorni alla data del reato contestato, ma che, sempre se interpretabile secondo la prospettazione difensiva, non sarebbe stata egualmente idonea ad esonerare il Ministero dell’Interno dal dovere di rilasciare il POS.
Ed invero, il posto sicuro, come da normativa internazionale più volte richiamata, deve essere indicato a prescindere dalla condotta del comandante, così come ammesso, nel corso del suo esame, dallo stesso Ministro SALVINI il quale, alla domanda se, secondo la sua interpretazione, il procedimento penale iscritto in data antecedente al 1° agosto 2019 a carico del comandante della Open Arms, lo esonerasse dal dovere di rilascio del POS, senza indugio ha risposto negativamente (cfr. pag. 22 del verbale del 12 gennaio 2024).
Tuttavia, si ritiene doveroso non sottrarsi all’analisi di quanto accertato tramite le registrazioni del sommergibile della Marina Militare (che, del resto, hanno corroborato la tesi accusatoria).
Va tralasciata, invece, opportunamente, ogni considerazione sulla strana casualità, rivelata nel dibattimento dai testi OLIVA e PELLEGRINO, che portò il sommergibile a incrociare la Open Arms proprio poco prima dell’emissione del decreto di “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale”, ed in seguito alla quale la ONG venne sorvegliata per almeno 17 ore[177], in una sorta di caccia alle streghe[178].
Non può tuttavia omettersi, prima di accostarsi alle risultanze acquisite, di sottolineare, sin d’ora e a chiare note, che quanto registrato dal sommergibile non presenta alcun carattere di affidabilità, vista la discontinuaattività del periscopio di osservazione e di immagazzinamento dei dati segnalata dai testi OLIVA (cfr. pag. 14 del verbale di udienza) e PELLEGRINO (pag. 41 dello stesso verbale); con la conseguenza che, essendo rimasta incerta la stessa ricostruzione dei fatti, ancora più aleatorie si rivelano le ipotesi formulabili per spiegare i medesimi, come, del resto, ampiamente ammesso, in dibattimento, dallo stesso PELLEGRINO in seguito alla domanda del Presidente che ha chiesto se, in base a quelle acquisizioni, avessero potuto formulare un'ipotesi investigativa: “Semplicemente è stato detto questo, signor Presidente, che laddove provata, laddove rispondesse al vero, si potrebbe ipotizzare l'ipotesi secondo la quale la posizione fosse stata eventualmente trasmessa, da chi, come, quando, questo io non glielo so dire, ma laddove questo fosse stato accertato e laddove questo rispondesse al vero.”
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Quanto alla presunta assenza di distress del natante (senza il quale l’intervento della Open Arms non sarebbe stato di soccorso e salvataggio ma, secondo la tesi difensiva, di favoreggiamento) va dato atto che, per i due appartenenti alla Marina Militare, i citati OLIVA e PELLEGRINO, il barcone, almeno per il ristretto ambito di osservazione del sommergibile, appariva in uno stato di buona galleggiabilità. Tuttavia, entrambi i testi hanno aggiunto di avere constatato che l’equipaggio dell’Open Arms, ai fini del trasbordo dei 55 migranti, distribuì loro, preventivamente, i salvagente; sintomo evidente che i passeggeri del barcone non disponevano, in tutto o in parte, dei minimi strumenti di sicurezza e ciò a fronte, come si vedrà, di un’elevata probabilità di rovesciamento del natante e di numerose ore di navigazione ancora da affrontare.
La situazione di pericolo, che, ovviamente prescinde dall’eventuale buona galleggiabilità verificata dal sommergibile in un minimo segmento della navigazione in corso e che non tiene conto delle diverse miglia che ancora quel natante avrebbe dovuto percorrere per raggiungere la terraferma, è invece stata ampiamente confermata, all’unisono, dai consulenti del Pubblico Ministero e delle Parti Civili, tutti sentiti alla medesima udienza del 24 marzo 2023.
Invero, come accertato dai consulenti nominati dalla Procura, cioè gli ingegneri Renato MAGAZZÙ e Dario MEGNA, i migranti soccorsi dalla Open Arms in occasione del primo intervento del 1° agosto 2019 si trovavano a bordo di un’imbarcazione lunga circa 10-12 metri e larga 2,5 metri, che presentava due motori fuoribordo da 40 hp.
Circa il materiale di costruzione, nella relazione di consulenza (acquisita agli atti) si indicava inizialmente il legno e/o la vetroresina, ma, nel corso del dibattimento, anche in seguito alla visione di immagini più dettagliate riprese dalla stessa Open Arms e proiettate in aula, il consulente MAGAZZÙ ha precisato che, certamente, si trattava di una imbarcazione in legno (cfr. verbale di udienza del 23 marzo 2023, pagg. 70 e 77), come confermato anche dai testi OLIVA e PELLEGRINO sentiti nella medesima udienza.
L’imbarcazione in questione, secondo la relazione dei consulenti del P.M., non rispettava alcuna delle vigenti normative in materia di sicurezza nautica e, in considerazione dell’abnorme numero di persone a bordo (circa il quadruplo rispetto al limite massimo trasportabile per un natante di quelle dimensioni), presentava evidenti condizioni di pericolo, soprattutto sotto il profilo della stabilità.
In quella situazione, la navigazione era “sicuramente altamente perigliosa”, come riferito dall’ing. MAGAZZU’ nel corso del suo esame dibattimentale: “credo che nessuno dei presenti vorrebbe trovarsi nelle condizioni di quella foto, con altre 54 persone accanto in alto mare, diciamo a 80 miglia dalla terra più vicina”.
Invero, a pag. 18 della relazione di consulenza tecnica a firma degli ing. MAGAZZU’ e MEGNA si specifica che: “è l’aspetto della stabilità, legato all’abnorme numero di migranti presente a bordo, quello da ritenere come maggiormente critico, in quanto suscettibile di poter condurre in modo irreversibile all’ingavonamento e conseguente ribaltamento del mezzo, nel caso sempre possibile di imprevedibili e incontrollati spostamenti a bordo degli occupanti, ovvero di eventuale incontro con moto ondoso”.
Inoltre, l’Ing. MAGAZZU’, nella sua deposizione, ha spiegato che tale rischio diveniva ancor più elevato in considerazione del fatto che il barcone, senza l’intervento della Open Arms, avrebbe dovuto ancora percorrere diverse miglia nautiche: “È in potenza la criticità, cioè la possibilità che uno spostamento degli occupanti, visto il numero con cui erano a bordo, potesse portare a una destabilizzazione e quindi a un ribaltamento. Ripeto, mi sono già capitati altri casi, in altri procedimenti, di battelli che erano all'equilibrio, con i migranti seduti, ma già soltanto l’alzarsi in piedi, fa innalzare il baricentro e crea una situazione già destabilizzante, lo spostamento poi laterale, può condurre al ribaltamento. Consideriamo peraltro anche, che la possibilità di movimento, per qual tipo di navigazione, abbiamo visto che erano circa 80 miglia e dovevano farne altre 80, pur con la velocità che concordo non era bassissima, perché spesso avanzano più faticosamente 4-5 nodi, ma anche a 8 nodi, 80 miglia sono dieci ore, altre 80 miglia sono altre dieci ore, dico quindi la possibilità che la gente si possa voler muovere, alzare, può creare in principio situazioni destabilizzanti”.
A conclusioni analoghe è giunto l’ammiraglio Vittorio ALESSANDRO, ufficiale della Guardia Costiera in congedo e consulente tecnico della Parte civile “Legambiente”, secondo il quale il pericolo per l’imbarcazione sussisteva anzi, per le sue condizioni generali, sin dal momento della partenza: “Una barca di 12 metri con 55 persone è una barca in pericolo. Il Regolamento Europeo che disegna i compiti di Frontex, dice che la navigabilità del natante è riferita alla probabilità che questo natante si perda, e bisogna considerare il numero delle persone a bordo, l'equipaggio, se ci sia un equipaggio capace di condurle in sicurezza in porto, la presenza dei dispositivi di sicurezza, se vi sia bisogno di assistenza medica urgente, se ci siano donne in stato di gravidanza o bambini, se ci siano pericoli di cambiamenti delle condizioni meteo, perché anche i 63 centimetri di bordo libero, rimasti residui, quando la barca si è riempita di 55 persone, se arriva un moto ondoso più consistente, diventano pochi, entra acqua a bordo, si modifica la spinta di galleggiamento, si modifica ovviamente anche la stabilità”[179].
Le condizioni di pericolo del natante soccorso dalla Open Arms l’1 agosto 2019 erano evidenti anche per il contro ammiraglio Sandro GALLINELLI, consulente della parte civile Open Arms, secondo il quale “nessuna Autorità né italiana né estera avrebbe mai consentito la partenza di un’imbarcazione in quelle condizioni, questo perché … in questa situazione noi abbiamo un'imbarcazione di limitate dimensioni, non pontata, … sicuramente un minimo di sbandamento o un’onda dovuta, o le condizioni meteo, o al passaggio un’altra imbarcazione, era facile che potesse esserci un imbarco d’acqua, e l’imbarco d’acqua per chi conosce aspetti diciamo di navigazione, sa bene che si crea uno specchio libero, che grava moltissimo i problemi di stabilità, quindi … questa imbarcazione sicuramente aveva la possibilità di arrivare alla sua destinazione, ma era molto più probabile che potesse accadere un qualunque evento pericoloso”[180]. Ed ancora: “..bisogna usare gli stessi parametri che ci sono per la sicurezza dei luoghi di lavoro, cioè il principio di precauzione, l'attenuazione.., se il rischio non può essere eliminato, abbiamo detto che un rischio non può esser eliminato del tutto, deve essere attenuato al massimo, e le condizioni di sicurezza servono proprio a questo. Quella barca non era assolutamente in condizioni di sicurezza, (..) non erano dei diportisti che avevano deciso di partire, erano stati imbarcati da soggetti criminosi, che certo non avevano a cuore assolutamente la sicurezza di queste persone (..)l’attenzione e la sicurezza. Attenzione che sicuramente non c'era perché le condizioni abbiamo detto che erano assolutamente fuori da qualunque standard di sicurezza o da diporto, o pesca, o trasporto passeggeri, assolutamente no. Quindi questa sicurezza non c’era. E poi un’altra domanda che bisogna farsi in questa situazione, se non ci fosse stata questa condizione di sicurezza, voglio dire, se si fosse ritenuto che c'era una condizione di sicurezza tale da poter consentire la navigazione, cosa si sarebbe dovuto fare? Lasciarli continuare a navigare da soli? Ecco come il collega prima ha accennato come minimo ci doveva essere una continua assistenza, e quindi alla fine non c'era, non si poteva lasciarli continuare a navigare in quelle condizioni”.
I consulenti della difesa, Maurizio PALMESE e Massimo FINELLI, Ammiragli della Marina Militare in riserva, invece, hanno cercato di ridimensionare - ma con evidenti contraddizioni (per le quali si rinvia ai controesami del pubblico ministero e delle altre parti) - la situazione di pericolo di quel natante che, per loro, aveva “un assetto di galleggiamento regolare e stabile”.
In seguito a diverse sollecitazioni, specie rispetto alla loro relazione che evidenziava una generale situazione di sicurezza ma, inspiegabilmente, non faceva alcun riferimento al carico di 55 persone, finivano, comunque, per riconoscere la sussistenza di un rischio (FINELLI: “quello che si può dire è che l'imbarcazione potrebbe presentare dei rischi, nessuno dice che l'imbarcazione così carica non presenta dei rischi, il problema è valutare i rischi”.)
I consulenti hanno ammesso poi che il natante si trovava in una “fase di allarme” che, però, consentiva l’attesa dell’arrivo delle autorità competenti (FINELLI: “L’ho già detto, è in fase di allarme. La fase di allarme cose significa, che comunque devo andare a prestare attenzione, quindi c'è una fase di preoccupazione, mi devo avvicinare, se posso dire anche cosa avrei fatto io, se mi fossi trovato con una nave, avrei probabilmente, sicuramente avrei chiamato le Autorità competenti, avrei passato dei salvagenti e avrei atteso disposizioni). Tuttavia, come ammesso dai medesimi consulenti, il pattugliatore libico si mise in contatto radio con la Open Arms oltre due ore dopo dalla distribuzione dei salvagenti (PALMESE M. – Dalle 16:01 viene messo a mare il primo battello, diciamo, di salvataggio, e quindi poi c’è la predisposizione per consegnare i salvagenti individuali. (..) Il pattugliatore libico, dunque alle 18:25, quindi due ore e mezzo dopo, entra in contatto radio, poi dopo un po', adesso non sappiamo esattamente l'orario, dalle immagini del sommergibile, si ricongiunge proprio alla Open Arms, però diciamo alle 18:25 erano in contatto radio) e, comunque, la ONG, al momento del suo intervento in favore del barcone, non aveva avuto modo di avere contezza del prossimo sopraggiungere del suddetto pattugliatore che le avrebbe dovuto, astrattamente, evitare di intervenire (P.M.– nel momento in cui l'Open Arms comincia a dare i giubbotti di salvataggio, vi erano delle evidenze, delle certezze che a breve o nel giro di due ore sarebbe arrivato il pattugliatore libico? FINELLI M. – No, non c'erano queste certezze, però si sapeva che il pattugliatore libico era in zona. (..) P.M. – Sì, e l’Open Arms ..aveva modo di essere a conoscenza che c’erano stati questi interventi dell'Autorità Libica per i vari SAR della giornata? FINELLI M. – Non è scritto sul Giornale di Navigazione).
E ancora, i consulenti della difesa hanno ritenuto che il barcone potesse giungere a destinazione (FINELLI M. – Con dei rischi poteva giungere a destinazione) anche se, su domanda del pubblico ministero, hanno evidenziato che avrebbe dovuto navigare ancora per diverse ore, circa 11, e anche in orari notturni (FINELLI: ci volevano ancora circa otto ore, quante sono 10 ore, 11 ore di navigazione. (..) avrebbero dovuto navigare anche in orari notturni).
Quanto alla questione della stabilità, ne hanno riconosciuto la sussistenza ma soltanto eventuale posto che, a dir loro - ma sulla base di nessun dato oggettivo o anche solo plausibile - nel corso di quella residua lunga navigazione, anche notturna, non ci sarebbero stati peggioramenti delle condizioni del mare né spostamenti dei 55 migranti, bambini compresi (P.M.– I Consulenti delle altri parti hanno parlato di un problema di stabilità dovuta al numero delle persone a bordo, voi su questo concordate? FINELLI M. – È un problema che si sarebbe diciamo evidenziato, se ci fossero stati dei peggioramenti di mare, in tutte le fasi in tutti gli orari considerati, in tutta la fascia oraria non c'è stato.., c'è stato il mare praticamente calmo, quindi con il mare calmo i problemi di stabilità restano solo quelli relativi al carico delle persone, i migranti come si vede dalla foto erano ben sistemati, seduti su una specie di Ponte di Coperta (..). P.M. – Sì, in effetti voi scrivete a pagina 7 della vostra relazione: “I migranti apparivano uniformemente e stabilmente posizionanti”, dico ma questo è un dato statico, non è un dato dinamico, no?! Quindi è in quel momento che i migranti sono uniformemente e stabilmente posizionati, cioè avete elementi per ritenere che sarebbero rimasti tutti e 55 in quella stessa posizione? Che ne so un bambino che scappava dall'altro lato dell'imbarcazione con la mamma che provava a seguire, voglio dire eventi di questo genere.. FINELLI M. – Allora il barchino è stato fotografato ripetutamente dal velivolo, a vari orari, con una cadenza di circa due ore, a partire da circa 09:58, quindi ogni due ore più o meno viene fotografato, in tutte queste fotografie la situazione appare statica, il che significa che sono fotografie, però vuol dire che se sono fotografie ripetute ogni due ore, posso ipotizzare che nel frattempo la situazione non sia variata.).
In sostanza, la pur articolata posizione dei consulenti della difesa nulla aggiunge alla conclamata situazione di pericolo di quel barcone, ictu oculi innegabile.
Rimane il fatto, dunque, che quella, almeno apparente, buona galleggiabilità registrata in un breve arco temporale dal sottomarino non esclude la evidente situazione di distress del barcone che trasportava i 55 migranti.
Senza addentrarsi sull’esistenza di un possibile squarcio dell’imbarcazione, pur ventilata nel corso dell’udienza del 14 marzo 2023 anche dal comandante della Open Arms, né sul verificarsi del blocco di uno dei due motori testimoniato dallo stesso CREUS (“Imbarcava acqua, .. sembrava che ci fosse uno squarcio notevole, di grandi dimensioni. …. il motore era bloccato, il motore della barca era stato bloccato da una parte, da una parte soltanto, non si poteva muovere”), resta evidente che quella situazione era alquanto aleatoria, come l’esperienza ci insegna, per far capovolgere il barcone. Ed anzi, nel caso del verificarsi, più che probabile, di tale gravissimo e ricorrente evento, quel natante non disponeva nemmeno dei dispositivi di sicurezza essenziali, quali i salvagente, che potessero contenere il numero dei morti. Del resto, è altresì legittimo pensare, sia per il particolare sovraffollamento sia secondo l’id quod plerumque accidit, che il barcone non disponesse di bidoni di combustibile sufficiente per completare la tratta (con riguardo a quest’ultimo, assolutamente risibile si è rilevata la ricostruzione dei consulenti della difesa, peraltro con nessuna competenza in materia, fondata sulla colonna di fumo sprigionatasi dopo l’incendio volontario della barca).
Deve, quindi, ritenersi ineccepibile la qualificazione di natante in distress attribuita a quel barcone da Alarm Phone, prima, e dalla Open Arms poi.
Qualificazione, del resto, ribadita nel predetto decreto di divieto di ingresso, portante la firma del Ministro dell'Interno, evidentemente ben informato dell’accaduto e che mai avrebbe riconosciuto una inesistente situazione di pericolo che, peraltro, finiva per disarcionare la normativa sul passaggio non inoffensivo che pur invocava.
A tale ultimo proposito, l’allora Capo di Gabinetto del Ministero dell’Interno, Matteo PIANTEDOSI, su domanda della difesa, ha fatto intendere che il termine distress era stato utilizzato nel decreto interdittivo per mero errore, riproponendo cioè quanto segnalato nella comunicazione dell’evento:
DIFESA – In realtà poi nel provvedimento è stata notata la parola “distress”, lei ricorda perché nel primo provvedimento di divieto c'è scritta la parola “distress”, visto che lei dice in realtà le condizioni erano di galleggiabilità?
TESTIMONE PIANTEDOSI M. – Guardi le dico molto banalmente, è probabile che sia una riproduzione di quelli che poi è la catena di comunicazione che partono dalla comunicazione che fa la stessa nave, nella fattispecie della ONG, quindi non credo, questo è un errore sicuramente, non credo che ci fosse una valutazione di merito nel riprendere quel tipo di valutazione, (..) credo che l'utilizzo di quel termine, in maniera erronea, come credo di poter dire, fosse una mera riproposizione.
Tale spiegazione, in realtà, è inidonea ad escludere quel distress poiché, anche se fosse stato meramente riproposto, è tuttavia stato recepito senza metterlo in discussione, basandosi indubbiamente sul dato di esperienza secondo cui un barcone di legno con 55 migranti in alto mare non può che essere in pericolo.
Se così non fosse, sarebbe davvero singolare che, proprio in occasione del primo decreto interdittivo emesso in applicazione del neo decreto sicurezza bis e che inaugurava la linea dura contro le ONG, il Ministero dell’Interno non si fosse premurato di smentire un inesistente dato di primaria importanza o, comunque, di riportarlo attribuendolo alla segnalazione anziché a sé stesso.
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Quanto alla registrazione della conversazione “intercettata” tramite il canale VHF di libero accesso, che precederebbe l’immediato e repentino cambio di rotta della Open Arms e che, secondo la linea difensiva, andrebbe interpretata come il momento in cui un membro dell’equipaggio della ONG venne informato riservatamente (probabilmente da uno scafista libico o da un suo emissario) della posizione del barcone dei migranti, pare opportuno riportare preventivamente il testo integrale di quel dialogo:
-Se trata de un barco de arrastre o un barquito de estos de maciera pequeño
-[***] vemos aqui, ¿no? Tú dices un barco, que es mucho más que a tracción palangre.
-[Rip] El que vemos aqui, ¿no? Ta dices un barço, que es mucho más que a tracción palangre.
-[Se escucha "Pronto", en Haliano]
-¿Te refieres a las 10 o a las 122
-Bien recibido, Carlitos, bien recibido.
[Voces confusas de fondo]
-[Rip] [***] bien recibido, Carlitos, bien recibido.
-[Voces confusas de fondo]
-(***) todo, todo es palangre, ¿no?, me dices.
Deve anticiparsi che, dopo tutte le ipotesi avanzate all’udienza del 24 marzo 2023 per cogliere il reale significato di tale conversazione e comprendere tra chi e dove fosse intercorsa, alla successiva udienza del 9 giugno 2023 il Presidente della fondazione Open Arms Oscar CAMPS, sentito attraverso un interprete, ha dissipato ogni dubbio e chiarito il supposto mistero riportando quel dialogo nell’ambito delle normali interlocuzioni di navigazione:
PUBBLICO MINISTERO –il 1° agosto del 2019 un sottomarino della Marina Militare ha registrato una breve conversazione tra due soggetti, (..) sa dirci chi erano gli interlocutori, uno dei due dovrebbe chiamarsi Carlitos da quanto emerge dalla trascrizione.
INTERPRETE – Tra il Capitano e il Marinaio di Coperto che si chiama Carlitos, che è il nome affettuoso che avevamo, però non saprei dire il cognome.
PUBBLICO MINISTERO – E come comunicavano questi due soggetti, erano entrambi a bordo dell'Open Arms?
INTERPRETE – Il Capitano dal ponte e lui attraverso un equipe di trasmissione portatile. ..Sarebbe una radio. …Il Capitano era sul ponte e il Marinaio nella coperta principale, e parlavano delle luci di un apparecchio di pesca, che a volte troviamo sul mare e che c’è una luce che si accende. … E chiedeva il Capitano se aveva visto questi luci. E lui diceva che sembravano le luci di un apparecchio di pesca, che si usa sul mare. Ci sono tanti e se l’imbarcazione si avvicina a uno di questo, l’elica si può rompere.
Anche a prescindere dalle suddette dichiarazioni di Oscar CAMPS, può giungersi alla medesima interpretazione sulla base delle risultanze acquisite nel corso dell’udienza del 24 marzo 2023.
Invero, in primo luogo, tutti i testi, tra cui il trascrittore ma anche il sommergibilista, hanno riferito che entrambi gli interlocutori parlavano la lingua spagnola mentre non vi è traccia di parole o frasi in lingua araba o inglese, circostanza che, già da sola, rende poco probabile che uno dei dialoganti fosse uno scafista libico.
Ancora, non è stato provato che, al momento di tale intercettazione, la Open Arms fosse stata avvicinata da un qualsiasi altro natante da cui sarebbero state riferite le riservate informazioni posto che il sommergibile, come affermato dai testi OLIVA e PELLEGRINO, non registrò alcun avvicinamento.
Anzi, in merito alla possibile distanza intercorsa tra gli interlocutori, nessuno dei testi ha potuto escludere che il dialogo possa essere avvenuto a bordo della stessa Open Arms, e quindi tra i membri dell’equipaggio, peraltro di nazionalità spagnola. Addirittura, è lo stesso teste PELLEGRINO che finisce per avvalorare tale ipotesi:
PUBBLICO MINISTERO – E quindi non c'era un altro natante, tra virgolette, quando c'è questa intercettazione di comunicazione.
TESTIMONE PELLEGRINO A. – Il sommergibile non riferisce di questa cosa, prova a contestualizzare, nel senso non la riferisce perché non è così alto sull'acqua tale per cui deve avere una visuale ampia, e vedere effettivamente cosa c'è. Ecco, però sicuramente era una comunicazione che avveniva tra soggetti che verosimilmente si guardavano. Ora se erano a distanza di un metro o a distanza di qualche centinaio di metri, questo non glielo so dire. (..)
PARTE CIVILE,– Potrebbero essere comunicazioni che si svolgono da un punto all’altro della nave (..)
TESTIMONE PELLEGRINO A. – Allora, ho visto guardi proprio stamattina, Avvocato, diciamo ho rivistole dimensioni dell'Open Arms, che se non erro è 35 metri lunga per 10 larga, quindi voglio dire non è un assetto estremamente grande, ecco perché è un dato oggettivo, quindi io non so dirle se i soggetti parlanti uno stesse a prua e uno stesse a poppa, ecco, se è quello che mi sta chiedendo lei, non lo so, non lo posso escludere, quello che le posso dire è che sicuramente se si parlavano erano a distanza ravvicinata, e quanto ravvicinata non lo so.
PARTE CIVILE, – Però dico, lei risulta, che nelle navi sia un modo di comunicare per ricetrasmittente da un punto all’altro? (..) E quindi ce le hanno le ricetrasmittenti, no?
TESTIMONE PELLEGRINO A. – Certamente, se lei mi sta parlando di quella situazione è usuale.. anzi, occorre un flusso informativo adeguato tra quelli che sono, diciamo così, le aree nevralgiche della nave. Detto ciò, in quella situazione specifica non le so dire, se chi parlava con l’altro, in lingua spagnola stessero là. Se lei mi chiede: normalmente sulle navi si parla con la ricetrasmittente? La risposta è sì, laddove non si riescono a parlare in altro modo.
Del resto, nel dialogo si fa riferimento a “un barquito desto de madera pequeño”, dove con il termine pequeño, cioè piccolo in lingua spagnola, gli interlocutori identificano una piccola imbarcazione, che nulla ha a che vedere con il barcone dei migranti lungo circa 10-12 metri e largo 2,5 metri, per poi concludere che todo, todo es palangre, ¿no? cioè tutto, tutto è palàngaro, quindi attrezzatura da pesca, compatibile con quanto ha riferito il teste CAMPS.
Dalla conversazione “intercettata” alle ore 12, si comprende inoltre che i due dialoganti stavano parlando di una imbarcazione a loro vicina (-Se trata de un barco de arrastre o un barquito de estos de maciera pequeño- vemos aqui, ¿no? cioè “È un peschereccio o una di quelle piccole imbarcazioni -che vediamo qui, vero?”), mentre il barcone dei migranti sarebbe stato avvistato solo alcune ore dopo.
Anzi, anche dal punto di vista temporale, non risulta alcun nesso tra tale conversazione delle ore 12 e il ritrovamento del barcone avvenuto intorno alle ore 16:00. Dalla ricostruzione cronologica dei fatti di quel 1° agosto 2019 effettuata dagli stessi consulenti della difesa, emerge, al contrario, che tale ritrovamento è temporalmente collegato alle indicazioni, dichiarate e annotate sul diario di bordo, fornite alla Open Arms da Alarm Phone alle 15:43. E purtuttavia, i predetti consulenti hanno insistito sulla possibilità che l’informazione fosse giunta alle ore 12, avventurandosi in fantomatiche ricostruzioni fondate su opinioni del tutto personali (come mi sarei comportato io), sconnesse ai dati di fatto ma, a loro giudizio, necessarie perché, altrimenti, sempre a dir loro, resterebbe inspiegabile la condotta di navigazione tenuta dalla ONG nelle ore antecedenti all’avvistamento del barcone (P.M.– .. voi dite che intorno alle 12:00 l'Open Arms ha avuto notizia della posizione di .. questa barca con i migranti. Sempre dalla vostra cronologia, io leggo che alle 15:43 l'Open Arms riceve da Alarm Phone, l'indicazione della posizione, corrispondente scrivete voi, a quella effettiva dell’imbarcazione, e che quindi 15 minuti dopo, alle 16:01, - questi sono gli orari da voi riportati - la Open Arms inizia le operazioni. Dico come si può spiegare il fatto che l'Open Arms fa queste attività a distanza di 15 minuti circa dalle indicazioni di Alarm Phone, rispetto al fatto che già alle ore 12 aveva presumibilmente secondo i vostri accertamenti notizia sulla localizzazione di questa barca? FINELLI M. – Sì guardi la risposta è complessa, se mi chiedesse oppure se mi chiede come mi sarei comportato io per far uscire fuori questo grafico che abbiamo ricostruito..(..) (P.M. – Sì, noi abbiamo capito che sono sue opinioni, quindi su questo non chiedo altro. FINELLI M. – Sì, no, sto tentando di ricostruire questa curva, perché non si può spiegare altrimenti insomma).
In ogni caso, deve quantomeno concludersi per l’assoluta neutralità di quella intercettazione posto che il dialogo non ha un evidente e univoco significato e che, comunque, se si volessero ignorare le dichiarazioni di CAMPS, rimarrebbero ignoti i suoi interlocutori (P.M.– quindi secondo voi l’Open Arms ha avuto delle informazioni per raggiungere poi la barca dei migranti. La questione importante a questo punto, no, stabilire chi ha dato queste informazioni, voi siete in grado di stabilire chi ha dato queste informazioni? CONSULENTE FINELLI M. – Assolutamente no) sicché non è possibile affermare ragionevolmente l’esistenza e la presenza, in quel frangente, di uno scafista libico o di un soggetto a costui collegato che fungeva da fonte informativa per l’Open Arms.
Per non dire poi che un eventuale dialogo di tal fatta, cioè così come ipotizzato dalla difesa, non proverebbe nessun genere di accordo con la ONG che era alla ricerca, come sempre accade, di informazioni, da chiunque esse provengano, per il salvataggio di vite in mare.
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L’altro elemento residuo per dimostrare l’illecita attività posta in essere dalla Open Arms, cioè l’improvviso cambiamento di rotta e di velocità della nave non spiegabile senza la “soffiata” delle ore 12:00, a questo punto, essendo stato privato dall’assenza del distress del barcone e dalle presunte informazioni libiche, si presenta inconsistente potendosi giustificare, come del resto chiarito dal teste Oscar CAMPS, con quella miriade di fattori variabili che intervengono durante la navigazione e non con le ipotesi proposte dai consulenti della difesa, ma rimaste indimostrate.
Più concretamente, il comportamento della Open Arms è assolutamente spiegabile alla luce del fatto che la ONG navigava al precipuo fine di cercare e salvare migranti e ciò faceva, quel 1° agosto 2019, proprio in acque SAR libiche cioè in una zona dove è più probabile, rispetto ad altre, di incrociare i barconi stracolmi di cittadini stranieri in fuga dalle loro località di origine. Così come potrebbe essere spiegabile con i vari cambiamenti di rotta richiesti al comandante CREUS, come dallo stesso riferito in dibattimento, dal pattugliatore libico, per evitare intralci nelle proprie attività di salvataggio.
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La vicenda del sommergibile, quindi, in ultima analisi, si rivela del tutto ininfluente rispetto al procedimento a carico del Ministro SALVINI, sia perché, qualora svoltasi in termini di accordo tra i membri dell’equipaggio dell’Open Arms e gli scafisti libici, non solleverebbe, come detto, l’odierno imputato dalle sue responsabilità connesse al mancato rilascio del POS per fare giungere sulla terraferma oltre un centinaio di persone, sia perché, comunque, il materiale acquisito non è in grado di dimostrare nulla di quanto si è voluto far intendere nella ricostruzione difensiva, se non che la Open Arms, svolgendo attività di ricerca e soccorso, quel 1° agosto trasse in salvo 55 migranti che navigavano in una situazione di pericolo.
§ 1.2. L’eventuale sussistenza di elementi di diritto idonei ad esonerare l’autorità italiana dall’obbligo di rilasciare il POS
L’insieme dei precetti, nazionali e internazionali, che costituiscono la legislazione del mare a cui fare riferimento, può riassumersi con l’efficace espressione utilizzata dal teste DE FALCO: “occorre dare terra ai naufraghi”.
Nei provvedimenti formali emanati dal Ministro dell'Interno nel corso della presente vicenda, le cui ragioni in diritto vennero riproposte anche nella corrispondenza intercorsa con il Presidente del Consiglio, sono state offerte interpretazioni del substrato normativo di riferimento di segno ben diverso rispetto alle consolidate prassi ermeneutiche sia internazionali sia dello stesso Ministero (almeno in epoca antecedente e successiva all’avvento dell’imputato) che, ora, appare opportuno analizzare per stabilire la legittimità degli atti prodotti nella fattispecie che si riflette, inevitabilmente, sulla legittimità della privazione della libertà personale dei migranti.
§ Il decreto interdittivo del 1° agosto 2019
Il 1° agosto 2019, applicando per la prima volta l’art. 11 comma 1-ter del D. lgs. n. 286/98 [181] come modificato dal decreto sicurezza bis (D.L. n. 53/2019, convertito nella L. n. 77/2019), il Ministro dell’Interno SALVINI disponeva, nei confronti della Open Arms, il “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale”, con decreto controfirmato dai Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti (ruoli allora rispettivamente ricoperti da Elisabetta TRENTA e Danilo TONINELLI).
Già la stessa norma legittimante il decreto interdittivo rivelava profili di incostituzionalità poiché, come spiegato nella prima parte della presente memoria, da un lato, non si poteva applicare per impedire la conclusione di eventi di soccorso gestiti delle ONG e, dall’altro, essa risultava del tutto superflua posto che la disciplina dei passaggi offensivi era già prevista e disciplinata dai citati artt. 18 e 19 della Convenzione UNCLOS.
Non è dunque un caso che l’art. 11 comma 1-ter del D. lgs. n. 286/98, voluto per contrastare le autonome attività delle ONG, prima venne emanato con talune significative osservazioni del Presidente della Repubblica inviate ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio (“Osservo che con riferimento alle norme sull’immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone a bordo e trasportate. Non appare ragionevole, ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto, fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”), e poi venne abrogato con D.L. 130/2020 conv. dalla L. 173/2020.
Ciò che più rileva ai fini del presente giudizio è che quel decreto venne sospeso in via d’urgenza, con provvedimento del 14 agosto 2019, dal Presidente della Sezione Prima ter del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, che ne riconosceva sia l’illegittimità per violazione di legge sia la palese contraddittorietà laddove, dando atto del distress dell’imbarcazione, poi invocava, incompatibilmente, l’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994”.
Egualmente, il Tribunale dei Ministri lo dichiarò, incidentalmente, illegittimo, con conseguente sua disapplicazione: “Tale questione non può che risolversi alla luce dell’illegittimità - che qui va valutata, seppur in via incidentale- del menzionato decreto interdittivo, alla stregua del compendio normativo nazionale ed internazionale sopra tratteggiato”.
Gli argomenti a sostegno della illegittimità, sotto il profilo della violazione di legge sono, peraltro, numerosi.
A tal proposito, vale la pena rinviare, innanzitutto, alle diverse norme internazionali (e alla relativa giurisprudenza) già citate che, sotto diversi aspetti, subordinano le possibili attività di controllo dei propri confini da parte di uno Stato al rispetto dei diritti umani a garanzia dei quali è previsto lo sbarco in un luogo sicuro.
Più in particolare, bisogna evidenziare che lo stesso art. 19 par. 2 lett. g) della Convenzione UNCLOS, invocato dal Ministro nel suo provvedimento, sul “carico o scarico di .. persone in violazione delle leggi ..di immigrazione vigenti nello Stato costiero”, non poteva trovare applicazione nel caso concreto. Se è vero infatti che la Open Arms intendeva trasferire i migranti soccorsi nel territorio italiano (ma ciò dal 14 agosto, cioè dal momento che ottenne il ridosso a Lampedusa per ragioni di necessità e, per di più, contestualmente all’annullamento del decreto di divieto di ingresso), è altrettanto vero che tale scarico non poteva definirsi realizzato in violazione delle leggi di immigrazione facendo parte, invece, dell’ultimo segmento di eventi SAR che, secondo la normativa vigente, si ritengono conclusi con lo sbarco dei naufraghi in un luogo sicuro. Anzi, lo stesso art 19 cit. trova il proprio limite applicativo intrinseco nell’art. 18 del medesimo testo normativo per il quale la potestà degli Stati sul passaggio offensivo cessa laddove tale stesso passaggio sia “finalizzato a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo” (art. 18 Conv. UNCLOS).
L’illegittimità di tale provvedimento si apprezza altresì considerando che venne adottato quando il natante si trovava ancora in acque SAR libiche e finiva così per realizzare un respingimento collettivo (vietato sia dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, approvata il 28.7.1951 e ratificata dall’Italia con L. 24.7.1954 n. 722, nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’uomo e dai relativi protocolli addizionali) specie, come nel caso concreto, quando tra i naufraghi vi siano persone che hanno manifestato la volontà di chiedere il riconoscimento dello stato di rifugiato.
Ancora, il fatto che numerosi migranti soccorsi avevano già, nel corso del viaggio e durante la vigenza del decreto interdittivo, rappresentato l’intento di avanzare istanza di protezione internazionale, imponeva che la valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; D.lgs 286/98 e discendente DM 14 luglio 2003; etc.) non venisse effettuata in mare, né venisse rifiutata, in modo aprioristico, negando la possibilità di approdo e sbarco (con conseguente violazione del divieto di espulsioni collettive ex art. art. 4 del Protocollo Addizionale n. 4 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e della Costituzione).
Con riguardo alla normativa interna, il vizio della violazione di legge del decreto interdittivo emerge anche in relazione alla legge Zampa, n. 47/2017 (art. 19 comma 1-bis D. Lgs n. 286/1998, introdotto dall’art. 3 della citata L. 47/2017) che, unitamente al D. Lgs. n. 142/2015, prevede espressamente il diritto dei minori non accompagnati di essere accolti in strutture idonee, di ottenere il permesso di soggiorno, di non essere respinti alla frontiera e di non essere espulsi.
L’aspetto più rilevante di tale illegittimità è tuttavia un altro, potendosi astrattamente ipotizzare che l’imputato, al momento dell’emanazione del decreto, non fosse consapevole delle, seppure eclatanti, criticità giuridiche dell’atto.
Ci si riferisce, in particolare, allo sviamento di potere che quel decreto realizzava e che, invece, non poteva essere sfuggito all’odierno imputato.
Invero, il Ministro SALVINI, come si è detto, ben conosceva, dal punto di vista fattuale, sia che il primo salvataggio effettuato dalla Open Arms riguardava una imbarcazione in distress sia che non sussistevano concretamente i paventati pericoli posti a fondamento del divieto considerati esistenti automaticamente.
Risulta, allora, evidente che con il decreto in esame, l’imputato, prevedendo il possibile arrivo della Open Arms in acque nazionali, volle vietargliene aprioristicamente l’ingresso in modo da impedire lo stesso insorgere dell’obbligo italiano di rilasciare il POS.
Che la finalità ultima del decreto fosse proprio questa è confermato, non solo dal fatto che mancava l’essenziale presupposto di fatto, cioè il passaggio offensivo al di fuori di un evento SAR, che potesse legittimare il divieto di ingresso, ma anche dalle dichiarazioni del Ministro TRENTA che non ha esitato ad evidenziare che il provvedimento interdittivo serviva semplicemente a scoraggiare la ONG ad avvicinarsi verso i porti italiani.
Tale reale finalità è poi definitivamente comprovata sia dalla pretestuosa interpretazione, come si dirà, che il Ministro dell’Interno intese attribuire al dictum del TAR (secondo cui l’intervento dell’autorità giudiziaria amministrativa, pur consentendo alla nave di accedere in acque italiane, non era idoneo a generare l’obbligo del POS), sia dalla immediata emissione di un nuovo decreto interdittivo, in mancanza di un quid novi (SALVINI: “avevamo ritenuto, con l'ingresso nelle acque territoriali, superato il divieto del TAR, … se era offensivo prima, continuava a essere offensivo per quello che ci riguarda”) che, correttamente, gli altri due Ministri si rifiutarono di sottoscrivere, sia dalla precisa volontà del Ministro di non autorizzare più nemmeno “mezzo sbarco” di clandestini, come più volte dallo stesso dichiarato sui propri profili social in quel preciso periodo temporale (come meglio si vedrà più avanti).
Allora, il concreto scopo del decreto interdittivo – che va ben oltre quello per cui la norma citata gli attribuiva il potere di vietare l’ingresso e, cioè, la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (rispetto ai quali il passaggio non inoffensivo ex art. 19 UNCLOS è una sottospecie) – si risolve evidentemente nel vizio dello sviamento di potere a causa del perseguimento di un interesse ben diverso rispetto a quello stabilito dalla legge; interesse che era invece quello, in ultima analisi, come dimostra il complesso quadro probatorio acquisito e come sottolineato anche dal Tribunale dei Ministri, di perseguire ad oltranza la politica dei porti chiusi anche contra ius(“la normativa cogente a tutela dei diritti personali dei migranti soccorsi era indiscutibilmente nota al Ministro dell’Interno che, pur richiamandola nei propri atti e provvedimenti, ha esplicitamente inteso considerarla in posizione secondaria rispetto alla potestà di operare un controllo delle frontiere effettivo, utilizzando tale forzatura per indurre le autorità dell’Unione Europea a cooperare più efficacemente alla redistribuzione dei migranti in tutti i Paesi dell’Unione).
In sostanza, la palese illegittimità del provvedimento dimostra, per un verso, che quel decreto, fondato già su una norma traballante, giammai poteva intralciare la conclusione delle operazioni di soccorso della ONG e giammai poteva svincolare lo Stato italiano dalle proprie responsabilità previste dalle leggi del mare e da quelle, anche nazionali, in tema di accoglienza dei minori non accompagnati, e ciò anche indipendentemente dall’intervento del TAR e/o dalla interpretazione che si volle poi dare al provvedimento del giudice amministrativo; per un altro verso, dimostra che, sin dall’avvio della presente vicenda, le intenzioni del Ministro dell’Interno erano quelle di sottrarsi pretestuosamente ai suoi doveri concernenti il rilascio del POS piegando, a tal fine, l’interpretazione delle norme alla sua visione politica dei fenomeni migratori.
§ La nota dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno del 19.8.2019
Dopo l’ingresso della Open Arms in acque nazionali, avvenuto solo in seguito all’accoglimento da parte del TAR Lazio del ricorso proposto dalla stessa ONG, il Ministro dell'Interno ha ritenuto di essere ancora esonerato dal rilascio del POS in territorio italiano.
Tali ragioni in diritto, dopo giorni di reiterato silenzio rispetto alle ripetute richieste di un luogo di sbarco avanzate anche a partire dal 14 agosto con l’ingresso in acque italiane (o quantomeno nella zona SAR italiana), vennero esplicitate nella nota dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno del 19.8.2019, a firma del Vice Capo di Gabinetto, Prefetto Paolo FORMICOLA, concordata con l’imputato (come dichiarato dall’allora Capo di Gabinetto PIANTEDOSI) e possono così sintetizzarsi:
a) il decreto interdittivo del 1° agosto, non aveva cessato di produrre i suoi effetti a seguito del provvedimento del Presidente del TAR Lazio del 14 agosto, che lungi dall’annullare l’atto impugnato, si era limitato a indicare misure cautelari d’urgenza, finalizzate a consentire l’ingresso del natante nelle acque territoriali per garantire assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli, non imponendo alle Autorità Italiane alcun obbligo in ordine all’assegnazione di un porto di sbarco nel territorio nazionale; peraltro, i necessari soccorsi erano stati già ampiamente prestati dalle autorità italiane sia effettuando numerose Medevac sia mediante lo sbarco dei minori non accompagnati;
b) la richiesta di POS, può essere avanzata solo nell’ambito di un “quadro.. caratterizzato dalla adesione alle regole dettate .. in materia di soccorso in mare” mentre la Open Arms aveva manifestato, con la sua condotta, la precisa intenzione di porre in essere un’attività “volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia”; ciò alla luce del “mancato coinvolgimento delle Autorità dello Stato di bandiera, il rifiuto di raggiungere Malta – nonostante la disponibilità manifestata dalle Autorità maltesi – per procedere allo sbarco delle 39 persone tratte a bordo il 9 agosto scorso e, in generale, la contraddittorietà delle condotte concretamente poste in essere rispetto alle finalità asseritamente perseguite..”;
c) La correttezza della posizione fino ad allora assunta dall’autorità italiana in merito ai doveri gravanti, in quella fattispecie, sullo Stato di bandiera, aveva trovato conferma sia da parte della Spagna che, da ultimo, aveva manifestato l’intenzione “di esercitare la propria giurisdizione” sulla nave, offrendo un POS, sia “dal coinvolgimento della Commissione europea, con riguardo alle attività di redistribuzione”.
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Le motivazioni poste a sostegno del diniego rendono anche tale provvedimento irrimediabilmente viziato per la violazione di legge e per eccesso di potere (sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza dell’atto).
Orbene, quanto al primo punto, risaltano ictu oculi la pretestuosità dell’argomentazione e la sua contrarietà alle disposizioni di legge (“non emerge ..alcun obbligo alla assegnazione di un porto.., bensì la richiesta di fornire adeguata assistenza alle persone più bisognevoli”): se è vero, infatti, che il provvedimento del TAR del 14 agosto 2019 mai avrebbe potuto imporre un obbligo di autorizzare lo sbarco, non essendo quello l’ambito della cognizione dell’autorità giudiziaria amministrativa, trattandosi peraltro di un obbligo discrezionale nel quomodo, è altrettanto vero, però, che per effetto della sospensione del divieto e del conseguente legittimo ingresso della Open Arms in acque territoriali, quell’obbligo si era invece pienamente materializzato in ragione, non della pronuncia del TAR, ma della piena operatività, a quel punto, della normativa internazionale sugli eventi SAR.
Ancora, se gli effetti del provvedimento del TAR fossero stati soltanto quelli di caldeggiare le singole Medevac - a cui, peraltro, le autorità italiane avevano provveduto senza esitazioni già dai primissimi giorni di agosto senza frapporre ostacoli (anche perché, lo si sottolinea, non rientravano nelle competenze del Ministero dell'Interno ma, come detto dallo stesso SALVINI, nelle sue spontanee dichiarazioni del 12 gennaio 2024, del Ministero della Salute e del Ministero dei Trasporti) - non si capirebbe perché l’imputato provò immediatamente a emettere un nuovo decreto di divieto di ingresso (non riuscendovi in quanto i due ministri che avrebbero dovuto controfirmarlo, si rifiutarono fermamente), né si capirebbe il motivo del mandato all’Avvocatura Generale dello Stato (citato nello stesso provvedimento in esame) per impugnare la decisione del TAR che si limitava a suggerire condotte che già erano state poste in essere e che lo Stato intendeva continuare a porre in essere (come affermato dall’imputato) in caso di singole necessità mediche.
Era evidente invece che, in assenza di ostacoli giuridici all’ingresso in area marittima italiana, il Ministro SALVINI era ben consapevole che non avrebbe più potuto sottrarsi al rilascio del POS essendovi vincolato dalle leggi del mare e dal loro riconoscimento costituzionale e che il protrarsi del suo silenzio alle istanze della Open Arms, quantomeno a partire dal 14 agosto, si traduceva in una illegittima omissione che aveva avuto come immediata conseguenza quella di privare della libertà personale oltre un centinaio di migranti. Conseguentemente, aveva urgente necessità di riproporre frettolosamente quel decreto o di provare ad impugnarne, tramite l’Avvocatura dello Stato, la sua sostanziale caducazione.
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Con riguardo al secondo punto della motivazione, appare inutile soffermarsi ancora su tali argomenti avendo già avuto modo di illustrare sia la correttezza della condotta della ONG sia, comunque, l’assoluta inapplicabilità a quella fattispecie dell’art. 19 cit. Conv. UNCLOS.
E, in effetti, proprio perché mancavano tutti gli elementi di fatto, anche sopravvenuti rispetto al primo decreto, che rendessero il passaggio della Open Arms offensivo, l’imputato, ben conscio di ciò, ha affermato, nel suo esame, a tal proposito, che “io ricordo che in quel momento la preoccupazione era questa sentenza del TAR potesse creare un precedente per altri episodi successivi”.
La ragione del diniego emesso, ergo, non andava individuata nell’esistenza di concrete ragioni impeditive all’indicazione di un luogo sicuro, ma nel timore del fallimento del decreto sicurezza bis emanato proprio a sostegno della politica dei porti chiusi la quale, a quel punto, non avrebbe più potuto contare su uno strumento essenziale, capace di incidere perfino sull’insorgenza stessa dell’obbligo del POS.
*
Non appare ragionevole né conforme al diritto anche quanto evidenziato al terzo punto del provvedimento, essendo già stato chiarito che, in un evento SAR, lo Stato di bandiera non ha, in quanto tale, alcun obbligo di rilasciare il POS a meno che sia, al contempo, lo Stato che possa indicare il porto sicuro più vicino, fatto questo, come visto, non ricorrente nella fattispecie che ci occupa.
Sul punto, anche il Ministro degli Esteri spagnolo, dialogando, durante la vicenda della Open Arms, con l’allora Ministro degli Esteri italiano, Enzo MOAVERO MILANESI, quest’ultimo sentito all’udienza del 17 maggio 2024, non riusciva a capire le ragioni per cui la Spagna avrebbe dovuto rilasciare un POS ad una nave che stazionava in Italia ed anzi auspicava un fermo intervento del Presidente del Consiglio italiano nei confronti del suo Ministro dell'Interno (MOAVERO: “dal punto di vista spagnolo, Il Ministro degli Esteri me lo ha ripetuto a più riprese, non c’era dubbio che non esistesse una responsabilità della Spagna in quanto Stato di bandiera della nave (..) Voi siete il Paese più vicino. sostanzialmente perché devono venire da noi? (..) Se la competenza ad autorizzare lo sbarco è del Ministro dell’Interno, come mai il Presidente del Consiglio non si impone?).
L’intervento tardivo della Spagna, quindi, lungi dall’avvalorare le inedite tesi giuridiche dell’imputato, si è rivelato essere soltanto un espediente diplomatico per porre fine alla vicenda che, col trascorrere del tempo, si faceva sempre più incresciosa, anche mediaticamente (cfr. esame di MOAVERO nella parte in cui riferisce lo scambio di telefonate con il Ministro degli Esteri spagnolo: “le telefonate … per cercare di trovare una soluzione ad una vicenda che .. aveva connotati drammatici (..) C’era una preoccupazione del Ministro spagnolo sulla vicenda che assumeva anche un rilievo mediatico anche in Spagna).
Allo stesso modo, il citato “coinvolgimento della Commissione europea, con riguardo alle attività di redistribuzione”, come meglio si dirà, non sollevava minimamente lo Stato dal rilascio del POS, trattandosi di procedure incidentali e di natura diplomatica che non modificano le leggi del mare e la relativa conclusione dell’evento SAR con lo sbarco nel posto sicuro e, per di più, in tempi ragionevoli.
§ La nota del Ministro dell’Interno del 15.8.2019 al Presidente e al Procuratore presso il Tribunale per i minorenni di Palermo
Va premesso che, nel corso della vicenda in esame, con e-mail del 6 e del 7.8.2019, la Open Arms segnalava la presenza a bordo di diversi minori, anche non accompagnati, dei quali forniva un dettagliato elenco.
A loro volta, come si è detto, il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo e il Procuratore della Repubblica presso tale stesso ufficio, in data 8 agosto 2019 trasmettevano una istanza con cui chiedevano all’imputato e agli altri due Ministri firmatari del decreto interdittivo, quali provvedimenti intendessero adottare per i 27 minori non accompagnati presenti sulla Open Arms dato che il predetto divieto “equivaleva in punto di fatto ad un respingimento o diniego di ingresso ad un valico di frontiera, vietati dall’art. 19 co. 1 bis D. vo 286/98 come integrato dall’art. 3 della legge 47/17”.
Il Ministro dell’Interno rispondeva personalmente a tale nota con una missiva del 15 agosto 2019 in cui esponeva le ragioni giuridiche per cui non si riteneva investito della questione dei minori non accompagnati, ragioni queste ulteriormente esplicitate in altre missive indirizzate al Presidente del Consiglio Conte e vertenti sui medesimi argomenti.
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Orbene, la lettera di risposta dell’imputato all’autorità giudiziaria minorile deve innanzitutto considerarsi equivalente ad un vero e proprio diniego di POS, seppure limitatamente ai minori non accompagnati, sia per i suoi contenuti sia in quanto indirizzata agli organi deputati ad avviare le procedure finalizzate all’accoglienza dei minori in strutture idonee, alla nomina di un tutore e al rilascio del permesso di soggiorno.
Tale lettera, inoltre, si rivela tardiva, e dunque omissiva rispetto al dovere di provvedere immediatamente per i minori per i quali la legge nazionale, come meglio si dirà, assegna una corsia preferenziale per lo sbarco che, dovendo essere immediato, deve prescindere da altre possibili valutazioni di opportunità.
Ancora, quanto alle sue motivazioni, la missiva o, meglio, il provvedimento in esame, si fonda su argomentazioni palesemente illegittime.
Va ricordato, infatti, che, nell’atto in questione, il Ministro SALVINI declinava qualunque competenza (“in relazione a tanto, non si ritiene ricorrano al momento le condizioni per assumere provvedimenti in merito alla questione posta”) poiché:
-i minori si trovavano, in quel momento, a 46 miglia dal limite delle acque territoriali;
-in ogni caso “in base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la competenza sulle persone tratte a bordo appartiene allo Stato di bandiera”, così come confermato dalla normativa internazionale tra cui l’art. 92, paragrafo 1, della UNCLOS, (che sancisce che “le navi navigano sotto la bandiera di un solo Stato e sono sottoposte in alto mare, salvo i casi eccezionali espressamente previsti da trattati internazionali o dalle regole della presente Convenzione, alla sua giurisdizione esclusiva”).
Ebbene, emerge innanzitutto la manifesta contraddittorietà e illogicità della posizione espressa nella suddetta nota di risposta, bastando sottolineare soltanto che, alla data del 15 agosto, i minorenni si trovavano già in acque nazionali, sicché qualunque escamotage giuridico utilizzato per sostenere la giurisdizione spagnola non era più ragionevolmente utilizzabile.
Emerge altresì una altrettanto manifesta violazione di legge. Invero, la eventuale extraterritorialità della sovranità spagnola, oltre a cessare in acque nazionali italiane, rimane inconciliabile - per coloro che invece sono sottoposti all’ordinamento italiano - con l’art. 19 comma 1-bis D. vo 286/98 (“In nessun caso può disporsi il respingimento alla frontiera di minori stranieri non accompagnati”), espressamente invocato dal Presidente e dal Procuratore del Tribunale per i minorenni, nonché con il complesso normativo della legge Zampa (L. 47/17) tra cui, in particolare l’art. 19-bis che, adeguandosi alla legislazione internazionale citata (secondo cui gli Stati devono procedere all’immediata identificazione dei minori stranieri non accompagnati, con una presunzione in favore della minore età, e alla loro collocazione in spazi dedicati, diversi da quelli destinati agli adulti), impone il compimento di una serie di attività propedeutiche alla tutela del minore straniero non accompagnato sin dal momento in cui esso sia “stato segnalato alle autorità di polizia, ai servizi sociali o ad altri rappresentanti dell'ente locale o all'autorità giudiziaria”, come avvenuto nel caso di specie.
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Per comprendere meglio quale sia stata la posizione del Ministro sui minori, le ragioni poste a sostegno del diniego del POS comunicato all’autorità giudiziaria minorile vanno integrate con quanto da egli scritto, sempre in quello stesso 15 agosto 2019 e sempre sulla medesima questione, al Presidente del Consiglio dei Ministri (che, il giorno precedente lo aveva invitato “ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti sull’imbarcazione”) al quale palesava, ancora più chiaramente, i motivi per cui riteneva di declinare ogni competenza sui minori non accompagnati.
Invero, nella lettera al Presidente Conte, il Ministro SALVINI oltre ad insistere sulla giurisdizione dello Stato di bandiera (nonostante avesse stavolta riconosciuto l’arrivo dei minori in acque nazionali), precisava che: la Direttiva europea 2001/55 del 2001, definisce minori non accompagnati «i cittadini di paesi terzi o gli apolidi di età inferiore ai diciotto anni che entrano nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnati da una persona adulta responsabile per essi in base alle leggi o agli usi, finché non ne assuma effettivamente la custodia una persona per essi responsabile, ovvero i minori lasciati senza accompagnamento una volta entrati nel territorio degli Stati membri». Nel caso di specie risulta che i minori abbiano effettuato il tragitto in mare insieme ad altri adulti, cui erano stati verosimilmente affidati secondo gli usi. Inoltre, una volta a bordo della nave, è il comandante della stessa ad esercitarne legalmente la custodia, per cui non si tratta di minori non accompagnati secondo la definizione giuridica europea”.
Ora, in un ordinamento nazionale e sovranazionale tarato sulla necessità di garantire, con tutti i mezzi possibili, i soggetti più vulnerabili, una interpretazione di tal genere sulla definizione di minore non accompagnato suscita, a dir poco, vivo stupore, anche perché proviene da un soggetto particolarmente qualificato.
In primo luogo, infatti, al Ministro non risultava da nessuna fonte, non avendo voluto disporre verifiche in tal senso, se quei minorenni - anzi se tutti i 27 minorenni - fossero stati affidati a qualcuno degli altri migranti; né gli risultava, soprattutto, se un tale affidamento fosse avvenuto nell’ambito precauzionale della tutela del minore o nell’altrettanto ricorrente ambito criminale del traffico degli esseri umani che, come ben noto al Ministero dell'Interno, si realizza anche attraverso i fenomeni migratori.
Ancora, anche dal punto di vista strettamente giuridico, non può farsi rientrare l’eventuale incarico di accompagnamento del singolo minore a taluno dei migranti nella nozione di affidamento a “una persona adulta responsabile per essi in base alle leggi o agli usi” contenuta nella norma citata dal Ministro. Infatti, ove l’affidamento si fosse effettivamente realizzato, esso sarebbe avvenuto in una peculiare situazione ove anche il migrante affidatario si trovava esso stesso in una posizione di vulnerabilità che non gli consentiva una vera e propria assunzione di responsabilità verso i minori. E, in ogni caso, al tempo di quella missiva, tanto il minore che il suo ignoto accompagnatore versavano entrambi in una grave situazione di pericolo, come già precisato, dovuta alle generali condizioni della Open Arms e alle sopravvenute avversità metereologiche.
Quanto, poi, all’invocato ruolo di custode dei minorenni rivestito dal comandante della nave, va osservato che lo stesso concetto di custodia non è idoneo a inglobare quella più articolata posizione di garanzia necessaria per la tutela rafforzata che si intende perseguire. Proprio per questo, la normativa in materia, anche nazionale, prevede che, non appena si ha notizia di minori non accompagnati, devono immediatamente attivarsi le procedure per la loro salvaguardia e ciò a prescindere dall’esistenza di un comandante responsabile di una nave.
Del resto, la specifica situazione in cui si trovava la Open Arms (essa stessa in distress), non consentiva di immaginare minimamente l’esercizio di una custodia effettiva per ciascuno dei 27 minori da parte di Marc CREUS (il quale, peraltro, secondo lo stesso decreto interdittivo, in quel momento stava compiendo l’illecita attività di trasferimento di migranti sì da rendere ancora più difficile, per il Ministro, potere ipotizzare la custodia di un minore ad opera di un criminale e, per giunta, proprio durante la perpetrazione del crimine stesso).
Va altresì ricordato che l’imputato in tale stessa missiva e in quella successiva del 17 agosto, entrambe rivolte al Presidente del Consiglio, in più passaggi ha evidenziato che si trattava di presunti minori, per poi specificare, nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, che, così come allora ipotizzato, alcuni di loro risultarono essere maggiorenni.
Pure la posizione assunta sull’età dei migranti da parte del Ministro dell'Interno, si pone in contrasto con la presunzione sulla minore età imposta dal diritto internazionale che, proprio al fine di evitare ogni indugio nell’assicurare quella tutela rafforzata, considera inizialmente adeguate anche le generiche informazioni sulla presenza di minorenni per poi rinviare ad un successivo momento i relativi accertamenti.
La posizione di assoluto diniego del POS per i minorenni veniva cristallizzata, infine, il 17 agosto, cioè due giorni dopo le missive sopra analizzate, quando il Ministro SALVINI ribadiva ancora una volta, con un’altra lettera al Presidente CONTE, le sue convinzioni anche se, suo malgrado non avrebbe più impedito il loro sbarco quale frutto di esclusiva determinazione del capo del Governo:
“Per tutte le ragioni suesposte, resto convinto della validità delle tesi che ho avuto già modo di rappresentarTi con la mia precedente lettera del 15 scorso (..) In ogni caso, avendo già rimesso in precedenza a Te, in ragione delle funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento che l'ordinamento attribuisce al Presidente del Consiglio, la valutazione dell'adozione di provvedimenti anche in difformità dal mio orientamento, prendo atto che disponi che vengano sbarcati i (presunti) minori attualmente a bordo della nave Open Arms. Darò pertanto, mio malgrado, per quanto di mia competenza e come ennesimo esempio di leale collaborazione,disposizioni affinché non vengano frapposti ostacoli all'esecuzione di tale Tua esclusiva determinazione, non senza ribadirTi che continuerò a perseguire in tutte le competenti sedi giurisdizionali l'affermazione delle ragioni di diritto che ho avuto modo di esporti.
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È ben chiaro, adesso, che le pur irremovibili motivazioni, manifestate anche lo stesso giorno dello sbarco dei minori, sull’assenza di giurisdizione, sull’affidamento dei minori ai migranti adulti e/o al comandante, sulla non comprovata età, si rivelano grossolani espedienti - peraltro mai prima di allora adottati per i minori non accompagnati giunti nelle nostre frontiere - inidonei a sollevare le autorità nazionali dal dovere di avviare quel sistema di garanzie previste dall’ordinamento.
La piena consapevolezza dell’imputato del fatto che tutte quelle argomentazioni fossero palesemente irragionevoli e contra ius emerge anche dalla inedita posizione assunta al riguardo, nel corso del suo esame:
PUBBLICO MINISTERO- Nel gestire questa situazione (..) riteneva di adottare delle soluzioni diverse rispetto ai minori che erano a bordo almeno dal momento in cui la nave entra in acque nazionali? …
IMPUTATO SALVINI – Appena nominati i tutori i minori sono sbarcati.(..)
PRESIDENTE – Si vorrebbe sapere con maggiore precisione, nel dettaglio, chi avesse disposto lo sbarco dei minori che si trovano a bordo dell'Open Arms, poi? (..)
IMPUTATO SALVINI M. – Allora mi vado a riprendere il carteggio.(..) il 17 nominati tutori dal Tribunale, fu disposto lo sbarco.
In sostanza, l’imputato ha lasciato intendere che il 17 agosto 2019, giorno in cui effettivamente il Tribunale per i minorenni nominò i tutori, i minori della Open Arms poterono sbarcare grazie all’emanazione di tale provvedimento di nomina (senza il quale, quindi, lo sbarco non avrebbe potuto realizzarsi).
Anche la nuova spiegazione offerta dal Ministro però non si rivela convincente.
Egli, fino a quello stesso 17 agosto, aveva ribadito fermamente l’assenza delle più basilari condizioni per rilasciare il POS ai minorenni, e mai nelle sue lettere, e soprattutto in quella rivolta al Presidente e al Procuratore del Tribunale per i minorenni, ebbe a segnalare la mancanza della formale nomina dei tutori come condizione necessaria al loro sopraggiungere sulla terraferma italiana; nomina che, del resto, l’autorità giudiziaria competente non avrebbe tardato a formalizzare se mai fosse stata preliminare al rilascio del POS che, sin dall’8 agosto, accoratamente richiedeva.
La nomina del tutore, invece, non è altro che una delle tante attività che lo Stato deve sì porre in essere in quelle situazioni, ma non incide minimamente né sull’evolversi degli eventi SAR in generale né, ancor meno, sullo sbarco dei minorenni in particolare.
Allora, appare verosimile che, a fronte di un chiaro e indiscusso quadro giuridico che impedisce alle autorità nazionali di tergiversare sullo sbarco dei minorenni, il Ministro abbia individuato, nel provvedimento di nomina dei tutori, un’ancora a cui aggrapparsi per giustificare un ritardo che rimane ingiustificabile.
§ Le ripercussioni istituzionali
La lapalissiana infondatezza delle argomentazioni giuridiche poste a sostegno dell’assenza di un obbligo per il Ministro dell'Interno di rilasciare il POS, finanche per i minori non accompagnati, utilizzate, dapprima per evitare l’insorgere del dovere con il divieto di ingresso in acque nazionali, e poi, con il legittimo arrivo dell’Open Arms a Lampedusa, per escludere il diritto della ONG di sbarcare in Italia, consente altre importanti considerazioni al fine della valutazione e della ulteriore caratterizzazione delle condotte per cui si procede.
Le originali interpretazioni giuridiche del Ministero dell'Interno guidato dall’odierno imputato, invero, si sono rivelate un unicum rispetto alle prassi ormai consolidate nella gestione dei numerosi salvataggi di migranti in cui il nostro Paese, almeno negli ultimi venti anni, è stato particolarmente impegnato tanto da dotarsi di norme che hanno rafforzato la tutela dei profughi, come quella serie di disposizioni che ne regolano l’accoglienza o come la legge Zampa per i minori stranieri non accompagnati.
La sola novità legislativa, nella vicenda in esame, era rappresentata dal citato decreto sicurezza bis che però non aveva, e concretamente non ha avuto, la forza di stravolgere il quadro normativo, spesso di fonte primaria, che regola i salvataggi in mare, tanto che la sua prima applicazione ha incontrato il giudizio negativo dell’autorità giudiziaria amministrativa la quale, in sostanza, non ha potuto fare a meno di rimarcare che, a fronte della superiore necessità di soccorso delle vite in mare, i pericoli connessi al terrorismo o alla immigrazione illegale, qualora effettivamente esistenti (ma come visto assenti nel caso di specie), assumono secondaria e postuma valenza.
Eppure, neanche di fronte all’intervento del TAR che, dunque, ricordava implicitamente come le disposizioni del decreto sicurezza bis non avessero il potere di modificare il consolidato impianto delle leggi del mare, il Ministero dell'Interno ritenne di conformarsi alla normativa vigente.
Che l’interpretazione ministeriale della legislazione in materia non fosse addebitabile ad una semplice ignorantia, risulta evidente già dal fatto che essa provenisse da una autorità qualificata, appunto il Ministero dell'Interno che, peraltro, in tempi immediatamente precedenti, si era mossa in tutt’altra direzione (e lo stesso dicasi per i tempi successivi).
È evidente che lo staff - a cui il Ministro ha fatto riferimento nel suo esame, a domanda del Presidente del Tribunale - chiamato a sostenerlo nell’individuazione e interpretazione delle norme di riferimento, era stato piegato per manipolarle verso direzioni che potessero offrire un appiglio giuridico in grado di offrire una pur minima parvenza di legalità all’operato, tutt’altro che legittimo, dell’imputato. Di rilievo è, al riguardo, la deposizione della teste GARRONI che ha evidenziato, appunto, che, nello stesso Gabinetto del Ministro, tante erano le voci di coloro che si sentivano disorientati da soluzioni ermeneutiche di tal fatta.
L’intenzionalità di quel neo bizantinismo interpretativo che sconvolgeva ogni certezza del diritto risulta ancora più lampante se si tiene in considerazione quel vero e proprio caos istituzionale a cui quelle inedite posizioni diedero luogo: poiché la strategia perseguita fu quella di piegare le norme alla politica dei porti chiusi e non viceversa, venne meno l’applicazione delle più basilari disposizioni in materia sì da costringere le altre istituzioni coinvolte ad approntare soluzioni di fortuna non potendo di certo permettersi di lasciare quei naufraghi senza terra.
Eloquente è, al riguardo, il netto rifiuto dei Ministri TRENTA e TONINELLI che, inopinatamente e in assenza di rilevanti sopravvenienze, si videro ripresentare la bozza di un nuovo decreto interdittivo sebbene quello del 1° agosto fosse stato appena sospeso dal TAR (TRENTA: “Io ero convinta dall'inizio che non andasse firmato un nuovo decreto di divieto, perché non si reitera in mancanza di novità, (..) Io rifiutai di firmarlo, perché ritenni che valesse ancora di più la decisione del TAR del Lazio, (..) perché comunque erano passati altri giorni e la situazione a bordo era peggiorata ancora di più, e poi era una reiterazione di un Decreto già annullato, immotivata, e senza che fossero intervenute altre novità, se non novità peggiorative rispetto alla vita di chi era a bordo. (..) ritengo che le nostre battaglie, giuste, non debbano ricadere sulla vita dei più fragili e che ci siano dei diritti umani che vadano sempre, sempre, sempre rispettati; DE FALCO: “a quel punto, il 15, io scrissi appunto al Ministero della Difesa, chiedendo di non firmare (..) quindi una reiterazione sostanzialmente, anche se sotto forma diversa di quel decreto avrebbe comportato sicuramente una violazione ancor più aberrante del diritto e dei diritti delle persone”; TONINELLI: “le informazioni che arrivavano erano informazioni che a bordo della nave la situazione diventava complicata, dobbiamo ricordare che si tratta non di una nave preposta all’attività di soccorso di persone in mare,(..) e quindi per questo motivo, e perché.., ma per senso di logica non si potesse più fermare, reiterare un decreto già annullato che era identico a quello annullato con le sue condizioni”).
Particolarmente eloquente è, altresì, lo stato di enorme difficoltà della Capitaneria di Porto che si ritrovò stretta nella morsa tra il dovere di salvare le vite in mare e quello di rispettare il diniego ministeriale del POS.
Invero, a fronte del peggioramento delle condizioni meteo-marine del 14 agosto 2019 e pur mai avendo formalmente assunto il coordinamento delle operazioni di salvataggio, essa dovette e volle consentire il ridosso della Open Arms (già legittimamente giunta in acque nazionali) presso le coste di Lampedusa quale ormai “unica condizione di sicurezza per evitare tragedie”(cfr. esame LIARDO), e ciò perché, nonostante la estrema pericolosità delle situazione quel POS continuava a non essere indicato (cfr. esame CAPUTO, Prefetto di Agrigento: “una delle preoccupazioni, in presenza di una difficoltà nell’autorizzare l’attracco della nave, è stata determinata dal fatto che, appunto, l’improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche potesse porre a repentaglio la vita dell’equipaggio e dei migranti presenti a bordo”).
E, data la drammaticità della situazione, IMRCC Roma dovette sottolineare, nel trasmettere al Ministero dell'Interno la richiesta di POS, (ri)avanzata da Open Arms, che “per quanto attiene questo IMRCC non vi sono impedimenti di sorta, si prega di far conoscere con ogni ulteriore cortese urgenza gli intendimenti di codesto NCC in merito alla questione in parola” (v. msg. del 16.8.2019) per evidenziare che non si poteva continuare a sottrarsi all’obbligo del rilascio del POS lasciando la Guardia Costiera con le spalle al muro (cfr. esame MANCINI: insomma la Capitaneria di Porto giustamente anche loro avevano le loro... le loro esigenze e pressavano noi per sapere che cosa dovevano fare).
Altrettanto indicativo è l’espediente a cui ha cercato di ricorrere la Capitaneria di Porto, nel tentativo di trovare una soluzione attraverso le Medevac (di competenza del Ministero della Salute e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), quando, pur consapevole dell’impossibilità di svolgere singole visite mediche per ciascun migrante, con e-mail del 19 agosto, delle ore 15:35, richiedeva la trasmissione di un report medico individuale per ciascuno dei naufraghi.
Emblematica è anche la riunione del 15 agosto 2019 del Comitato provinciale dell’ordine e della sicurezza pubblica di Agrigento, convocata proprio perché, in assenza del rilascio del POS ormai non più ritardabile, le autorità locali si trovarono costrette a fare fronte, per come meglio potevano, alla più che fondata previsione che i singoli migranti, esasperati e ormai vicini alla terraferma, si sarebbero gettati in mare, adottando misure di contenimento di un grave pericolo, per l’incolumità fisica dei singoli e per la sicurezza a bordo del natante, generato proprio dalla perdurante omissione del Ministro dell'Interno (cfr. il cit. esame del Prefetto di Agrigento, Dario CAPUTO). Una riunione, dunque, riguardante non le ordinarie questioni connesse allo sbarco, ma quelle, ben più gravi, connesse al mancato sbarco e cioè “portare soccorso a chi si fosse buttato in mare” (cfr. CAPUTO).
E, in effetti, diverse persone si lanciarono in acqua sì da creare seri pericoli per la vita umana e mettere in crisi gli stessi apparati istituzionali che non potevano far fronte a tale emergenza (TRINGALI: “poi, si, dalle nove e mezza in poi, dieci di mattina, fu un susseguirsi di migranti che si buttavano in mare, tant’è che mandammo quasi tutte le nostre motovedette con gli operatori specializzati, i rescue swimmer, a bordo per recuperare i migranti che erano stremati e non riuscivano nemmeno più a nuotare e non erano nemmeno collaborativi, perché non volevano essere soccorsi, cioè volevano ritornare a nuoto a terra, e quindi ci fu un po’ difficile l’attività di soccorso, comunque di recupero di queste persone che si buttarono in mare”).
Di particolare importanza è quanto avvenne con riguardo allo sbarco dei minori.
Oltre alla nota datata 8 agosto 2019, di certo non usuale, del Presidente e del Procuratore presso il Tribunale per i minorenni, il cui testo è emblematico della gravità e urgenza della situazione rispetto ai minorenni che si trovavano alla frontiera, anche la deposizione del Ministro della Difesa, TRENTA, conferma l’agitazione dello stesso Governo, manifestata già prima del decreto sospensivo del TAR (Sì, era prima del Decreto del TAR del Lazio), per l’incuranza dell’odierno imputato anche su un tema tanto delicato:
Ho cercato di interloquire con tutti, perché dal momento stesso in cui ho ricevuto informazione da parte del Tribunale dei Minori, dell'esistenza a bordo di molti minori, adesso il numero non.., mi pare che fossero 26 non accompagnati, mi sono preoccupata soprattutto per loro e dopo non essere riuscita a parlare con il Ministro Salvini, ho parlato comunque con Di Maio, con Toninelli e con Conte, dicendo che avevo deciso di inviare, di chiedere al Capo di Stato Maggiore della Difesa di dare l'ordine alla Marina di intervenire per poter effettuare il trasbordo dei minori. Questa era una cosa che doveva essere fatta molto velocemente, perché il mare era Forza 4 in quel momento, e tendeva a crescere, e quindi operammo in questo senso, poi in realtà il mare è diventato troppo grande per poter effettuare il trasbordo, per cui le navi seguirono la Open Arms pronti ad intervenire anche in una situazione che non era più una situazione di sicurezza, però per accertarsi che tutto stesse andando per il verso giusto”.
Anche la Guardia Costiera si ritenne in dovere di rappresentare, nei limiti in cui ciò poteva fare, la sua posizione di totale disaccordo rispetto alla posizione del Ministro dell'Interno sui minorenni.
Invero, già alle ore 1:03 del 16 agosto 2019, IMRCC scriveva una e-mail al Gabinetto del Ministro dell’Interno, tutta in stampatello, quasi a volere rappresentare la gravità ed urgenza della situazione, in cui si sollecitava l’adozione degli indifferibili e obbligatori provvedimenti: “pregasi voler far conoscere, con la massima cortese urgenza, circa l’assegnazione di POS per la nave Open Arms, allo stato attuale alla fonda nelle immediate vicinanze del porto di Lampedusa. Parimenti si richiede altresì di far conoscere le eventuali disposizioni circa lo sbarco dei 31 minori ancora presenti a bordo della nave in parola”.
Ancora, l’indomani 17 agosto, il Comando Generale della Guardia Costiera, con una nota a firma dell’amm. Giovanni PETTORINO, rispondendo all’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, era costretto a prendere le distanze dalla posizione del Ministero dell'Interno e, quindi, rappresentava non solo che le cinque richieste di POS erano state tempestivamente inoltrate “senza, al momento, ricevere alcun riscontro” ma anche che: “i mezzi ed il personale della Guardia Costiera presenti su Lampedusa sono pronti a procedere al trasferimento dei 28 minori non accompagnati sull’isola, non ravvisando, per quanto di competenza, alcun impedimento a tale operazione; quanto sopra previa autorizzazione allo sbarco da parte della competente Autorità di Pubblica Sicurezza”.
Pure il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione non poteva che assumere la stessa posizione con l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. Ed invero, Prefetto Daniela PARISI, nella nota del 16 agosto 2019, inviata per conoscenza al Gabinetto del Ministro dell’Interno, rappresentava che, per quanto di competenza di quel Dipartimento, si era tempestivamente provveduto ad organizzare le necessarie misure di accoglienza previste dalle normative vigenti, ma che sarebbero state attivate solo al momento dell’autorizzazione allo sbarco.
Altra rilevante testimonianza della perdita della bussola delle regole, è lo scambio di corrispondenza intercorsa in quei giorni tra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Interno poiché il primo si trovò costretto a scrivere più volte all’imputato, sia prima che dopo l’arrivo in acque territoriali della nave, ricordandogli la portata della normativa in vigore e ribadendogli con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori (cfr. lettera del 14 agosto 2019: “Ti invito, pertanto, nel rispetto della, normativa in vigore, ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti nell'imbarcazione; cfr. lettera del 16 agosto 2019: Alla stregua delle argomentazioni di cui sopra, è dunque necessario che sia autorizzato lo sbarco immediato delle persone di età inferiore agli anni 18 presenti a bordo della nave Open Arms. (..) Ma ribadisco, ritengo ora assolutamente necessario che sia immediatamente autorizzato lo sbarco prioritario in Italia di tutti i minorenni che si trovano a bordo della nave).
Come poi precisato nel corso del dibattimento, il Presidente, in quella circostanza, sentì il dovere (come anche auspicato dal Ministro degli Esteri spagnolo; cfr. dichiarazioni di MOAVERO) “di esercitare una sorta di moral suasion, rispetto a quantomeno alla situazione dei minori che mi appariva, ecco, la posizione in quel momento del Viminale, veramente non.., come dire, che non avesse il benché minimo fondamento giuridico, al di là di qualsiasi altra valutazione politica”.
Vi è anche da dire, sempre a proposito dei minori, che, nonostante gli approfondimenti dibattimentali, non è dato sapere con certezza chi ordinò il loro sbarco (il Ministro SALVINI, suo malgrado? Il Ministro TRENTA? Il Tribunale per i Minorenni? Il Prefetto di Agrigento?); ciò probabilmente perché, a fronte della protrazione di una gravissima situazione di lesione dei diritti dei soggetti fragili, ad un certo punto divenne inevitabile e naturale, da parte di tutte le autorità coinvolte nella vicenda, ritenere che la salvaguardia dei minori fosse improcrastinabile.
Il disordine istituzionale originato dal protrarsi dell’illegittimo diniego del POS nell’epoca in cui venne meno ogni scusa per concederlo, riguardò lo stesso Ministero dell’Interno sia a causa dell’intenso susseguirsi di interlocuzioni tra IMRCC e NCC sia a causa delle perplessità manifestate tra il personale del Gabinetto che non riusciva più a controllare la situazione e non sapeva più che scuse riferire a sostegno di quel ritardo (cfr. esami dei testi MANCINI e MARTELLO i cui passaggi di rilevo sono riportati nella parte dedicata alla ricostruzione dei fatti, nonché esame del Prefetto GARRONI sulle discussioni con i componenti del Gabinetto del Ministro, molti dei quali convinti della necessità di rilasciare il POS).
Anche il Governo venne travolto dalla posizione assunta dal Ministro dell’Interno. Oltra a quanto riferito dal Ministro TRENTA in merito ai minori, il teste DI MAIO, vicepremier insieme a SALVINI, ha ricordato che, all’epoca dei fatti, “c'erano riunioni informali politiche per affrontare la decisione del Ministro Salvini che aveva negato il POS” (..) e poi allora c’è stata anche la questione dei minori, che è stato oggetto di dibattito”;decisioni queste che lo stesso Governo apprendeva dai giornali (attraverso i media, attraverso le dichiarazioni del Ministro Salvini) pur trattandosi ormai di una questione che aveva assunto fondamentale importanza anche rispetto ai rapporti con gli Stati europei.
A tal ultimo proposito, altrettanto inedito si è rivelato il rilascio del POS della Spagna - oggettivamente insensato e contrario alla miriade di norme che prevedono la vicinanza del porto di sbarco e l’agevolazione delle navi soccorritrici a completare le operazioni - a cui si è pervenuti solo dopo una serie di lunghe interlocuzioni tra i Ministri degli Esteri italiano e spagnolo e nonostante quello Stato si ritenesse incompetente, ma che poi finì per rinunciare alla propria posizione, per non dire alla propria sovranità, a causa della drammaticità umana di quella situazione e della relativa pressione mediatica (cfr. esame di MOAVERO: “le telefonate … per cercare di trovare una soluzione ad una vicenda che .. aveva connotati drammatici (..) C’era una preoccupazione del Ministro spagnolo sulla vicenda che assumeva anche un rilievo mediatico anche in Spagna).
Pure inedita, rispetto alle regole fin lì applicate, si è rivelata la previsione di una scorta della Guardia Costiera italiana per condurre i migranti della Open Arms in Spagna, non trattandosi in questo caso del mero trasporto ai fini della ricollocazione dei naufraghi, ma di soggetti rispetto ai quali il Ministero dell'Interno aveva declinato ogni competenza.
Lo stesso Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ha confermato che la soluzione di “accompagnare una nave ONG, a centinaia di chilometri di navigazione, attraverso una imbarcazione della Guardia Costiera non è un'anomalia, di più. La prassi è farli sbarcare, identificarli, e ridistribuirli, questa è la prassi, il nodo della vicenda è lo sbarco, quando, sì, no, ma non può essere intesa come una fattispecie ordinaria quella di cui stiamo parlando, dell'accompagnamento in un altro Stato”. Egli quindi si prestò, come precisato nella sua deposizione, al fine di trovare comunque una soluzione che non poteva tardare ancora a causa dell’ingiustificabile chiusura del Ministro dell’Interno: “l'ho semplicemente fatto perché il Viminale non stava, nonostante le richieste, aprendo un place of safety in territorio italiano”.
Anche a livello degli equilibri internazionali, la posizione del Ministro SALVINI creò una particolare agitazione come riferito, ancora, dal teste MOAVERO il quale, peraltro, non esitò a informarne l’odierno imputato invitandolo all’osservanza delle convenzioni internazionali: “Ci sono state prese di posizione, alcune di carattere più formale, ricordo da parte delle Nazioni Unite, Ginevra, (..); ci sono state prese di posizione a carattere verbale .. nel corso di riunioni presso il Ministero della Farnesina, con il rappresentante delle Nazioni Unite per i rifugiati, con il rappresentante delle Nazioni Unite per le migrazioni, esprimevano preoccupazione su quanto accadeva in generale nel Mediterraneo .. e naturalmente nei vari casi specifici che si sono verificati. (..) Faceva parte del mio dovere di informare un collega di Governo (il Ministro Salvini, n.d.r.) di questo tipo di situazioni, di lamentele, di preoccupazioni, e anche richiamando quello che a me sembrava, a noi il Ministero degli Esteri sembrava essere il dettato delle convenzioni internazionali”.
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In sostanza, in ultima analisi, le norme per come invocate e interpretate a sostegno dell’assenza di un obbligo italiano al rilascio del POS, consegnano plasticamente la figura di un Ministro dell'Interno che procede in direzione opposta rispetto a tutte le altre istituzioni, interne e internazionali, scomponendo il complessivo puzzleordinamentale democratico che, così privato di una delle sue tessere fondamentali, cioè la tutela dei diritti dell’uomo in occasione di eventi SAR, perdeva la sua stessa identità.
§ 1.3. Sussistenza di eventuali elementi che potessero consentire all’autorità italiana di ritardare il rilascio del POS
Altra questione che deve essere affrontata è quella riguardante la sussistenza di condizioni che potessero incidere sulla tempistica al rilascio del POS; domanda questa ancor più necessaria se si considera che l’imputato, nel suo esame, ha dichiarato che, se non fosse intervenuta la Procura di Agrigento, nell’arco di pochi giorni si sarebbe determinato a concedere il posto sicuro, mentre nelle sue dichiarazioni spontanee ha anche fatto riferimento ad una miriade di casi in cui il place of safety è stato indicato dopo diversi giorni dalla richiesta delle nave soccorritrice senza che ciò abbia dato luogo all’avvio di procedimenti penali a carico del Ministro dell’Interno in carica.
Di seguito si analizzeranno, pertanto, i possibili elementi che avrebbero potuto legittimare il Ministero dell’Interno a postergare il rilascio del POS che, va ricordato, deve essere indicato, secondo le normative vigenti, entro un tempo ragionevole, cioè entro un lasso di tempo che sia opportuno rispetto alla situazione concreta.
A tal proposito è utile partire dalla deposizione della teste LAMORGESE, Ministro dell’Interno del Governo “Conte2”, la quale ha spiegato che, nella pratica, la tempistica del rilascio del POS può essere condizionata da un lato, cioè da parte delle autorità, dalla necessità di individuare un hot spot ove collocare i migranti appena sbarcati e dalla questione della loro ridistribuzione in altri Paesi europei, e dall’altro lato, cioè con riferimento alla nave, dalla sua capacità di essere un posto sicuro temporaneo; elementi questi che insieme determinano i tempi concreti per l’indicazione del posto sicuro.
§ La questione degli hot spot
Il Ministro LAMORGESE, come accennato, ha fatto riferimento alla problematica riguardante la immediata collocazione dei migranti subito dopo lo sbarco:
(..) , se si trattava di un numero veramente limitato, ed è capitato, allora era più facile la collocazione là dove invece c'erano delle ONG che avevano numeri importanti, e allora ad avere i numeri importanti, ricollocarli, farli scendere e dargli una idonea collocazione, quando ne erano arrivati i 9.000 in 15 giorni, creava problemi. Quindi, ciò nonostante abbiamo provveduto, facendo attendere un po' di più, ma poi alla fine il porto è stato dato regolarmente.
(..) Quando si tratta di numeri più grandi, devi avere concretamente dove collocarli, e quindi là, e quando ne arrivano tanti insieme.., voi pensate che nel mese di giugno c'erano il sei navi ONG in mare, che avevano circa mille persone, quindi collocarli un po' alla volta, cioè dando un po' alla volta il POS, ma considerando che collocare mille persone nei Centri, non è stata una cosa semplice, quindi questa è stata un po' la linea che abbiamo seguito.(..)
PARTE CIVILE– Se l’Hotspot è vuoto? Si devono aspettare i ricollocamenti o si devono sbarcare subito?
TESTIMONE LAMORGESE L. – Guardi queste sono regole che sono scritte, quindi secondo me in questo caso se l’Hotspot era vuoto potevano scendere e poi fare la ricollocazione a livello europeo.
PARTE CIVILE – Potevano o dovevano?
TESTIMONE LAMORGESE L. – Se erano in SAR italiana, in base a quelle che sono le norme, salvo che non ci siano problemi, che so di ordine pubblico specifico, tant'è che era stato fatto un Decreto ad hoc, e allora in quel caso dovevano farli scendere.
Può ora subito escludersi che alle vicende della Open Arms abbia potuto contribuire la questione inerente all’individuazione di un idoneo luogo di accoglienza dei migranti sulla terraferma.
Innanzitutto, mai l’imputato o gli altri testi hanno evidenziato che il Ministero dell’Interno, pronto a rilasciare il POS, stesse temporeggiando nell’attesa dell’individuazione di hot spot disponibili.
D’altra parte, è emerso, nel corso del dibattimento, che l’isola di Lampedusa, presso la quale si trovava la ONG, era in grado, sostanzialmente, di accogliere i migranti a bordo della Open Arms, senza necessità di cercare altrove, almeno nell’immediatezza, un luogo più idoneo.
Infatti, come risulta dai rapporti giornalieri in atti, la situazione delle presenze all’interno del centro di Lampedusa, nel periodo dal 14 al 20 agosto 2019, non era oggettivamente ostativa ad ospitare i suddetti naufraghi sì da dovere temporeggiare per la ricerca di altre soluzioni[182].
Inoltre, com’è noto e come è stato riferito dal teste Leonardo TRINGALI, nonostante la limitata recettività del centro di accoglienza di Lampedusa a causa di un precedente incendio, il numero dei posti letto disponibili non costituiva un limite inderogabile all’ospitalità di più numerosi migranti; infatti “in passato, si era più volte superato, in fase di emergenza, il limite massimo di posti letto disponibili, consistente in circa un centinaio di postazioni”[183].
Tali informazioni sono state confermate anche dal Questore di Agrigento, dott.ssa Rosa Maria IRACI la quale, sul punto, ha riferito che “la struttura deputata ad accogliere, eventualmente, i migranti, ovvero l’hotspot di Lampedusa, era operativa e funzionante e ritengo che la struttura organizzativa poteva tranquillamente gestire lo sbarco di tutti i migranti presenti sulla Open Arms”[184].
Il dato è stato ribadito, all’udienza dell’8 aprile 2022, dal Prefetto di Agrigento, dott. Dario CAPUTO, secondo cui: “in quei mesi, diciamo, negli anni in cui sono stato titolare della sede di Agrigento, quindi dal 2018 al 2020, erano in corso presso la struttura di Lampedusa lavori di ristrutturazione, perché purtroppo più volte il centro ha subìto danneggiamenti ad opera degli stessi migranti, e quindi la capacità teorica di accoglienza della struttura, che, se non ricordo male, all’epoca poteva essere di circa 300 persone, era sensibilmente ridotta proprio a causa della contemporanea presenza delle imprese che stavano effettuando i lavori di ristrutturazione. Ricordo che al momento in cui Open Arms era nelle acque internazionali la presenza all’interno del centro era comunque abbastanza contenuta, è salita evidentemente allorquando, per disposizione della Procura della Repubblica di Agrigento, si è provveduto al sequestro della nave e, quindi, sono stati fatti sbarcare i circa 100-120 migranti, ora non ricordo con precisione quanti fossero. Per cui, all’incirca poi, una volta effettuato lo sbarco, se ben ricordo, la presenza all’interno del centro si è attestata intorno alle 115-120 unità, posso sbagliare di qualche numero se parliamo del centro di Lampedusa”.
A domanda della difesa, il Prefetto CAPUTO ha precisato che, in ogni caso, situazioni di sovraffollamento all’interno del centro di Lampedusa costituiscono “quasi l’ordinaria amministrazione”[185].
Se ne ricava, dunque, che, in assenza di problematiche relative alle strutture di accoglienza (per gli adulti), stando anche a quanto riferito dalla teste LAMORGESE, lo sbarco della nave giunta già a Lampedusa doveva avvenire subito, non sussistendo ragioni per lasciare in mare i migranti, per procedere poi, eventualmente, alle procedure di redistribuzione europea (in questo caso se l’Hotspot era vuoto potevano scendere e poi fare la ricollocazione a livello europeo…..Se erano in SAR italiana, in base a quelle che sono le norme, salvo che non ci siano problemi, che so di ordine pubblico specifico, …allora in quel caso dovevano farli scendere).
Se si guarda, invece, ai minori, per quanto già evidenziato, è ovvio che nessun ostacolo di ordine burocratico poteva essere frapposto al loro sbarco.
§ La questione della redistribuzione
Di maggiore rilievo appare, con riguardo ai tempi di rilascio del POS, la questione della redistribuzione dei migranti in ambito europeo.
Più volte, nel corso del processo, si è fatto riferimento, pure da parte dell’imputato, al progetto politico (anche) del Governo “Conte1” finalizzato a far fronte all’intensificarsi dei flussi migratori che coinvolgono il nostro Paese quale luogo di approdo verso altre destinazioni in Europa; progetto che prevede, in via principale, la modifica del Regolamento di Dublino (che impone l’esame delle richieste di asilo dei migranti al primo Paese di sbarco) e, nelle more, in via secondaria, il coinvolgimento degli altri Stati europei nella ricollocazione dei migranti giunti in Italia (cfr. dichiarazioni di SALVINI, CONTE, MOAVERO).
Su tale scia, come già ricordato, nel “Tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare”, tenutosi in data 12.2.2019, si era prevista, in occasione di sbarchi di naufraghi, “la condivisione europea per la indicazione della località di sbarco e la dislocazione dei migranti”, mentre nelle more delle interlocuzioni con i Paesi Membri, “sarà considerata la possibilità di ritenere quale POS temporaneo l’assetto navale intervenuto nell’evento di soccorso, valutata preliminarmente la capacità dell’unità medesima”.
In relazione a tale progetto, come si è appreso in dibattimento (ma trattasi anche di fatti notori), lo Stato, perdurando la vigenza del Regolamento di Dublino, aveva avviato numerose interlocuzioni diplomatiche finalizzate alla redistribuzione dei naufraghi. E, a tal fine, il Presidente del Consiglio, Giuseppe CONTE, assunse in prima persona il compito di promuovere tali dialoghi in ambito europeo, come dallo stesso dichiarato (io stesso mi premuravo come Presidente del Consiglio, attraverso il mio ufficio diplomatico, particolare, di realizzare subito le condizioni per una redistribuzione che ci consentisse di realizzare quel principio e dar seguito a quel principio e ovviamente contribuisse come dire, ad abbassare quella che era la criticità del momento, perché chiaramente poi c’era la possibilità di una redistribuzione … , io per altro ho curato anche direttamente molte telefonate, in alcuni momenti critici, ho chiamato io stesso alcuni leader per sollecitare) e come confermato dall’allora Ministro degli Esteri (MOAVERO: “Il ruolo preponderante … è stato assunto dagli Uffici della Presidenza del Consiglio”).
In effetti, come riferito da diversi testi, all’epoca dei fatti che ci occupano, si era talvolta riusciti ad ottenere la collaborazione di altri Paesi, ma soltanto su base volontaria.
In ogni caso, come evidenziato dal Ministro DI MAIO, ai tempi della vicenda in esame, la prassi degli accordi di redistribuzione si era ormai consolidata, anche se l’effettivo trasferimento dei migranti si realizzava solo diverso tempo dopo il loro arrivo in Italia:
PUBBLICO MINISTERO – All'epoca dei fatti, di cui ci stiamo occupando, e la vicenda Open Arms dell’agosto 2019, questo meccanismo di redistribuzione a livello europeo a che fase era? Era già consolidata in quel momento?
TESTIMONE DI MAIO L. – Stiamo parlando di oltre un anno dopo la formazione di quel Governo, e sicuramente era consolidata la prassi per cui diversi Paesi aderivano alle redistribuzioni. Voglio ricordare che la redistribuzione non era immediata, a volte avveniva addirittura per l'equivalente, nel senso che noi avevamo ancora il dibattito con i Paesi Europei sui movimenti secondari, quindi in ogni caso, anche quando i Paesi aderivano, non è che lo sbarco prevedesse, uso diciamo forse un’espressione superficiale, un pullman targato Paese Europeo che li prendeva e li portava via, c'era un impegno, un impegno politico di alcuni Paesi, e a volte non erano gli stessi che venivano redistribuiti, venivano redistribuiti migranti da altre strutture italiane.
PUBBLICO MINISTERO – Quindi se ben compreso la concessione del POS non era subordinata diciamo al completamento della procedura di redistribuzione è corretto?
TESTIMONE DI MAIO L. – Ma, il completamento della procedura di redistribuzione non escludo che sia avvenuta anche un anno dopo a volte.
Tuttavia, nel tentativo di condividere il peso flussi migratori ma anche di indurre gli Stati a mantenere gli impegni assunti, si era cercato di raggiungere gli accordi di redistribuzione ex ante, cioè nel senso che la manifestazione di disponibilità all’accoglienza da parte degli altri Paesi doveva precedere lo sbarco in Italia (SALVINI, in sede di esame: “prima la redistribuzione e poi lo sbarco, era la linea condivisa dal Governo italiano e portata sui tavoli europei”). Redistribuzione ex ante che, invece, non significava che potesse essere evitato tout court l’arrivo sul territorio italiano con diretta dislocazione dei migranti all’estero, come precisato anche dal Presidente CONTE:
PUBBLICO MINISTERO – Quando appunto c’era l’accordo per la redistribuzione o la disponibilità della ridistribuzione, si prevedeva lo sbarco in Italia e poi il trasferimento dei migranti nei Paesi disponibili, o direttamente era previsto che dalla nave raggiungessero senza sbarcare in Italia ....
TESTIMONE CONTE G. – No, a mia conoscenza il presupposto è stato sempre lo sbarco, cioè che fosse concesso un POS e avvenisse concretamente lo sbarco, a mia conoscenza almeno, non mi risulta che sia stato mai la seconda eventualità che lei ha detto, non credo che sia mai realizzata.
Sulla portata vincolante di tali accordi ex ante, l’allora Ministro degli Esteri, Enzo MOAVERO MILANESI, sentito all’udienza del 17 maggio 2024 - a domanda del Presidente che chiedeva se sul punto fosse intervenuto un formale atto - ha specificato che, nel testo delle conclusioni del Consiglio Europeo del 2018, si ribadì che la ricollocazione avveniva su base volontaria mentre, invano, si cercò di inserire che doveva precedere lo sbarco, sicché quell’ex ante “rimase una linea di domanda che .. come Governo italiano, cercavamo di portare avanti” (cfr. pag. 23 verb. cit. e nota n. 19 della presente memoria).
Una posizione analoga è stata espressa da Maurizio MASSARI, all’epoca dei fatti Rappresentante Permanente per l’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles, del quale è stato acquisito il verbale delle dichiarazioni rese al GUP del Tribunale di Catania in data 5 marzo 2021[186] in cui ha affermato che il principio di obbligatorietà della redistribuzione non era mai stato approvato e che, al contrario, la redistribuzione rimaneva un accordo su base volontaria, principale elemento di debolezza del sistema. Il suo compito era quello di attivarsi per rendere più efficace e rapido possibile questo meccanismo di redistribuzione e di “operativizzare” le conclusioni del Consiglio Europeo del giugno del 2018, specificando però che “molto spesso le conclusioni politiche dei consigli europei di più alto livello…non dicono che restano così…però, insomma…non si traducono sempre in azioni pratiche e concrete”.
Ne è derivato pertanto che, nonostante le trattative avviate con gli altri Stati in occasione dell’arrivo di navi con migranti, la indicazione del POS, comunque dovuta, è rimasta svincolata, dal punto di vista temporale, dalla preventiva manifestazione di disponibilità dei Paesi europei, potendosi risolvere, del resto, in una forma di pressione dai connotati estorsivi.
Così, infatti, ha affermato l’allora Presidente del Consiglio, Giuseppe CONTE:
Ma l’accordo, ripeto, che fu raggiunto, non prevedeva una condizione (inc.) di questo genere per lo sbarco, quindi potevano tranquillamente sbarcare e non c'era nessuna pregiudizialità di questo tipo assolutamente, né io l’ho posta mai né pubblicamente né internamente. (..) Alla fine lo sbarco, ho sempre sostenuto, è sempre avvenuto, quindi comunque per quanto riguarda posizioni di forza, posizioni diciamo di rigore, eccetera, poi alla fine comunque lo sbarco deve avvenire, perché è chiaro che ci sono Leggi, Convenzioni Internazionali, umanitarie, logiche umanitarie, che non possono insomma impedire che si completi un'operazione di Search and Rescue, quindi l'obiettivo è stato quello di cercare di continuare sicuramente a risolvere il problema e a ottenere udienza, tra virgolette, riscontro in Europa, lavorare e questo è stata sicuramente una direttiva politica per cercare di formalizzare i meccanismi di redistribuzione, arrivare a meccanismi che nel corso del tempo diventassero, divenissero quanto prima possibile automatici, perché era una fatica enorme ovviamente, poi si creavano chiaramente delle ingiustizie, Paesi che erano sempre disponibili, altri che non lo erano mai, e cercare quindi di operare con una logica diciamo paritaria.
Così anche lo stesso MASSARI nelle dichiarazioni citate, secondo cui i migranti potevano sbarcare in assenza di un previo accordo sulla loro redistribuzione [187], chiarendo che, infatti, la procedura era soltanto “una spinta politica che l’Italia stava esercitando sulle istituzioni europee, e attraverso le istituzioni europee anche sugli altri stati membri. Era una azione politica di sprone, di impulso, di chiamata alle responsabilità. Tenendo presente che, come abbiamo sempre noi sostenuto, i salvataggi in mare sono un obbligo internazionale al quale l’Italia ottempera”.
Analogamente, il Ministro LAMORGESE, succeduta all’imputato nella guida del Ministero dell’Interno:
“Dunque, questa era un po' la linea che era inizialmente valida, anche se poi verificando le varie situazioni, non sono sovrapponibili le due situazioni, per cui una cosa è chiedere quello che è l'attivazione della Commissione Europea ai fini della relocation, e altra cosa da dare il porto. Tant'è vero che nel periodo, diciamo, in cui io sono stata Ministro, non sempre è stato collegato questo, cioè non c'è stato un collegamento stretto tra dare POS e avere in contemporanea anche i numeri di relocation da parte dei Paesi Europei. Tante volte abbiamo fatto la richiesta in contemporanea, dando POS e facendo partire la richiesta, quindi POS da una parte e dall'altra parte partiva la richiesta per avere, diciamo, i numeri concessi dagli altri Paesi Europei”
Di rilievo appare sul punto anche la deposizione dell’allora Ministro DI MAIO il quale ha spiegato che, sebbene il Governo “Conte 1” intendesse coinvolgere l’Europa nella distribuzione di migranti, tuttavia ciò non era assolutamente pregiudiziale al rilascio del POS nemmeno a livello politico:
PUBBLICO MINISTERO – La domanda era però se il rilascio o meno del POS fosse subordinato alla previa redistribuzione, nel senso che era necessario sulla base delle linee che vi eravate dati, ottenere la redistribuzione a livello europeo dei migranti per poter concedere il POS o non erano necessariamente legate le due decisioni?
TESTIMONE DI MAIO L. – Non c'era nessun automatismo politico, e ovviamente io solo di parte politica posso parlare, perché era uno dei due contraenti del contratto, rappresentavo una delle due forze politiche che avevano costruito il contratto di Governo. Non c'era nessun automatismo politico.
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Ora, appare superfluo precisare che gli accordi su base volontaria e, ancor meno, i tentativi di accordo di ricollocazione, rimangono estranei alla ferrea procedura normativa sul rilascio del POS rispetto al quale non possono trovarsi in condizione di propedeuticità.
Tuttavia, se è certo che l’obbligo di indicare un posto sicuro non è condizionabile da un accordo di redistribuzione, rimane da capire se, e in che modo, l’avvio delle interlocuzioni con altri Stati avesse potuto incidere, nella vicenda che ci occupa, sulla tempistica per la indicazione del posto sicuro.
Si rivela utile al riguardo riportare le dichiarazioni dello stesso imputato rese nel corso del suo esame il quale, in linea con quanto riferito dagli altri testi, ha offerto una congrua ricostruzione delle prassi adottate nella gestione del rapporto esistente tra disponibilità europea e rilascio del POS.
In primo luogo, il Ministro SALVINI ha anch’egli evidenziato che la redistribuzione ex ante era comunque aleatoria, non contando né su automatismi per ottenere a monte la disponibilità degli altri Paesi né sulla possibilità di esigere il rispetto degli impegni eventualmente assunti:
“La redistribuzione che per altro non sempre veniva,(..) non sempre gli impegni presi telefonicamente, o via mail venivano mantenuti eh, (..) non era infrequente il caso in cui un Pese straniero …, si impegnava un certo tipo di ospitalità e poi non lo faceva.”
In ogni caso, nonostante gli intervenuti impegni di ricollocazione assunti prima dello sbarco, i migranti “arrivavano su suolo italiano comunque” e, forse, soltanto in un’unica occasione, la collocazione ex ante aveva evitato l’arrivo in Italia:
PUBBLICO MINISTERO – .. per casi antecedenti all’Open Arms, ci sono stati episodi in cui la redistribuzione avvenisse direttamente, cioè senza il preventivo sbarco dei migranti in Italia? Cioè dalla nave su cui erano stati soccorsi, andavano direttamente nei Paesi disposti ad accoglierli?
IMPUTATO SALVINI M. – Quello accadde nel caso dell’Acquarius, non ricordo se accadde, ma se accadde, accade raramente
Quanto ai tempi necessari per ottenere, in epoca antecedente allo sbarco, la disponibilità degli altri Stati ad accogliere i migranti, l’imputato ha precisato che, certamente, trascorrevano alcuni giorni:
“Noi cominciavamo subito, quando c’era un ingresso nelle acque italiane comunicavamo assolutamente subito io il collega Moavero, la Presidenza del Consiglio ad adoperarci, in alcuni casi ci si riusciva in pochi giorni, in altri casi servivano più giorni, (..) con il Ministro Lamorgese, (..) sono passati addirittura 16 giorni” (si vedrà che saranno circa 7).
Con riguardo, poi, agli eventuali tempi massimi che il Ministero dell'Interno era disposto ad attendere per esitare le domande di POS durante le trattative con gli altri Paesi, l’imputato ha correttamente evidenziato che:
“fatto salvo che lo sbarco c’è sempre stato, comunque imposto, disposto, subito, lo sbarco c’è sempre stato. Nella cronistoria che mi sono fatto, successivamente siamo arrivati a 16 giorni, io non ricordo che durante il nostro Governo siamo mai arrivati ad un lasso di tempo simile, non c’era una Dead Line, (..) il tempo doveva essere ovviamente, umanamente e anche politicamente, mediaticamente contenuto, perché poi la pressione e anche i rischi di salute ovviamente aumentano”.
In sostanza, anche per l’imputato, l’accordo di ricollocazione, fino ad allora inidoneo ad evitare lo sbarco in Italia tramite il diretto trasferimento dei migranti nello Stato di accoglienza, non incideva sull’obbligo di rilascio del POS (e, quindi, “lo sbarco c’è sempre stato”), ma poteva influire sui tempi di rilascio (almeno, durante il Governo “Conte 1”, per qualche giorno) che però dovevano restare “contenuti” a salvaguardia della salute dei migranti.
A tal proposito, vale la pena specificare che il “tempo ragionevole” previsto dalla normativa internazionale sul rilascio del POS, traducibile nel “tempo contenuto” a cui si ispirava lo stesso Ministro SALVINI, significa, all’evidenza, che la postergazione dell’indicazione del posto sicuro in vista delle trattative europee, doveva tenere conto della situazione concreta e, in particolare, della condizione della nave soccorritrice e dei naufraghi a bordo.
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Orbene, gli elementi probatori sopra evidenziati unitamente ad altre risultanze dibattimentali, dimostrano che, nel caso di specie, non sussistevano ragioni di sorta, né in fatto né in diritto, che, in vista di una eventuale ricollocazione dei migranti, potessero ritardare ulteriormente la indicazione del POS.
Innanzitutto, la situazione dell’Open Arms si era resa sempre più drammatica, così definita anche dal Ministro MOVERO, a causa, come più volte sottolineato, dal peggioramento delle condizioni del mare, di salute dei migranti, della stessa nave soccorritrice e dello stesso equipaggio ormai allo stremo.
Né la nave stessa, per tali medesime ragioni e per avere già affrontato diversi giorni di navigazione, poteva definirsi, come più avanti si dirà, secondo la normativa internazionale, un POS temporaneo che consentisse, nelle more di trovare un posto sicuro definitivo, il sereno svolgimento di prolungate trattative nei tavoli europei mentre i naufraghi, sempre più numerosi, si lanciavano in mare impegnando le forze di polizia in continue operazioni di recupero.
Lo stesso imputato, stando alle sue dichiarazioni, non solo sapeva che il tempo di attesa, in tali casi, “doveva essere ovviamente, umanamente e anche politicamente, mediaticamente contenuto, perché poi la pressione e anche i rischi di salute ovviamente aumentano” ma era anche consapevole che lo sbarco sul territorio italiano ci sarebbe comunque stato e non era evitabile (“lo sbarco c’è sempre stato”); sicché appare drasticamente illogico e immotivato, oltre che disumano, il rinvio (sempre che di mero rinvio si tratti come più avanti si dirà) di un provvedimento obbligatorio che, in ogni caso, doveva essere emesso, non potendosi nemmeno coltivare alcuna sensata aspettativa, giustificata dalla consuetudine, della conduzione dei migranti direttamente presso altri Paesi evitando l’approdo in Italia.
L’ingiustificabilità di quel temporeggiare alla luce dello svolgimento di accordi di ricollocamento in sede europea diventa ancora più evidente se si considera che tale obiettivo di condivisione dell’accoglienza dei migranti era stato raggiunto, così come formalmente veniva comunicato all’imputato con la lettera del 16 agosto 2016 a lui indirizzata dal Presidente CONTE il quale dava atto che diversi Paesi, singolarmente indicati, erano disponibili a “condividere gli oneri di ospitalità”.
Non solo, ma indipendentemente dalla materiale disponibilità offerta dai Paesi europei in quella occasione, all’epoca, come affermato dal teste DI MAIO, si era già riusciti a sensibilizzare le altre Nazioni sicché non occorreva più trattare con azioni di forza:
Sicuramente un anno dopo le prime decisioni sul negare il POS, era chiaro che si era andato consolidando un meccanismo a livello europeo, che era figlio proprio dell'azione politica di quel Governo, fatta insieme a livello europeo. C'erano Paesi sì, diciamo volontariamente, ma che erano quasi sempre pronti a prendere una parte di quei migranti, quindi non si capiva più il perché si dovesse in qualche modo agire in quel modo, sapevamo che c'erano dei Paesi disponibili a prendere una parte di quei migranti. Tant'è vero che, credo, fosse stato anche oggetto di una delle varie missive pubbliche o private tra il Presidente del Consiglio e il Ministro Salvini proprio in quell'estate
PARTE CIVILE, – Quando dice non si capiva perché agire in quel modo, esattamente a quale comportamento, a quale decisione del Ministro Salvini fa riferimento?
TESTIMONE DI MAIO L. – Negare il POS e negarlo così a lungo e poi allora c’è stata anche la questione dei minori, che è stato oggetto di dibattito.
Eppure, nemmeno l’ampia realizzazione del progetto di ricollocamento fece ritenere al Ministro degli Interni che fosse venuto meno qualunque ostacolo (di natura politica ma non certo giuridica) al rilascio del POS, che invece continuò ad omettere di rilasciare e che, il 19 agosto successivo, rifiutò chiaramente di rilasciare; palese sintomo, questo, del fatto, come si anticipa, che le ragioni dell’inadempimento del dovere cogente di assegnare un posto sicuro ai naufraghi non vanno certamente ricercate nel sostegno al disegno politico governativo di ottenere una maggiore solidarietà europea.
Maldestro si rivela, a tal proposito, il tentativo dell’imputato, nel corso del suo esame, di escludere che al 16 agosto 2019 la questione europea fosse stata risolta:
PUBBLICO MINISTERO – ..Ora di fronte a questa manifestazione di disponibilità che le comunicava il Presidente del Consiglio, in data 16 agosto, (poi lo sbarco avviene il 20), lei ha intravisto, riscontrato ulteriori ostacoli al rilascio del POS?
IMPUTATO SALVINI M. – Ma noi stavamo lavorando alla redistribuzione, al 16 agosto non si era concluso assolutamente nessun tipo di accordo tanto che (..) io ho una mail del 21 agosto, quindi il giorno successivo allo sbarco, dalla Direzione Immigrazione al nostro Paese, 21 agosto oltretutto delle 23:41 in cui ci dicono: “Caro Andrea, daremo tutto il supporto possibile, come sempre”. Poi c'è un'altra mail del 22 agosto, in cui qua invece è l'Italia che scrive all'Europa a nome dell'Ambasciatore Benassi: “Vi sarei grato se poteste prendere misure necessarie per garantire la redistribuzione tra gli stati membri e le persone sbarcate a Lampedusa, la nave Open Arms..”, era un processo in corso evidentemente (..)
Invero, i contatti con gli Stati esteri ai fini della redistribuzione non erano di pertinenza del Ministro dell’Interno (addirittura, come affermato dallo stesso MOAVERO, nemmeno del Ministro degli Esteri) ma competevano, in quel momento, al Presidente del Consiglio il quale, dunque, anche come responsabile del Governo, era l’unico a potere affermare, a ragion veduta, se quelle trattative avessero o meno prodotto gli effetti sperati.
Né il Ministro dell’Interno, in quel frangente, si fece parte diligente per sollecitare il Presidente del Consiglio a coinvolgere gli altri Paesi o per informarsi sullo stato delle trattative in corso:
PUBBLICO MINISTERO – qualcuno .., da parte del Ministero dell'Interno, venne sollecitarle la conclusione di accordi per la redistribuzione dei migranti Open Arms?
TESTIMONE CONTE G. – Ma francamente non lo ricordo…siccome c'era già una modalità operativa, che nei fatti si era consolidata, per quanto riguarda la redistribuzione, e quindi era abbastanza noto agli uffici, anche amministrativi, che io avevo un Ufficio del Diplomatico che curava questo aspetto,… non escludo che si possano essere parlati i tre Uffici, io non ricordo di essere io stato investito di una sollecitazione dal Viminale.
Del resto, la eventuale prova di non veridicità delle rassicurazioni offerte sul punto dal Capo del Governo - che comunque avrebbero dovuto indurre l’imputato, quello stesso 16 agosto, a rilasciare finalmente il POS alla Open Arms in distress - sarebbe giunta a conoscenza del Ministro SALVINI con le e-mail citate nel suo esame, del 21 e del 22 agosto 2019, che all’evidenza sono successive allo sbarco disposto dalla Procura di Agrigento, a dimostrazione, dunque, del fatto che, quantomeno dal 16 al 20 agosto, avrebbe potuto indicare il POS, salvo poi a scoprire che taluni Paesi non erano effettivamente disponibili all’accoglienza.
L’imputato, in ogni caso, sapeva benissimo che la questione europea, basata ancora sulla volontarietà, non poteva essere definitivamente risolta né in quel preciso momento, trattandosi peraltro di vexata quaestio, né proprio attraverso la Open Arms che non tollerava strumentalizzazioni di sorta essendo giunta al punto di non ritorno; ma l’imputato sapeva benissimo anche che la suddetta questione non poteva e non doveva essere risolta dalla singola persona del Ministro dell’Interno, autonomamente rispetto al Presidente e ai colleghi di Governo.
Tale prova di forza, contro le stesse istituzioni italiane oltre che quelle europee, dunque, può solo giustificarsi con il perseguimento di finalità ben diverse dalla ricollocazione in sé ma che potevano trovare vantaggio dalla dimostrazione di una capacità, solitaria e muscolosa, di bloccare, finalmente e ad ogni costo, l’arrivo dei cittadini stranieri irregolari e di costringere l’Europa a piegarsi alla sua visione politica del fenomeno dell’immigrazione.
§ La Open Arms era un posto sicuro temporaneo?
L’imputato, nelle sue dichiarazioni spontanee, ha affermato di essersi affidato, nella gestione della vicenda della Open Arms, al contenuto del tavolo tecnico del 2019 che prevedeva, con l’accordo di tutti i partecipanti, che, in attesa delle trattative per la redistribuzione, la nave doveva essere considerata un posto sicuro temporaneo.
Su tale punto, va osservato che, al di là della portata degli accordi raggiunti in quella occasione, assolutamente inidonei a incidere sulle leggi del mare, lo stesso tavolo tecnico non faceva altro che riportarsi alla normativa internazionale sulla nozione di POS temporaneo che, come visto, non consente alcun automatismo richiedendo invece la valutazione, di volta in volta, sulle effettive capacità di una imbarcazione di garantire temporaneamente la sicurezza e il soddisfacimento dei bisogni essenziali dei naufraghi. Proprio per questo, in quella seduta, era stato precisato “valutata preliminarmente la capacità dell’unità medesima”.
È importante adesso chiarire, a fronte del protrarsi dell’inerzia ministeriale, che la nave della Open Arms non poteva essere considerata un luogo sicuro temporaneo, non sussistendo più le minime condizioni di sicurezza: sia perché il natante era del tutto inadeguato ad ospitare quel numero di persone, sia perché l’equipaggio e i passeggeri, dopo oltre due settimane in mare erano allo stremo, sia perché le mutevoli condizioni meteorologiche avevano dimostrato che quell’imbarcazione riusciva a stento ad affrontare ulteriori difficoltà, sia perché quelle persone vivevano a bordo in condizioni disumane.
Diversi testimoni, infatti, specie quelli saliti a bordo della Open Arms a vario titolo, hanno consegnato al Tribunale un quadro particolarmente desolante e allarmante. Analogamente, altri testi con specifiche competenze sulla sicurezza marittima hanno escluso che quel natante potesse essere tecnicamente definito POS temporaneo, confermando così, quantomeno implicitamente, che sussisteva la necessità di procedere allo sbarco nel più breve tempo possibile.
A tal fine basti richiamare le inequivocabili dichiarazioni del Capo del IMRCC ammiraglio LIARDO, all’udienza del 17.12.2021, (pag. 50 ss.) alle domande poste proprio dalla difesa:
DIFESA– Ricorda che proprio in quel tavolo si stabilì, con un suo intervento, che la nave in questi casi può essere considerata un post temporaneo?
TESTIMONE LIARDO – Assolutamente sì, ma non fu stabilito in quella occasione, fu in realtà riportato quello che prevedono le norme internazionali, ovvero che una nave che sia, come dire, in grado di dare assistenza massima al personale che sta a bordo può essere considerata un Place of safety temporaneo, ovviamente deve avere le strutture per essere considerato un Place of safety temporaneo.
DIFESA– Quella nave in quelle condizioni poteva essere un post temporaneo?
TESTIMONE LIARDO – Stante il numero di persone a bordo, il fatto che era certificata come nave da carico da 19, direi di no.
E poi, a domanda del Presidente sul significato del più breve tempo possibile da impiegare per lo sbarco a terra:
TESTIMONE LIARDO - … Allora, il più breve tempo possibile dipende, perché questa si applica anche al centro dell’Atlantico, piuttosto che nel Pacifico, quindi da lì il più breve tempo possibile si parla di situazioni un po’ particolari, proprio per questo la convenzione parla di Place of safety temporaneo, cioè un’accoglienza che in qualche maniera consenta alle persone di non essere più nell’immediato pericolo, ma di essere in una condizione tale da poter essere gestite a bordo. Quindi, la nave deve avere delle strutture che siano in grado di fare questo tipo di attività.
Pure il teste DE FALCO, di cui è nota la esperienza in materia di soccorso in mare, si è dichiarato dello stesso avviso:
Dico la nave deve completare, ha un obbligo specifico che incombe su di lui di completare il soccorso, e d’altra parte, corrispondentemente lo stato costiero ha l’obbligo di ricevere i naufraghi, le persone soccorse. Proprio perché è questo il contenuto, il senso che voglio dare: il soccorso marittimo non si esaurisce con il salvataggio, con l’apprensione delle persone a bordo. Il soccorso marittimo si esaurisce quando le persone salvate, toccano terra, perché credo che questo avessi detto in quelle circostanze, sono due concetti diversi: il salvataggio si ha quando si toglie la persona dal pericolo attuale imminente, o dal potenziale pericolo, secondo una prognosi che va fatta in modo sfavorevole, a seconda delle condizioni meteo, delle circostanze a bordo, ma il soccorso non è soltanto il salvataggio, il soccorso è la parte che anticipa il salvataggio, è la parte che segue con lo sbarco a terra dei naufraghi in un posto sicuro, ma un posto sicuro che deve essere essenzialmente il più vicino, per così dire, cioè deve essere in base alle risoluzioni AIMO e alla normativa vigente, deve essere quello sicuro sotto il profilo fisico e sotto il profilo anche della tutela dei diritti delle persone. Quindi, è una sicurezza più ampia e complessiva rispetto al salvataggio che si trova a bordo, perché come dicono le risoluzioni internazionali, la nave è un Play Of Safety temporaneo, giusto per il tempo che deve essere il minimo possibile per il trasporto di queste persone a terra. Perché in quel momento non si deve far caso, dicono sempre le Convenzione, non Gregorio De Falco, non si deve far caso alle qualità e agli stati personali, ma alle circostanze in fatto, per le quali queste persone sono comunque in difficoltà, e in procinto di difendersi e quindi vanno trattate per quelle fasi di soccorso come persone, poi naufraghi, poi verranno trattati come immigrati eccetera eccetera, quindi ci deve essere una prevalenza giuridica e logica del fatto sugli atti poi di qualificazione giuridica.
Che la Open Arms non fosse un POS lo si ricava, indirettamente, anche dalle dichiarazioni del Ministro LAMORGESE che ha specificato, come a breve si dirà, che la Ocean Viking fu lasciata più giorni in mare perché trattavasi di una nave di circa 70 metri con a bordo 104 persone (mentre la Open Arms era lunga circa 35 metri e aveva a bordo 147 persone).
A proposito della capienza di quest’ultima, infine, a poco rileva la discrasia, peraltro soltanto apparente, emersa nel corso del processo tra la capacità della nave di ospitare, secondo la sua omologazione, soltanto 19 persone (evidenziata dai testi e sottolineata dalla difesa come sintomatica della violazione delle regole da parte di quella ONG che, pertanto temeva il rientro in Spagna) e quella di portare un carico di 300 persone (evidenziata dai testi CREUS e CAMPS). Ciò che rileva è che la nave era organizzata per consentire l’accoglienza, di fatto, del solo equipaggio, mentre è assolutamente ovvio che, nelle operazioni di soccorso, si tiene conto invece della possibilità della nave, per la sua stazza, di non affondare essa stessa. Del resto, a tal proposito, il Ministro LAMORGESE, nel verbale di dichiarazioni rese a Catania, agli atti, ha parlato che, al salvataggio, si procede anche solo con una “zattera”. Proprio per questo, infatti, il POS va rilasciato in tempi ragionevoli.
Contrariamente alla posizione delle evidenze fin qui evidenziate, l’imputato, ha invece rappresentato, sia nelle sue dichiarazioni spontanee che nell’esame, che si trattava di una situazione sotto controllo e che riceveva, al riguardo, varie rassicurazioni sullo stato di salute dei migranti (“ero personalmente, continuamente rassicuratosul fatto che non ci fossero emergenze o evidenze emergenziali a bordo”).
Su tali affermazioni si ritornerà più avanti per dimostrare come siano state smentite da tutte le altre risultanze processuali, bastando allo stato sottolineare la enorme differenza sussistente tra le necessità sanitarie dei singoli passeggeri, puntualmente risolte tramite le evacuazioni mediche più volte richiamate dal Ministro, e le condizioni generali dell’insieme dei migranti a bordo di una nave che non poteva assicurare loro il soddisfacimento dei bisogni basilari.
§ I tempi di rilascio del POS
A giustificazione dell’ingiustificabile ritardo, che tuttavia ritardo non era ma espressa volontà di non indicare il POS, l’imputato, nelle sue dichiarazioni spontanee, ha fatto riferimento a casi in cui altri Ministri dell’Interno, ed in particolare il Ministro LAMORGESE nel caso della Ocean Viking, avrebbero impiegato diversi giorni prima di concedere il POS.
Si tratta, però, di episodi che il dibattimento non ha approfondito - di cui, pertanto, nulla si conosce nel dettaglio - né sulla situazione a bordo, né sulla capacità della nave soccorritrice di essere essa stessa posto sicuro temporaneo, né sui minori non accompagnati, né sui richiedenti asilo, né sulle condizioni del mare, né sulle date di richiesta del POS, né sulle Medevac - e che, in ogni caso, non possono produrre “effetti scriminanti” rispetto ai reati per cui si procede.
Appare più proficuo, invece, considerare quanto riferito dal Ministro LAMORGESE sui tempi di rilascio del POS che, nel verbale delle sue dichiarazioni rese al GUP di Catania e acquisite agli atti, aveva indicato in 2 giorni circa, mentre nel dibattimento, pur confermando le sue precedenti indicazioni, ha specificato che i tempi medi di rilascio, durante il suo dicastero, si erano innalzati a 3/4 giorni a causa dell’Accordo di Malta intervenuto il 23 settembre 2019[188], cioè pochi giorni dopo essere stata nominata Ministro dell’Interno.
Proprio per testare il funzionamento di tale accordo, pertanto, impiegò più giorni, circa 7, per rilasciare il POS alla Ocean Viking che, però, era una nave di 70 metri circa, con 104 migranti a bordo, che consentiva di fungere da POS temporaneo, mentre ipotizzando una piccola imbarcazione che trasporta diverse persone, i tempi di sbarco devono essere immediati:
DIFESA – Preferì farli stare in attesa per raggiungere questo obiettivo.
TESTIMONE LAMORGESE L. – Non è che preferii, noi ci accertammo che quelli che erano degli eventuali eventi di carattere sanitario, potessero essere immediatamente risolti, ho detto prima che si tratta di una nave che ha 70 metri di lunghezza, e quindi che poteva anche 6-7 giorni attendere che si concludesse quella che era una procedura che per me era alla base dell'accordo che avevamo appena sottoscritto. Poi se andiamo a vedere, in generale, i numeri sono quelli che abbiamo detto, però insomma eravamo appena arrivati.
(..) Ci sono alcune navi che, per esempio, parlo dell’Ocean Viking, ma sono 70 metri, cioè sono navi che sono anche attrezzate, quindi laddove.. (..) se è una barca piccola che c’ha 300 persone sopra, è ovvio che facciamo? Rischiamo che ci sia un problema ulteriore…”.
Ciò che si ricava da tali dichiarazioni, lette insieme agli altri elementi probatori acquisiti ed alla normativa di riferimento, è che non vi è, né vi può essere, un termine fisso per lo sbarco, e che ogni caso richiede proprie valutazioni.
Le indicazioni generali sono quelle per cui occorre procedere con una certa tempestività venendo in considerazione le esigenze di tutela di diritti fondamentali, pur dovendosi considerare un possibile bilanciamento con le concrete necessità logistiche e pratiche che bisogna affrontare in quel preciso momento.
L’Italia, come visto, nelle procedure di gestione dell’evento SAR, ha inserito “l’accordo di redistribuzione ex ante” che, giuridicamente, non ha titolo alcuno per incidere sui tempi di sbarco che rispondono ad esigenze ben diverse, tant’è che, unanimemente, tutti i testi hanno affermato che non esiste alcun rapporto propedeutico.
Allora, poco rileva che, in altri casi, nel tentativo di responsabilizzare gli altri Paesi, lo sbarco possa essere stato tardato, magari perché la nave soccorritrice poteva fungere da POS temporaneo, o anche in maniera analogamente illegittima ma senza che ne sia scaturito un procedimento penale (perché nessuna notizia di reato è giunta in un ufficio di Procura o perché, ad esempio, non è stata concessa l’autorizzazione a procedere). Rileva invece che, nel caso specifico della Open Arms, ormai giunta al punto di non ritorno - cioè di una nave, omologata per 19 persone, in navigazione da settimane, con 147 migranti a bordo, che era arrivata, in condizioni estreme, a Lampedusa, ove pure l’hot spot era disponibile, mentre i migranti iniziavano a buttarsi in mare - non erano ravvisabili valide o soltanto apprezzabili ragioni legittimanti un ritardo, anche di un solo minuto.
§ La “presunta” volontà del Ministro dell’Interno di concedere successivamente il POS
Altro argomento assolutamente inedito, riferito dall’imputato nel corso del suo esame, peraltro intimamente connesso a quello secondo cui la Open Arms potesse fungere da POS temporaneo, è quello, secondo cui, in assenza del provvedimento di sequestro della Procura di Agrigento, egli avrebbe proceduto, nei giorni successivi, a emettere il POS (SALVINI: “se la sua domanda è se non fosse intervenuta la Procura di Agrigento, comunque se non nelle ore nei giorni immediatamente successivi, visto che la redistribuzione era arrivata quasi a compimento, lo sbarco ci sarebbe stato”).
In altri termini, in vista della redistribuzione e in ragione delle condizioni di sicurezza della nave, l’indicazione del porto sicuro risultava semplicemente, rinviata. Non di omissione, dunque, si tratterebbe ma di mero e legittimo differimento.
Deve tuttavia evidenziarsi che il complesso delle prove acquisite, non solo non lascia intravedere alcuna traccia di tale volontà del Ministro SALVINI, ma dimostra l’esatto contrario e cioè la ferma intenzione dell’imputato di non rilasciare il POS, manifestata dall’inizio e sino alla fine della vicenda.
Basti richiamare, innanzitutto, la sequenza delle sue iniziative e cioè l’emissione del decreto interdittivo, il tentativo di riemanarlo, la corrispondenza con il Presidente CONTE in cui si era mostrato alquanto contrariato per la diversa posizione assunta dal Capo del Governo, il diniego di POS ai minorenni in data 15 agosto, il diniego di POS ai maggiori di età in data 19 agosto (cioè un giorno prima dello sbarco) con cui spiegava le ragioni, in fatto e in diritto, in base alle quali riteneva di non avere alcun obbligo al riguardo.
Orbene, innanzitutto, siccome tali ragioni di rifiuto non vennero mai superate dagli accadimenti successivi, non si capisce in base a quali altri presupposti avrebbe dovuto rilasciare il POS.
Né si comprende quando e perché, a suo giudizio, si sarebbero potute maturare le condizioni per l’indicazione del posto sicuro, non essendo bastati, fino ad allora, né la grave situazione in cui versava la Open Arms, né la situazione dei minori almeno fino al 17 agosto, né la rassicurazione sull’avvenuta redistribuzione ex ante da parte del Presidente del Consiglio, né la indicazione di un POS da parte della Spagna che, in tal modo, aveva offerto un internazionale ossequio alla posizione del Ministro sulla responsabilità dello Stato di bandiera.
All’inequivocabile significato della successione di atti provenienti dal Ministro dell’Interno, si aggiungono anche le dichiarazioni rese in dibattimento dagli stessi appartenenti al Ministero dell'Interno.
Così, ad esempio, ha riferito il teste MANCINI:
PUBBLICO MINISTERO- Le viene posta esattamente la stessa domanda e lei risponde "a fronte delle richieste di POS da me veicolate, non vi sono state risposte positive, di conseguenza, in assenza di risposte esplicite, l’esito delle richieste non può che essere inteso come negativo. In quel momento la linea era quella di non concedere il POS alla Open Arms”. Lei conferma queste sue dichiarazioni?
TESTIMONE MANCINI - Io le confermo...
Vale la pena sottolineare che, peraltro, tale volontà contraria era maturata in un contesto ministeriale in cui, invece, si riteneva che il POS, specie per i minori, dovesse essere dato subito, come spiegato dalla teste GARRONI:
PRESIDENTE – .. lei ricorda qualcuno che si è speso in favore di questa possibilità, di far scendere immediatamente i migranti, dando loro il POS, concedendo loro il POS?
TESTIMONE GARRONI E. – Ma io personalmente, sicuramente sui minori. .. Sui minori, il prima possibile. ..Sugli altri è chiaro che la posizione era quella, no?!
PRESIDENTE – Cioè?
TESTIMONE GARRONI E. – Che dovevano permanere in mare il minimo tempo possibile, minor tempo possibile.
La definitiva conferma dell’assenza di qualunque volontà a fare sbarcare i migranti giunge, tuttavia, proprio dallo stesso imputato, attraverso le sue dichiarazioni pubblicate sui propri profili social o dalla stampa (acquisite al fascicolo del dibattimento all’udienza del 14 giugno 2024):
· "Sul divieto di sbarco alla Open Arms siamo soli contro tutti. Contro Ong, tribunali, Europa e ministri impauriti. E col PD al governo, immigrazione di massa e Ius Soli tornerebbero realtà"[189];
· “Gli Italiani hanno bisogno di un governo forte, non è ammessa timidezza quando sono in gioco la sicurezza e i confini della Patria. Che è dovere di ogni cittadino, e a maggior ragione di ogni ministro, difendere"[190];
· “Continuo e continuerò a negare lo sbarco a chi pretende di portare dei clandestini sempre e solo in Italia”[191];
· “Finché sarò ministro non autorizzerò mezzo sbarco, farò di tutto perché Renzi e la Boschi non governino più in questo Paese”[192].
Anzi, le dichiarazioni sulla volontà di rilasciare il POS, indipendentemente dall’intervento della Procura di Agrigento, si pongono in insanabile contrasto, sì da rivelarsi una mera strategia difensiva, con quanto pubblicamente dichiarato dallo stesso SALVINI proprio il 20 agosto 2019, cioè il giorno dello sbarco, con un video postato in diretta sul suo profilo Facebook (anch’esso acquisito all’udienza del 14 giungo 2024). Infatti, alle ore 18:28 di quel giorno, subito dopo aver appreso dell’ormai imminente sequestro della Open Arms, il Ministro dell’Interno si assentava dalla seduta del Senato per tornare al Viminale per ribadire la sua assoluta contrarietà allo sbarco e proclamare come avrebbe “testardamente” continuato a difendere i confini, la sicurezza e la dignità del Paese, come meglio si vedrà più avanti.
§ 1.4. La sussistenza di elementi che obbligavano il Ministro dell’Interno italiano al rilascio del POS
Sgomberato il campo dell’analisi dalla sussistenza di elementi impeditivi al rilascio del POS o che consentissero al Ministro SALVINI di ritardarne l’indicazione, bisogna verificare ora, in positivo, se quella catena di soccorsi posti in essere dalla Open Arms avesse dovuto concludersi con l’indicazione di un POS da parte dell’autorità italiana.
A tal fine, appare opportuno, scomporre la vicenda in più segmenti temporali anche se va precisato che tale ulteriore analisi è certamente facilitata dalle suddette dichiarazioni dell’imputato laddove ha ammesso che, comunque, il POS sarebbe stato dato, il che altro non significa, al di là dell’esistenza di una effettiva volontà in tal senso, che la situazione era meritevole di POS e che a rilasciarlo doveva essere proprio il Ministro dell’Interno.
§ Il primo segmento della vicenda: 1-13 agosto
Il Tribunale dei Ministri, autorità deputata ad elevare l’imputazione per i reati ministeriali rispetto ai quali e nei limiti dei quali è stata poi concessa l’autorizzazione a procedere, ha individuato il 14 agosto 2019 come il momento a partire dal quale lo Stato italiano avrebbe dovuto indicare il POS essendosi, solo allora, manifestatasi, in via esclusiva, la responsabilità italiana dell’evento SAR.
Lo stesso Tribunale, però, sostiene, in maniera del tutto condivisibile, che, anche nei giorni precedenti, cioè a partire dai primi soccorsi effettuati sulla Open Arms, il nostro Stato fosse coinvolto in quelle operazioni, anche se in via concorrente con altri Paesi, e che, pertanto, avrebbe già potuto procedere al rilascio del POS. Ciò sia in ragione dell’illegittimità del decreto interdittivo del 1° agosto 2019 e, comunque, della sua incapacità a produrre effetti in caso di soccorso, sia in ragione del fatto che l’Italia doveva qualificarsi “Stato di primo contatto” che, in quanto tale, è tenuto a gestire l’evento SAR “fino a quando l'RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità”:
“La documentazione acquisita da questo Collegio a bordo della Open Arms (giornale di bordo e copia di tutti i messaggi e-mail ricevuti ed inviati dalla nave in occasione della vicenda in esame) ha confermato che i primi due eventi di salvataggio, effettuati da Open Arms su segnalazione di altra ONG (..) vennero comunicati da Open Arms, in via diretta, alle autorità libiche e, per conoscenza, sia alle autorità di bandiera (Spagna) che a I.M.R.C.C. e a RCC Malta (..).
Orbene, già sulla base di tale primo segmento della vicenda, è possibile individuare precise responsabilità in capo alle autorità statali coinvolte, connesse alla loro posizione di Stati di “primo contatto” (..) che debba necessariamente individuarsi in quello il cui RCC sia stato per primo contattato dai naufraghi o dalla nave soccorritrice.
(..) Alla luce di tali considerazioni, deve dunque concludersi che, nella vicenda in esame, due sono gli Stati che devono individuarsi come autorità “di primo contatto”: l’Italia e Malta, in quanto entrambi contestualmente contattati ed informati delle prime due operazioni di salvataggio, almeno sin dal 2.8.2019.
Deve, invece, ritenersi che, nonostante la medesima qualificazione possa essere attribuita allo stato libico, in quanto anch’esso subito informato dalla Open Arms dell’evento di soccorso effettuato nella sua zona SAR, ciò non rileva ai fini in discorso, per la semplice considerazione che, secondo quanto unanimemente ritenuto dagli organismi internazionali, tale Stato non è considerato, ad oggi, idoneo a fornire un place of safety, (..).
Ciò posto, dalla documentazione acquisita è emerso che, sin dal primo contatto, il responsabile della missione, per conto del comandante della Open Arms, ebbe a chiedere ad entrambi gli Stati contattati l’indicazione di un POS[193], richiesta sin da subito rigettata dall’autorità maltese (con diverse e-mail, la prima del 2.8.2019 ore 4,22), in virtù della localizzazione dei soccorsi al di fuori della propria area SAR (si ricordi che Malta non ha ratificato gli emendamenti apportati alle convenzioni SAR e SOLAS nel 2004) e della mancata assunzione del coordinamento degli eventi.
Quanto allo Stato italiano, va registrata la mancanza di una risposta esplicita a tale richiesta (I.M.R.C.C. si è sempre limitato, durante lo svolgersi di tutta la vicenda, a trasmettere le varie richieste di POS alle altre autorità competenti, ivi compreso il Gabinetto del Ministro dell’Interno, senza mai evidenziare alla Open Arms la propria estraneità agli eventi) almeno sino al 19.8.2019, data della nota n. 14100/141(15) emessa dall’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno, a firma del Vice Capo di Gabinetto, prefetto Paolo Formicola.
Per quanto si è detto, ritiene questo Collegio che già la prima richiesta di POS, inoltrata dalla Open Arms a seguito del secondo evento SAR, avrebbe potuto legittimare l’Italia a rispondere positivamente ed ad assumere, in ossequio alle norme internazionali sopra ricordate, il coordinamento degli eventi, apparendo a ciò certamente idonea, quale Stato “better able to assist”; idoneità che appare confermata, se non altro, dalla sua diretta ed encomiabile partecipazione, mediante la propria Guardia Costiera, alle diverse operazioni di evacuazione medica richieste, prima, sin dal 3.8.2019, direttamente dalla nave soccorritrice e, successivamente, dallo stato maltese che, nel frattempo, aveva assunto il coordinamento del terzo evento SAR.
Pur sussistendo tale facoltà, non si ritiene, tuttavia, che, durante il primo segmento della vicenda, protrattosi sino al 14.8.2019, si delineasse già un obbligo esclusivo per lo Stato italiano di indicare un POS, quanto meno in relazione al concomitante obbligo gravante, in virtù delle medesime norme, sulle autorità maltesi. In effetti, in capo a queste si profilava anche il più stringente criterio di collegamento della titolarità della zona in cui era avvenuto almeno il secondo soccorso, circostanza questa strenuamente contestata da Malta e, specularmente, sostenuta dal comandante della Open Arms; alla luce di questo criterio, le richieste di sbarco e di ridosso immediatamente successive vennero, infatti, indirizzate dal comandante della Open Arms esclusivamente a Malta.
In relazione a tale concorrente, ed anzi prevalente, criterio di coinvolgimento di Malta, si poteva, dunque, giustificare un atteggiamento “attendista” da parte delle autorità italiane, finalizzato a consentire l’assunzione della responsabilità dell’evento da parte delle autorità maltesi.
In effetti, i successivi sviluppi della vicenda sembravano aver confermato la validità di questa scelta, laddove, a seguito del terzo evento SAR, datato 9 agosto 2019, la responsabilità dell’evento (ma soltanto di quest’ultimo) veniva assunta direttamente da Malta. (..)
Tuttavia, neppure tale intervento di Malta si rivelò idoneo a elidere totalmente la concorrente responsabilità dello Stato italiano, di modo che quest’ultimo potesse ritenersi definitivamente sollevato da ogni obbligo in proposito. Infatti, dalle indagini compiute è emerso che lo Stato maltese accettò di assumere la responsabilità soltanto dei 39 naufraghi soccorsi all’interno della zona SAR di propria competenza (ciò si giustifica, formalmente, in relazione alla mancata ratifica, da parte di Malta, degli emendamenti apportati alla Convenzione SAR nel 2004, a mente dei quali uno Stato “…se necessario, dovrebbe coprire anche incidenti al di fuori della propria regione SAR fino a quando l'RCC responsabile della regione in cui viene fornita l'assistenza o un altro RCC in una posizione migliore intervenga a gestire il caso accettandone la responsabilità” (v. paragrafo 6.7). (..)
In relazione a tale parziale assunzione di responsabilità da parte di Malta, va subito osservato che, quand’anche il comandante della Open Arms avesse aderito alla proposta di far sbarcare soltanto i 39 naufraghi soccorsi in area SAR maltese, la questione del raggiungimento di un POS sarebbe comunque rimasta irrisolta per gli altri, rispetto ai quali il rifiuto di Malta era stato sin da subito del tutto categorico, residuando, dunque, seppur per tale minor numero di naufraghi, una responsabilità dello Stato italiano.
Inoltre, appare, sotto altro profilo, piuttosto significativo il fatto che, nell’assumere il coordinamento dell’evento SAR del 9.8.2019, Malta aveva chiesto all’Italia di consentire lo sbarco a Lampedusa, per la maggior prossimità della nave a tale isola rispetto alle coste maltesi[194]; possibilità, questa, effettivamente contemplata dalle citate norme internazionali, secondo le quali l’indicazione di un POS non deve necessariamente coincidere con un luogo presente sul territorio nazionale del Paese responsabile per la zona SAR interessata all’evento di soccorso; anche per tale verso, dunque, non può certo predicarsi un’assoluta estraneità dell’Italia alla vicenda in discorso.
Non si dimentichi, inoltre, che la posizione dell’Italia quale Stato in grado di offrire in modo più adeguato il soccorso necessario era emerso, nel corso di tutta la vicenda, dall’effettuazione di diverse evacuazioni mediche (Medevac), eseguite con la valida collaborazione della Guardia Costiera Italiana, precisamente: il 3.8.2019, in area SAR maltese, su segnalazione e successiva richiesta di quelle autorità, erano state evacuate due donne incinte ed un’accompagnatrice; in data 11 agosto, su richiesta di Open Arms, sempre nella stessa area, erano state evacuate altre tre persone e sei accompagnatori; nelle prime ore del 14 agosto, a seguito di segnalazione di Open Arms e su richiesta delle autorità maltesi era stata effettuata l’evacuazione di un nucleo familiare di quattro persone (altre Medevac sono state, inoltre, effettuate dopo che la nave aveva raggiunto il punto di fonda assegnatole da I.M.R.C.C. al largo di Lampedusa, precisamente: il 15 agosto vennero evacuati cinque migranti e quattro accompagnatori ed il 16 agosto altri tre migranti ed un accompagnatore).”
A conferma della responsabilità italiana anche nel primo segmento della vicenda, va aggiunto che lo stesso decreto interdittivo del 1° agosto 2019 altro non era che un esercizio di giurisdizione da parte dello Stato italiano, seppure in ambito non propriamente territoriale e, pertanto, come più volte sottolineato dalla costante giurisprudenza della CEDU (richiamata nella parte iniziale della presente memoria) era sottoposto, anche in quella circostanza, a garantire effettività ai diritti convenzionali riconosciuti ai migranti. Cioè, secondo tale consolidata impostazione, nel momento in cui uno Stato decide se un individuo può sbarcare sul proprio territorio e quindi compie un’attività di controllo ai confini, sussiste a suo carico, di converso, l’obbligo di applicare la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo poiché incide sui diritti convenzionali di un individuo.
*
Se gli eventi del primo segmento della vicenda non consentono, dunque, per l’impostazione del Tribunale dei Ministri, di spostare indietro la data del commesso reato, assumono però, egualmente, un importante significato per valutare gli accadimenti, e le relative condotte omissive e/o di diniego, registrate dal 14 agosto in avanti.
Invero, tali eventi dimostrano, innanzitutto, che le condizioni della Open Arms e dei naufraghi da essa raccolti, in costante e progressivo peggioramento, erano ampiamente conosciute, ab origine e in tempo reale, dalle autorità italiane, coinvolte tramite IMRCC e sempre informate sul loro evolversi (v. infra); con la conseguenza che, quando la nave giunse nelle acque territoriali, il Ministero dell'Interno sapeva bene, e da subito, quale fosse la reale portata della situazione che non consentiva di indugiare ulteriormente, nemmeno di un’ora, nell’indicazione di un posto sicuro.
Anzi, il peggioramento delle condizioni del mare, che portò poi al ridosso sull’isola di Lampedusa, non giunse affatto inaspettato, trattandosi di situazione già preannunciata dai bollettini metereologici che, addirittura, spinse la Open Arms a chiedere riparo, oltre che a Malta, anche alla Tunisia, luogo questo normalmente scartato dalle navi soccorritrici perché, come si è detto, inidoneo ad essere considerato posto sicuro.
Inoltre, i suddetti eventi contribuiscono a dimostrare che, dal decreto interdittivo del 1° agosto 2019, si era già precostituita la ferrea volontà del Ministero dell'Interno di negare il POS, sconnessa a circostanze di fatto e di diritto, mai possibilista in ragione dell’evolversi degli eventi e, per questo, in netto contrasto con le operazioni della Guardia costiera italiana che, invece, in quei frangenti, non si sottraeva a prestare il proprio ausilio, reso necessario dall’inadeguatezza di Malta, ben nota alle autorità italiane (che spesso declinava la propria responsabilità non avendo sottoscritto gli emendamenti del 2004 alla Convenzione SAR): il POS, dunque, veniva negato semplicemente perché così si era deciso aprioristicamente.
§ Il secondo segmento della vicenda: il 14 agosto 2019
Per quanto riguarda il secondo segmento della vicenda, bisogna ricordare gli avvenimenti del giorno antecedente, cioè il 13 agosto 2019, per la loro particolare capacità di preannunciare ciò che sarebbe accaduto.
Invero, quel giorno, a causa delle indicazioni metereologiche sul significativo peggioramento delle condizioni del mare previsto per le prossime ore (cfr. MONTES: “il meteo indicava che anche le condizioni del mare sarebbero andate a peggiorare”), la ONG, già nelle prime ore del mattino, era costretta a richiedere un ridosso per ottenere riparo. Richiesta rivolta, in primis, a Malta che, però, la rifiutava dopo qualche ora indicando come luoghi più idonei Lampedusa e la Tunisia (cfr. e-mail inviata il 13 agosto 2019, alle ore 8:03, da RCC Malta: “Le ricordiamo che con i venti previsti avete altre migliori opzioni a vostra disposizione e molto più vicine a Malta, che state scegliendo di ignorare (cioè Lampedusa e Tunisia)”, e poi anche alla Tunisia che, invece, omise di rispondere (MONTES: “Abbiamo fatto la stessa richiesta a Tunisi, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta”).
Sempre il 13 agosto, il medico di Emergency, Alessandro DI BENEDETTO, salito a bordo, offriva due importantissimi elementi di valutazione: il primo riguardante lo stato generale in cui si trovavano i migranti dopo quasi due settimane di navigazione “passati sul ponte a terra” e il rischio di “perdere il controllo della situazione”; il secondo sulle “condizioni del mare .. proibitive” che lo portarono a lasciare presto la nave e che impedirono anche ad un elicottero di portare a termine una evacuazione medica.
Da questo momento, dunque, iniziava a delinearsi un chiarissimo quadro dello stato in cui versava la Open Arms: condizioni critiche inerenti all’ordine e alla salute a bordo e altrettante condizioni critiche inerenti alla sicurezza della navigazione stessa.
La grave situazione, portava la Open Arms, a partire dal pomeriggio del 14 agosto, a richiedere ripetutamente il POS sia a Malta che all’Italia.
Alle ore 21:17, Malta chiudeva i rapporti con la ONG (“Gentile signora Montes, in riferimento alla sua richiesta, si prega di notare, che Malta non fornirà un posto per lo sbarco) sicché, un minuto dopo, alle ore 21:18, la Open Arms tornava a chiedere il POS all’Italia specificando la netta posizione negativa maltese.
Dal definitivo esimersi di Malta, dunque dalle 21:18 del 14 agosto 2019, lo Stato italiano rimaneva l’unico responsabile dell’evento SAR e del rilascio del POS, né il decreto interdittivo, ancora vigente per qualche ora, poteva essere idoneo, pur se considerato legittimo, ad esonerare dall’obbligo di soccorso.
*
Se ciò non bastasse, dopo la richiesta di POS delle 21:18, due fatti immediatamente successivi non fecero altro che rendere ancora più evidente e urgente la necessità di adempiere a quell’obbligo.
a) Innanzitutto, alle ore 21:41, la Open Arms trasmetteva a IMRCC il provvedimento del TAR Lazio di sospensione del decreto interdittivo annunciando che “la nostra nave si sta dirigendo nelle acque territoriali italiane per poter cercare rifugio dalle avverse condizioni meteo e procedere alle relative richieste per salvaguardare la sicurezza e la salute delle persone a bordo”.
Il divieto, dunque, qualora considerato inizialmente dal Ministero dell’Interno idoneo a sottrarlo dall’obbligo al POS, era però decaduto e la nave aveva pieno titolo per entrare in acque nazionali con tutte le conseguenze che da ciò derivavano in termini di adempimenti delle autorità italiane.
Non c’erano più, dunque, ragioni o interpretazioni giuridiche di sorta che potessero impedire o sconsigliare l’immediato rilascio del POS sussistendo, al contrario, tutti i presupposti per indicarlo, in base alle norme sulla conclusione degli eventi SAR e a quelle che, in tali casi, obbligano lo Stato a liberare quanto prima il comandante della nave soccorritrice.
L’assoluta doverosità di quel POS, oltre a ricavarsi, senza ombra di dubbio dalla normativa internazionale in materia, proviene anche dalla prassi interpretativa delle regole, come dichiarato dalla teste LAMORGESE:
Allora, … se il salvataggio avviene nell'Area SAR Libica, molto spesso le organizzazioni ONG fanno, diciamo si muovono in autonomia. Poi, però, comunicano alle Autorità Libiche del soccorso effettuato e a quel punto chiedono un POS che l'Autorità Libica dà regolarmente come Tripoli, ovviamente viene rifiutato come porto, perché un luogo non sicuro. A quel punto si avvia, quindi la navigazione prosegue e molto spesso ovviamente passano per area maltese, quando sono in area maltese fanno sempre richiesta di POS, sia all’Italia che a Malta. Come regola noi non davamo mai il POS quando stavano in area maltese, perché la competenza in quel caso specifico era di Malta, soltanto quando Malta non rispondeva, regolarmente si avviavano verso l'Italia e a quel punto noi dovevamo assumere, in base alle norme di diritto internazionale, quando arrivavano in area SAR italiana, dovevamo ovviamente iniziare tutta le nostre interlocuzioni come ho detto, per poi concludere la procedura dando il POS.(..)
PUBBLICO MINISTERO – non avendo sottoscritto quella Convenzione, Malta non ha l’obbligo di rispondere.
TESTIMONE LAMORGESE L. – Esatto. (..)
PUBBLICO MINISTERO – E nel caso in cui la nave si trova già nel porto, è stato mai bloccato lo sbarco delle persone che vi si trovano a bordo?
TESTIMONE LAMORGESE L. – No.
b) Altro fatto da considerare è che, a quel punto, la vicenda aveva cambiato i suoi originari connotati. In quel momento, infatti, non rilevavano soltanto l’avvenuto ingresso in acque italiane e la necessità e l’urgenza di definire i tre pregressi eventi SAR (dall’1 al 9 agosto). Infatti, ormai, era la stessa nave soccorritrice ad avere bisogno di soccorso essendosi profilato, come segnalato anche dal Tribunale dei Ministri, un quarto evento SAR: una nave trasportante un numero di persone di gran lunga superiore a quello consentito, con una situazione di disordine a bordo, si trovava ora a dovere affrontare le avverse e proibitive condizioni del mare. Un distress, quindi, che ha colpito la stessa Open Arms e per il quale la competenza a svolgere i soccorsi era certamente dell’I.M.R.C.C. Roma, mentre il porto vicino più sicuro era, appunto, quello di Lampedusa presso cui la nave si stava dirigendo. Ulteriore evento SAR, questo, che, in quanto tale, mise in moto, di fatto, tutte le necessarie attività della Guardia Costiera che, pur non potendo assumere formalmente la gestione dell’evento poiché “fenomeno di immigrazione clandestina”, fece comunque l’impossibile pur di garantire le minime condizioni di sicurezza della nave.
E ciò fece a partire dalla concessione del ridosso a Lampedusa nella notte tra il 14 e il 15 agosto, essendo tale soluzione - “in presenza di una difficoltà nell’autorizzare l’attracco della nave” (cfr. prefetto CAPUTO), e cioè di una immotivata volontà del Ministero dell'Interno di indicare doverosamente il POS - “l’unica condizione di sicurezza per evitare tragedie” (cfr. LIARDO).
Perfino i soccorritori avevano difficoltà a soccorrere: nemmeno un mezzo della Guardia Costiera riuscì ad avvicinarsi alla Open Arms perché “si metteva a rischio la sicurezza anche dei ragazzi della motovedetta” (cfr. TRINGALI), e non si riuscì neanche ad eseguire le Medevac che vennero rinviate poiché “si ritenne che le stesse non potessero essere effettuate in sicurezza” (cfr. LIARDO).
Una situazione che spingeva IMRCC a scrivere al Ministero dell'Interno, alle ore 2:28 del 15.8.2019, una e-mail, tutta in stampatello per maggiormente evidenziare la situazione di allarme: “le attuali condizioni meteomarine, individuate in mare 4 da nord ovest, con altezza d’onda di 2,5 metri e vento 25 nodi con raffiche fino a 28 nodi, non permettono allo stato una sicura navigazione verso altri sorgitori al di fuori della predetta isola. Premesso quanto sopra, a tutela della salvaguardia della vita umana in mare, salvo diverso avviso di codesto NCC per gli aspetti di competenza, lo scrivente IMRCC non porrà diniego al solo ridosso della predetta unità (..) si comunica, inoltre, che un dipendente unità navale inviata in zona al fine di procedere al trasbordo di un team medico per l’effettuazione di accertamenti medici sulle condizioni di salute dei migranti ha comunicato l’impossibilità ad effettuare detto trasbordo a causa di avverse condimeteo”.
Anche l’imputato ha ammesso che, a quel punto, il POS doveva essere dato, pur lasciando intendere che avrebbe potuto ancora attendere qualche giorno, anche se è evidente che nessuna attesa era più consentita:
PRESIDENTE –Nel momento in cui è stato concesso il ridosso alla Open Arms a Lampedusa, non si è pensato che … l’ingresso delle imbarcazione nelle acque territoriali italiane, e quindi il ridosso a Lampedusa, in qualche maniera concentrasse sull'Italia il compito di farsi centro di coordinamento per tutte le operazioni conseguenti?
IMPUTATO SALVINI M. – Così poi è avvenuto. Ripeto, a prescindere dall'intervento del Procura di Agrigento, lo sbarco ci sarebbe stato. Assolutamente.
§ Il terzo segmento della vicenda: 15-20 agosto
I giorni successivi mettono ancor di più in risalto la sussistenza, la rilevanza e la gravità dell’omissione del Ministro.
Innanzitutto, infatti, furono caratterizzati da reiterate richieste di POS da parte della Open Arms, tutte inevase, e, sebbene le condizioni del mare fossero migliorate, la situazione concreta a bordo della nave era sensibilmente peggiorata, come riferito da numerosi e qualificati testi, per lo stato di deterioramento fisico e psichico dei migranti, costretti a vivere in quelle estenuanti condizioni pur avendo la terra di fronte a loro, tanto che in molti iniziarono a lanciarsi in mare.
A tal proposito, l’imputato, nel tentativo di giustificare la sua inerzia, a domanda del Presidente, ha riferito che, sostanzialmente, si trattava di una situazione sotto controllo. Va rilevato al riguardo che, al di là del fatto che il continuo lanciarsi in acqua dei migranti smentisce che “la situazione non era a rischio”, il Ministro, nell’escludere le criticità di quel contesto, ha fatto riferimento soltanto alle urgenze sanitarie di singoli migranti, puntualmente gestiste da altre autorità, non soffermandosi minimamente sull’evidente stato di privazione della libertà personale di quei naufraghi che avevano iniziato a cercare, seppur pericolose, vie di fuga:
IMPUTATO SALVINI M. – Noi eravamo.., io ero personalmente, continuamente rassicurato sul fatto che non ci fossero emergenze o evidenze emergenziali a bordo, il rapporto USMAF da questo punto di vista ci si confortava.. (..).
PRESIDENTE – Sì. Però (..) sul fatto se fosse stato a conoscenza di alcuni migranti che si erano buttati in acqua..
IMPUTATO SALVINI M. – Sì, sì noi seguivamo, io tramite il Capo di Gabinetto, ma c'erano rassicurazioni che non ci fossero situazioni emergenziali a bordo. Non è stato il primo caso, né è stato l'ultimo, quello di immigrati che si sono gettati..
PRESIDENTE – Beh, non è proprio il massimo..
IMPUTATO SALVINI M. – No, non è usuale fortunatamente, fortunatamente non è usuale.
PRESIDENTE – Ma non è neanche molto tranquillizzante il fatto che i migranti si buttino in acqua, insomma lascia pensare che la situazione a bordo sia un po’ pesante.
IMPUTATO SALVINI M. – Gli elementi che avevamo ci dicevano che comunque la situazione non era a rischio.
A sostegno dell’assenza di una condizione di pericolo, l’imputato, nelle sue dichiarazioni spontanee, ha richiamato anche la relazione del personale dell’USMAF del 17 agosto 2019, a firma del dott. ARNONE, in cui si legge che “I servizi igienici sono utilizzati in ordine, si presentano sufficientemente puliti. I capi di vestiario sono lavati e stesi. Nell’area occupata non tracce di materiale biologico. I migranti appaiono provati fisicamente e psicologicamente, ma si mostrano calmi e collaboranti. Il locale infermeria risulta essere attrezzato adeguatamente per le prime urgenze”, confrontandola con una successiva relazione, sempre a firma del medesimo medico, datata 30 agosto 2019, in cui, con riferimento alla nave Mare Ionio, aveva prospettato una situazione più grave, sotto il profilo igienico-sanitario.
Premesso che, non è possibile paragonare casi diversi, ognuno caratterizzato dalle proprie specificità - che non sono state peraltro oggetto di approfondimento nel corso del dibattimento - dalla scarna relazione a firma del dott. ARNONE emerge, comunque, che a bordo della Open Arms vi erano casi di scabbia e tubercolosi, che i migranti apparivano provati fisicamente e psicologicamente e che, in 147, avevano a disposizione solo due bagni alla turca.
In ogni caso, l’imputato ha omesso di considerare tutte le altre relazioni mediche trasmesse al suo Gabinetto, sia nei giorni antecedenti che in quelli successivi al 17 agosto, che davano atto di un allarmante peggioramento della situazione a bordo e di pessime condizioni igienico-sanitarie. Si veda, tra le altre, la relazione dei medici del CISOM[195], i quali già il 15 agosto 2019, oltre a documentare le varie patologie di cui soffrivano i migranti (20 casi di scabbia; numerosi casi di cistite; un minore con un timpano perforato; una minore anemica e astenica; un uomo con artrite sviluppata dopo la rimozione di sei colpi di pistola in Libia; una donna con ustioni da carburante; un uomo con ferite di arma da fuoco; una donna vittima di crisi epilettiche; diversi migranti con infezioni della cute di origine stafilococcica; un uomo con cisti pilonidale infetta), attestavano che: “la situazione generale vede condizioni igienico-sanitarie pessime: spazi non idonei ad ospitare un così ingente numero di persone. I naufraghi vivono da 14 giorni ammassati gli uni sugli altri, non c’è possibilità di deambulare, sono presenti solo due bagni chimici e spesso i naufraghi sono costretti ad espletare i loro bisogni fisiologici nello stesso spazio in cui dormono e mangiano; non ci sono docce o lavabi, non c’è possibilità di provvedere all’igiene personale e degli indumenti, né di lavarsi se non con l’acqua di mare. Inoltre, rileviamo condizioni di salute precarie, lo stato d’animo a bordo è di profondo sconforto”.
Tale situazione, invece, proprio per la sua gravità accompagnata dall’anomalia del silenzio del Ministro dell'Interno, determinò, anche, come si è detto, una serie di reazioni e/o di soluzioni di accomodo da parte delle altre autorità interessate per supplire ad una inedita inerzia del Ministro dell’Interno il quale, nemmeno di fronte al corale richiamo alla normativa interna e internazionale posta a tutela, soprattutto, della salvaguardia dei diritto fondamentali dell’uomo, ritenne di indicare un posto sicuro.
Né la sopraggiunta indicazione di un POS da parte della Spagna, Stato di bandiera - offerto, peraltro, solo in data 18 agosto 2019, quando cioè la nave si trovava già da tre giorni in prossimità delle coste di Lampedusa, dopo 18 giorni di traversata, presso un posto che avrebbe richiesto altri giorni di navigazione, contrario alla normativa internazionale ma rilasciato, come visto, a causa unicamente della pressione mediatica - poteva sollevare il Ministro SALVINI dal suo cogente obbligo il cui inadempimento, del resto, a quella data, si era abbondantemente maturato. D’altra parte, quando le trattative con la Spagna per trovare un porto non molto distante per la Open Arms erano ancora in corso e sussisteva al riguardo una situazione di incertezza, l’indomani 19 agosto, senza attendere la definizione della questione spagnola, il Ministro per la prima volta rispondeva alle ripetute richieste di POS che, fino ad allora lo avevano lasciato inerte, emettendo un provvedimento di diniego la cui illegittimità, come visto, è manifesta.
*
In sostanza, la sintesi dei fatti evidenziati dimostra che l’imputato - pur a conoscenza sin dal 1° agosto, delle operazioni di soccorso intraprese dalla Open Mars, sin dal 6 agosto, della presenza a bordo dei minorenni non accompagnati, sin dai giorni immediatamente successivi, delle traversie della nave e dei suoi passeggeri, sin dal 14 agosto, del legittimo arrivo della ONG in acque nazionali e delle numerose richieste di POS avanzate, sin dal 15 agosto del precipitare della situazione e dei migranti che si lanciavano in mare - non ritenne mai (eccetto il 15 e il 19 agosto, come si preciserà) di intervenire anche solo per negare il POS sì da consentire a quel natante di dirigersi altrove (qualora ciò gli fosse stato possibile) così come fece a fronte dei reiterati e netti rifiuti di Malta.
Solo il 15 agosto negò il POS per i minorenni e solo il 19 per gli adulti, peraltro, come visto, attraverso provvedimenti all’evidenza contrari a qualunque norma di diritto e a qualunque logica e ragionevolezza.
L’omissione si concretizzò, quantomeno, a partire dal 14 agosto, essendosi già prospettate tutte le condizioni che lo obbligavano a provvedere e, per di più, in senso positivo. Condizioni che, peraltro, non si erano palesate all’improvviso essendo il Ministro a conoscenza di tutto l’evolversi di quella vicenda che era al centro di una crisi politica in atto e che, comunque, aveva suscitato ferme reazioni anche tra i più alti livelli istituzionali interni e internazionali.
La situazione dei minori, sbarcati solo per il suo non “frapporre ostacoli” dopo essere stato più volte e da più fronti sollecitato in tal senso, non gli consentiva, nemmeno per un solo attimo, di non provvedere o di provvedere negativamente o di provvedere in ritardo.
I minorenni non accompagnati, per l’ordinamento interno e internazionale, non sono migranti, regolari o irregolari, ma sono vittime altamente vulnerabili il cui trattamento inadeguato, in quelle peculiari condizioni in un territorio straniero e senza la loro famiglia, come sottolineato dalla CEDU nella sentenza del 28 febbraio 2019 prima citata, provoca sentimenti di paura, di angoscia, inferiorità, avvilimento e umiliazione. E che questa fosse, nella realtà, la situazione, peraltro più volte segnalata, di quei minori a bordo è stato testimoniato, tra gli altri, dal medico di bordo, Inas URROSOLO MARTINE DE LOGOS: Parliamo di persone molto vulnerabili, che hanno già sofferto nel Paese di origine, Paese in transito, la Libia, e l’aver lasciato un paese in guerra, la famiglia, aver vissuto e subito violenza di ogni genere, ricordiamo che sono persone… La sofferenza, lo stress post traumatico, la spersonalizzazione, tutta la ripercussione che può trovarsi in un’imbarcazione, con le incertezze che sarà di loro, l’incertezza di quello che loro pensano che cosa credono i familiari su di loro, che non ha risposta. I minori non accompagnati che non parlavano di loro stessi se non dei loro familiari, che soffrivano tanto del fatto … di credere che i familiari pensassero che fossero già morti”.
Per questi minori, lo Stato assicura, già da quando si trovano alla frontiera, una corsia preferenziale di accoglienza e trattamento dedicato, senza la promiscuità di una nave, in apposite strutture. E, nei loro confronti, certamente, in nessun momento poteva ritenersi che potesse operare il decreto interdittivo del 1° agosto. Allora, il non rispondere o rispondere negativamente a decine di minorenni in quelle condizioni e ai quali doveva garantirsi lo sbarco a far data, a dir poco, già dal solo varcare le acque nazionali, rende l’assenza del POS immediatamente illegittima non potendosi, in questo caso, invocare impedimenti logistici o di politica migratoria che cedono inesorabilmente di fronte alla superiore esigenza di tutela dei diritti dei più fragili.
Per gli adulti, sbarcati il 20 agosto, in virtù di un provvedimento giudiziario e non amministrativo, il risultato non cambia, seppure per ragioni diverse.
Intanto, come detto chiaramente dalla teste LAMORGESE, quando una nave soccorritrice è già nel porto italiano, i migranti devono sbarcare.
Ma la Open Arms, omologata per il trasporto di 19 persone, giunse, legittimamente, in acque nazionali dopo 14 giorni di navigazione con 147 migranti a bordo i quali erano particolarmente provati per ovvi problemi psicologici e fisici. E qui giunse, avanti al porto di Lampedusa, essa stessa vittima di un evento SAR. La nave delle ONG, dunque tutto era tranne che un posto sicuro temporaneo.
Anche in questo caso, dunque, il Ministro dell’Interno non aveva scusanti di sorta per non concedere o ritardare il POS: non vi era l’indisponibilità di strutture di accoglienza né la politica della redistribuzione, ormai ben avviata (cfr. CONTE e DI MAIO), aveva ulteriore bisogno di consegnare all’Europa l’immagine di 147 migranti in situazioni estreme. Del resto, come si è già sottolineato, nemmeno gli accordi di redistribuzione già raggiunti nella vicenda in esame, furono idonei a incidere sulla posizione omissiva del Ministro che anzi emise, il 19 agosto, l’espresso diniego.
L’omissione prima e il rifiuto poi dunque non trovano, anche in questo caso, alcuna giustificazione giuridicamente, fattualmente, umanamente apprezzabile.
Inoltre, la volontà dell’imputato, espressa soltanto nel corso del suo esame, di volere concedere il POS, non solo, come detto, risulta non credibile ma, qualora fosse stata realmente maturata, non avrebbe potuto ammantare di liceità le pregresse omissioni o i pregressi rifiuti. Un POS da rilasciare in una data comunque successiva al 20 agosto, sarebbe stato egualmente tardivo perché, a quel tempo, i migranti avevano iniziato, uno per uno, a buttarsi in mare pur di riacquistare la propria libertà, perché, come efficacemente espresso dal teste DE FALCO, in quel momento i naufraghi “avevano la terra dinnanzi a sé” e non si poteva fare più politica “sulla carne della gente che già sta soffrendo”.
§ 1.5. La privazione della libertà personale come conseguenza all’omesso rilascio del POS
L’evento tipico del delitto di sequestro di persona è costituito dalla privazione della libertà personale altrui che sia conseguenza della condotta criminosa dell'agente.
Trattandosi di un reato causalmente orientato, per la cui integrazione non sono richieste particolari modalità, è indubbio che la condotta possa anche essere di natura omissiva secondo il generale schema punitivo previsto dal combinato disposto delle norme incriminatrici penali e l’art. 40 comma 2 c.p., purché, appunto, abbia come conseguenza l’illegittima limitazione della libertà di movimento.
In particolare, il nostro caso riguarda una restrizione della libertà, in origine legittima (cioè, nella specie, scriminata dalle attività di salvataggio) che è stata prolungata illegittimamente da chi non ha adempiuto all’obbligo giuridico di liberare il soggetto ristretto.
Come finora rappresentato, è indubbio che, sin da, almeno, il 14 agosto 2019, le reiterate, illegittime, volontarie e coscienti, condotte dell’imputato di diniego del POS, poste in essere nell’esercizio dei poteri e delle attribuzioni di Ministro dell’Interno, hanno causalmente impedito ai 147 migranti della Open Arms di lasciare la nave soccorritrice. È stato solo ed esclusivamente l’indebito rifiuto di indicare il POS e del correlativo illecito diniego espresso dell’autorizzazione allo sbarco, a far sì che i migranti, dopo essere stati soccorsi in mare, sono stati costretti forzatamente a rimanere a bordo del natante per più giorni.
Altrettanto indubbio è che gravasse proprio sull’imputato, titolare di un obbligo giuridico di provvedere exart. 40, secondo comma, c.p., di procedere alla rimozione degli ostacoli limitativi della libertà personale altrui e che, all’opposto, lo stesso, non solo non si sia attivato, ma abbia perpetrato sine die il suo diniego, interrotto solo a seguito, per i minori, dall’intervento dello stesso Presidente del Consiglio e, per i maggiorenni, dall’intervento della Procura della Repubblica di Agrigento.
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Quanto allo status della vittima va evidenziato, per ciò che qui rileva, che, secondo i consolidati orientamenti della Corte di Cassazione, il sequestro di persona può certamente configurarsi anche nei confronti di un soggetto che venga trattenuto illegittimamente in un luogo in cui si trovi già legittimamente ristretto, come ad esempio nel caso di sequestro ipotizzato nei confronti di soggetti detenuti (Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 4438 del 07/10/1974 (dep. 24/04/1975); Sez. 5, n. 4717 del 26/02/1986 (dep. 04/06/1986) o, per analogia, come nel caso in cui i migranti si trovino confinati a bordo di una nave in seguito al loro soccorso in mare.
Non vi è dubbio, altresì, che la privazione della libertà permanga penalmente rilevante anche nel caso in cui il soggetto passivo possa essere sottoposto ad ulteriori legittime limitazioni della libertà personale, come sarebbe stato, per l’appunto, nel caso in esame poiché sul territorio italiano – secondo l’attuale contesto normativo – le persone soccorse dalla Open Arms, una volta sbarcate, non avrebbero avuto una libertà totale e indiscriminata di movimento, in quanto avrebbero comunque dovuto essere sottoposte ad operazioni di rilevamento foto-dattiloscopico e segnaletico (art. 10-ter D. lgs. 286 del 1998) e ad un possibile trattenimento presso i centri di permanenza per i rimpatri; tutte circostanze che, seppur limitative della libertà personale, sono previste da norme di legge e, pertanto, non incidono sul disvalore penale della precedente illegittima condotta di trattenimento a bordo dei migranti.
Peraltro, merita di essere sottolineato che la qualifica di “clandestini” delle vittime del reato di sequestro di persona non elide in alcun modo la configurabilità della fattispecie criminosa, come ormai pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità sin dalla risalente decisione della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, n. 962/2004 secondo cui costituisce comunque sequestro di persona la restrizione della libertà personale di immigrati, anche se gli stessi sono irregolarmente presenti sul territorio nazionale.
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Con riferimento, invece, alla lesione, penalmente rilevante, che deve arrecarsi alla libertà personale, la giurisprudenza non richiede necessariamente una privazione in senso assoluto della possibilità di movimento del soggetto passivo, essendo sufficiente anche una limitazione che inibisca la sua piena libertà di locomozione per un tempo apprezzabile (Cass. Sez. 5 n. 2013/2022; Cass. Sez. 3, n. 15443 del 26/11/2014 -dep. 2015, Rv. 263340).
In particolare, nella vicenda in esame, già soltanto la forzata permanenza bordo di una nave, caratterizzata dal fatto di essere comunque un luogo ristretto, è da ritenersi offensiva del bene di cui all’art. 13 della Costituzione.
Si è già ricordato, proprio a tal proposito, che, ai sensi dell’art. 2, lett. h) della Direttiva 2013/33, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, la permanenza sulla nave va qualificata di per sé come «trattenimento» che comporta per il migrante, come nel caso di specie, un «confinamento da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione e della libertà personale tenendo conto che i migranti si trovano a vivere in un perimetro estremamente ristretto e inadatto, nonché in una situazione di isolamento rispetto al mondo esterno e di impossibilità di godere dei diritti umani dei quali sono titolari”.
Si evidenzia, sempre a tal riguardo, che una nave non certificata per il trasporto di persone è un luogo ancora più circoscritto, come lo era, appunto la Open Arms rispetto alle 147 persone che ospitava oltre ai membri dell’equipaggio. Sul punto, la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza FMS, FNZ e SA (cause riunite C-924/19, C-925/19), depositata il 14 maggio 2020) ha rilevato che il trattenimento in una zona di transito, in un perimetro estremamente ristretto, è una misura privativa della libertà del richiedente asilo anche perché egli è tenuto a vivere in un ambiente «circoscritto e ristretto» che non può abbandonare di propria iniziativa.
Di conseguenza, il reato si configura anche nel caso in cui la libertà di movimento non sia recuperabile, da parte della vittima, “con immediatezza, agevolmente e senza rischi” (Cass. Sez. III n. 15443/2014). In altri termini, il delitto non presuppone necessariamente l'assoluta interclusione della vittima, ma può consistere in limitazioni della libertà personale superabili però soltanto con l'esposizione ad un pericolo per l'incolumità personale (Cass. pen. n. 36823/2011).
Il bene giuridico della libertà personale, in sostanza, è leso da qualsiasi apprezzabile limitazione della libertà fisica intesa quale possibilità di movimento nello spazio secondo la libera scelta di ciascuno, a nulla rilevando la circostanza che la vittima non faccia alcun tentativo per recuperare la propria libertà di movimento quando a tal fine deve porre in essere mezzi straordinari che comportino anche soltanto un rischio presunto (Cass. pen. n. 7762/1993).
Ne deriva che, nel caso di specie, non appare circostanza idonea ad escludere l’integrazione del delitto di sequestro di persona, la possibilità per i migranti (certamente sussistente, ed anzi da alcuni di essi in concreto attuata) di abbandonare il natante lanciandosi nello specchio di mare antistante.
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Quanto ai tempi minimi necessari perché la privazione della libertà personale, per come sopra intesa, possa essere penalmente rilevante, occorre che la limitazione si protragga per un tempo apprezzabile (Cass. Sez. 5 n. 2013/2022; Cass. Sez. 3, n. 15443 del 26/11/2014 -dep. 2015, Rv. 263340, citate).
Al riguardo, però, nel determinare il concetto di tempo apprezzabile, la giurisprudenza è particolarmente rigorosa, proprio perché vengono in rilievo diritti umani fondamentali. Di conseguenza, per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 605 c.p., si ritiene sufficiente un tempo breve (cioè, spesso, quel tempo minimo ulteriore rispetto alla perpetrazione di altri delitti teologicamente realizzati privando temporaneamente la vittima della libertà personale, che renda il sequestro di persona reato autonomo, anche se finalisticamente collegato ad altra fattispecie criminosa). Precisa, infatti, la S.C. che “Per la sussistenza dell’elemento materiale del delitto di sequestro di persona previsto dall’art. 605 c.p. è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, tale da privarlo della capacità di spostarsi da un luogo all’altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato ad un tempo anche breve” (Cass. Pen., sez. V, sentenza 22 febbraio 2005, n. 6488, in Ced Cassazione, rv. 231422).
Ad esempio, è stato ritenuto integrare il delitto di sequestro di persona la privazione, temporalmente limitata, della libertà di una persona nel caso di un migrante minorenne che aveva trattenuto gli operatori del centro di accoglienza ove era allocato, bloccando la porta d'ingresso con una sbarra di ferro, per un arco temporale di circa 30 minuti, al fine di protestare contro le condizioni di ospitalità e rivendicare un miglior trattamento generale all'interno della struttura (cfr. Cass. Sez. 1, n. 47949 del 27/10/2016 (dep. 11/11/2016) Rv. 268379 – 01).
Nel caso in esame, il tempo di limitazione della libertà personale sofferto da centinaia di persone, si è protratto per ben oltre i suddetti 30 minuti e, cioè, per più giorni (quanto meno 4 per i minori e 6 per i maggiorenni, ma in realtà molti di più per i naufraghi soccorsi già l’1 agosto 2019); tempo questo, di per sé abbondantemente sufficiente per la configurazione della fattispecie di cui all’art. 605 c.p. ma che risulta ulteriormente rilevante se apprezzato rispetto al contesto in cui la privazione del bene di cui all’art. 13 della Cost. si è realizzata.
È superfluo ricordare le condizioni in cui tali persone sono state trovate dopo 20 giorni di navigazione, evidenziate nel verbale di ispezione della Open Arms del 20 agosto 2019, nella descrizione dei luoghi riferita dai consulenti tecnici del PM di Agrigento, e da tutte le testimonianze dei medici a vario titolo intervenuti. Condizioni che contribuiscono a rendere ogni attimo di protrazione di quello stato significativamente apprezzabile ai fini della privazione della libertà personale.
La protrazione della loro permanenza a bordo della Open Arms, le precarie condizioni, sanitarie, psico-fisiche e logistiche, hanno certamente compresso in modo rilevante e, dunque, giuridicamente “apprezzabile”, la libertà di movimento dei migranti per un significativo periodo temporale, che sarebbe stato ancora più lungo qualora non fossero intervenuti fattori interruttivi esterni poiché, come dichiarato significativamente dallo stesso imputato, il POS sarebbe stato rilasciato “se non nelle ore nei giorni successivi” con evidente ulteriore aggravio delle conseguenze lesive ai diritti fondamentali degli individui.
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Poiché il delitto in esame, tipico esempio di reato permanente, si perfeziona nel momento e nel luogo in cui, a causa della condotta illegittima dell’agente, la vittima sia stata privata della libertà personale, appaiono necessarie alcune puntualizzazioni sul tempus commissi delicti che non può non tenere conto di quella serie di circostante che caratterizzano il fatto, essenziali ai fini di verificare quando l’azione si sia rivelata idonea a produrre la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
Nel caso di specie, è indubbio che già, all’arrivo della Open Arms in acque nazionali, la nave, come detto, conteneva, innanzitutto, almeno 147 persone in più rispetto a quelle che era in condizione di ospitare.
Al riguardo non si discute di questioni di mero comfort per le persone a bordo, nel senso di livello di benessere percepito in quei giorni di navigazione, ma si discute di spazi vitali che consentissero ai migranti, già all’interno dello stesso natante, di esercitare, seppure in forma ridotta, una pur minima libertà di movimento.
Significativa è, al riguardo, la testimonianza del dott. ASARO: “gli spazi a disposizione erano minimi, quindi avevano poco da fare, potevano stare o seduti o sdraiati o all’impiedi” (..) Non c'erano suppellettili a bordo del ponte, non c'era niente, non c'erano sedie, c'erano soltanto queste persone”).
Altrettanto utile, a tal fine, è la deposizione della dott.ssa DI NATALE secondo cui i 147 naufraghi a bordo, “tutti ammassati sulla nave”, erano costretti a espletare i propri bisogni fisiologici nello stesso spazio in cui dormivano e mangiavano.
Mentre, per i medici del CISOM, era impossibile svolgere visite sanitarie individuali a causa della massa indistinta di migranti sul ponte: “No, questo non c’è stato possibile, perché era impossibile in quelle condizioni, erano tutti sul ponte, non c’era un luogo adatto”.
Certamente, siffatta situazione era antecedente al definitivo insorgere dell’obbligo di POS in capo al Ministro dell'Interno ed era stata fino ad allora scriminata dall’intervenuto salvataggio. È pur vero, però, che la condizione di restrizione dei migranti era nota ben prima dell’arrivo della Open Arms in acque nazionali, sicché, in tale momento, generatosi indubbiamente il cogente obbligo di indicazione del posto sicuro, il Ministro era ben consapevole che il suo non provvedere perpetuava, sin da subito, un impietoso e illegittimo stato di restrizione di 147 persone. Di converso, i migranti a bordo, secondo le superiori norme internazionali citate, avevano contestualmente maturato, a loro volta, il preciso diritto, giudiziariamente azionabile, di raggiungere la terraferma e di riacquistare la piena autonomia di movimento.
In ogni caso, il successivo protrarsi, nelle ore e nei giorni successivi, dell’inerzia dell’imputato non ha fatto altro che incidere, aggravandolo, sullo stato di privazione della libertà personale, dando luogo ad una evidente lesione del bene giuridico sotto il duplice profilo della possibilità del libero movimento sulla stessa nave e della possibilità del libero movimento fuori dal natante.
A riprova della particolare idoneità della condotta dell’imputato a ledere il supremo bene consacrato nell’art. 13 della Costituzione, basti ricordare soltanto che i migranti, ai fini autolesionistici rispetto ad uno statusinsopportabile ma, più spesso, allo scopo di riottenere la loro libertà personale, iniziarono, sempre più numerosi, a lanciarsi in mare, ponendo a rischio, un’altra volta ancora in quel viaggio verso l’Europa, la loro stessa vita: “i migranti non volevano nemmeno farsi soccorrere, cioè perché nella loro idea volevano raggiungere, avevano un po’ perso fiducia in tutto e volevano raggiungere a nuoto l’isola. Questa è la realtà dei fatti” (cfr. ad es., teste ANEDDA). Tali episodi, infatti, consegnano plasticamente lo stato di chi è fisicamente ristretto e tenta l’evasione, nonostante i gravi rischi per la propria incolumità, come unico mezzo per riacquistare le libertà che gli era stata negata.
L’illegittimità di quella privazione della libertà personale è testimoniata, anche indirettamente, dalle reazioni, a cui si è fatto cenno, delle diverse autorità coinvolte nella vicenda le quali cercarono, ciascuna secondo l’ambito di propria competenza, di sollecitare l’interruzione di quella situazione antigiuridica proprio ad opera di chi l’aveva generata, e cioè il Ministro dell'Interno. Così, la Guardia costiera, così il Presidente del Consiglio, così i Ministri TRENTA e MOAVERO, così il Tribunale per i minorenni e la relativa Procura della Repubblica, per non parlare degli accorati interventi del Garante dei diritti dei detenuti e del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza.
La indubbia illegittima condotta dell’imputato ha dunque dato luogo all’altrettanto indubbia e illegittima privazione della libertà personale di 147 persone, inflitta in violazione di precise norme di rango primario, non giustificata dall’esistenza di norme giuridiche che la potessero disporre o consentire, ed anzi posta in essere da chi rivestiva una posizione di garanzia (propria delle condotte omissive) derivante dalla attribuzione di pubblici poteri.
*
Per le ragioni fin qui esposte, il reato di sequestro di persona, nella specie, risulta aggravato dal fatto che la condotta sia stata commessa da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni; non è infatti dubitabile che l’indicazione del POS - o il suo diniego - era atto rimesso al Ministro dell’Interno che avrebbe dovuto emetterlo nell’esercizio di una funzione amministrativa, e che lo stesso ha abusato di tali poteri sviando la funzione esercitata dal risultato per il cui conseguimento essa era normativamente riconosciuta (emissione dell’atto conclusivo di un evento SAR, in funzione di tutela della vita in mare) verso finalità ad esso estranee, come a breve si dirà.
Altresì configurabile è l’aggravante della minore età di alcune delle persone offese, dato che solo in data 17/18 agosto 2019 – e dunque giorni dopo la sussistenza dell’obbligo di rilascio del POS e la relativa configurabilità della posizione di garanzia in capo all’imputato, fu completato lo sbarco dei 27 minori non accompagnati che si trovavano ancora a bordo – peraltro solo all’esito della ennesima sollecitazione della competente Autorità giudiziaria, anche se 9 di costoro, all’esito dello sbarco, si dichiararono maggiorenni.
A quest’ultimo proposito, va ricordato che la circostanza attenuante dell’essersi adoperato concretamente affinché il minore riacquisti la propria libertà, di cui all'art. 605, comma quarto, n. 1, c.p., può essere riconosciuta, secondo la giurisprudenza, solo qualora venga accertato che il rilascio della vittima sia stato determinato da un comportamento oggettivamente rilevante e non da fattori esterni al sequestrante, non potendo coincidere la liberazione della persona offesa con il mero esaurimento della condotta criminosa. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva escluso l'attenuante in favore dell'imputato che aveva rilasciato i minori sequestrati solo perché intimorito dal sopraggiungere delle forze dell'ordine; Cass. pen. n. 21729/2021). Circostanza, dunque, non ravvisabile nel caso di specie, essendosi accertato che lo sbarco dei minori è avvenuto solo a seguito di continue sollecitazioni in tal senso di altre autorità e, addirittura, malgrado la stessa volontà dell’imputato.
§ 2. IL SEQUESTRO DI PERSONA:
L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO
Nell’affrontare la sussistenza, nel caso concreto, dell’elemento soggettivo del delitto di sequestro di persona, va debitamente premesso e ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza, l’art. 605 c.p. richiede il dolo generico, consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima una illegittima restrizione della sua libertà personale, intesa come libertà di movimento e di locomozione nello spazio (cfr. ex multis Cass. Pen. Sez. 5, Sent. n. 19548 del 17/04/2013 Ud. (dep. 07/05/2013): “l'elemento soggettivo del delitto di sequestro di personanon richiede il dolo specifico, essendo sufficiente il dolo generico consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica, intesa come libertà di locomozione”). Si afferma, pertanto, di conseguenza, ma sul punto si ritornerà più avanti, che non abbia alcuna rilevanza lo scopo perseguito dall'agente, con la conseguenza che anche il fine di esercitare un preteso diritto non esclude l'elemento soggettivo del reato[196].
Già il Tribunale dei Ministri, pur basandosi su un materiale probatorio ridotto rispetto a quello acquisito poi con la celebrazione del dibattimento, ha ritenuto che il dolo generico dell’odierno imputato fosse ampiamente individuabile già da allora:
“….le autorità ministeriali coinvolte erano perfettamente a conoscenza, e non hanno mai posto in dubbio, che all’origine della intera vicenda vi fossero episodi di soccorso in mare di persone in situazione di difficoltà, tanto che lo stesso decreto interministeriale del 1° agosto 2019 assumeva tale dato di fatto tra le sue premesse, affermando che si era avuto un soccorso di natante “in distress” (e, significativamente, questo passaggio è evidenziato anche dal provvedimento del TAR del Lazio che ha consentito l’ingresso della nave in acque territoriali italiane).
Inoltre, la presenza a bordo di minori, di soggetti che intendevano avanzare richiesta di asilo e, più in generale, il progressivo peggioramento delle condizioni psicofisiche delle persone trasportate erano circostanze puntualmente portate, in tempo reale, a conoscenza del Ministro, per il tramite di I.M.R.C.C. che trasmetteva ogni notizia all’Ufficio di Gabinetto (oltre che tramite NCC).
Né vi è lo spazio per ipotizzare una carenza di volontarietà della condotta, invocando una incolpevole ignoranza della illegittimità della privazione della libertà personale che si andava ad operare: la normativa cogente a tutela dei diritti personali dei migranti soccorsi era indiscutibilmente nota al Ministro dell’Interno che, pur richiamandola nei propri atti e provvedimenti, ha esplicitamente inteso considerarla in posizione secondaria rispetto alla potestà di operare un controllo delle frontiere effettivo, utilizzando tale forzatura per indurre le autorità dell’Unione Europea a cooperare più efficacemente alla redistribuzione dei migranti in tutti i Paesi dell’Unione; segnatamente, gli obblighi assunti con l’adesione a convenzioni internazionali, le norme di diritto internazionale consuetudinario, la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia e, ancor prima, i principi fondamentali statuiti dalla Costituzione Italiana a tutela di diritti fondamentali delle persone - e delle persone soccorse in mare in particolare - non erano certamente ignorati dalla massima autorità nazionale di pubblica sicurezza, né potevano dalla stessa essere disattesi o violati in funzione del perseguimento della spiegata linea di indirizzo politico. Nei medesimi termini deve dirsi per i diritti riconosciuti dalle norme in materia di protezione internazionale (anche nei profili positivamente previsti all’interno dell’ordinamento statuale dall’art. 10-ter del D. Lgs. 286/1998) e per quelli riconosciuti ai minori dal diritto europeo e dalla legge n. 47/2017.
Sempre sotto il profilo soggettivo va pure puntualizzato che, dal momento in cui l’autorità giudiziaria amministrativa inibì gli effetti del decreto interdittivo del 1° agosto 2019, indicando espressamente il profilo di illegittimità ravvisato, la consapevolezza della doverosità del consenso allo sbarco non appariva più ragionevolmente dubitabile, anche alla luce dello scenario di fatto rappresentato dall’ormai avvenuto ingresso della nave in acque territoriali, situazione che non concedeva più alcuno spazio per ipotizzare un divieto di ingresso in applicazione del “decreto sicurezza”, alla cui stregua giustificare l’omessa concessione di un POS.
Né restituisce carattere di “scusabilità” alla condotta ascritta la temporaneità della privazione della libertà personale con essa inflitta; essa è, infatti, venuta meno non già grazie ad una seppur tardiva autorizzazione allo sbarco per concessione del POS, quanto piuttosto per un evento totalmente estraneo rispetto a tale indicazione, ovvero per l’intervento autoritativo del Procuratore della Repubblica di Agrigento che ha disposto il sequestro preventivo del natante (..); per i minori, inoltre, all’autorizzazione allo sbarco, intervenuta solo in data 17/18.8.2019, si pervenne soltanto grazie alle pressioni, ampiamente documentate, attivate sia dal Presidente del Consiglio dei Ministri che dal competente Tribunale dei minori”.
L’istruzione dibattimentale, a sua volta, ha consentito, come di seguito si vedrà, di evidenziare ulteriormente la sussistenza del richiesto elemento soggettivo sì da potere affermare, senza dubbi di sorta, che l’omesso illegittimo rilascio del POS con la consequenziale illegittima privazione della libertà personale, erano per il Ministro atti e fatti rientranti nella sua piena consapevolezza e nella sua volontà.
§ 2.1. La consapevolezza e volontarietà della illegittimità dei provvedimenti omessi
In primo luogo, come afferma la giurisprudenza, affinché si realizzi l’elemento soggettivo è, preliminarmente, necessario che il fatto di privare della libertà personale sia illegittimo; un attributo previsto espressamente dal codice del 1889, che peraltro costituisce il presupposto logico del reato, tanto che il legislatore del 1930 ritenne superfluo menzionarlo nell’art. 605 c.p. (come da relazione ministeriale sul progetto del nuovo codice penale, del 1929).
Sembra opportuno, a questo punto, fare un cenno alla linea difensiva dell’imputato, offerta nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, secondo cui una serie di fattori lo indussero a ritenere legittima la propria condotta (e quindi la limitazione all’altrui libertà personale); fattori che dunque o renderebbero non configurabile il reato nella sua oggettività o determinerebbero un errore sul fatto che, ai sensi dell’art. 47 c.p., incidendo sul momento rappresentativo, escluderebbe la punibilità a titolo di dolo.
In sintesi, il Ministro, non avrebbe fatto altro che rispettare le previsioni del tavolo tecnico del 2019 (secondo cui dovevano avviarsi le interlocuzioni europee per la redistribuzione mentre nelle more la nave era considerata un POS temporaneo), nonché le sue stesse direttive dello stesso anno (secondo cui “nel caso in cui l’evento di soccorso si sia verificato in acque di responsabilità libiche e sia stato compiuto di iniziativa di una nave soccorritrice, ovvero IMCC Roma non abbia coordinato le attività di soccorso, non sussistono i criteri dettati dalle convenzioni internazionali per l’attribuzione di un POS in Italia”).
Concludeva, pertanto, che “questo sequestro teorizzato non è altro che una modalità operativa che abbiamo adottato durante tutto il Governo Conte 1.. sempre garantendo la sicurezza e la vita umana”
Orbene, come pure si è rappresentato, tanto il tavolo tecnico che la direttiva del Ministro del 2019, si risolvono in strumenti borderline, di cui si è voluto dotare lo stesso imputato a sostegno della propria politica dei porti chiusi, di per sé poco conciliabili con la normativa europea.
Anche a volere prescindere da tale osservazione, rimane il fatto, ovviamente ben noto al Ministro, che né un tavolo tecnico né una direttiva possono prevalere sulla legge del mare la quale, come noto, non distingue il tipo di nave che proceda al soccorso; prevede l’obbligo delle due diligence, gravante cioè sia sullo Stato che su tutti i comandanti delle imbarcazioni; non ammette la chiusura dei porti degli Stati in occasione di eventi di salvataggio; non arretra sulla competenza dello Stato nelle cui acque territoriali si sia verificato un evento SAR; sancisce a chiare note il principio di non respingimento oltre a quello della tutela rafforzata per i minori migranti.
In ogni caso, quanto alle disposizioni del tavolo tecnico che, come visto, considerano la nave POS temporaneo a condizione che essa possa essere tale, va ricordato che l’imputato ben sapeva sia che la Open Arms non godeva delle dovute caratteristiche per fungere da posto sicuro provvisorio, sia che, comunque, le trattative sulla redistribuzione si erano concluse, con la conseguenza che, da un lato, lo sbarco era urgente e, dall’altro, nulla ostava allo sbarco.
Quanto alla direttiva, è pacifico che essa non possa tout court applicarsi alla vicenda in esame in cui, invero: solo il primo evento di soccorso si era verificato in zona SAR libica; l’Italia era divenuta lo “Stato di primo contatto”; nella notte tra il 14 e il 15 agosto 2019, la Open Arms aveva fatto ingresso nelle acque territoriali italiane e, dunque, non poteva più parlarsi di un evento verificatosi in zona SAR libica senza alcun coinvolgimento di IMRCC Roma, che al contrario aveva ripetutamente contattato il Gabinetto del Ministero dell’Interno sottolineando che non vi era alcun impedimento, per la Guardia Costiera italiana, al rilascio del POS a Lampedusa.
Del resto, tale posizione sull’ossequio a disposizioni secondarie, si rivela contraddittoria con le dichiarazioni rese dallo stesso imputato in sede di esame, allorché ha affermato che - se non fosse intervenuto il sequestro della Open Arms da parte della Procura di Agrigento - il POS sarebbe stato rilasciato in tempi brevi, ammettendo così che in quella situazione il POS andava rilasciato e contestualmente sconfessando la linea dallo stesso tenuta, secondo cui lo Stato italiano non aveva maturato alcun obbligo in tal senso.
A questo punto, per quanto possa apparire sovrabbondante, vale la pena ripercorrere - sebbene sotto la diversa ottica della consapevolezza e volontarietà della illegittimità dei provvedimenti omessi e infine emessi, i cui effetti erano egualmente quelli di impedire lo sbarco - l’insieme delle risultanze da cui emerge, in capo all’odierno imputato, la precisa rappresentazione di strumentalizzare la propria attività amministrativa sì da impedire, illegittimamente, l’arrivo dei migranti sul territorio italiano.
Si è detto che, molto verosimilmente, era stato il Ministro dell’Interno a spingere il proprio staff a cercare escamotage a sostegno della sua politica dei porti chiusi conducendolo a proporre interpretazioni innovative di una normativa fino ad allora applicata pacificamente in senso contrario, e ciò nonostante tutte le autorità intervenute nella vicenda avessero evidenziato i vari profili di illegittimità del suo operato (Presidente e Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, TAR Lazio, Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e degli Estesi, Garanti Nazionali).
In maniera pacifica è emerso come l’imputato abbia, consapevolmente e volontariamente, rifiutato il POS alla Open Arms perché, come dallo stesso rivendicato, intendeva continuare a negare lo sbarco a chi pretende di portare dei clandestini sempre e solo in Italia anche a prescindere dal continuo peggioramento delle condizioni dei naufraghi, dallo stato avanzato degli accordi per la redistribuzione a livello europeo, dalle opinioni di segno contrario degli altri appartenenti alle Istituzioni nazionali e internazionali.
Siffatta volontà emerge, in maniera assolutamente nitida, dalla stessa sequenza degli atti a sua firma.
Non può non richiamarsi, in primo luogo, già lo stesso decreto interdittivo del 1° agosto 2019, la cui illegittimità non poteva sfuggire al Ministero dell’Interno e che venne poi dichiarata dal decreto del TAR Lazio del 14 agosto. A fronte della netta posizione assunta dal Giudice amministrativo, il Ministro SALVINI, incurante del dictum giudiziario, riproponeva con protervia la immotivata - e ancor più illegittima - reiterazione di quel decreto in assenza di fatti nuovi, creando lo stupore dei due Ministri che avrebbero dovuto controfirmarlo.
Si veda, sul punto, quanto dichiarato dal Ministro della Difesa TRENTA che ha ritenuto come “valesse ancora di più la decisione del TAR del Lazio, perché comunque erano passati altri giorni e la situazione a bordo era peggiorata ancora di più, e poi era una reiterazione di un decreto già annullato, immotivata, e senza che fossero intervenute altre novità, se non novità peggiorative rispetto alla vita di chi era a bordo” (cfr. pag. 18 del verbale di udienza del 2 dicembre 2022).
Ugualmente, l’allora Ministro TONINELLI, all’udienza del 2 dicembre 2022, ha confermato che, all’epoca del tentativo di riproposizione del secondo decreto interdittivo, le informazioni in loro possesso davano atto di un peggioramento delle condizioni a bordo della Open Arms: “le informazioni che arrivavano erano informazioni che a bordo della nave la situazione diventava complicata, dobbiamo ricordare che si tratta non di una nave preposta all’attività di soccorso di persone in mare, ma una nave di carico, è una nave che mi sembra portasse una portata di 15-20 persone al massimo, ne aveva a bordo molto molto di più, e quindi una situazione che nel protrarsi del tempo non era.., non c'erano 15 gradi, ma c'era certamente più gradi, e quindi la situazione certamente iniziava a complicarsi e quindi per questo motivo, e perché.., ma per senso di logica non si potesse più fermare, reiterare un decreto già annullato che era identico a quello annullato con le sue condizioni, ovviamente il sottoscritto e penso anche la collega della Difesa, abbiano ritenuto che non fosse logico farlo”.
La volontà di non concedere il POS, con il conseguente protrarsi dell’illegittima privazione della libertà personale dei naufraghi è emersa, inoltre, dalle lettere inviate all’imputato dall’allora Presidente del Consiglio CONTE con le quali, quest’ultimo, il 14 agosto 2019, aveva invitato il Ministro dell’Interno ad assumere i provvedimenti di sua competenza per consentire lo sbarco dei minori stranieri non accompagnati per i quali nessuna valutazione discrezionale era ammissibile e, poi, il 16 agosto 2019, gli aveva ribadito che il POS per i minori era un “indifferibile incombente giuridico, oltre che umanitario”.
Assolutamente eloquenti sono anche le stesse risposte del Ministro SALVINI il quale rivendicava le sue decisioni con argomentazioni risibili, come quella relativa alla giurisdizione spagnola, invocata senza considerare che la Open Arms fosse medio tempore giunta in acque territoriali italiane, fino a quando, il 17 agosto 2019, replicava che, suo malgrado, avrebbe dato disposizioni affinché non venissero frapposti ostacoli allo sbarco dei presunti minori a bordo della nave Open Arms, ritenendo tale decisione una esclusiva determinazione del Presidente del Consiglio e, dunque, prendendone le distanze, nulla aggiungendo in merito agli altri naufraghi che, evidentemente, non intendeva fare scendere dalla nave, nonostante le intervenute rassicurazioni sul buon esito delle procedure di redistribuzione.
Pure inaccettabili si rivelano le motivazioni offerte direttamente dall’imputato, con la nota a sua firma del 15 agosto 2019, al Presidente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo, puntualizzate nelle altre lettere di risposta al Presidente CONTE, in cui oltre a invocare la giurisdizione italiana su una nave in acque nazionali, altresì, in palese violazione di tutta la normativa sul trattamento dei minori non accompagnati, superava arbitrariamente la presunzione operante sulla minore età, pur non avendo disposto alcun accertamento al riguardo e, in maniera del tutto singolare, considerava accompagnatori gli ignoti migranti adulti presenti a bordo.
La linea dura del Ministro dell’Interno era ribadita nella nota del 19 agosto 2019, prima e unica risposta alle numerose richieste di POS inoltrate dalla Open Arms, nella quale utilizzava argomentazioni manifestamente infondate come quella, secondo cui, il provvedimento del TAR Lazio produceva l’unico effetto di rendere possibili le Medevac.
La volontarietà dell’illegittimità degli atti, omessi e posti in essere, dal Ministro, con le ovvie conseguenze in termini di privazione della libertà personale, è ulteriormente dimostrata dal consapevole e a lui noto “caos istituzionale”, interno e internazionale, di cui si è detto, che mise in imbarazzo la Guardia Costiera italiana, lo stesso Gabinetto del Ministro, il Presidente del Consiglio e i colleghi del Governo, nonché organismi internazionali ed altri Paesi europei.
Particolarmente rappresentativa di questo orchestrato sbandamento del diritto è la dichiarazione della Ministra TRENTA quando ha affermato che, a fronte dell’illecita e grave permanenza dei minori non accompagnati, prese l’iniziativa di inviare una nave della Marina Militare per recuperarli, nonostante la volontà contraria del Ministro dell’Interno, rappresentando quella situazione una deriva giuridica e umana non più tollerabile per lo Stato italiano.
Si tratta, quindi, di un insieme di univoci elementi da cui non può che ricavarsi la piena consapevolezza e la precisa intenzione del Ministro di dar luogo a una serie di provvedimenti contra ius , indubbiamene a vantaggio della propria immagine di politico intransigente nella gestione del fenomeno migratorio.
§ 2.2. La consapevolezza e volontarietà della illegittima privazione dell’altrui libertà personale quale effetto dei propri atti illegittimi
A fronte di quanto finora illustrato, basterebbe aggiungere soltanto che se il Ministro, agendo scientemente contra ius, sapeva di non permettere il legittimo sbarco, e di non averlo permesso per più giorni, diventa lapalissiano che sapesse altresì che a quei 147 migranti non era permesso sbarcare e che, pertanto, erano costretti a restare sugli spazi ristretti della nave per un tempo rilevante.
Né, come si è già chiarito, l’imputato poteva immaginare che, in quelle circostanze, la Open Arms potesse fungere da POS temporaneo.
La peculiare e insostenibile situazione a bordo della nave era progressivamente divenuta un fatto notorio, al centro delle cronache e del dibattito politico che non potevano sfuggire all’imputato.
In ogni caso, il Ministro dell'Interno era aggiornato in tempo reale sugli accadimenti, come dallo stesso dichiarato nel corso del suo esame (cfr. pag. 59, verbale di udienza del 12 gennaio 2024: “il Capo di Gabinetto mi informava puntualmente di tutto”) e come confermato anche da altri testi, come, ad esempio, il Prefetto GARRONI all’udienza del 17 giugno 2022:
PUBBLICO MINISTERO – Per quanto a sua conoscenza il vertice politico, quindi il Ministro dell'Interno era a conoscenza della situazione igienico-sanitaria a bordo della Open Arms e delle condizioni di salute dei migranti a bordo?
TESTIMONE GARRONI E. – Beh sì perché diciamo l'aggiornamento era più che quotidiano sull'evoluzione delle situazioni. Sia in base alle carte che arrivavano, che delle informazioni che venivano magari veicolate in altro modo, telefonicamente.
Anche la responsabile della Seconda Divisione del Servizio Immigrazione della Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, Tiziana LIGUORI, sentita all’udienza del 2 dicembre 2022, ha riferito che nel 2019, siccome la competenza all’individuazione del POS era attribuita al Ministero dell’Interno, gli venivano pertanto tempestivamente tramesse tutte le informazioni rilevanti, tramite un sistema di messaggistica istantanea:
TESTIMONE LIGUORI T. – questi messaggi mi arrivano non ogni giorno, mi arrivavano ogni minuto praticamente, perché proprio la funzione era quella di aggiornare in tempo reale tutti quelli che erano più o meno interessati a questo fenomeno, … noi con gli SMS noi eravamo costantemente aggiornati su quello che succedeva.
PUBBLICO MINISTERO – E tra i destinatari ovviamente c'erano anche i vertici del Gabinetto e il Ministro dell'Interno o c'era il Capo di Gabinetto? TESTIMONE LIGUORI T. – Sì, sì.
Tale circostanza, inoltre, è stata provata per tabulas dai messaggi acquisiti alla medesima udienza con cui il Capo di Gabinetto e il Ministro dell’Interno erano costantemente informati di quanto accadeva a bordo della Open Arms, con particolare riferimento all’arco temporale di interesse, ossia dal 14 al 21 agosto 2019[197].
Che la situazione a bordo della Open Arms fosse sempre più ingestibile era certamente noto all’imputato, anche in considerazione delle continue e-mail inoltrate da IMRCC Roma al Viminale (e portate pressoché in tempo reale all’attenzione del Ministro dell’Interno), con cui il comandante CREUS e la capo missione MONTES chiedevano l’indicazione urgente di un POS a fronte del peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie e, soprattutto, delle condizioni di salute psico-fisica dei migranti, sempre più provati e pronti a gettarsi in acqua, in preda alla disperazione, per raggiungere a nuoto Lampedusa.
Lo stato di prostrazione, fisica e psichica, dei naufraghi soccorsi dalla Open Arms, era anche accertato - come si è visto - dalle relazioni redatte dai vari medici saliti a bordo, dallo psicologo di Emergency, dal personale dell’USMAF e del CISOM, tutte puntualmente trasmesse da IMRCC al Gabinetto del Ministro dell’Interno.
Indirettamente rappresentativo della consapevolezza in esame, è il ridimensionamento, da parte del Ministro SALVINI, della situazione a bordo, in palese contrasto con le macroscopiche evidenze che gli venivano rappresentate, sentendosi comunque rassicurato dal fatto che le urgenze sanitarie, qualora vi fossero, venivano affrontate tramite le Medevac di competenza di altri Ministeri, e fingendo di non porsi la diversa questione della libertà personale che, stavolta, riguardava l’insieme dei migranti e non il singolo naufrago ammalato:
Noi eravamo.., io ero personalmente, continuamente rassicurato sul fatto che non ci fossero emergenze o evidenze emergenziali a bordo, il rapporto USMAF da questo punto di vista ci si confortava.
Sempre a tale proposito, emblematica è, altresì, la risposta che l’imputato ha offerto al Presidente circa i migranti che, ormai esasperati, si lanciavano, sempre più numerosi in acqua:
PRESIDENTE – Sì. Però mi pare che sulla domanda posta un po' all'inizio sul fatto se fosse stato a conoscenza di alcuni migranti che si erano buttati in acqua..
IMPUTATO SALVINI M. – Sì, sì noi seguivamo, io tramite il Capo di Gabinetto, ma c'erano rassicurazioni che non ci fossero situazioni emergenziali a bordo. Non è stato il primo caso, né è stato l'ultimo, quello di immigrati che si sono gettati..
PRESIDENTE – Beh, non è proprio il massimo..
IMPUTATO SALVINI M. – No, non è usuale fortunatamente, fortunatamente non è usuale.
PRESIDENTE – Ma non è neanche molto tranquillizzante il fatto che i migranti si buttino in acqua, insomma lascia pensare che la situazione a bordo sia un po’ pesante.
IMPUTATO SALVINI M. – Gli elementi che avevamo ci dicevano che comunque la situazione non era a rischio.
Anche il termine “non usuale” utilizzato dall’imputato è indicativo della sua consapevolezza della gravità della situazione, dato che non era un fatto comune e ricorrente ai vari sbarchi nelle coste italiane il gettarsi in mare di un numero sempre maggiore di migranti dalle navi di soccorso. La straordinarietà di quell’evento, a maggior ragione, doveva fargli apparire la drammaticità della situazione e la conseguente improcrastinabilità del rilascio del POS. Del resto, il lanciarsi in mare non poteva che risolversi, anche agli occhi del Ministro, in una vera e propria fuga da una situazione di restrizione, che dimostrava nitidamente lo stato di limitazione della libertà personale in cui versavano i naufraghi.
Né il trattenimento a bordo, in quelle condizioni, trovava una lecita giustificazione qualsiasi, posto che, come si è detto, l’imputato non stava attendendo l’esito di accordi redistributivi europei (sempre che tal genere di trattative avessero potuto postergare la sbarco di migranti che versavano nelle condizioni descritte), sicché il permanere sulla nave mai assunse i connotati di una, seppure spiacevole, attesa ma da subito quelli di uno statusrestrittivo.
§ 2.3. Le finalità perseguite
Si è detto che per il delitto di sequestro di persona è sufficiente il dolo generico, la cui sussistenza sotto il profilo della tipicità è già stata pienamente dimostrata nella vicenda in esame.
Tuttavia, appare opportuno soffermarsi sulle finalità che l’imputato, attraverso le condotte finora accertate, intendeva perseguire, sia perché danno una maggiore contezza della particolare sussistenza della consapevolezza e volontà degli eventi, sia perché non ci si vuole esimere dall’analizzare l’astratta possibilità che lo scopo ultimo di quelle azioni - qualora ammantate dall’esercizio di un potere previsto dalla legge - possa in qualche modo incidere sull’integrazione dell’elemento soggettivo e, in ultima analisi, del reato contestato.
Invero, a questo proposito, per una certa giurisprudenza, contraria all’orientamento consolidato sull’irrilevanza del fine nel delitto di sequestro di persona, “deve escludersi la configurabilità del suddetto reato allorché la privazione della libertà costituisca il risultato di una condotta che, sebbene oggettivamente illegittima, sia contrassegnata soggettivamente dalla finalità di realizzare l’esercizio di un potere del quale l’agente sia legittimamente investito e non si caratterizzi come comportamento privo di ogni legame con l’attività istituzionale” (Cass. Pen, Sez. VI, sentenza n. 1808/2003).
Si tratta di una decisione, di per sé poco condivisibile, ma che va, comunque, interpretata con la massima prudenza potendosi altrimenti risolvere nel noto schema del “fine che giustifica i mezzi” che, inteso nel senso comune del suo significato, non è tollerato dal nostro ordinamento. Deve trattarsi, dunque, secondo tale giurisprudenza, di un soggetto intimamente convinto di esercitare un potere riconosciutogli dalla legge durante l’esercizio della sua funzione.
Prima di addentraci, però, sulle possibili finalità istituzionali perseguite dall’imputato, deve subito evidenziarsi che, a ben guardare, la statuizione della sentenza in esame non può comunque trovare applicazione nella nostra fattispecie, e ciò indipendentemente dall’eventuale rilevanza pubblica del disegno politico sotteso alle omissioni e azioni contestate.
Infatti, nel caso de quo, al Ministro dell'Interno competeva, semplicemente, nell’ambito di un procedimento amministrativo, la definizione di un evento di soccorso con l’indicazione del posto sicuro; o meglio, sul Ministro dell'Interno gravava il preciso obbligo di indicarlo data la presenza di tutti i presupposti di fatto e di diritto che davano indubbiamente luogo all’insorgenza del suo facere.
Allora, l’imputato, nel rifiutarsi di fare sbarcare 147 migranti, non poteva minimamente ritenere di essere stato legittimamente investito, per l’esercizio della sua attività istituzionale, di un potere di diniego tout court, perché l’ordinamento non glielo aveva conferito e men che meno le autorità di Governo avrebbero potuto autorizzarlo in tal senso in vista del raggiungimento di un comune obiettivo.
Ed infatti, nel caso concreto analizzato dalla sentenza citata, si discuteva dell’attività di appartenenti alle forze dell'ordine che avevano ritenuto di essere stati investiti del potere restrittivo nei confronti di alcuni manifestanti; potere, questo, effettivamente previsto e concesso loro dall’ordinamento seppure non esercitabile in quella specifica situazione.
Nella vicenda che ci occupa, dunque, l’imputato non poteva mai sentirsi legittimato, nel nome del perseguimento di finalità di elevato valore morale e sociale, ad esercitare poteri alieni che esulavano dalla sfera delle sue competenze e, al contrario, che erano in netto contrasto con i doveri propri della sua funzione amministrativa.
Un’altra riflessione, sul dictum della citata sentenza, porta invece ad interrogarci (al di là della già tranciante inesistenza di un potere di diniego in presenza dei presupposti che generavano l’obbligo) sull’esistenza della finalità istituzionale che, del tutto astrattamente, farebbe venir meno il reato per carenza dell’elemento soggettivo, nonostante una condotta oggettivamente illegittima.
Nella linea difensiva assunta dall’imputato nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, il Ministro ha collocato la sua azione nell’ambito della realizzazione del programma della maggioranza di Governo che aveva delineato “una politica chiara e condivisa sulla gestione dei fenomeni migratori che prevedeva il coinvolgimento delle istituzioni europee” e che “tendeva a contrastare il traffico di esseri umani”; programma che aveva comportato, sempre, l’assunzione di scelte collegiali dell’intero Governo, fino a quando, delineatasi una frattura governativa, i suoi, ormai ex, alleati, contrariamente alle posizioni assunte in circostanze precedenti come nel caso della motonave Diciotti, improvvisamente rinnegarono le azioni del Ministro dell’Interno.
Pertanto, ha affermato, che: “Ritengo di avere fatto un servizio utile al Paese” e, comunque, “meno partenze, meno morti .. meno soldi per i trafficanti”.
La posizione dell’imputato merita però due importanti precisazioni.
a) È certamente un fatto notorio, ma pienamente emerso anche nel corso del dibattimento, che il Governo “Conte1” - nato dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, formato dalla coalizione tra il Movimento 5 Stelle e la Lega fondata su un “contratto di governo”- aveva effettivamente tra i propri obiettivi politici quelli della lotta alla immigrazione irregolare e, sempre su tale tema, quelli della distribuzione, in ambito europeo, dei migranti giunti sul territorio italiano.
Tuttavia, anche i più alti obiettivi, seppure governativi, devono essere perseguiti attraverso le leggi vigenti o, se si vuole, attraverso le norme all’uopo promulgate, ma mai con strumenti illeciti.
Ferma restando la personale responsabilità del singolo Ministro per gli atti posti in essere nell’esercizio delle sue funzioni, una possibile piena condivisione da parte del Governo dei disegni dell’imputato sul tema della immigrazione clandestina, in ogni caso, mai avrebbe potuto legittimamente autorizzarlo a violare le leggi del mareil cui contenuto sovranazionale impegnava fermamente lo Stato italiano, come sottolineato dal Presidente della Repubblica in occasione dei due decreti sicurezza.
A conferma di ciò, ad esempio, il Ministro TRENTA, pur componente di quello stesso Governo, non ha esitato a evidenziare, in dibattimento, che “c’è un limite alla politica”:
C'è un limite nella politica che è sempre dettato dall'azione umana, dalla sensibilità rispetto a quello che si fa. …. le battaglie politiche che noi compiamo non devono ricadere mai sugli ultimi, .. per cui una battaglia giusta nei confronti del controllo dell'immigrazione clandestina, deve essere fatta rispettando sempre i diritti umani e concedendo alle persone che sono in quel momento in fragilità, la possibilità di essere tutelate, difese e protette”.
Del resto, che la linea del Governo fosse, ovviamente, quella di perseguire gli obiettivi comuni soltanto nel rispetto della legge, emerge plasticamente dal fatto che, quando il provvedimento di sospensione del TAR pose fine al sogno dei porti chiusi e quando, in contemporanea, divenne pubblica la questione dei minori non accompagnati ristretti sulla nave contra ius, sia i due Ministri controfirmatari che lo stesso Presidente del Consiglio, in ossequio, i primi al provvedimento dell’autorità giudiziaria amministrativa, e il secondo alla legge Zampa, non poterono fare altro che frapporsi (i primi non sottoscrivendo la bozza del nuovo decreto interdittivo già emanato dall’imputato, il secondo con la corrispondenza prima riportata) alla prosecuzione della linea dura del Ministro SALVINI che ormai si era frantumata, peraltro coram populo, contro lo scoglio rappresentato dall’ordinamento giuridico.
Poco importa, dunque, che il cambiamento di posizione degli alleati possa avere sullo sfondo la crisi politica in atto, posto che esso, a quel punto, era assolutamente doveroso rispetto alle norme di diritto.
L’imputato, invece, nel condurre la propria politica dei porti chiusi aveva adottato una posizione di estrema intransigenza che lo portava, non solo ad affermazioni drastiche sui social incompatibili rispetto ai suoi doveri amministrativi di rilasciare i vari POS (“Continuo e continuerò a negare lo sbarco a chi pretende di portare dei clandestini sempre e solo in Italia”; “Finché sarò ministro non autorizzerò mezzo sbarco”), ma a ritenere di potere stravolgere le regole.
Tanto, in sostanza, ha affermato già il Tribunale dei Ministri secondo cui l’imputato, a fronte della normativa “cogente a tutela dei diritti personali dei migranti soccorsi, .. indiscutibilmente nota al Ministro dell’Interno che, pur richiamandola nei propri atti e provvedimenti, ha esplicitamente inteso considerarla in posizione secondaria rispetto alla potestà di operare un controllo delle frontiere effettivo, utilizzando tale forzatura per indurre le autorità dell’Unione Europea a cooperare più efficacemente alla redistribuzione dei migranti in tutti i Paesi dell’Unione”.
E, del resto, a sostegno dell’esattezza della impostazione del Tribunale, va evidenziato che non si può ragionevolmente affermare di volere “contrastare il traffico di esseri umani” e di volere il “salvataggio delle vite” e poi rifiutarsi di rilasciare il POS a una nave in acque territoriali, essendo evidente che, in tal modo, si ottiene l’esatto contrario rispetto a quanto perseguito, e cioè il mancato arresto di eventuali trafficanti a bordo e il rischio della vita degli altri migranti che restano in balia del mare.
b) Deve ora aggiungersi che la finalità realmente perseguita dall’imputato, quantomeno dalla sospensione del decreto interdittivo, non era più quella della condivisa “gestione dei fenomeni migratori che prevedeva il coinvolgimento delle istituzioni europee” e che “tendeva a contrastare il traffico di esseri umani”.
Innanzitutto, infatti, la condivisione era venuta meno, non tanto per la crisi di governo, ma perché, come detto, sia il Presidente CONTE che gli altri due Ministri interessati non potevano avallare condotte oltranziste contrarie al diritto. Inoltre, era venuto meno, per effetto della pronuncia del TAR, lo strumento interdittivo che potesse ancora consentirgli di mantenere la Open Arms al di fuori dalle acque nazionali. Ed era anche venuta meno, soprattutto, la necessità di coltivare la pressione verso gli Stati europei essendo già stato raggiunto l’obiettivo della redistribuzione.
La prosecuzione di quella linea intransigente, oltre che illecita, che portò l’imputato a portare alle estreme conseguenze il suo operato, tanto che i migranti sbarcarono soltanto per l’intervento della Procura di Agrigento, allora non può che affondare le sue motivazioni in fattori diversi rispetto agi impegni assunti con il “contratto di governo”.
Tali ragioni, oltre che intuibili, le ha evidenziate l’istruttoria dibattimentale.
Sul punto si richiamano, in primo luogo, le dichiarazioni del Presidente CONTE, che ha affermato che: “il clima anche che diventava un po' incandescente rispetto a una probabile competizione elettorale, e a sviluppi politici futuri, si voleva rappresentare il Presidente del Consiglio come quello che era debole diciamo nella gestione del fenomeno migratorio, mentre il Ministro dell'Interno era quello diciamo che invece aveva una posizione di rigore. Questo era un po' il clima politico del momento”. …. “In quel momento, in un contesto politico particolarmente acceso, con un'opinione pubblica particolarmente attenta, sensibile al tema degli immigrati, il fatto di dire il Presidente ha una posizione lasca, una posizione debole eccetera, io invece ho una posizione rigida, per lui diventava motivo di vanto, per me diventava motivo di utilizzo strumentale”.
Ma già all’epoca dei fatti, il Presidente CONTE aveva pubblicamente evidenziato, con la lettera aperta del 15 agosto, le ragioni elettorali che spingevano il Ministro dell'Interno a proseguire nei suoi eccessi, in solitudine e senza ragione alcuna, anzi contrariamente agli obblighi di legge:
“Comprendo la tua fedele e ossessiva concentrazione nell'affrontare il tema dell'immigrazione riducendolo alla formula "porti chiusi". Sei un leader politico e sei legittimamente proteso a incrementare costantemente i tuoi consensi. Ma parlare come Ministro dell'Interno e alterare una chiara posizione del tuo Presidente del Consiglio, scritta nero su bianco, è questione diversa.”
Dichiarazioni di analoga portata sono state rese anche dal Ministro DI MAIO:
PARTE CIVILE – E quindi non concedere il POS o ritardarlo era uno strumento di campagna elettorale, di acquisizione del consenso?
TESTIMONE DI MAIO L. – Diciamo su questo non credo che ci sia un problema a dirlo pubblicamente, sì, credo che tutto quello che veniva fatto era sicuramente, aveva un fine, che era quello del consenso.
Lo stesso dicasi per il Ministro TONINELLI:
“ non esisteva più il Governo, esisteva una persona che andava in giro e parlava con parole pesanti per arrivare alla pancia delle persone della parte migratoria (..) Intendo dire che l’allora Ministro Salvini oramai agiva in totale autonomia, era in campagna elettorale, non vennero più fatti Consigli dei Ministri in quel periodo, era l'agosto e il Governo finì di lì a poco,(..) Va beh, io gliela spiego semplicemente con una dichiarazione che ricordo essere stata fatta dall'allora Ministro Salvini, in un evento pubblico su un palco, dove disse: “Con i migranti, per i migranti regolari la pacchia è finita”, che cosa le devo spiegare di più di questo? Il 30 e rotti per 100 preso dalla Lega, pochi mesi prima, era ovviamente il nesso diretto con quello che stava accadendo.(..) siccome si sapeva che si sarebbe di lì a poche ore/giorni depositata una mozione di sfiducia, si stava cercando di monetizzare, diciamo così, al massimo il consenso, stressando un argomento, molto dibattuto in quel periodo.
Anche il testimone De FALCO ha fatto riferimento alla campagna elettorale in atto del Ministro SALVINI a cui la vicenda della Open Arms poteva fornire un valido appoggio: “La Elisabetta Trenta, il Ministro della Difesa, pur se tra alcune diciamo difficoltà di carattere politico, perché mi disse che.., mi diceva lei.., lei sosteneva che questa posizione dell’allora Ministro degli Interni Salvini, avrebbe contribuito a esaltarne la figura, a raccogliere consensi, e quindi avrebbe messo ulteriormente in difficoltà il Movimento 5 Stelle. Pur con queste difficoltà, mi assicurò che non avrebbe firmato un ulteriore decreto di interdizione”.
Si tratta ovviamente delle interpretazioni offerte dai suddetti, ma qualificati, testi, che tuttavia offrono una lettura coerente di quelle condotte ormai esulanti dal disegno comune e condiviso, e così estreme ed ultronee rispetto alle originarie finalità di governo, da risolversi molto verosimilmente in una auto-promozione rispetto la stessa fermezza ideologica non aveva palesato.
Un sorta di conferma proviene dallo stesso imputato il quale, come prima accennato, lo stesso giorno dello sbarco dei migranti ad opera della Procura di Agrigento, alle ore 18:28 del 20 agosto 2019, si assentava dalla seduta del Senato per registrare un video postato in diretta sul suo profilo Facebook (e acquisito all’udienza del 14 giugno 2024) per proclamare come avrebbe “testardamente” continuato a difendere i confini, la sicurezza e la dignità del Paese; per evidenziare, soprattutto, la sua coerente posizione contro i clandestini a differenza di altri politici che avevano abbondonato tale linea; e per chiedere, infine, il sostegno degli elettori:
“Buon pomeriggio, buon pomeriggio, amiche, amici, 18:28 di un martedì sicuramente non noioso, mi sono assentato per qualche minuto al Senato per tornare urgentemente qua in ufficio al Ministero dell’Internoperché ovviamente non mancano le emergenze che quotidianamente, silenziosamente, umilmente, orgogliosamente affrontiamo! La novità degli ultimi minuti è che probabilmente la Procura di Agrigento vuole sequestrare la ONG Open Arms con il risultato conseguente di imporre lo sbarco degli immigrati rimasti a bordo …ricordo a chi non avesse seguito la vicenda, nessun allarme igienico sanitario a bordo, finti malati, finti minorenni, però qualcuno evidentemente magari si sta già portando avanti nel nome del Governo dell’inciucio che vuol riaprire i porti, ebbene, finché campo, non è mio diritto, ma è mio dovere difendere i confini, l’onore, la dignità, la sovranità del mio Paese, e quindi, sono corso dal Senato al Ministero per gli ultimi aggiornamenti (..) Adesso il Ministro dell’interno francese ha detto “fateli sbarcare in Italia”, dall’Unione Europea arrivano appelli, fateli sbarcare in Italia! Presidente del consiglio Conte, ahimè, anche lui negli ultimi giorni ha scritto e riscritto e riscritto obiettivo Italia, alcuni colleghi ministri che fino a settimana scorsa firmavano con me i Divieti nell’ingresso nelle acque territoriali, evidentemente hanno cambiato improvvisamente posizione, non hanno più firmato con me il divieto di ingresso nelle acque territoriali, sostanzialmente dicendo “sbarcare in Italia !”….eh…no!! Se qualcuno sta preparando un futuro inciucio un futuro governo a cui evidentemente qualcuno stava lavorando da mesi, che si sposta a sinistra, che vuole riaprire i porti, magari che vuol rimettere lo Ius Soli sul tavolino….quanto meno abbiamo smascherato questa manovra che forse partiva da lontano e adesso gli italiani sanno! (..) via…fuori Salvini, … …riapriamo i porti, cancelliamo tutto, l’Italia è un enorme campo profughi a disposizione dell’Europa! NO! NO! (...) allora vediamo…..la Procura di Agrigento, vi leggo, in diretta quello che sta arrivando, sta per emettere un provvedimento di sequestro della nave Open Arms, con ordine di sbarco, delle persone, ordine di sbarco delle persone! E quindi che una Procura che supera l’indicazione che arriva, non tanto dal Ministero, ma dal popolo e dalla legge….. (..) Anche nel momento in cui il governo spagnolo ha detto venite in Spagna, questi signori hanno detto non ci spostiamo!! Vogliamo scendere in Italia, è chiaramente una provocazione!! E? chiaramente un attentato alla sovranità nazionale, che il Ministro Salvini ha il torto, evidentemente, stando a quanto detto dal Presidente del consiglio oggi di bloccare con ogni sua energia anche esponendosi a rischi personale, anche esponendosi a rischio personale!! Sì perché quando ci si mette la faccia e poi si espone personalmente lo faccio volentieri!! (..) Chiudo con una parola che più spesso bisognerebbe usare nella politica, ma nella vita in generale, Grazie! Grazie! Vi ringrazio, io conto su di voi (..)”.
Ebbene, le reali finalità dell’imputato non possono qualificarsi quali finalità istituzionali ai sensi della sentenza in commento e, pertanto, anche da questo punto di vista, non possono consentire la mancata configurazione dell’elemento soggettivo del reato.
§ 3. IL REATO DI RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO
Sempre con riferimento al rifiuto di esitare positivamente le plurime richieste di POS avanzate dalla Open Arms e puntualmente inoltrate al suo Ufficio di Gabinetto da I.M.R.C.C., all’odierno imputato è stato contestato, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, anche il reato di cui all’art. 328, comma 1, c.p. che punisce l’indebito rifiuto da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio di un atto di ufficio che deve essere compiuto senza ritardo, per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica, di ordine pubblico o di igiene e sanità.
Trattasi di un reato omissivo proprio che si integra ogniqualvolta il funzionario pubblico, volontariamente, non compie un atto che gli è stato richiesto di compiere, quando egli sia consapevole di tale richiesta; atto che però deve essere “qualificato”, ossia da compiersi per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o di igiene e sanità, nonché “indifferibile”, nel senso che deve essere compiuto senza ritardo (cfr. Cass. pen. Sez. VI, 16/04/2024, n. 15642).
Secondo l’interpretazione assolutamente prevalente, si tratta altresì di un reato di pericolo sicché ricorre la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (il corretto svolgimento della funzione pubblica) ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile, alla luce di esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito dell'omissione (cfr. Cass. pen. Sez. VI, 29.5.2017, n. 35233).
Orbene, nel caso di specie, per quanto concerne il soggetto attivo del reato, non vi sono dubbi che l’imputato, all’epoca dei fatti Ministro dell’Interno, rivestisse la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale e avesse il potere giuridico, la competenza formale - e per come si è già dimostrato un preciso obbligo - a rilasciare il POS, e dunque a compiere l’atto richiesto dalla Open Arms e dallo stesso, volontariamente, rifiutato.
Né vi sono dubbi sul fatto che le plurime richieste di POS fossero state reiteratamente portate alla sua attenzione, come emerge per tabulas dalle numerose comunicazioni scritte tra la Open Arms, IMRCC e il Gabinetto del Ministero dell’Interno e come ammesso dallo stesso imputato in sede di esame e da numerosi testi facenti parti di quella struttura ed escussi a tal proposito.
Quanto alla tipicità della condotta, sul piano oggettivo, la mancata indicazione del POS da parte del Ministro SALVINI appare pienamente integrare il rifiuto indebito di un atto qualificato e indifferibile, che doveva essere compiuto senza ritardo “per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità”.
Alla luce di quanto già esposto, infatti, la situazione a bordo della Open Arms era in costante e drastico peggioramento, sia sotto il profilo delle condizioni igienico-sanitarie, come accertato nel corso di più ispezioni e sopralluoghi da parte di sanitari, consulenti e forze dell’ordine, sia sotto il profilo della sicurezza e dell’ordine pubblico, considerato che numerosi naufraghi si erano gettati in mare, nel vano tentativo di raggiungere a nuoto la terraferma, tanto da indurre la Procura della Repubblica di Agrigento a emettere un provvedimento di sequestro di urgenza della nave – proprio ritenendo la sussistenza del reato in oggetto, riconosciuto anche dal GIP in sede di convalida del provvedimento cautelare che, peraltro, sottolineava sussistere anche il reato di sequestro di persona non rilevato in quel provvedimento – al fine di interrompere l’aggravamento del delitto e delle sue conseguenze, consentendo così lo sbarco delle persone a bordo.
È oltremodo evidente, dunque, che il prolungamento della permanenza sulla Open Arms delle persone recuperate nelle tre operazioni di soccorso si poneva come ulteriormente lesivo della salute (individuale e collettiva, fisica e psichica) di tutte le persone lì presenti (compresi i membri dell’equipaggio, che si trovavano impegnati a gestire una situazione complicata e segnata da un aggravarsi dei motivi di tensione, che metteva a dura prova la loro salute psicofisica, oltre a rappresentare un concreto pericolo per la sicurezza).
Il soccorso portato ad alcuni migranti con l’effettuazione delle svariate Medevac non aveva certamente esaurito le esigenze di tutela della salute fisica e psichica delle persone a bordo della Open Arms. Come accertato dai numerosi medici e psicologi saliti a bordo della nave, infatti, i migranti versavano in condizioni di precarietà igienica, nonché di estrema sofferenza fisica e psichica, condizioni che certamente si sarebbero aggravate in caso di ulteriore protrazione della loro permanenza sulla nave (cfr. ex multis: consulenza tecnica a firma del dott. ASARO e della dott.ssa CAMILLERI; relazioni redatte dal dott. DI BENEDETTO; deposizione resa dalla dott.ssa Katia DI NATALE all’udienza del 13.5.2022; deposizione del medico di bordo della Open Arms, Inas URROSOLO MARTINE DE LOGOS).
Ulteriori motivi di pubblica sicurezza e ordine pubblico, che rendevano doverosa e indifferibile l’assegnazione del POS, come già detto, erano plasticamente rappresentati dai sempre più frequenti tentativi - in molteplici occasioni con esito positivo - dei naufraghi di buttarsi in mare per provare a raggiungere, a nuoto, l’isola di Lampedusa.
La connotazione di tali eventi come significativi per l’ordine e la sicurezza pubblica emerge, inequivocabilmente, dal fatto che, proprio per fronteggiare tale situazione e coordinare gli interventi necessari ed opportuni per evitare un aggravamento di questo rischio o una inadeguata gestione delle conseguenze, il 15 agosto 2019 era stata convocata una riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia presso la Prefettura di Agrigento[198].
Siffatta interpretazione delle nozioni di “ordine pubblico” e di “sicurezza pubblica”, inoltre, risulta del tutto congruente con quella delineata e consolidata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, facendo essa riferimento alle “funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento” (cfr. Corte Cost. sentenza n. 208/2018 con richiamo a sentenza n. 105 del 2006 ed a sentenza n. 290 del 2001).
La indicazione di un POS alla Open Arms, oltre ad apparire doverosa alla luce delle richiamate ragioni di sicurezza, ordine pubblico, igiene e sanità, appariva altresì indifferibile e andava compiuta “senza ritardo”, secondo la previsione letterale dell’art. 328, comma 1, c.p.
La situazione di fatto, nella piena conoscenza del Ministro dell’Interno, era, infatti, tale per cui ogni differimento nel consentire lo sbarco a terra delle persone si rivelava idonea a provocare un aggravamento dell’ingiusto pregiudizio che si stava consumando, con effetti che, in quanto incidenti su beni giuridici - anche di valenza pubblicistica - di primaria importanza, esigevano una risposta immediata.
La chiara percepibilità di tale urgenza, peraltro, emerge con evidenza dalle missive inviate, a partire dal 14 agosto 2019, dal Presidente del Consiglio CONTE al Ministro SALVINI, con cui il primo esortava l’imputato ad “autorizzare lo sbarco immediato” quanto meno “delle persone di età inferiore agli anni 18 presenti a bordo della nave Open Arms”.
Preme altresì evidenziare che la condotta omissiva per cui si procede, indubbiamente ascrivibile all’imputato, non appare sorretta da alcun motivo giuridicamente apprezzabile, in grado di elidere la rilevanza penale del rifiuto di indicare il POS e quindi di consentire lo sbarco. Non risultano a tal fine invocabili eventuali ragioni di tutela della sicurezza pubblica, rimaste del tutto indimostrate all’esito dell’istruttoria dibattimentale.
Nonostante gli accessi a bordo della Open Arms di diverse autorità e forze di polizia, infatti, nessuna di esse ha mai evidenziato alcun indizio di peculiari e concrete condizioni oggettive (come, ad esempio, la presenza di esplosivi o armi a spiccata potenzialità offensiva, strumenti di comunicazione per finalità illecite e così via) o soggettive (presenza di soggetti segnalati come terroristi o latitanti), di pericolo conseguente allo sbarco sul territorio italiano delle persone a bordo; pericolo, che, come confermato dal prefetto GARRONI e dal questore di Agrigento IRACI, nel caso di specie era del tutto insussistente.
Peraltro, in riferimento alla paventata necessità di prevenire l’infiltrazione di soggetti pericolosi (con particolare riguardo anche al rischio terroristico), è chiaro come risultasse più funzionale ad una prevenzione di quel rischio una completa identificazione delle persone a bordo del natante, restando totalmente preclusa – nel caso di divieto generale di sbarco – la possibilità di accertare se fossero presenti a bordo soggetti noti alle autorità di pubblica sicurezza e magari destinatari di misure cautelari custodiali, emessi da autorità giudiziarie nazionali o straniere (ad esempio in procedimenti in materia di terrorismo o di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina).
In sostanza, il diniego del POS alla Open Arms produceva un risultato opposto rispetto alle motivazioni addotte a sostegno del rifiuto, non consentendo l’identificazione, e conseguentemente nemmeno l’arresto, di soggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza nazionale (tra cui lo stesso comandante della nave, se ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 12 del D. Lgs. 286/1998).
In realtà, nella vicenda per cui è processo, non vi era alcun reale e concreto pericolo per la sicurezza pubblica che rendesse giuridicamente lecito il rifiuto del POS e il conseguente trattenimento, indiscriminato e collettivo, di una pluralità di naufraghi soccorsi in mare, come riferito, ad esempio, dal Presidente del Consiglio Giuseppe CONTE all’udienza del 13.1.2023[199].
Sul punto, anche i testi Elisabetta TRENTA e Danilo TONINELLI hanno chiarito che non era stato loro prospettato, con riferimento alla vicenda Open Arms, alcuno specifico rischio per la sicurezza nazionale e che, in ogni caso, sarebbe stato opportuno fare sbarcare tutti i migranti per procedere alla loro identificazione e svolgere tutti gli accertamenti (cfr. pag. 25 verbale di udienza del 2.12.2022, Elisabetta TRENTA: “ritenevo che pur in presenza di eventuali terroristi a bordo, fosse necessario far sbarcare tutte le persone e magari sottoporle ad ulteriori accertamenti, però avendo dato loro la possibilità di arrivare in un porto sicuro”).
Neppure sono emerse ragioni di ordine tecnico assolutamente impeditive di uno sbarco dei migranti a bordo della Open Arms al porto di Lampedusa, o in altro porto agevolmente raggiungibile. In particolare, la situazione delle presenze all’interno del centro “hotspot” di Lampedusa nel periodo dal 14 al 20 agosto 2019, non risultava oggettivamente ostativa all’accoglienza dei migranti della Open Arms, come si ricava dai dati delle presenze acquisiti in atti[200] e dalle dichiarazioni di numerosi testi già riportate nelle pagine precedenti (cfr. TRINGALI, IRACI, CAPUTO).
*
Per quanto concerne, poi, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di rifiuto di atti d’ufficio, occorre evidenziare che ai fini della configurabilità del reato in esame l’art. 328 c.p. richiede il dolo generico (cfr. Cass. pen. Sez. VI, sent. n. 33565 del 09/09/2021), integrato dalla coscienza e volontà di rifiutare indebitamente un atto del proprio ufficio, nella consapevolezza di avere il potere giuridico di agire e di essere materialmente in grado di compiere l’atto richiesto.
Ebbene, è stato ampiamente dimostrato come l’omissione dell’adozione dell’atto richiesto - l’assegnazione di un place of safety - sia stata espressione di un consapevole e volontario rifiuto dell’imputato, dallo stesso peraltro pubblicamente rivendicato sui propri profili social e nelle interviste rilasciate alla stampa nell’immediatezza dei fatti[201].
Le ragioni di tale rifiuto, peraltro, sono state esplicitate anche in un atto formale promanato dall’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell'Interno, ossia la nota a firma del Vice Capo di Gabinetto Prefetto FORMICOLA del 19 agosto 2019, con cui per la prima volta veniva dato riscontro, in termini negativi, alla richiesta di POS inoltrata dalla Open Arms alle autorità italiane sin dal 2 agosto 2019. Come già ampiamente illustrato, nella nota del 19 agosto 2019 si chiariva la posizione del Ministero dell’Interno e del suo vertice, che non intendeva indicare un porto sicuro alla Open Arms, ritenendo che ciò non rientrasse negli obblighi del Governo italiano e che la condotta tenuta dalla ONG denotasse la precisa intenzione di porre in essere un’attività volta al preordinato e sistematico trasferimento illegale di migranti in Italia (circostanza indimostrata e che in ogni caso avrebbe dovuto portare allo sbarco, alla compiuta identificazione ed, eventualmente, all’arresto del comandante CREUS per il reato di cui all’art. 12 del D.lgs. 186/1998[202]).
È altresì indubbio che l’imputato era pienamente consapevole di avere il potere giuridico di agire - avendo egli stesso accentrato su di sé la competenza al rilascio del POS - e di essere materialmente in grado di compiere l’atto richiesto, per l’adozione del quale sarebbe bastata una semplice telefonata o l’inoltro di un messaggio, senza particolari formalità.
Va infine evidenziato, attraverso la condivisibile relazione del Tribunale dei Ministri, che in realtà, nella fattispecie si tratta di plurime condotte di rifiuti di atti di ufficio:
“La ricostruzione dei fatti operata chiarisce come vi sia stata una pluralità di condotte sussumibili nella fattispecie delittuosa del rifiuto di atti di ufficio. Invero, secondo la univoca concezione affermata dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di cui all’art. 328, 1° co. c.p. costituisce un reato di natura istantanea che si consuma ogni volta in cui l’agente rifiuti di intervenire a fronte di formali sollecitazioni all’adozione indifferibile dell’atto di ufficio imposto da un’esigenza ricompresa nell’elencazione dell’art. 328 c.p.[203].
Da tale considerazione deriva che, nella fattispecie, è stata commessa una pluralità di violazioni (concorso materiale omogeneo), in corrispondenza, quanto meno, di ciascuna delle esplicite richieste di POS formulate dopo l’ingresso della Open Arms in acque territoriali (14, 15 e 16 agosto 2019).
Esse costituiscono dunque un’ipotesi di reato continuato apparendo evidente la loro riconducibilità all’attuazione di un medesimo ed unitario disegno criminoso, con conseguente applicabilità dell’art. 81, 2° co. c.p.”.
*
La complessiva analisi del compendio probatorio fin qui svolta consente di ritenere dimostrata la penale responsabilità dell’imputato per i reati contestati.
Palermo, 14 settembre 2024
Il PUBBLICO MINISTERO
Marzia Sabella - Calogero Ferrara - Giorgia Righi
I N D I C E
LA RICOSTRUZIONE DEL QUADRO GIURIDICO
§ 6. Il Coordinamento tra gli Stati al fine della garanzia del place of safety
§ 7. L’indicazione del Place of safety (POS)
§ 7.1 La nave di salvataggio può essere considerata un luogo sicuro?
§ 7.2 Tutti i Paesi possono essere considerati un posto sicuro?
§ 8. Lo sbarco in un luogo sicuro come obbligo di risultato
§ 9. Il ruolo dello Stato di Bandiera
§ 10. Lo Stato competente ad indicare il POS
§ 12. Il principio del non respingimento
L’ELEMENTO OGGETTIVO DEL REATO
§ I “rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche”
§ L’omesso coordinamento con le autorità nelle operazioni di salvataggio
§ Il “bighellonare” dell’Open Arms
§ Il rifiuto allo sbarco dei 39 migranti salvati in area SAR maltese
§ Il duplice “rifiuto” dei POS spagnoli
§ La vicenda del sommergibile Venuti
§ Il decreto interdittivo del 1° agosto 2019
§ La nota dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno del 19.8.2019
§ Le ripercussioni istituzionali
§ La questione della redistribuzione
§ La Open Arms era un posto sicuro temporaneo?
§ La “presunta” volontà del Ministro dell’Interno di concedere successivamente il POS
§ Il primo segmento della vicenda: 1-13 agosto
§ Il secondo segmento della vicenda: il 14 agosto 2019
§ Il terzo segmento della vicenda: 15-20 agosto
§ 1.5. La privazione della libertà personale come conseguenza all’omesso rilascio del POS
L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO
§ 2.1. La consapevolezza e volontarietà della illegittimità dei provvedimenti omessi
§ 3. IL REATO DI RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO
[1] Cfr. B. H. Oxman, Human Rights and the United Nations Convention on the Law of the Sea, in Columbia Journal of Transnational Law, 1998, p. 414 ss.: «The duty to render assistance to any person found in danger at sea has been accepted from time immemorial».
[2] La versione ufficiale è «d’une tradition maritime ancestrale du droit international de la mer»: si veda il documento n. 2579 della Commissione francese sugli affari europei depositato all’Assemblea nazionale francese l’11 febbraio 2015 relativo alle politiche europee in materia di lotta contro l’immigrazione irregolare con riguardo alle migrazioni nel Mediterraneo (testo reperibile nel sito https://legifrance.fr).
[3] Art. 11 della Convenzione per l’unificazione di alcune regole in materia di assistenza e di salvataggio marittimi, in base al quale «Ogni capitano è tenuto, in quanto lo possa realizzare senza serio pericolo per la sua nave, il suo equipaggio e i suoi passeggeri, a prestare assistenza a qualunque persona, anche nemica, trovata in mare, in pericolo di vita».
[4] Organo giurisdizionale istituito nell’ambito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali adottata dal Consiglio d’Europa il 4 novembre 1950, cui l’Italia ha dato esecuzione con legge 4 agosto 1955 n. 848.
[5] Organo di garanzia istituito nel Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e ratificato dall’Italia con legge di ratifica ed esecuzione n. 881 del 25 ottobre 1977.
[6] Così la relazione del Senato del 16 dicembre 1986, IX legislatura, Doc. n. 2105, sulla ratifica della Convenzione SAR.
[7] Si trattava di un container norvegese al quale l’Autorità SAR australiana aveva chiesto di intervenire in un’operazione di ricerca e soccorso nei confronti di un’imbarcazione indonesiana che si trovava nelle acque tra Indonesia e Christmas Island (Australia). Le autorità australiane avevano comunicato che le acque territoriali australiane erano chiuse. Tuttavia, l’imbarcazione si stava recando nell’isola per il deterioramento della situazione poiché la nave correva il rischio di naufragio. Le autorità australiane avevano comunicato che se non fossero stati rispettati gli ordini l’equipaggio sarebbe stato indagato per traffico di migranti. Era poi intervenuta una nave militare australiana che condusse le persone a bordo e poi a Nauru e in Nuova Zelanda.
[8] È stato evidenziato in dottrina «Il SAR, dopo decenni di flussi via mare di migranti verso l’Europa, ha tuttavia perso in Mediterraneo le sue originarie caratteristiche di strumento di tutela dei naviganti e dei diportisti per divenire invece un ausilio ineludibile per le persone che affrontano il mare su imbarcazioni insicure in cerca di una vita migliore o per sfuggire a guerre e persecuzioni».
[9] Si vedano, tra gli altri, anche gli emendamenti del 9 e 10 novembre 1988, dell’11 aprile 1989 e del 23 maggio 1990, entrati in vigore a livello internazionale il 1° febbraio 1992.
[10] Cosi il testo ufficiale: «All persons in distress at sea should be assisted without delay».
[11] Si veda anche lo IAMSAR Manual, International Aeronautical and Maritime Search, vol. II, Mission Co-ordination, punto 1.6.1.
[12] FRONTEX è stata istituita con il regolamento n. 2007/2004 del 26 aprile 2004, modificato dal n. 1168/2011 del 25 ottobre 2011 e poi dal citato regolamento n. 656/2014. Il regolamento (UE) n. 2019/1896 del 13 novembre 2019 relativo alla Guardia di frontiera e costiera europea che ha abrogato i regolamenti (UE) n. 1052/2013 e (UE) n. 2016/1624. L’Agenzia fornisce assistenza tecnica e operativa agli Stati membri e ai Paesi terzi a sostegno delle operazioni di ricerca e soccorso per le persone in pericolo in mare.
[13] La prassi seguita dall’Italia e da Malta di fare permanere migranti a bordo delle navi, anche nel caso di quarantena, è stata stigmatizzata dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa nel documento «A distress call for human rights. The widening gap in migrant protection in the Mediterranean», Strasburgo, 2021.
[14] Il ricorso della Procura di Agrigento è stato respinto dalla Cassazione che ha condiviso l’iter giuridico seguito dal Giudice delle indagini preliminari che non aveva convalidato l’arresto di Carola Rackete.
[15] Nel rapporto contenuto nel documento n. 12628 del 1° giugno 2011 è stato sottolineato che «carry out as a priority action the swift disembarkation of rescued persons to a “place of safety” and interpret a “place of safety” as meaning a place which can meet the immediate needs of those disembarked and in no way jeopardises their fundamental rights, since the notion of “safety” extends beyond mere protection from physical danger and must also take into account the fundamental rights dimension of the proposed place of disembarkation». Il documento è reperibile nel sito https://pace.coe.int/en/files/atr41/html.
[16] In G.U. n. 87 del 13 aprile 2006 «Coordinamento delle iniziative e delle misure finalizzate a disciplinare gli interventi di soccorso e di assistenza alla popolazione in occasione di incidenti stradali, ferroviari, aerei ed in mare, di esplosioni e crolli di strutture e di incidenti con presenza di sostanze pericolose».
[17] A/HRC/50/31.
[18] Il Relatore speciale afferma: «stands firmly by the assessment that Libya cannot be considered a safe port of disembarkation for migrants rescued in the Mediterranean Sea. He welcomes the accountability achieved in criminal proceedings in Italy in 2021, in which a shipmaster of an Italian merchant vessel was convicted by a court in Naples for disembarking over a hundred migrants in Libya in 2018. He notes, however, that ultimate responsibility lies with States coordinating search and rescue activities in the region to refrain from requesting or authorizing disembarkation in Libya, and that such operations should be suspended without delay» (par.65).
[19] Cfr. conclusioni del Consiglio d’Europa del 28 giugno 2018, reperibili online all’indirizzo www.consilium.europa.eu/media/35947/28-euco-final-conclusions-it.pdf (europa.eu) : “Nel territorio dell'UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino”.
[20] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/09/01/ucciso-a-tripoli-il-trafficante-di-esseri-umani-bija_56b61189-40ba-4ae9-83a2-882af9840a7a.html
[21] Sugli obblighi dello Stato di approdo si rinvia alla direttiva 2009/16 del 23 aprile 2009 modificata dalla 2017/2110 (attuata con il decreto legislativo 22 aprile 2020 n. 37), recepita in Italia con decreto legislativo 24 marzo 2011 n. 53, in G.U. 27 aprile 2011 n. 96.
[22] Nella riunione del Facilitation Committee, 35esima sessione del 19 marzo 2009, FAL 35/17, Allegato 6, Malta ha dichiarato: «While Malta will continue to do its utmost to coordinate efforts so that a place of safety is provided, we cannot guarantee that Malta itself provides it. ..Another important factor that needs to be taken into consideration is the fact that the declaration of SAR areas is non-mandatory and there are to date a number of Contracting governments that have overlapping areas. This will lead to the question as to who will be responsible to disembark persons rescued in an overlapping area. Furthermore, there are areas around the world that have not been declared by any Contracting Party and incidents in these areas are normally coordinated by distant RCCs. Hence the question arises whether the coordinating State will have to take responsibility for the disembarkation of persons rescued».
[23] Si veda il documento CCPR/C/MLT/CO/2.
[24] Così il considerando n. 11. La raccomandazione è pubblicata in G.U.U.E. del 1° ottobre 2020, L 317, p. 23 ss. Per favorire la realizzazione del risultato la Commissione chiede l’individuazione di un gruppo di contatto, con ciò ulteriormente chiarendo che non sussiste una responsabilità esclusiva o primaria dello Stato della bandiera.
[25] Ricorsi n. 8675/15 e n. 8697/15, par. 109: la vicenda riguardava l’applicazione di alcune norme convenzionali in un contesto migratorio a causa della costruzione di una barriera edificata a una certa distanza dal confine spagnolo, nell’enclave spagnola di Melilla e la riconsegna dei migranti alle autorità marocchine https://www.echr.coe.int.
[26] V. D.P.R. n. 662 del 1994 - Regolamento di attuazione della legge n. 147/1989, di ratifica della Convenzione di Amburgo: Art. 3. (...) a) il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto è l'organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (I.M.R.C.C. - Italian Maritime Rescue Coordination Center) (...).
[27] Art. 1. Attribuzioni del Ministro dell'interno:
“1. Il Ministro dell'interno è responsabile della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed è autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia.
2. Il Ministro dell'interno adotta i provvedimenti per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica (...)”.
[28] V. d.lgs. 286/1998, art. 10 ter (inserito dall’ art. 17, comma 1, D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46) “Disposizioni per l'identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare”.
[29] Articolo 11. Potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera. “(...) comma 1-bis: Il Ministro dell'interno, sentito, ove necessario, il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, emana le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana. Il Ministro dell'interno promuove altresì apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull'immigrazione e le autorità europee competenti in materia di controlli sull'immigrazione ai sensi dell'Accordo di Schengen, ratificato ai sensi della legge 30 settembre 1993, n. 388”.
[30] “Il Ministro dell'interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121, nell'esercizio delle funzioni di coordinamento di cui al comma 1-bis e nel rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia, può limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all'articolo 19, paragrafo 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri”.
[31] Il provvedimento è stato acquisito agli atti del dibattimento, ma il testo è altresì reperibile sul sito ufficiale del Ministero dell’Interno, al seguente link: https://www.interno.gov.it/it/amministrazione-trasparente/disposizioni-generali/atti-generali/atti-amministrativi-generali/documenti/direttiva-coordinamento-unificato-dellattivita-sorveglianza-frontiere-marittime-e-contrasto-allimmigrazione-illegale
[32] V. al riguardo il Decreto interministeriale 14.7.2003, “Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina”.
[33] L’Unione europea ha adottato un sistema che prevede dei programmi di ricollocazione e di reinsediamento che incontra diverse difficoltà di attuazione come risulta evidente dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 aprile 2020, nelle cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17, Commissione contro Polonia e contro Ungheria. Nel 2015, come è noto, è stato istituito un meccanismo temporaneo di ricollocazione di emergenza istituito con due decisioni del Consiglio (2015/1523 e 1015/1601) per ricollocare le persone bisognose di protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia.
[34] Un Sistema analogo è d’altra parte previsto anche dal regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione – Regolamento Dublino, in G.U.U.E. L 180 del 29 giugno 2013, p. 31 ss.), il cui art. 17, par. 2 afferma che «Lo Stato membro nel quale è manifestata la volontà di chiedere la protezione internazionale e che procede alla determinazione dello Stato membro competente, o lo Stato membro competente, può, in ogni momento prima che sia adottata una prima decisione sul merito, chiedere a un altro Stato membro di prendere in carico un richiedente al fine di procedere al ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela, per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familiari o culturali, anche se tale altro Stato membro non è competente ai sensi dei criteri definiti agli articoli da 8 a 11 e 16. Le persone interessate debbono esprimere il loro consenso per iscritto».
[35] Cfr. Comunicato della Presidenza della Repubblica dell’8.8.2019, reperibile online all’indirizzo www.diritto.it/wp-content/uploads/2019/08/72149-1.pdf
[36] Il Tribunale arbitrale costituito per risolvere una controversia tra Arabia Saudita e Arabian American Oil Company con una pronuncia del 1958 ha affermato: «According to a great principle of public international law, the ports of every State must be open to foreign merchant vessels and can only be closed when the vital interests of the State so require».
[37] Nella dottrina si ritiene che «La sentenza n. 22917/2019 corrobora l’interpretazione del non-refoulement come un principio che si sostanzia e realizza non solo nell’obbligo negativo di non-respingimento verso un territorio in cui la vita e la libertà di una persona possono essere minacciate, ma anche nell’obbligo positivo di assicurare accesso al territorio al fine di formulare una domanda di asilo. Tale diritto di ingresso deve essere riconosciuto sia a coloro che si trovano alla frontiera italiana, sia a tutti coloro che, sebbene intercettati in alto mare, rischiano un respingimento illegittimo verso un Paese non sicuro». Il non refoulement viene così ricostruito come «un principio che si declina anche nei termini di diritto di sbarco nel territorio, al fine di ricevere un esame della propria situazione personale».
[38] In G.U. n. 85 dell'11 aprile 2006. Il testo è entrato in vigore per l'Italia il 1° settembre 2006.
[39] Si veda anche la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) del 14 maggio 2019 nelle cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, con la quale la Corte UE ha rafforzato la tutela dei rifugiati limitando la possibilità, per gli Stati membri, di procedere all’espulsione di uno straniero, anche se condannato per gravi reati, se il rifugiato corra il rischio di tortura o di trattamenti disumani o degradanti
[40] Si veda il documento A/HRC/47/30, par. 87 in cui si evidenzia che «NGO ships and crew involved in search and rescue have faced over 50 criminal or administrative proceedings initiated by Germany, Greece, Italy, Malta, the Netherlands and Spain since 2016.The Special Rapporteur notes with concern that those actions have resulted, in practical terms, in a marked decrease of adequate search and rescue capacities in the Mediterranean In Greece, NGOs are investigated and prosecuted by authorities on grounds of “espionage”, “violation of State secrets”, “membership of a criminal organization” and “violations of the migration law”».
[41] Si vedano i rapporti e gli aggiornamenti sulle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo pubblicati da Frontex e reperibili nel sito https://fra.europa.eu. Nell’aggiornamento del giugno 2021 si evidenzia che dal 2018 sono aumentati i procedimenti amministrativi e penali nei confronti degli equipaggi delle navi e che i limiti all’accesso ai porti nel Mediterraneo hanno provocato ritardi negli sbarchi. Cfr., altresì, la relazione 2019 sui diritti fondamentali redatta dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali e il relativo aggiornamento del giugno 2019 dal titolo «NGO ships involved in search and rescue in the Mediterranean and criminal investigations» (Navi di ONG coinvolte in operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e indagini penali).
[42] https://www.ilsole24ore.com/art/decreto-sicurezza-mattarella-firma-e-scrive-conte-sui-migranti-rispettare-costituzione-AEATFHHG?refresh_ce=1
[43] Si veda, ad esempio, la Commissione interamericana dei diritti umani nella decisione del 13 marzo 1997 nel caso Haitian Centre for Human Rights e altri contro Stati Uniti in cui la Commissione ha ritenuto contraria alla Dichiarazione americana dei diritti dell’uomo l’Executive Order del 1992 con il quale si ordinava il respingimento di persone che si trovavano in alto mare e che provenivano da Haiti. Nello stesso senso la citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi. Una conferma nel regolamento FRONTEX in cui l’art. 4, par. 1 dispone che «Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento».
[44] L’art. 3 dispone che «Nessuno Stato espelle, respinge, né estrada una persona di un altro Stato in cui vi siano gravi motivi di credere che in tale Stato essa rischierebbe di essere sottoposto a tortura».
[45] La Grande Camera della CEDU sin dal 1996, con la sentenza del 15 novembre 1996, nel caso Chahal contro Regno Unito (ricorso n. 22414/93), relativa all’espulsione di alcuni cittadini indiani entrati illegalmente nel Regno Unito.
[46] Il 3° comma prevede che l’esercizio dei diritti di cui all’articolo 2 «…non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e libertà altri».
[47] sentenze Moustaquim contro Belgio, del 18 febbraio 1991, ricorso n. 12313/86, par. 43; Vilvarajah e altri contro Regno Unito del 30 ottobre 1991, ricorso n. 13163/97, par. 102; Z.A. e altri contro Russia, del 21 novembre 2019, ricorso n. 61411/15, par. 160.
[48] Ricorso n. 27765/09. La vicenda riguardava un gruppo di cittadini somali ed eritrei che stavano provando a raggiungere le coste italiane. Le imbarcazioni erano state intercettate in alto mare da navi della guardia costiera e della guardia di finanza e ricondotte in Libia. Il testo della sentenza è in https://echr.coe.int e, per la versione italiana in https://giustizia.it.
[49] Nello stesso senso anche la prassi della Corte interamericana dei diritti umani, ad esempio in Vélez Loor contro Panama, 23 novembre 2018, par. 97, nella quale è chiarito che gli Stati hanno ampia discrezionalità nelle politiche di immigrazione, ma nel rispetto dei diritti umani dei migranti. Cfr. le raccomandazioni dell’UNHCR relative all’esecuzione della sentenza della Grande Camera CEDU nel procedimento Hirsi Jamaa e altri contro Italia, del 24 agosto 2012.
[50] Si veda il rapporto del Comitato sui diritti umani del Patto sui diritti civili e politici depositato l’8 settembre 2020 (Doc. CCPR/C/129/2/Add.4), contenente aggiornamenti sulle osservazioni conclusive del 23 marzo 2017 (CCPR/C/ITA/CO/6).
[51] Si veda, in questo senso, anche la sentenza CEDU del 22 novembre 2016, Elmi e Abubakar contro Malta, ricorsi n. 25794/ 13 e n. 28151/13.
[52] L’art. 10, comma 3 dispone: «Quando l’età della vittima risulta incerta e ci sono motivi per credere che la vittima sia un minore, in tal caso si presume che si tratti di un minore e si adottano speciali misure di protezione nell’attesa che l’età venga verificata».
[53] CRC/C/ITA/CO/5-6. Il Comitato ha osservato che le misure adottate dall’Italia in materia di immigrazione, che avevano provocato un peggioramento della tutela dei minori stranieri accompagnati e non, spesso ospitati in strutture non adeguate e senza interventi efficaci dello Stato per facilitare il ricongiungimento familiare e per agevolare il passaggio da situazioni di irregolarità a uno status regolare, erano contrarie alla Convenzione.
[54] CCPR/C/ITA/CO/6, 1° maggio 2017.
[55] Ricorso n. 5797/17: la vicenda riguardava un cittadino del Gambia, arrivato nel 2016 in Sicilia con un barcone e accolto, in un primo tempo, in un centro per minori stranieri non accompagnati. Tuttavia, dopo tre mesi era stato trasferito in un centro di accoglienza per adulti. Al ragazzo era stata attribuita una tessera sanitaria con l’indicazione della sua data di nascita che indicava la sua minore età; a seguito di un esame medico, era stato dichiarato maggiorenne.
[56] Il caso in esame riguardava la collocazione del minore in un centro di accoglienza per adulti.
[57] Ricorso n. 12267/16.
[58] Ricorso n. 8687/08.
[59] In tal senso la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa dell’11 dicembre 2019 (CM/Rec(2019)11); la risoluzione n. 1810 (2011) del 15 aprile 2011 sui «minori stranieri non accompagnati in Europa: questioni relative all’arrivo, alla permanenza e al rimpatrio» e la risoluzione n. 2449 (2022) dell’Assemblea parlamentare del 22 giugno 2022 sulla protezione e la protezione dei minori stranieri non accompagnati e separati e sui minori rifugiati.
[60] «I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere» e «l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente».
[61] Il divieto è anche codificato nell’art. 19, comma 2-bis del Testo Unico in materia di immigrazione.
[62] Si veda il par.106 del parere reperibile nel sito https://icj-cij.org.
[63] Doc.14586. Si vedano anche le risoluzioni n. 1872 del 24 aprile 2012 «Lives lost in the Mediterranean Sea: who is responsible», n. 1999 del 24 giugno 2014, «The ‘left-to-die boat’: actions and reactions» e n. 2000 del 24 giugno 2014 «The large-scale arrival of mixed migratory flows on Italian shores».
[64] Si veda, tra le altre, oltre alla citata pronuncia Hirsi la sentenza del 7 luglio 2011, Al-Skeini e altri contro Regno Unito, ricorso n. 55721/01, par. 131.
[65] Ricorso n. 31276/05.
[66] Ricorso n. 39473/98, decisione dell’11 gennaio 2001.
[67] Si veda anche la sentenza del 21 ottobre 2014 Sharifi e altri c. Italia e Grecia, ricorso n. 16643/09: l’Italia è stata condannata per le misure di respingimento verso la Grecia messe in atto tra il 2008 e il 2009 che hanno riguardato alcuni cittadini eritrei, afgani arrivati nei porti di Bari, Ancona e Venezia su imbarcazioni provenienti da Patrasso, per violazione del divieto di espulsioni collettive, del divieto di refoulement e del diritto ad un ricorso interno effettivo per quest’ultimo diritto. In questo senso, ad esempio, va tenuto conto dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che impedisce l’allontanamento o l’espulsione verso Paesi in cui vi è il rischio di trattamenti inumani o degradanti.
[68] Ricorso n. 3394/03. In quel caso i fatti si erano verificati a bordo del Winner, imbarcazione battente bandiera di uno Stato terzo, ma il cui equipaggio era stato posto sotto il controllo di militari francesi. Nelle particolari circostanze, la Corte ha preso in esame la natura e la portata delle azioni compiute dagli agenti francesi al fine di verificare se la Francia avesse esercitato sul Winner e sul suo equipaggio un controllo, almeno de facto, continuo ed ininterrotto. Va richiamata anche la raccomandazione del 2019 «Lives saved. Rights Protected» del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa che ha rilevato che la protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti deve prevalere su ogni possibile dilemma o incertezza che possa essere causata dall’interazione di differenti regimi legali, pratiche e politiche rilevanti.
[69] Si veda la decisione Pad e altri contro Turchia, ricorso n. 60167/00..
[70] Cfr., tra le altre, la sentenza Ilascu e altri contro Moldova e Russia dell’8 luglio 2004, ricorso n. 48787/99.
[71] Si veda, sull’applicazione extraterritoriale dei diritti umani, la sentenza del 7 luglio 2011 nel caso Al-Skeini e altri contro Regno Unito, ricorso n. 55721, par. 136. Per una prospettazione restrittiva della nozione di giurisdizione ai sensi dell’art. 1 si veda la decisione del 12 dicembre 2001, ricorso n. 52207, nel caso Bankovic e altri contro Belgio e altri 16 Stati, in cui la Corte afferma, invece, una lettura territoriale della nozione di giurisdizione ai sensi dell’art. 1.
[72] In diversi casi, per bloccare l’espulsione, gli individui destinatari di provvedimenti di espulsione hanno presentato richiesta di misure provvisorie ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento.
[73] Si vedano anche le affermazioni del Comitato Onu contro la tortura nel caso Marine I in cui è stata affermata la giurisdizione della Spagna nel corso di un’operazione di soccorso di migranti in mare e durante il periodo di detenzione di alcuni migranti in Mauritania perché sotto il controllo delle autorità spagnole: CAT/C/41/D/323/2007. L’operazione di salvataggio era stata iniziata nella zona SAR del Senegal. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
[74] CCPR/C130/D/3042/2017.
[75] Il Comitato ha anche contestato all’Italia l’assenza di indagini adeguate per individuare e punire coloro che avevano violato l’art. 6 del Patto. Inoltre, l’Italia non ha fornito spiegazioni chiare per giustificare il ritardo nell’intervento, prima che Malta fosse avvisata dell’incidente. La nave italiana, che si trovava solo a un’ora di distanza dal peschereccio, fu avvisata dalle autorità italiane con ritardo e non è chiaro se fu dato addirittura un ordine di allontanamento.
[76] Si veda anche il Commento generale n. 35 del 16 dicembre 2014, CCPR/C/GC /35.
[77] Ricorso n. 16483/12. Il ricorso era stato presentato da alcuni cittadini tunisini che, sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, erano stati trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza, con una situazione allarmante per le condizioni igieniche e per il sovraffollamento, poi trasferiti a bordo di due navi nel porto di Palermo e dopo 4 giorni rimpatriati in Tunisia.
[78] Così la sentenza del 20 febbraio 2020 nel caso Zelcs contro Lettonia, ricorso n. 65367/16, par. 36. La Corte ha osservato che malgrado la breve durata della detenzione amministrativa questa era indicativa di una privazione della libertà personale; vedi anche M.A. v. Cyprus, no. 41872/10, § 190.
[79] Cfr. e-mail inviata da Marie Jacobs di Alarmphone dall’indirizzo
[80] Cfr. deposizione del Comandante di Open Arms, Marc Reis CREUS, resa all’udienza dell’8 aprile 2022, pag. 75 e ss.; deposizione del Capo Missione di Open Arms Anabel MONTES all’udienza del 13 maggio 2022.
[81] Cfr. produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021, deposizione del C.A. LIARDO all’udienza del 17 dicembre 2021, deposizione del teste CREUS all’udienza dell’8 aprile 2022, deposizione della teste MONTES all’udienza del 13 maggio 2022.
[82] Cfr. immagini fotografiche e files video acquisiti all’udienza del 2 dicembre 2022 e deposizioni degli ufficiali OLIVA e PELLEGRINO all’udienza del 24 marzo 2023
[83] Cfr. parte III, sub paragrafo 1.1.
[84] Si legge testualmente nel decreto del 1° agosto 2019: “rilevato che da informazioni acquisite dal Centro Nazionale di Coordinamento de Soccorso Marittimo (MRCC Roma) risulta che, nel pomeriggio odierno, la nave Open Arms, battente bandiera spagnola, ha imbarcato le persone a bordo di un natante in distress in area SAR libica – al momento in numero di 52 – effettuando l’intervento in totale autonomia”.
[85] Cfr. deposizione del teste MONTES all’udienza del 13 maggio 2022: “abbiamo saputo che si trattava di un gommone, era sovraffollato quindi c’erano tantissime persone a bordo”; e-mail del 2.8.2019, ore 00:40: “c’è una donna incinta di nove mesi con forti dolori. L’altra donna incinta di otto mesi e inoltre un bambino ha perso coscienza pochi minuti fa. Tutti loro sono disidratati e hanno bisogno di essere controllati da una equipe medica”.
[86] Cfr. pag. 12 del verbale di udienza del 7 luglio 2023.
[87] Cfr. giornale di bordo della Open Arms e copia di tutti i messaggi e-mail ricevuti ed inviati dalla nave in occasione della vicenda in esame, tradotti in lingua italiana in sede di perizia disposta nel corso dell’udienza preliminare.
[88] Cfr. e-mail del 2.8.2019 ore 9:08.
[89] Cfr. e-mail del 2.8.2019 ore 13:28.
[90] Cfr. e-mail inviata da RCC Malta il 2.8.2019 alle ore 4:19: “vi preghiamo di prendere atto che la Nave Open Arms ha intercettato la barca dei migranti al di fuori della SRR maltese. L’RCC MALTA non era l’autorità competente né l’autorità di coordinamento”.
[91] Cfr. e-mail del 2.8.2019 ore 22:50: “attualmente abbiamo 123 persone a bordo che hanno bisogno di andare in un luogo sicuro il più presto possibile, quindi, considerato che Lampedusa è il porto sicuro più vicino alla posizione del soccorso, vi chiediamo gentilmente di darci un POS sotto il quadro giuridico in cui abbiamo fatto entrambi i soccorsi. Abbiamo già chiesto un POS anche a RCC Malta e il nostro stato di bandiera è stato informato su tutto”.
[92] Così si legge nella e-mail del 7.8.2019 ore 8:15, a firma di Anabel MONTES: “Vi scrivo riguardo alla situazione che abbiamo a bordo. Dopo 5 giorni senza alcun POS abbiamo inviato l’elenco dei minori che abbiamo a bordo (minori non accompagnati e minori con famiglia) perché, come sapete, sono in una posizione vulnerabile e dovrebbero essere tutelati per legge… Ho compreso MRCC Spagna in questa mail, perché il tempo passa e questa situazione non deve durare a lungo per la salute delle persone a bordo. Pertanto, secondo la legge internazionale sui Diritti Umani, vale a dire il concetto del Diritto alla Vita legalmente protetto, vi chiediamo di trovare urgentemente una soluzione”.
[93] Cfr. e-mail del 6 agosto 2019, ore 19:12, e allegato documento excel, all. n 10 produzione documentale P.M. all’udienza del 23.10.2021;
[94] Cfr. e-mail del 7.8.2019, ore 10:26, di I.M.R.C.C. a Open Arms; deposizione resa dal C.A. LIARDO all’udienza del 17.12.2021; nonché copia di tutte le e-mail inviate, a partire dal 2.8.2019, da I.M.R.C.C.
[95] Cfr. e-mail dell’8 agosto 2019, ore 15:46, a firma di Anabel MONTES e deposizione della stessa all’udienza del 13.5.2022: “Fra le cose che abbiamo fatto ci sono state una serie di interviste, diciamo di colloqui, a ottantanove persone che sollecitavano asilo, quindi richiedenti asilo. E sono state poi inviate a UNHCR. È stato inviato anche l’elenco dei minori che erano a bordo…alle Nazioni Unite e all’Italia”.
[96] Cfr. all. n. 12 produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021;
[97] cfr. e-mail indirizzata dalla Open Arms a RCC Malta il 9.8.2019, alle ore 19:23, con cui si dava riscontro di aver ricevuto un messaggio radio da Navtex indicante un battello in distress in acque maltesi e successive e-mail intercorse tra la Open Arms e RCC Malta. A tale evento fa riferimento anche il messaggio inviato da I.M.R.C.C. alle altre autorità italiane competenti il 10.8.2019 con cui si riferiva di aver ricevuto, da un telefono tedesco, notizia di un battello in distress in acque maltesi, di essere stato informato che al soccorso aveva proceduto la nave Open Arms e che Malta aveva assunto il coordinamento dell’evento.
[98] Cfr. pag. 121 verbale di udienza del 13.5.2022.
[99] Cfr. pag. 16 del verbale di udienza del 7 luglio 2023.
[100] Cfr. e-mail acquisite dal comandante della Open Arms e deposizione del teste C.A. LIARDO all’udienza del 17.12.2021;
[101] Cfr. deposizione del teste CREUS: “Malta ribadiva il diniego della disponibilità di accogliere tutti in quanto la loro imbarcazione non avrebbe potuto accogliere la totalità dei migranti, la mia proposta di aspettare altre unità… hanno nuovamente negato di offrire ausilio a tutti i migranti a bordo. A quel punto ho rifiutato di fare sbarcare i 39 migranti per evitare insurrezioni…In concreto, a bordo della Open Arms, dopo nove giorni dal primo salvataggio e dopo avere effettuato diverse Medevac, c'erano situazioni di nervosismo fra i migranti, che ritenevano ingiuste le evacuazioni solo di alcuni rispetto agli altri, paventando anche conflitti fra le varie razze presenti a bordo, in quanto le ultime 39 persone salvate erano nordafricane, mentre gli altri erano di provenienza sub sahariana, conflitto che si era profilato già dalla prima notte”.
[102] Così si legge nella e-mail del 10.8.2019, delle ore 6:51, a firma di Anabel MONTES: “Questa è la M7V OPEN ARMS. Vogliamo informarla che ai sensi dell’art. 184 della legge sulla navigazione marittima, che stabilisce che spetta al capitano l’ultima decisione di fare o non fare qualcosa per eventuali problemi di sicurezza a bordo, noi ufficialmente rifiutiamo di trasbordare ora le 39 persone soccorse questa notte, in quanto ci sono altre 121 persone a bordo già da 8 giorni e se facessimo questo trasferimento non ci sarebbe nessun modo per spiegare alle altre persone a bordo il motivo per il quale gli ultimi partiranno per primi, e questo può creare una rivolta a bordo. Vogliamo evitare questa situazione e mantenere una navigazione sicura per tutte le persone a bordo … Possiamo rimanere nelle acque SAR maltesi in attesa di una nave di grande capacità per trasbordare tutti”.
[103] Cfr. e-mail del 3 agosto 2019, all. 8 produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021.
[104] Cfr. deposizioni dei testi LIARDO e TRINGALI, Comandante della Capitaneria di Porto di Lampedusa, e documentazione prodotta dal P.M. all’udienza del 23.10.2021.
[105] Cfr. pag. 124 del verbale di udienza del 13 maggio 2022.
[106] Cfr. pag. 5 del verbale di udienza del 17 giugno 2022.
[107] Cfr. deposizione resa dal teste DI BENEDETTO all’udienza del 17.6.2022: “nel colloquio con me, molti riferivano questa cosa, cioè meglio morire qui che non tornare in Libia a rivivere quello che abbiamo vissuto, quindi se questa ideazione suicidaria è maturata tanto che ci sono state persone che si sono buttate in mare, e quando una persona si butta in mare è tentato suicidio… Tra l'altro un migrante, ha preso acqua, è stato poi portato in Ospedale, io l'ho rivisto dopo lo sbarco, dopo 15 giorni all’Hot Spot di Pozzallo, ed era in un mutismo selettivo, non parlava più ed era stato preso in carico dall'ASP, ed è uno dei migranti che si è buttato in mare e che stava morendo in quel momento”.
[108] Sulle condizioni traumatiche in cui si trovavano i naufraghi soccorsi dalla Open Arms ha riferito anche il medico di bordo, Inas URROSOLO MARTINE DE LOGOS: “Tutti erano partiti dalla Libia, però provenienti da tanti paesi dell’Africa, molti di loro non si potevano capire perché parlavano diverse lingue, e quindi è stata una difficoltà sia per me come medico per il tempo trascorso con loro. Le storie erano molto traumatiche, perché provenivano da paesi che si trovano in guerra, persone che scappavano per percussione etnica, politica o crudeltà, violenza, schiavitù”. Qualsiasi tipo di tortura, violenza, sono stati accoltellati, sono stati sparati sulle gambe, sui piedi, gravidanze non desiderate, tutto quello si trovava nella stessa imbarcazione” (cfr. pag. 52 verbale di udienza del 9.6.2023).
[109] Cfr. e-mail inviata il 13 agosto 2019, alle ore 8:03, da RCC Malta: “Le ricordiamo che con i venti previsti avete altre migliori opzioni a vostra disposizione e molto più vicine a Malta, che state scegliendo di ignorare (cioè Lampedusa e Tunisia)”.
[110] cfr. pag. 24 verbale di udienza del 12.01.2024:
PUBBLICO MINISTERO – Loro appunto hanno offerto le loro ragioni nel corso del dibattimento che lei ricorderà, sul perché non hanno firmato. Qual era la sua posizione rispetto a queste ragioni? Dico e comunque erano intervenuti dei fatti nuovi in base ai quali intendevate riproporre quel medesimo divieto?
IMPUTATO SALVINI M. – Se ci era intimato, tra virgolette, non so se è il termine giuridico, di far entrare nelle acque territoriali per dare soccorso, e poi accadde, a volte accadeva anche a prescindere dai divieti, eh, perché non.., ci furono episodi in cui nonostante il divieto, qualcuno entrò ugualmente, mentre altre imbarcazioni rispettarono il divieto. Io ricordo che in quel momento la preoccupazione era questa sentenza del TAR potesse creare un precedente per altri episodi successivi. Ripeto, stiamo parlando di Ferragosto 2019, quando il Ministro dell’Interno era a Castel Volturno ad occuparsi di altro, però diciamo che la nostra preoccupazione era che si creasse un precedente.
[111] Cfr. all. 17 produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021.
[112] Cfr. e-mail del 14 agosto 2019, ore 15:04, a firma di Anabel MONTES: “con la presente richiediamo che ci venga assegnato un POS per procedere allo sbarco/evacuazione complessiva delle 147 persone a bordo che si trovano in una situazione di emergenza psicologica come si evince dai documenti annessi (report psicologico e dichiarazione del medico di bordo)”.
[113] Cfr. all. 19 produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021.
[114] Cfr. e-mail inviata da RCC Malta il 14.8.2019 alle ore 21:17: “Gentile sig.ra Montes, in riferimento alla sua richiesta si prega di notare che Malta non fornirà un posto per lo sbarco”.
[115] Cfr. e-mail del 14.8.2019, ore 21:18.
[116] cfr. pag. 71 del verbale di udienza del 17.12.2021.
[117] cfr. pag. 99 del verbale di udienza del 17.12.2021. “considerate che in quel periodo, la notte, c’era vento da nord, c’era vento forte, quindi l’unica zona ridossata nel canale era a sud di Lampedusa”.
[118] Cfr. pag. 52 del verbale di udienza del 17.12.2021.
[119] Cfr. pag. 65 del verbale di udienza dell’8.4.2022.
[120] cfr. deposizione del teste LIARDO, pag. 18 del verbale di udienza del 17.12.2021 “ci fu un tentativo che non andò a buon fine di affiancamento per effettuare alcune Medevac, si ritenne che le stesse non potessero essere effettuate in sicurezza e, quindi, chiaramente fu evitato di farle e poi dopo si andò a bordo per controllare anche con i medici dell’USMAF, appunto, la situazione”.
[121] Cfr. Messaggio, scritto in stampatello, inviato da MRCC Roma al Ministero dell’Interno alle ore 2:28 del 15.8.2019, all. 19 produzione documentale del P.M. all’udienza del 23.10.2021: “SI CONFERMA CHE LA M/N “OPEN ARMS” HA COMUNICATO VIA E-MAIL A QUESTO CENTRO DI SOCCORSO L’INTENDIMENTO DI VOLER RAGGIUNGERE L’ISOLA DI LAMPEDUSA. LE ATTUALI CONDIZIONI METEOMARINE, INDIVIDUATE IN MARE 4 DA NORD OVEST, CON ALTEZZA D’ONDA DI 2,5 METRI E VENTO 25 NODI CON RAFFICHE FINO A 28 NODI, NON PERMETTONO ALLO STATO UNA SICURA NAVIGAZIONE VERSO ALTRI SORGITORI AL DI FUORI DELLA PREDETTA ISOLA. PREMESSO QUANTO SOPRA, A TUTELA DELLA SALVAGUARDIA DELLA VITA UMANA IN MARE, SALVO DIVERSO AVVISO DI CODESTO NCC PER GLI ASPETTI DI COMPETENZA, LO SCRIVENTE IMRCC NON PORRA’ DINIEGO AL SOLO RIDOSSO DELLA PREDETTA UNITA’, IN ATTESA DEL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI METEREOLOGICHE, VIETANDO ALTRSI’, ALL’ATTUALITA’, L’INGRESSO IN PORTO. SI COMUNICA, INOLTRE, CHE UN DIPENDENTE UNITA’ NAVALE INVIATA IN ZONA AL FINE DI PROCEDERE AL TRASBORDO DI UN TEAM MEDICO PER L’EFFETTUAZIONE DI ACCERTAMENTI MEDICI SULLE CONDIZIONI DI SALUTE DEI MIGRANTI HA COMUNICATO L’IMPOSSIBILITA’ AD EFFETTUARE DETTO TRASBORDO A CAUSA DI AVVERSE CONDIMETEO. GLI ACCERTAMENTI VERRANNO ESPLETATI NEL CORSO DELLA GIORNATA ODIERNA, CON CONDIMETEO ASSICURATE”.
[122] cfr. deposizione del teste LIARDO, pag. 20 del verbale di udienza del 17.12.2021: “c’erano delle ipotesi che andavano da Trapani a Taranto, però l’ammiraglio Martello rappresentò al Prefetto Piantedosi l’impossibilità in quel momento a trasferirsi, di effettuare la navigazione della Open Arms da quella posizione fino ad arrivare ad un luogo così lontano come poteva essere Taranto o Trapani, stante le condizioni meteo”.
[123] cfr. doc. 23 della produzione documentale del PM all’udienza del 23.10.2021; deposizione del teste ANEDDA all’udienza del 17.12.2021: “le condizioni della nave, insomma, una nave comunque sovraffollata di migranti, insomma, sicuramente provati da una lunga permanenza a bordo”.
[124] Cfr. pag. 12 verbale di udienza del 13.5.2022:
PUBBLICO MINISTERO - Voi avete fatto accertamenti sulle condizioni di salute psicofisica dei migranti?
TESTIMONE DI NATALE - No, questo non c’è stato possibile, perché era impossibile in quelle condizioni, erano tutti sul ponte, non c’era un luogo adatto...
PUBBLICO MINISTERO, - Avete però riscontrato dei migranti affetti da particolari patologie?
TESTIMONE DI NATALE - Sì, abbiamo fatto una breve valutazione sul ponte della nave, come poi abbiamo riportato. Inizialmente ci siamo confrontati con il medico di bordo, che ci ha mostrato il diario clinico che è tenuto nei giorni di navigazione, quindi ci ha parlato dei casi secondi lui più rilevanti, che poi noi abbiamo annotato nella nostra relazione di servizio. E poi insieme a lui, e anche ai membri della guardia costiera, sui quali siamo saliti a bordo della Guardia di Finanza, abbiamo fatto un breve giro sul ponte della nave e obiettivato soltanto alcune cose che era possibile valutare. Il resto chiaramente non era fattibile in quelle condizioni.
[125] cfr. pag. 64 verbale di udienza del 9.6.2023:“Parliamo di persone molto vulnerabili, che hanno già sofferto nel Paese di origine, Paese in transito, la Libia, e l’aver lasciato un paese in guerra, la famiglia, aver vissuto e subito violenza di ogni genere, ricordiamo che sono persone e queste persone si possono rompere. La sofferenza, lo stress post traumatico, la spersonalizzazione, tutta la ripercussione che può trovarsi in un’imbarcazione, con le incertezze che sarà di loro, l’incertezza di quello che loro pensano che cosa credono i familiari su di loro, che non ha risposta. I minori non accompagnati che non parlavano di loro stessi se non dei loro familiari, che soffrivano tanto del fatto … di credere che i familiari pensassero che fossero già morti, era una sommatoria di situazioni che aggiungevano a quella che aveva l'imbarcazione già. Il malessere mentale era assoluto”.
[126] cfr. mail del 15.8.2019 ore 10:08 a firma del capo missione Anabel MONTES: “Egregio ufficiale, con questa mia vengo a chiedere con urgenza di conoscere la destinazione finale della nave Open Arms ovvero di poter ricevere indicazioni su POS a Lampedusa. (..) La situazione a bordo è critica ed è pertanto necessario garantire al più presto alle 147 persone ancora sulla nave l’assistenza e le cure di cui necessitano.”
[127] cfr. deposizione del Comandante TRINGALI, pag. 104 del verbale di udienza del 17.12.2021: “sì, ottenne la libera pratica sanitaria il 15, 15 mattina o 15 pomeriggio, di agosto. … La libera pratica sanitaria è un documento che viene rilasciato dalla Sanità marittima, nel caso di specie la Sanità marittima di Porto Empedocle, consente alle unità navali l’ingresso nel territorio e, quindi, gli consente di compiere operazioni commerciali. Diciamo che è un documento che viene richiesto nell’ambito dell’attività mercantile, quindi di traffico normalmente, dove, sulla scorta di una dichiarazione che fa il Comandante della nave, questa dichiarazione viene valutata dal medico dell’Usmaf e poi viene concessa o meno la libera pratica sanitaria”.
[128] cfr. telex inviato da IMRCC Roma il 15.8.2019 alle ore 13:20, all.19 prod. doc. P.M. all’udienza del 23.10.2021: “SI ALLEGA L’E-MAIL PERVENUTA IN