Sommario: 1. Introduzione - 2. L’abrogazione dell’abuso di ufficio - 3. Una manovra legislativa in due “tappe” (pressoché) sincroniche: abolizione totale dell’abuso d’ufficio con disegno di legge ed introduzione con decreto legge della nuova fattispecie di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” - 4. La nuova fattispecie di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” - 5. I rapporti fra le norme interessate dalla riforma: art. 323, art. 314-bis, art. 314.
1. Introduzione
Fra le diverse cose di cui il Ministro della Giustizia non si sarà accorto, nell’emanare il decreto legge 4 luglio 2024, n. 92[1], che, immediatamente prima dell’abrogazione dell’art. 323, ha introdotto nel codice penale l’art. 314-bis, fra quelle cose, a mio parere, vi è anche la singolare assonanza linguistica fra Arenula e Merulana: un accostamento che orienta verso la sgradevole impressione che con le due riforme collegate fra loro sia stato combinato un “Pasticciaccio brutto”, che, come nel romanzo di Gadda, sembra non potersi avviare verso una soluzione soddisfacente.
Infatti, riguardo alle norme penali sopra citate, la vicenda pone molti interrogativi, che le conferiscono quasi il carattere di un giallo (forse meglio noir?...): perché finire impietosamente un delitto già (mezzo) morto? Quali sono le vere ragioni che hanno indotto il Ministero a considerare un “caso straordinario di necessità e di urgenza” il recupero (in modo assai malacconcio) del peculato per distrazione, riconducendo nella sfera dei delitti di peculato ciò che nel 1990 ne era stato espunto? Perché limitare la punibilità degli abusi distrattivi al solo caso in cui questi vengano commessi mediante una destinazione di cose mobili? Perché punire le distrazioni di cose mobili solo se l’uso al quale queste vengono destinate è “diverso da quello previsto da specifiche disposizione di legge o di atti aventi forza di legge dai quali non residuino margini di discrezionalità”? È verosimile, o, più esattamente, è statisticamente significativo il caso che la destinazione impropria di denaro o altra cosa mobile sia intenzionalmente rivolta a recare danno ad altri?
La nostra rapida indagine cercherà di dare risposte a queste ed altre domande, movendo, comunque, dalla convinzione che l’art. 323 non avrebbe dovuto essere abrogato affatto e che l’abolizione dell’abuso di ufficio, associata alla contestuale previsione della inedita fattispecie, crei insanabili disarmonie e lacune nel sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P. A.
2. L’abrogazione dell’abuso di ufficio.
Ho già avuto modo di sostenere che non sarebbe stato opportuno abrogare l’art. 323[2] e riassumo qui in modo assai breve gli argomenti che – a mio parere – destituivano di fondamento le ragioni della abrogazione, come indicate nella Relazione del Governo al disegno di legge S 808 presentato al Senato, divenuto poi alla Camera d.d.l. C 1718 e definitivamente approvato il 10 luglio scorso.
Queste le ragioni addotte dai Ministri Nordio e Crosetto, proponenti il disegno di legge:
1. Vi sono pochissime condanne per abuso di ufficio, dopo la riforma dell’art. 323 operata dal d. l. 76 del 2020.
Sed contra: lo scarso numero di condanne, in assoluto, non è mai una ragione sufficiente per cancellare un reato, che può anche essere molto grave (es.: attentato al Presidente della Repubblica, strage).
2. Vi è uno squilibrio fra il numero delle iscrizioni nel registro degli indagati e il numero delle condanne, squilibrio dovuto - si voleva intendere - alla indeterminatezza, alla imprecisione della fattispecie incriminatrice; pertanto, l’applicazione di quella fattispecie di reato avrebbe comportato un inutile sovraccarico per l’apparato giudiziario, insieme a ricadute negative per gli indagati innocenti.
Sed contra: la fattispecie, soprattutto dopo la riforma del 2020, non era affatto imprecisa, essendo capace, con i suoi numerosissimi e (certamente troppo) stringenti requisiti oggettivi e soggettivi, di filtrare, nei vari gradi di giudizio, i fatti meritevoli di sanzione, come dimostra proprio lo scarso numero di condanne definitive. Quello squilibrio, con i conseguenti, innegabili, effetti negativi per il sistema giudiziario e per gli indagati, era piuttosto dovuto ad una inesatta applicazione della norma da parte della magistratura, per rimediare alla quale la riforma Cartabia aveva già adottato opportuni ed importanti accorgimenti, e che avrebbe dovuto trovare soluzioni sul terreno processuale[3]; comunque, non avrebbe mai dovuto risolversi con la cancellazione di una norma incriminatrice necessaria e nient’affatto connotata da indeterminatezza.
3. Il sistema dei delitti contro la P. A. è estremamente articolato. anche tenendo conto dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 9, c. p., (aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio) e, quindi, dall’abrogazione dell’art. 323 non sarebbe derivato alcun vuoto di tutela. E poi, se in futuro fossero pervenute dall’Unione Europea indicazioni volte a prevedere come reato l’abuso di ufficio, si sarebbe sempre potuto sempre ricorrere a interventi additivi.
Sed contra: tanto poco vero è che l’abolizione dell’abuso di ufficio non avrebbe lasciato vuoti di tutela, che lo stesso Ministro Nordio ha ritenuto di dover porre riparo ai vuoti e ai danni che si sarebbero determinati con quella abolizione, affrettandosi - proprio nello stesso giorno in cui la Camera approvava l’art. 1 del disegno di legge C 1718 (che disponeva l’abrogazione dell’art. 323) e sei giorni prima che quest’ultimo divenisse definitivo con l’approvazione dell’intero disegno di legge - ad emanare un decreto legge, con il quale è stato aggiunto al codice penale l’art. 314-bis, che prevede una sbilenca nuova figura di reato, nel solco del peculato per distrazione, ma in realtà a “copertura” del vuoto lasciato dal defunto abuso.
Nell’ambito di queste brevi considerazioni non ritengo necessario soffermarmi più oltre sulla inopportunità dell’abolizione dell’abuso di ufficio e passo a considerare i problemi creati dall’emanazione della nuova fattispecie di cui all’art. 314-bis c.p.
3. Una manovra legislativa in due “tappe” (pressoché) sincroniche: abolizione totale dell’abuso d’ufficio con disegno di legge ed introduzione con decreto legge della nuova fattispecie di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”.
Come si è detto, il Ministro Nordio ha voluto introdurre nel codice penale questo “nuovo” reato, ricorrendo al decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, emanato esattamente lo stesso giorno in cui la Camera ha approvato, nella seduta pomeridiana, l’art. 1 del d.d.l. C 1718, quello che dispone l’abrogazione “secca” dell’art. 323 c. p.
Nella premessa al d. l. 92/2024 si legge che è “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di definire, anche in relazione agli obblighi euro-unitari, il reato di indebita destinazione di beni ad opera del pubblico agente”. Da tale premessa si può ricavare che: 1) l’emanazione dell’art. 314-bis si è resa necessaria proprio perché l’abrogazione dell’art. 323 comporta il venir meno della punibilità di quelle condotte ancora (cioè, sino all’approvazione definitiva del d.d.l. C 1718) rientranti nell’ambito dell’abuso di ufficio ed ora divenute punibili ai sensi della nuova fattispecie; 2) la punibilità delle condotte di indebita destinazione di beni è oggetto di un obbligo posto dall’UE.
In realtà, non è assolutamente vero quanto assicurato dal Ministro della Giustizia, cioè che l’abolizione dell’abuso non determini un vuoto nella tutela penale della P. A., anche in violazione di obblighi di penalizzazione posti dall’UE. Come è già stato puntualmente ed ampiamente osservato[4], l’art. 4, comma 3, della Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017 impone agli Stati membri di considerare reato l’intenzionale appropriazione indebita, intendendosi per tale anche l’utilizzazione di tali beni per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione. E, nel rispetto di tale obbligo, il d. lgs. 4 ottobre 2022, n. 156, aveva aggiunto all’art. 322-bis c. p., che estende ai funzionari europei la responsabilità per delitti contro la P. A. previsti dal codice penale, proprio l’art. 323; mentre il disegno di legge C 1718, art. 1, ha cancellato da quell’articolo 322-bis il riferimento all’art. 323 ed il d. l. 92/2024 vi ha aggiunto (cioè, sostituito) quello all’art. 314-bis[5]. Se, dunque, non fosse stato emanato il d l. 92/2024, l’Italia avrebbe violato un obbligo eurounitario e sarebbe stata esposta ad una procedura d’infrazione. Non è vero che il sistema dei delitti contro la P. A. non avesse bisogno, come aveva sostenuto il Ministro Nordio, dell’ulteriore tassello costituito dall’abuso d’ufficio. Evitare che si determinasse un vuoto, relativamente ad alcune condotte di distrazione, in conseguenza dell’abolizione dell’abuso di ufficio è, dunque, il vero scopo perseguito con questa manovra, articolata nei due diversi provvedimenti normativi.
Inevitabile chiedersi: perché allora, se l’abrogazione dell’art. 323 crea (relativamente a gravi condotte di distrazione) un vuoto inammissibile – in termini giuridici di fronte all’Europa, in termini politico-criminali di fronte al nostro Paese -, tanto che è necessario colmarlo immediatamente, con straordinaria urgenza, per mezzo di un decreto legge, perché allora non lasciare in vita l’abuso di ufficio, magari con modifiche ulteriori (sarebbe stata la quinta o sesta versione del delitto)? Appare sconcertante l’incoerenza di un governo che nella stessa giornata, mentre la maggioranza approva in Parlamento un disegno di legge che abolisce il delitto di abuso d’ufficio, ne introduce, con decreto legge, un altro, che copre una parte delle condotte costituenti (ancora, sino all’approvazione dell’intero disegno di legge) abuso, dopo aver respinto alla Camera tutti gli emendamenti che miravano a ridimensionare l’ambito della depenalizzazione! Purtroppo non riusciamo a trovare altra spiegazione a questo pasticcio se non quella che il governo non ha voluto recedere da un provvedimento di abrogazione divenuto simbolico – nella sua assolutezza e radicalità - della contrapposizione alla magistratura, pur a scapito della tutela dei beni giuridici del buon andamento e della imparzialità della P. A., della legalità nell’esercizio della funzione giurisdizionale e degli interessi finanziari dell’UE.
4. La nuova fattispecie di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”.
Il nuovo art. 314-bis stabilisce “Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Secondo dichiarazioni rese alla stampa dal Ministro Nordio, la nuova fattispecie integrerebbe “un’ipotesi completamente diversa [da quella dell’art. 323 c. p.]. È diverso il bene protetto, qui si parla di distrazione… quindi non ha niente a che vedere con l’abuso di ufficio che prescindeva dalla distrazione”[6]. Tale affermazione non può essere condivisa: la nuova fattispecie è in rapporto di specialità con quella dell’art. 323 c. p.[7]: i soggetti attivi sono gli stessi, la forma del dolo è la stessa (intenzionalmente), l’evento è lo stesso (procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto). Quanto alla condotta (destinare denaro o altra cosa mobile altrui ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuino margini di discrezionalità), essa rientra interamente, come species, nel genus di condotta previsto dall’art. 323 (violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità). Ulteriore elemento specializzante del nuovo reato è che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia per ragioni del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità del denaro o della cosa mobile altrui. Tutte le condotte previste dall’art. 314-bis, senza eccezione, rientrano nell’insieme delle condotte punibili ai sensi dell’art. 323 c. p.
La nuova norma, anzi, è una specie di collage fra l’art. 314 (peculato), di cui condivide il presupposto (possesso o disponibilità di denaro o cosa mobile) e l’art. 323, dal quale mutua la descrizione della condotta, con le limitazioni specializzanti di cui abbiamo appena detto.
La differenza, rispetto al peculato di cui all’art. 314, è che quest’ultimo punisce la appropriazione, mentre l’art. 314-bispunisce la destinazione ad uso diverso. Ora, poiché “rivolgere indebitamente la cosa a un fine diverso da quello cui essa era originariamente destinata”[8] costituisce precisamente la condotta di distrazione, il nuovo delitto configura evidentemente un peculato per distrazione. La condotta tipica di questo reato, espunta dall’art. 314 dalla legge 86 del 1990, era considerata da dottrina e giurisprudenza capace di integrare il diverso delitto di abuso di ufficio, punibile ai sensi dell’art. 323 c. p.[9].
Ora, a mio parere, il collage fra art. 314 e art. 323 ha dato vita in realtà ad un pasticcio, per le ragioni di seguito esposte.
A) Sotto il profilo del nuovo delitto di indebita destinazione (leggi: peculato per distrazione) emergono numerose incoerenze e difetti.
Innanzitutto, non è ragionevole limitare la punibilità della distrazione a quei requisiti che (altrettanto irragionevolmente) erano stati dettati per l’art. 323, cioè che l’uso cui il denaro o la cosa vengono destinati sia diverso da quello “previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuino margini di discrezionalità”. Si tratta di un requisito che, per un verso, lascia fuori gravi distorsioni nella destinazione, palesemente dettate da intenti di favoritismo o di profitto, qualora ciò avvenga in casi che sfuggono a specifiche disposizioni, e particolarmente in tutti i casi, assolutamente normali, in cui il p. u. agisce con discrezionalità. Inoltre, pure per questo delitto, come per l’art. 323, il riferimento a specifiche disposizioni crea il rischio che anche irregolarità meramente formali e di poco conto possano essere ritenute tipiche, mentre quelle più gravi restino impunite. Infine, è irragionevole e grave avere escluso i regolamenti dal novero delle disposizioni che regolano la destinazione, posto che molto spesso saranno proprio i regolamenti a indicare dettagliatamente quale dovesse essere la giusta destinazione.
Non condivisibile, poi, è la limitazione di tipicità alle sole condotte che abbiano per oggetto “denaro o altra cosa mobile altrui”: si tratta di una “eredità” del peculato, che rende la nuova disposizione inadatta a regolare fatti certamente meritevoli di pena, in precedenza ricompresi tra gli abusi: quelli su cose immobili[10] o su energie lavorative[11].
Inusuale poi, tecnicamente inadatto, e foriero di possibili incertezze, il ricorso al termine “uso diverso” (invece di “scopodiverso”, previsto dall’art. 4, 3° comma, direttiva UE 2017/1371), che potrebbe creare confusione con la fattispecie di peculato d’uso (art. 314, 2° comma, c. p.) e potrebbe perfino dar luogo a gravi fraintendimenti, nel caso di destinazione d’uso per un significativo lasso di tempo, che non sia però definitivo, come invece avviene quando sia (definitivamente) mutata la destinazione del bene rispetto allo scopo originario.
Ancora si deve notare che dalla mal raffazzonata “derivazione” dell’articolo 314-bis dalla formulazione dell’art. 323 è venuto fuori un inedito “peculato per distrazione con dolo intenzionale di danno”. Ora, che un abuso (art. 323) possa essere compiuto allo scopo di arrecare un danno a taluno, senza mutare destinazione ad alcuna cosa, è un fatto normale. Altrettanto normale è che il mutamento di destinazione di una cosa, effettuato con l’intenzione di avvantaggiare un certo soggetto (art. 314-bis), come conseguenza speculare, non direttamente presa di mira, possa danneggiare qualcuno. Ma poiché, per la pasticciata derivazione del nuovo articolo da quello abrogato, si è copiata anche la parte del “procurare” intenzionalmente un danno, ne emerge la descrizione di un fatto del tutto inusuale, poco plausibile, perché chi agisce mutando la destinazione di una cosa agisce, nella quasi totalità dei casi, per avvantaggiare sé o altri, e non con l’intenzione preminente di recare un danno ad altri. O almeno, nel generale “smantellamento” del presidio penale contro gli abusi dei p. u., quest’ultima ipotesi è così remota da non giustificare la previsione di una apposita condotta penalmente rilevante. Traccia di questa malfatta riunificazione delle formule dei reati è anche l’uso del verbo “procurare”, frettolosamente riferito non al solo vantaggio, ma anche al danno, per il quale, più propriamente, il codice penale ha sempre usato il verbo “arrecare”, che molto meglio si addice ai danni.
Quanto al regime sanzionatorio, non è dato di capire perché questo delitto debba essere punito meno severamente (reclusione da sei mesi a tre anni) dell’abuso d’ufficio (reclusione da uno a quattro anni): dato che la destinazione indebita è un caso speciale di abuso, essa meriterebbe almeno la stessa pena, se non, addirittura, una più severa, considerato che, in particolare, essa comporta sempre anche l’offesa all’interesse della P. A. alla destinazione della cosa, che si aggiunge a quello del buon andamento e della imparzialità della P. A., tipico dell’abuso di ufficio. Altrettanto illogico è che la pena per il nuovo delitto sia uguale a quella prevista per il peculato d’uso (art. 314, 2° comma), che è sicuramente un delitto meno grave, dato che nel caso di quest’ultimo la cosa “dopo l’uso momentaneo” viene immediatamente restituita.
B) Anche sotto il profilo dell’abuso di ufficio, ormai abrogato[12], vi sono gravi o gravissimi difetti.
Il più rilevante, a mio parere, è quello di avere cancellato definitivamente, e di non avere adeguatamente riproposto mediante l’art. 314-bis, la rilevanza di tutte le condotte di abuso in danno, che abbiano recato offesa ai diritti delle vittime di atti arbitrari del p. u. o dell’incaricato di p. s. Come abbiamo detto sopra, che tali abusi “passino” per una condotta di destinazione della cosa intenzionalmente rivolta a danneggiare taluno è molto raro e proprio per questo poco significativo per la politica criminale: l’aggiunta nell’art. 314-bis, così circoscritta, del riferimento al danno non è affatto sufficiente a colmare questa intollerabile lacuna, non degna di uno Stato di diritto.
Gravi e non infrequenti, infatti, sono gli abusi che non comportino una distrazione di cose mobili, come nel caso di una autorità di p. s. che ponga in essere indebitamente una condotta di restrizione della libertà personale o di un responsabile di servizio pubblico (operatore sanitario, sindaco, ecc.) che non consenta l’esercizio di un diritto o non provveda al rilascio, quando dovuto, di un provvedimento di autorizzazione, concessione ecc., o, infine, di un magistrato che dolosamente pronunci ingiusta sentenza di condanna contro un innocente.
Il vero fatto è che la pasticciata riforma, nel destreggiarsi fra la necessità di evitare che dall’abolizione dell’abuso d’ufficio derivasse la violazione di obblighi eurounitari di penalizzazione, da un lato, e la incrollabile volontà di ridimensionare il potere della magistratura, dall’altro, si è preoccupata esclusivamente di evitare che dal controllo giudiziario di legalità potessero derivare accuse ingiustificate nei riguardi di titolari di funzioni pubbliche ed ha gravemente trascurato di tutelare i soggetti, generalmente più deboli, che hanno diritto ad un esercizio non arbitrario delle funzioni e dei servizi pubblici[13].
Impunite resteranno, in ogni caso, tutte le condotte di abuso delle funzioni che abbiano procurato ingiusti vantaggi patrimoniali, quando ciò non comporti un mutamento di destinazione di cose mobili di cui il p. u. abbia il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio. Così, favoritismi, a carattere patrimoniale, come l’assegnazione di un posto di lavoro a soggetto non qualificato a seguito di concorso pubblico “truccato” o decisioni giudiziarie che avvantaggino amici e colleghi di partito senza esborso di danaro affidato al giudice; ovvero, il rilascio di autorizzazioni, licenze, ecc. in difetto dei presupposti richiesti dalla legge e dai regolamenti. Non saranno punibili nemmeno i casi di abuso corrispondenti al vecchio interesse privato, realizzati omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto o negli altri casi prescritti. Un “libero mercato” delle funzioni e dei servizi pubblici, nel quale parenti, amici e sodali di ogni genere si avvantaggiano e (ammesso che non vi sia corruzione) nessuno è chiamato a risponderne, con buona pace di coloro che non hanno “santi in paradiso”.
5. I rapporti fra le norme interessate dalla riforma: art. 323, art. 314-bis, art. 314.
Per ciò che riguarda il rapporto fra l’art. 323 ed il nuovo art. 314-bis è pacifico che vi sia una continuità normativa, poiché, come si è detto sopra, il nuovo delitto – checché ne dica il Ministro Nordio – è (anche) un’ipotesi speciale di abuso d’ufficio, col passaggio da una norma generale (abuso) ad una speciale (destinazione indebita). Si verifica, dunque, un caso di successione con semplice modificazione del regime penale, regolata dall’art. 2, 4° comma, c. p.; pertanto, relativamente ai fatti commessi prima dell’emanazione del d. l. 92/2024, che abbiano tutti i particolari requisiti previsti dal nuovo delitto di destinazione indebita, e in passato fossero punibili ex art. 323, non potranno essere revocate le sentenze passate in giudicato, mentre, se non vi è ancora una sentenza definitiva, a tali fatti dovrà applicarsi il nuovo art. 314-bis, in quanto norma (posteriore) più favorevole rispetto all’art. 323. Ovviamente, i fatti commessi dopo l’emanazione del d. l. 92/2024 saranno regolati esclusivamente dall’art. 314-bis. Invece, inaccettabilmente, tutti gli altri fatti di distrazione che non corrispondano esattamente ai requisiti dettati dal nuovo art. 314-bis, anche se in precedenza eventualmente rientrassero nella previsione dell’art. 323[14], diventeranno non punibili, per abrogazione della norma incriminatrice (art. 2, 2° comma, c.p.).
Assai interessante, invece, è il rapporto fra il nuovo delitto di destinazione indebita e quello di peculato ex art. 314 c. p. Infatti, l’art. 314-bis esordisce con la clausola “Fuori dei casi previsti dall’art. 314”, che esclude l’applicabilità della prima norma quando il fatto costituisca un peculato per appropriazione.
Al riguardo, nella Relazioni illustrative presentate, con lo stesso testo, alla Camera[15] ed al Senato[16], per la conversione in legge del decreto legge 92/2024, che ha previsto il nuovo art. 314-bis, si chiarisce che in seguito alla riforma attuata con la legge 86/1990 “sono state soppresse dal peculato (art. 314 c. p.) le condotte di ‘distrazione a profitto proprio o di altri’ e, contemporaneamente si è riformato l’abuso d’ufficio. In conseguenza di ciò, la giurisprudenza ha qualificato come abuso d’ufficio le condotte non comportanti appropriazione, consistenti nel mero mutamento della destinazione di legge del denaro o delle cose mobili pubbliche [sic![17]] … L’intervento di cui all’articolo in esame [art. 9] risponde allo scopo di chiarire definitivamente i termini di punibilità di tali condotte non appropriative, anche in ragione della necessità di preciso adeguamento alla normativa euro-unitaria”[18].
Il Ministro, però, forse non si è accorto che nella Scheda di lettura per l’art. 9 del Dossier del Servizio studi del Senato, di corredo al d. d. l. di conversione del decreto 92/2024, si è impeccabilmente chiarito, nel paragrafo “La qualificazione penale delle condotte distrattive”, come vadano ricondotte al peculato le condotte di distrazione ad esclusivo profitto privato: viene, infatti citata dal Dossier, tra le altre, anche la recente sentenza Cass. Sez. VI, n. 36496 del 2020, secondo cui: «Costituisce principio di diritto ormai acquisito che, nel delitto di peculato, il concetto di "appropriazione" comprende anche la condotta di "distrazione", in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene. Ciò nondimeno, affinché possa essere ravvisata la condotta distrattiva dante luogo al peculato, è necessario che il pubblico agente abbia impiegato le risorse - di cui aveva la disponibilità per le finalità pubbliche istituzionalmente previste - ai fini del soddisfacimento di finalità private, individuali, traendo cioè un vantaggio personale. Non è difatti configurabile l'appropriazione - necessaria ad integrare il delitto di peculato - nell'ipotesi in cui la disposizione di risorse pubbliche avvenga per finalità diverse da quelle specificamente previste, ma pur sempre nell'ambito delle attribuzioni del ruolo istituzionale svolto dall'agente pubblico in virtù delle norme organizzative dell'ente, perché in questa situazione permane la connessione fra la res ed il dominus e, quindi, la legittimità del possesso. In tale situazione può, se del caso, ravvisarsi la diversa fattispecie dell'abuso d'ufficio». E poco dopo, nel ciato Dossier si legge che “La giurisprudenza di legittimità ha qualificato come fatti di peculato anche le condotte di “distrazione” in cui la diversa destinazione impressa al bene trova fondamento in una causa illecita o illegittima, o, infine, nelle ipotesi in cui si assegni al bene una destinazione non consentita e connotata da alea (in questo senso, Cass, Sez. VI, n. 1247 del 2013). Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali richiamati il confine tra peculato e abuso d’ufficio era dunque segnato, con riferimento alle condotte distrattive, dalla natura delle finalità cui è destinato il bene. Se si tratta di finalità non privatistiche, il delitto di peculato non può configurarsi in quanto viene meno l'elemento tipico dell'appropriazione dei beni. La destinazione ad una finalità diversa da quella predeterminata ma pur sempre di interesse pubblico e non connotata da profili di illiceità o di alea restava, invece, riconducibile all’ipotesi di abuso di ufficio.”[19].
Dunque una consolidata giurisprudenza[20] conferma quell’orientamento, già sostenuto in dottrina[21], per cui se vi è commistione fra destinazione ad uno scopo diverso da quello originario, ma pur sempre di carattere pubblicistico, ed interessi privati, il fatto, anche se fossero realizzati tali interessi privati, integra(va) abuso d’ufficio, non essendovi espropriazione della P. A.[22], mentre quando la distrazione consista nel rivolgere la cosa esclusivamente verso una finalità privata, essa realizza una espropriazione della P. A. ed una “impropriazione”[23] (per sé o altri) da parte del privato, che integra una forma di peculato per appropriazione, rilevante ai sensi dell’art. 314 c. p.[24].
Al riguardo, Il Ministro non si è accorto neppure che anche l’Unione europea, nella citata direttiva 2017/1371, art. 4, 3° comma, impone agli Stati membri di considerare reato “l’intenzionale appropriazione indebita, intendendosi per tale anche l’utilizzazione di tali beni per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione” (corsivo aggiunto).
In conclusione: poiché l’art. 314-bis si applica “fuori dei casi previsti dall’art. 314”, la previsione del nuovo delitto non escluderà, neppure per il futuro, che distrazioni ad esclusivo profitto privato siano riconducibili ancora al peculato ex art. 314 c. p.[25]. Così, l’intenzione di alleggerire le responsabilità penali di sindaci e pubblici amministratori, che si è dichiarato essere il fondamento dell’abolizione dell’abuso di ufficio, non sortirà che mal coordinati e non condivisibili risultati.
Non è, allora, il caso di concludere che a via Arenula è stato combinato un “pasticciaccio brutto”, uscire dal quale è davvero complicato?
Resta da augurarsi che, sulla scorta delle osservazioni che varie voci hanno proposto, le Camere possano addivenire ad una più ponderata e razionale versione della nuova disposizione, in sede di conversione in legge del decreto legge. Ma la cosa non sembra molto probabile, visto l’incaponimento con cui si sta procedendo in tanti altri settori riguardanti la giustizia.
[1] Pubblicato sulla GU n. 155 del 4 luglio 2024, ed entrato in vigore il 5 luglio 2024.
[2] Mi permetto di rinviare, per più ampie considerazioni sul punto, a M. Parodi Giusino, La proposta di abolizione dell’abuso d’ufficio: discutibili ragioni e dannose conseguenze, in Leg. pen. web, 10.5.2024, passim.
[3] Così M. Donini, Abrogare i reati per risolvere i problemi del processo. Dal falso in bilancio all’abuso di ufficio, in SP, 15 luglio 2024. Che la “malattia” non fosse l’abuso, ma l’atteggiamento dei PM, troppo facilmente inclini ad iscrivere i fatti nel registro delle notizie di reato, anche quando ne mancassero gli elementi costitutivi è stato sostenuto già da M. Gambardella, L’abrogazione dell’abuso d’ufficio e la riformulazione del traffico d’influenze nel “disegno di legge Nordio”, in SP, 26 settembre 2023, p. 4.
[4] Per una completa ricostruzione sulla previsione del nuovo reato in relazione alla Direttiva sopra citata v. G. L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, recupero in zona Cesarini del ‘peculato per distrazione’ (art. 314-bis c.p) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della Direttiva UE 2017/1371, in SP, 10 luglio 2024.
[5] Dimenticando, tuttavia, di inserire il riferimento all’art. 314-bis anche nell’art. 323-bis (Circostanze attenuanti) e, secondo l’indicazione G. L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, cit., p. 9-10, anche negli artt. 322-ter, 240-bis, 322-quater, 32-quater, 32-quinquies, 165, 4° comma, e 166, 1° comma.
[6] In una intervista pubblicata su Il Fatto Quotidiano del 4 luglio 2024.
[7] In senso contrario, ma soltanto in base alla affermazione che i delitti di cui all’art. 323 e 314-bis sarebbero “strutturalmente eterogenei fra loro”, M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” (art. 314-bis c. p.). I riflessi intertemporali del decreto-legge n. 92/2024, in SP 17 luglio 2024.
[8] A. Pagliaro – M. Parodi Giusino, Principi di diritto penale. P. s. I. Delitti contro la pubblica amministrazione10, Milano, 2008, p. 50.
[9] Quando non dovesse addirittura essere ricondotta all’art. 314, come vedremo più avanti.
[10] Come nota G. L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, cit. p. 8.
[11] Così M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio, e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, cit.
[12] Al momento in cui scriviamo si aspetta ancora la pubblicazione della legge.
[13] Condivisibile il giudizio espresso in tal senso da M. Donini, Abrogare i reati per risolvere i problemi del processo, cit.
[14] Così, ad es., nel caso che la “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” riguardasse non l’uso diverso cui la cosa è destinata, ma altri profili della condotta; ovvero nel caso che la distrazione integrasse abuso d’ufficio perché il p. u. o l’incaricato di p. s. avessero agito “omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un proprio congiunto o negli altri casi prescritti”.
[15] AC 1947 - Relazione tecnica illustrativa del disegno di legge di conversione del d. l. 92/2024, presentato alla Camera il 4 luglio 2024.
[16] AS 1183 - Relazione tecnica illustrativa del disegno di legge di conversione del d. l. 92/2024, presentato al Senato il 5 luglio 2024.
[17] È noto che nel peculato le cose possono anche non appartenere alla pubblica amministrazione, essendo confluita (legge 86/1990) nell’art. 314 la “Malversazione a danno di privati”, sino ad allora prevista dall’abrogato art. 315 c. p.
[18] AC 1947, cit., p. 9; AS 1183, cit., p. 10.
[19] Dossier AS 1183, p. 35 ss.
[20] La giurisprudenza della Cassazione è costante al riguardo: fra le numerose decisioni v. Cass., Sez. VI, sent. 27910 del 23.9.2020 (dep. 7.10.2020) in Ced Cass. 279677; Cass. Sez. VI, sent. 19484 del 23.1.2018 (dep. 4.5.2018) in CED Cass. 273783.
[21] Già in tal senso A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte speciale. Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione5, Milano, 1992, pp. 31-34 e 39-40; M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali. Art. 314 – 335-bis cod. pen. Commentario sistematico3, Milano, 2013, pp. 35-36; volendo, anche M. Parodi Giusino, Abuso d’ufficio, in Dig. disc. pen., IV ed., vol. VIII, Torino, 1994, p. 597 ss.
[22] Di parere diverso D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi. Sulle ricadute intertemporali del nuovo art. 314-bis c. p., in disCrimen 8.7.2024, p. 3 e 4-5, secondo il quale la giurisprudenza avrebbe ricondotto al peculato “qualunque forma di condotta distrattiva del denaro o di altri beni pubblici che si traduca nel soddisfacimento di interessi privatistici” e, dunque, la riforma operata dal d. l. 92/2024 avrebbe avuto l’effetto, per le ipotesi di distrazione previste dal nuovo art. 314-bis, di ridurre sensibilmente la pena rispetto a quella prevista dall’art. 314 (reclusione da 4 anni a 10 anni e sei mesi).
[23] L’inusuale termine vuole tradurre il tedesco Aneignung. Secondo C. Pedrazzi, Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, in RIDPP, 1953, p. 545, n. 37, sarebbe preferibile, in italiano, la traduzione con appropriazione. Tuttavia, è sembrato preferibile ricorrere al termine di impropriazione (così Cass. Sez. U., 19054 del 20.12. 2012 [dep. 2.5.2013], in Ced. Cass. 255296, p. 20 ss.) per esprimere più chiaramente che in ogni appropriazione vi sono due momenti: uno di estromissione del precedente proprietario (espropriazione) ed un altro di immissione di sé nei diritti spettanti al primo (appunto, impropriazione).
[24] Ancora secondo la stessa Cass., n. 36496 del 2020 “Va invero riaffermato che, nell'attuale assetto normativo quale risultante dalla riforma con la legge n. 86 del 1990, la "distrazione" del denaro o di altra cosa mobile altrui è punibile come peculato solo in quanto l'atto di destinazione sia compiuto per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali, sì da realizzare, nella sostanza, una sottrazione dal patrimonio dell'avente diritto del bene a vantaggio dell'agente che se ne impadronisca, cioè una "appropriazione", unica condotta tipica prevista dalla fattispecie incriminatrice de qua”.
[25] In tal senso, con argomentazioni pienamente condivisibili, M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio, e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, cit. Contra D. Micheletti, La “distrazione”, cit., p. 5.
Immagine: particolare da Pieter Claesz, Stilleven met kalkoenpastei (Natura morta con pasticcio di tacchino), pittura a olio su legno, 1627, Rijksmuseum, Amsterdam.