di Maria Sabina Calabretta
Sommario: 1. Introduzione: le agevolazioni fiscali nella normativa vigente - 2. La piattaforma cessione crediti - 3. Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del D.lgs. 74 del 2000) - 4. La fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. - 5. La riconducibilità dei fatti all’ipotesi di truffa, anche ai sensi degli artt. 640 comma primo e cpv e 640 bis c.p. - 6. Il sequestro dei crediti e l’opponibilità ai terzi: riflessioni in tema di confisca - 7. Contabilizzazione dei crediti generati da operazioni fraudolente - 8. Conclusioni.
1. Introduzione: le agevolazioni fiscali nella normativa vigente
Il legislatore ha introdotto nell’ordinamento, con numerose disposizioni assolutamente speciali, plurime agevolazioni fiscali finalizzate al rilancio economico, specie post pandemico.
In particolare, con il D.L. 34 del 2020 (meglio noto come “Decreto Rilancio”) e con il D.L. 18 del 2020 sono state introdotte e potenziate talune tipologie di crediti di imposta utilizzabili in compensazione o cedibili a terzi.
Nel complesso sistema normativo vigente si distinguono le seguenti tipologie di credito:
- Ecobonus: agevolazione destinata a sostenere gli interventi di riqualificazione energetica introdotta con l’art. 1 comma n. 344 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (finanziaria del 2007) successivamente modificata dal D.L. n. 63 del 4 giugno 2014. La detrazione è variabile dal 50 % all’85% dell’ammontare delle spese sostenute per tali interventi su edifici. Le tipologie di interventi sono state oggetto di modifica nel tempo. L’art. 119 del citato Decreto Rilancio ha elevato la percentuale di detrazione al 110 % (superbonus) per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022. È previsto sia l’obbligo di asseverazione da parte di tecnico (nei cui confronti la disposizione prevede nuova fattispecie di reato al comma 13 bis e specifiche ipotesi di illecito amministrativo al comma 14) che un controllo documentale (art. 119 comma 13 del Decreto Rilancio) da parte dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) per verificare la sussistenza delle condizioni di legge. Il decreto rilancio prevede che in alternativa alla detrazione fiscale, l’avente diritto possa scegliere o la procedura dello sconto in fattura (sconto del contributo spettante sul corrispettivo dovuto al fornitore che ha eseguito gli interventi) ovvero la cessione del credito (previo specifico visto di conformità come previsto dal comma 11 del citato art. 119 Decreto Rilancio in entrambe le ipotesi).
- Sismabonus: crediti di imposta riconosciuti in relazione ad intervenuti riferiti a costruzioni adibite ad abitazione e ad attività produttive ubicate in zone sismiche ad alta pericolosità (classificate ZONA 1 e ZONA 2). Sin dal DPR n. 917 del 22 dicembre 1986 (TUIR) era prevista la detraibilità di tali spese: nel 2013 il DL n. 63 del 4 giugno ha previsto al riguardo una detrazione dall’imposta lorda pari al 50 % delle spese (non superiori all’importo di euro 96mila per unità immobiliare nel medesimo anno di imposta). L’art. 119 del Decreto Rilancio ha elevato il credito di imposta alla misura del 110 %, previsto le opzioni dello sconto in fattura e della cessione.
- Bonus facciate: originariamente previsto come ambito di operatività di una detrazione dall’imposta lorda in relazione agli interventi finalizzati al recupero o al restauro della facciata di edifici rispondenti a determinate caratteristiche. Il Decreto Rilancio ha introdotto anche n questo caso, oltre all’utilizzo della detrazione in dichiarazione, le opzioni alternative dello sconto in fattura ovvero della cessione del credito.
- Bonus ristrutturazioni: a fronte dell’originaria previsione di una detrazione variabile dal 36% al 50% delle spese documentate per intervenuti di recupero del patrimonio edilizio (art. 16 bis TUIR), il decreto rilancio ha anche per tale bonus introdotto le opzioni ulteriori rispetto alla detraibilità costituite dallo sconto in fattura e dalla cessione del credito di imposta corrispondente alla detrazione spettante.
- Superbonus : questa agevolazione è stata introdotta dal decreto Rilancio con riferimento alla realizzazione di specifici interventi di efficienza energetica, riduzione rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e delle infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici negli edifici. Si riconosce una detrazione del 110 % dall’imposta lorda con possibilità di optare per lo sconto in fattura ovvero per la cessione del credito. Con la legge di bilancio del 2022, il D.L. 4del 2022, il DL 17 del 2022 ed infine il D.L. 50 /2022 sono state introdotte specifiche modifiche finalizzate a ridurre i fenomeni di frode. Ad oggi per questo tipo di bonus, agli adempimenti già previsti si sono aggiunti la necessità di ottenere un visto di conformità da parte di professionisti abilitati (commercialisti, ragionieri, periti commerciali consulenti del lavoro, Caf) ed una asseverazione tecnica che certifichi il rispetto dei requisiti tecnici degli interventi sia sotto il profilo dell’efficienza energetica che di quella antisismica.
Ulteriori crediti sono poi previsti rispettivamente per l’installazione di impianti fotovoltaici e di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici, ed infine per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche (art. 119 e 119-ter del D.L. 34 del 2020), nonché dall’art. 120 del medesimo Decreto Rilancio per l'adeguamento degli ambienti di lavoro.
Tali crediti si caratterizzano, quindi, per essere tutti previsti in relazione a determinate categorie di spese in astratto gravanti sul contribuente (lavori di efficientamento energetico, recuperi di patrimoni edilizi, antisismica) delle quali lo Stato si fa carico riconoscendo per importi variabili (fino all’importo massimo previsto per il c.d. “super bonus” addirittura superiore al 100 per cento, e pari al 110 per cento) non già una diretta assunzione del relativo costo, piuttosto un credito di imposta.
In sede di primo approccio all’istituto, rileva premettere che il meccanismo “incentivante” adottato dallo Stato non contempla l’erogazione di finanziamenti diretti in favore del contribuente: piuttosto, a fronte di un costo che graverebbe sul soggetto committente, lo Stato spende non già moneta contante, bensì “moneta fiscale” riconoscendo, per l’importo percentuale previsto rispetto alle singole categorie di costi, un corrispondente credito d’ imposta consentendo ai soggetti che ne siano divenuti titolari di scegliere tra: optare per la detrazione del costo dal reddito imponibile, utilizzare il credito in proprio compensando con debiti fiscali, ovvero cedere il credito a terzi disposti a pagarlo cosi convertendo la moneta fiscale in moneta contante. I cessionari saranno disposti ad acquistare i crediti d’imposta intendendo evidentemente lucrare l’importo differenziale tra il relativo valore nominale e il corrispettivo della cessione.
Si parla di “monetizzazione” proprio per indicare l’ipotesi in cui il credito d’imposta venga da questi ceduto a fronte del versamento di una somma di denaro da parte dei cessionari: l’intervento di questi soggetti, terzi rispetto al rapporto strettamente tributario che lega contribuente e erario, trasforma il valore del credito in moneta.
Risulta di agevole comprensione la finalità dell’istituto, volto a rilanciare settori dell’economia (edilizia, commercio, servizi accessori a tali ambiti) senza però tradursi in una mera concessione di provvidenze economiche bensì stimolando e sollecitando la reattività dei vari settori produttivi del paese, rendendo così possibile al contempo la circolazione di ricchezza (a favore delle maestranze, dei progettisti, delle imprese fornitrici delle materie prime, dei commercianti, del settore dei trasporti e di tutti i servizi accessori).
Tale finalità prevalente aveva indotto il legislatore, nella prima fase di applicazione dei bonus a consentire, in alternativa alla detrazione, plurime cessioni consecutive sostanzialmente senza limiti posto che l’originario testo dell’art. 121 comma 1 lett. b) del Decreto Rilancio prevedeva la “trasformazione del corrispondente importo in credito di imposta, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari” senza limitarne il numero e senza prevedere particolari qualità soggettive dei cessionari.
A fronte delle condotte fraudolente riscontrate e note alle cronache, il legislatore ha poi modificato le disposizioni, introducendo stringenti limitazioni con specifico riferimento alle cessioni successive alla prima, che sono oggi consentite solo in favore di soggetti “qualificati” ex art. 121 comma 1 lett. b) del Decreto Rilancio che, nel testo vigente, prevede, appunto, l’opzione “per la cessione di un credito d'imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, senza facoltà di successiva cessione, fatta salva la possibilità di tre ulteriori cessioni solo se effettuate a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all'albo previsto dall'articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all'albo di cui all'articolo 64 del predetto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ovvero di imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, ferma restando l'applicazione dell'articolo 122-bis, comma 4, del presente decreto, per ogni cessione intercorrente tra i predetti soggetti, anche successiva alla prima; alle banche, ovvero alle società appartenenti ad un gruppo bancario iscritto all'albo di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è sempre consentita la cessione a favore di soggetti diversi dai consumatori o utenti, come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che abbiano stipulato un contratto di conto corrente con la banca stessa, ovvero con la banca capogruppo, senza facoltà di ulteriore cessione.”
Disciplina diversa, quanto all’opzione relativa alla cessione, è dettata dall’art. 122 a far data dall’entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2021con riferimento ai crediti di imposta per botteghe e negozi, per i canoni di locazioni di immobili ad uso non abitativo, per l’adeguamento degli ambienti di lavoro nonché per la sanificazione e per l’acquisto di dispositivi di protezione, crediti riconosciuti da provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza COVID-19. Per tali crediti il legislatore ha fortemente limitato la facoltà di cessioni successive alla prima consentendone oggi fino al massimo di due solo se in favore di soggetti “qualificati”. Anche per questi crediti l’esercizio dell’opzione “cessione” deve essere svolto per via telematica.
2. La piattaforma cessione crediti
Le concrete modalità di fruizione del credito di imposta sono stabilite dalla legge, come detto: utilizzo diretto della detrazione spettante all’avente diritto, sconto in fattura, cessione a terzi (art. 121 del Decreto Rilancio, “Opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali”).
La legge prevede che tale operatività sia condizionata alla avvenuta comunicazione all’Agenzia delle Entrate sia dell’esistenza del credito che della eventuale cessione: la diposizione si rinviene nell’art. 121 comma 7 del decreto rilancio per il quale “ Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo, comprese quelle relative all'esercizio delle opzioni, da effettuarsi in via telematica, anche avvalendosi dei soggetti previsti dal comma 3 dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322”.
Per agevolare tali comunicazioni, l’Agenzia delle Entrate ha individuato una specifica procedura “web”, denominata “Piattaforma cessione crediti” (dal sito dell’Agenzia delle entrate è facilmente accessibile una guida aggiornata al maggio 2023) che ne illustra le funzionalità e l’obiettivo, ovvero quello di consentire ai titolari di crediti di imposta di comunicare appunto all’Agenzia delle Entrate l’eventuale cessione dei crediti di soggetti terzi ai sensi delle disposizioni pro tempore vigenti.
L’importanza della piattaforma, ed il valore delle comunicazioni in essa inserite, emerge evidente dalla lettura delle disposizioni contenute nell’art. 122-bis del Decreto rilancio, articolo rubricato “Misure di contrasto alle frodi in materia di cessioni dei crediti. Rafforzamento dei controlli preventivi.”, introdotto dal D.L. 157 dell’11 novembre 2021 e modificato dalla legge 234 del 30 dicembre del 2021. Tale norma introduce infatti un rafforzamento dei controlli preventivi nell’ambito delle misure di contrasto alle frodi in materia di cessioni dei crediti che si incentra tutto sul valore delle comunicazioni dell’avvenuta cessione del credito. Si prevede che L’agenzia delle Entrate entro cinque giorni lavorativi dall'invio della comunicazione dell'avvenuta cessione del credito, può sospendere, per un periodo non superiore a trenta giorni, gli effetti delle comunicazioni delle cessioni, anche successive alla prima, e delle opzioni inviate alla stessa Agenzia ai sensi degli articoli 121 e 122 che presentano profili di rischio, ai fini del relativo controllo preventivo. I profili di rischio, dice la legge, sono individuati utilizzando criteri relativi alle diverse tipologie dei crediti ceduti e riferiti:
“a) alla coerenza e alla regolarità dei dati indicati nelle comunicazioni e nelle opzioni di cui al presente comma con i dati presenti nell'Anagrafe tributaria o comunque in possesso dell'Amministrazione finanziaria;
b) ai dati afferenti ai crediti oggetto di cessione e ai soggetti che intervengono nelle operazioni a cui detti crediti sono correlati, sulla base delle informazioni presenti nell'Anagrafe tributaria o comunque in possesso dell'Amministrazione finanziaria;
c) ad analoghe cessioni effettuate in precedenza dai soggetti indicati nelle comunicazioni e nelle opzioni di cui al presente comma.”
Sembra utile richiamare la disposizione di cui al comma 2 del citato art. 122 bis del Decreto Rilancio per il quale: “Se all'esito del controllo risultano confermati i rischi di cui al comma 1, la comunicazione si considera non effettuata e l'esito del controllo è comunicato al soggetto che ha trasmesso la comunicazione. Se, invece, i rischi non risultano confermati, ovvero decorso il periodo di sospensione degli effetti della comunicazione di cui al comma 1, la comunicazione produce gli effetti previsti dalle disposizioni di riferimento.” Per consentire un più agevole utilizzo del predetto credito di imposta in compensazione, l’Agenzia delle Entrate con apposito decreto (Decreto 83/E del 28 dicembre 2020) ha istituito appositi codici tributo da utilizzare nel prescritto modello F24 a decorrere dalla data dell’1 gennaio 2021.
3. Il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del D.lgs. 74 del 2000)
A fronte di questa ragionata dimensione economica del meccanismo dei c.d. “bonus”, occorre interrogarsi sull’eventuale rilievo penale di taluni comportamenti umani che, anche profittando della disciplina eventualmente semplificata introdotta dal legislatore ovvero mediante meccanismi di aggiramento delle norme, siano tesi a procurare profitti indebiti e, ancor peggio, illeciti profitti e producano quale deprecabile risultato finale un danno sia per eventuali soggetti privati direttamente coinvolti nella fase della monetizzazione sia per lo stesso Erario, su cui graverebbe in ultima istanza il costo del riconoscimento di crediti non spettanti ovvero non esistenti.
La premessa generale rende evidente la necessità di individuare gli strumenti a disposizione della Polizia Giudiziaria, degli organi di accertamento tributario, del Pubblico Ministero e del Giudice penale (per quanto qui interessa) per fornire adeguati strumenti di tutela anche preventiva verso condotte di abuso penalmente rilevanti.
Si anticipa la conclusione: la fattispecie di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74 del 2000 risulta quella più calzante ed efficace rispetto allo scopo di fornire tutela penale in ipotesi di comportamenti abusivi e di frode finalizzati ad ottenere il riconoscimento di crediti non corrispondenti ad operazioni commerciali realmente realizzate.
Certamente false sono le fatture che, alla base, vengono emesse per giustificare la creazione del credito di imposta ove i lavori non sia stati eseguiti, in tutto o in parte, ovvero siano riferibili a soggetti diversi, secondo lo schema noto delle fatture oggettivamente o soggettivamente inesistenti in via totale o parziale.
La prova della falsità delle suddette fatture viene per lo più acquisita sulla base di indizi gravi precisi e concordanti:
- la creazione della società esecutrice dei lavori a breve distanza temporale dalla relativa ultimazione;
- l’emissione, in arco temporale breve, di fatture per lavorazioni ingenti sia negli importi che quanto alla tipologia e quantità di lavori eseguiti;
- la circostanza che i lavori risultino tutti conclusi alla medesima data ovvero asseverati dallo stesso tecnico, con atti recanti la medesima datazione;
- la carenza, in capo alla società asseritamente realizzatrice delle opere, di una effettiva struttura operativa per carenza totale di dipendenti, sede e azienda dimostrata anche attraverso accesso alle banche dati;
- la mancanza di fatturazione valevole a comprovare l’acquisto delle materie prime necessarie all’esecuzione dei lavori;
- l’inesistenza dei soggetti committenti ovvero la carenza di legittimazione in capo ai dichiaranti, per essere gli stessi estranei al novero dei soggetti legittimati ovvero deceduti in epoca non compatibile con le risultanze documentali.
Parimenti, la falsità delle fatture può essere provata attraverso sopralluoghi, acquisizione di rilevazioni fotografiche da fonti aperte che dimostrino, specie per talune lavorazioni che non possano che modificare lo stato esterno dei luoghi, che alcun intervento è stato realizzato.
Ed ancora, la prova può essere tratta da attività tecniche di intercettazione (esperibili in relazione agli elevati limiti edittali oggi previsti dal legislatore in relazione alle condotte di cui all’art. 8 del D.lgs. 74 del 2000).
Non ultime, le indagini sui flussi finanziari che possono fornire prova della falsità delle lavorazioni e della fraudolenza delle successive cessioni dei crediti di imposta: così ad esempio, verificando le movimentazioni delle somme ricavate dalle monetizzazioni, possono essere riscontrati flussi di ritorno di tali provviste che dagli ultimi cessionari rientrano nella disponibilità diretta o indiretta (tramite ad esempio prestanome o società schermo) dei soggetti autori della frode presupposta e da questi vengono eventualmente reimpiegate in attività economiche o produttive.
Certamente, nei casi richiamati sussiste la “finalità” che connota, nella previsione del legislatore, il delitto di emissione di fatture o documenti per operazioni inesistenti, ovvero la finalità di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, atteso che il credito di imposta generato è destinato ad essere detratto dal titolare ovvero ceduto a terzi con un’unica destinazione finale, ovvero quella della compensazione con debiti verso l’erario (sicché, infine, i crediti di imposta generati sono elettivamente destinati ad essere strumento di compensazione e, in ipotesi di superamento delle soglie di punibilità, corpo del reato di cui all’art. 10 quater del D.lgs. 74/00).
L’ipotesi che segue presenta invece ulteriori profili di criticità: si pensi al caso in cui il primo cessionario del credito di imposta relativo a lavori mai eseguiti proceda ad una ulteriore cessione del credito a soggetto compiacente, magari quale legale rappresentante di persona giuridica all’uopo costituita dal medesimo primo cessionario, priva di autonoma struttura operativa ovvero di mezzi e, in definitiva di provvista con cui pagare la cessione (che acquista pertanto “allo scoperto”), che inoltre si assegni il credito a un prezzo di particolare favore procedendo a registrare sul portale la relativa cessione lucrando, in ipotesi sul differenziale.
Occorre in questo caso interrogarsi circa la possibilità di ricondurre anche tale condotta (ovvero l’inserimento della cessione al portale da parte di soggetto, diverso dal cedente, consapevole della falsità del credito) ad un’ulteriore ipotesi di violazione dell’art. 8 D.lgs.. 74/00 (e non di mero post factum non punibile) in tutti i casi in cui, ad esempio, non sia possibile provare che lo stesso fosse ab initio concorrente negli illeciti presupposti (sicché non possa contestarsi un’ipotesi di concorso nel delitto di emissione di false fatturazioni). Incidentalmente, risulta opportuno considerare che l’ipotesi descritta risulta tanto più verificabile quante più siano le cessioni consentite del credito.
In ipotesi, la particolarità è costituita dalla circostanza che la falsità attiene all’oggetto della cessione del credito di imposta successiva alla prima, per essere inesistente il credito ceduto: occorre quindi verificare se sia possibile applicare la norma, dettata dal legislatore con riferimento alle falsità delle fatture (sottostanti), anche alla registrazione sul portale della cessione falsa per essere falso il credito di imposta sottostante.
A ben vedere, sia con l’art. 8 del D.lgs. n. 74 del 2000 che con le norme del medesimo testo normativo che contengono il quadro definitorio, il legislatore fornisce all’interprete strumenti per sanzionare anche tali comportamenti quale ipotesi di ulteriore violazione penal-tributaria, sempre riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 8 del D.lgs. n. 74 del 2000.
L’art. 1 comma 1 lett. a) del decreto legislativo n. 74 citato, recita, infatti: “per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi valore analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
La Corte di Cassazione (Cass. Sez. 3, sent. n. 32088 del 22/03/2023 Ud. Rv. 284900), chiamata a pronunciarsi su specifico motivo di ricorso difensivo, si è recentemente soffermata sulle rispettive nozioni di fattura e di documento avente valore analogo alle fatture. Il caso concreto aveva riguardo a documenti, diversi dalle fatture, valutati come strettamente contrattuali in rigone del titolo e del contenuto (nel caso di specie infatti la Corte ha escluso che l'oggetto materiale del reato potesse essere costituito da una scrittura privata relativa a una "consulenza tecnica senza vincoli di subordinazione per ricerca di mercato, rapporti con i clienti e fornitori") . In tale occasione il giudice di legittimità ha in primo luogo argomentato circa taluni requisiti essenziali della fattura, di poi parimenti affrontando la diversa questione della individuazione del “documento avente valore analogo”. Quanto alla fattura, la motivazione espressamente giunge ad elencarne taluni requisiti irrinunciabili, sulla base dello specifico richiamo alla disposizione tributaria di cui all’art. 21 del DPR 633 del 1972, sicché si considera fattura il documento che contenga le seguenti indicazioni:
a) la data di emissione;
b) il numero progressivo che la identifichi in modo univoco;
c) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cedente o prestatore, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
d) il numero di partita IVA del soggetto cedente o prestatore;
e) ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cessionario o committente, del rappresentante fiscale nonché ubicazione della stabile organizzazione per i soggetti non residenti;
f) il numero di partita IVA del soggetto cessionario o committente ovvero, in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione europea, numero di identificazione IVA attribuito dallo Stato membro di stabilimento; nel caso in cui il cessionario o committente residente o domiciliato nel territorio dello Stato non agisce nell'esercizio d'impresa, arte o professione, codice fiscale;
g) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione;
g-bis) la data in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi ovvero data in cui è corrisposto in tutto o in parte il corrispettivo, sempreché' tale data sia diversa dalla data di emissione della fattura;
h) i corrispettivi ed altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono di cui all'articolo 15, primo comma, n. 2; i) i corrispettivi relativi agli altri beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono;
I) aliquota, ammontare dell'imposta e dell'imponibile con arrotondamento al centesimo di euro;
m) la data della prima immatricolazione o iscrizione in pubblici registri e numero dei chilometri percorsi, delle ore navigate o delle ore volate, se trattasi di cessione intracomunitaria di mezzi di trasporto nuovi, di cui all'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
n) l'annotazione che la stessa è emessa, per conto del cedente o prestatore, dal cessionario o committente ovvero da un terzo.
Tali requisiti formali, tornando al caso che ci occupa, senz’altro risultano soddisfatti con riferimento alle fatture relative alle lavorazioni falsamente dedotte quale base per la creazione del bonus.
Occorre piuttosto verificare se la contestazione del delitto di cui all’art. 8 più volte citato possa essere invece elevata con riferimento all’inserimento, nel portale delle cessioni, del credito così generato e tale verifica va fatta utilizzando, all’evidenza, la diversa categoria del “documento avente valore analogo” alla fattura, nozione per la quale si impone un’attenta verifica al fine di evitare ogni interpretazione che non sia conforme al principio di tassatività.
Il dato normativo, fornisce comunque all’interprete uno criterio di orientamento nella selezione, tra tutti i documenti possibili, di quelli che possa ritenersi abbiano valore analogo alla fatture: il legislatore, infatti, non ha espressamente riferito il giudizio di equivalenza a criteri formali di redazione del documento(quali l’identità fiscale dell’emittente il numero d’ordine di emissione, l’imponibile e l’IVA) ed ha piuttosto avuto riguardo al “valore analogo in base alle norme tributarie”.
La disposizione legislativa risulta quindi, orientata verso un criterio sostanzialistico: condotta penalmente rilevante è quella di emissione o utilizzo non solo della fattura ma anche di un “documento” di “analogo valore secondo la legge tributaria”.
Procediamo con ordine: dobbiamo verificare in prima istanza la nozione di documento, non esplicitata né dal legislatore nel D. lgs. 74/2000 né altrimenti contenuta nei codici penali e civili e nelle discipline processuali corrispondenti. Pare possa condividersi una nozione di documento, quale “cosa rappresentativa di un fatto giuridicamente rilevante”: nozione senz’altro ampia ed idonea a ricomprendere il documento avente natura informatica.
In sede di successiva approssimazione, si osserva che la dimensione informatica del documento costituito nel caso di specie dall’inserimento della cessione nella apposita piattaforma, non costituisce una variabile che muta la natura giuridica dell’atto e la valenza probatoria dell’inserimento: costituisce, in altri termini, un elemento indifferente.
Occorre poi soffermarsi sull’ulteriore requisito normativo, ovvero che il documento debba avere valore analogo alla fattura secondo le leggi tributarie: ragionando in tema di comunicazione attraverso il portale dei crediti della avvenuta cessione, e tenendo in debito conto la previsione di cui all’art. 122 bis del decreto Rilancio sopra citato, risulta ragionevole optare per un autonomo riconoscimento di quel documento informatico quale documento avente valore analogo alla fattura in senso proprio, considerando che ove la comunicazione superi il vaglio imposto dal legislatore e svolto dall’Agenzia delle Entrate, la stessa comporta il riconoscimento di un credito di imposta “monetizzabile”, ove previsto, con successive cessioni o comunque utilizzabile per le compensazioni. In sintesi, l’inserimento al portale documenta una transazione commerciale avente ad oggetto il credito di imposta che, superata la verifica spettante all’Agenzia delle Entrate, consolida i propri effetti. Il citato art. 122 bis del decreto Rilancio costituirebbe proprio la norma tributaria che attribuisce al documento informatico (inserimento) un valore analogo alle fatture, documentando una transazione relativa al credito di imposta.
Nel rispetto del principio di tassatività, il legislatore consente, in conclusione, all’interprete di individuare il limite interno della tutela penale con riferimento ai documenti (diversi evidentemente dalla fattura) di valore analogo ad essa: ed allora non può dubitarsi che anche la condotta di l’inserimento nel portale del credito ceduto (inesistente per inesistenza soggettiva o oggettiva dell’operazione in essa dedotta) costituisca condotta di emissione di un documento “informatico” il cui valore è quello di registrare e rendere opponibile al creditore ceduto il mutamento della titolarità del credito di imposta. Ne discende la possibilità di contestare, nei confronti di chi fraudolentemente proceda all’inserimento consapevole nella piattaforma dell’Agenzia delle Entrate di cessioni relative a crediti inesistenti (totalmente o parzialmente sia oggettivamente che soggettivamente), il delitto di cui all’art. 8 D.lgs. n. 74 del 2000.
La circostanza che la cessione riguardi un credito di imposta varrebbe poi a semplificare la valutazione di equivalenza, poiché l’inserimento della cessione nel portale costituisce al contempo prova del negotium costituito dalla cessione del credito e prova dell’ammontare e della spettanza del credito di imposta. L’unica differenza tra questo documento informatico e la fattura (che può comunque essere a sua volta elettronica) sarebbe quella di non indicare il valore imponibile poiché ciò che si trasferisce è “moneta tributaria”.
L’opzione interpretativa sopra delineata consentirebbe di valutare ogni singola cessione, connotata dai necessari requisiti oggettivi e soggettivi (in termini di consapevolezza della inesistenza del credito ceduto) quali distinte ipotesi di emissione di false fatture a carico dei diversi soggetti persone fisiche coinvolte.
La contestazione, nelle ipotesi che ci occupano, del delitto di cui all’art. 8 del D.lgs. 74 del 2000, comporta poi l’applicabilità della previsione di cui all’art. 12- bis del medesimo D.lgs., in ragione del quale “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.”.
4. La fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p.
Occorre comunque verificare l’applicabilità, in ipotesi di creazione e successiva cartolarizzazione dei crediti di imposta falsi, della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni pubbliche).
La fattispecie, collocata nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, è normativamente costruita come reato comune che sanziona, fuori dai casi di truffa ex art, 640 bis c.p., tutti i comportamenti decettivi attraverso i quali il soggetto attivo del reato consegua indebitamente “contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee…”.
Si deve pertanto indagare se i comportamenti decettivi costituiti dalla creazione e cessione di crediti di imposta non corrispondenti ad operazioni reali siano riconducibili all’ambito applicativo di questa fattispecie incriminatrice, peraltro valutata come concretamente applicabile in taluni casi quali ad esempio quello oggetto della sentenza del 13 giugno 2023 della Corte di Cassazione, sez. 2, n. 37138, relativo al caso di provvedimento cautelare reale adottato dal giudice per le indagini preliminari previa riqualificazione del fatto, originariamente contestato dal Pubblico Ministero come violazione dell’art. 640 comma secondo n. 1 c.p., in quello di cui all’art. 316 ter c.p. (cfr. Cass. Sez. 2, 13 giugno 2023 dep. 12 settembre n. 37138).
Il primo spunto di riflessione che si ritiene di formulare al riguardo è costituito dalla circostanza che la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., sebbene corrispondente al fatto quanto alla dimensione finale, in termini di conseguimento di un vantaggio in capo al soggetto che attivi il procedimento funzionale al riconoscimento del credito di imposta, risulti costruita dal legislatore con rifermento ai casi in cui vi sia un trasferimento di ricchezza dall’ente al soggetto in termini positivi: la casistica applicativa della fattispecie riguarda infatti emolumenti non dovuti, pensioni non spettanti (cfr. Cass. Sez. 6 - Sentenza n. 9661 del 03/02/2022 Ud. (dep. 21/03/2022) Rv. 282942), finanziamenti assistiti e talune specifiche ipotesi di bonus (ad esempio il bonus docente, cfr. Cass. Sez 6 - Sentenza n. 30770 del 12/07/2023 Rv. 284968) che comunque prevedono sempre la costituzione di una provvista vincolata quanto ai beni con essa acquistabili. Detto altrimenti, la fattispecie risulta costruita con riferimento ai casi in cui via sia trasferimento di ricchezza (anche mediante rimborso) dal soggetto erogante al beneficiario, che ne ottenga la disponibilità mediante condotte artificiose generative di errore quanto alla spettanza della provvista. Il dato letterale sembra quindi non del tutto corrispondente allo schema dei crediti di imposta, che al beneficiario, come sopra detto, trasferiscono una moneta fiscale e non una ricchezza in senso proprio, sebbene anche tale ipotesi possa essere ricondotta all’alveo della citata disposizione sub specie “altre erogazioni”.
Nella sentenza sopra citata (Cass. Sez. 2, Sent. N. 37138 del 2023) Corte di legittimità ha ritenuto che "Il reato di cui all'art.316-ter c.p. si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l'accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi (Sez.6, n. 9060 del 30/11/2022, GSE S.p.a. dep.02/03/2023, Rv. 284336), è evidente che con il riconoscimento del credito di imposta, immediatamente monetizzabile, il reato è già consumato in quanto l'ente erogatore non è più nella possibilità di recuperare quanto erogato ed il soggetto beneficiario ha già avuto l'accrescimento del proprio patrimonio;…”.
La Corte ritiene quindi configurabile l’ipotesi di cui all’art. 316 ter c.p. con riferimento allo specifico momento in cui l’amministrazione preposta effettui il “riconoscimento” del credito, cui consegue l’immediata possibilità di trasformarlo in moneta. Tale ipotesi ermeneutica pone poi in via successiva ulteriori questioni in tema di concorso di reati laddove all’emissione delle false fatture, all’inserimento della cessione di crediti di imposta falsi nel portale segua effettivamente il riconoscimento del credito monetizzabile, giungendo a ritenere che al fatto siano astrattamente applicabili le diverse norme penali valutando il “riconoscimento” come elemento che qualifica l’ulteriore disvalore del fatto in termini di reato contro la pubblica amministrazione.
Peraltro, la attuale formulazione dell’art. 122 bis del Decreto Rilancio, non prevede un “atto di riconoscimento” in senso proprio: la norma infatti prevede che l’Agenzia delle Entrate possa entro cinque giorni sospendere l’efficacia della cessione procedendo ad ulteriori approfondimenti e che, ove questi confermino le ragioni di rischio individuate, dichiari inefficace la cessione (che si considera non effettuata) dando notizia all’interessato dell’esito negativo del controllo. Ove invece non ravvisi ragioni di criticità o le stesse non trovino conferma nei successivi approfondimenti, l’Agenzia non deve provvedere ad emettere alcun atto e gli effetti della cessione si producono per effetto della comunicazione già svolta. Questa disciplina sembra quindi spostare gli effetti della cessione al mero inserimento, senza che sia necessario un atto di riconoscimento: piuttosto, solo un atto di rifiuto potrebbe paralizzare gli effetti della cessione inserita.
Gli argomenti che precedono suggerirebbero, quindi, particolare cautela nel ricondurre le ipotesi che interessano alla fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., soprattutto in ragione della circostanza che la norma non copre la “speciale” finalità delle condotte di creazione di falsi crediti di imposta, condotte tutte orientate e connotate dal sottostante dolo di evasione conseguente alla finalità elettiva di tutti i crediti di imposta, ovvero quella, come detto, di essere strumenti di pagamento di debiti tributari mediante compensazione.
5. La riconducibilità dei fatti all’ipotesi di truffa, anche ai sensi degli artt. 640 comma primo e cpv e 640 bis c.p.
Altra norma utilizzata ed astrattamente applicabile nei casi di frode connessi alla creazione di falsi crediti di imposta è quella che tutela la dimensione strettamente patrimoniale del fenomeno attraverso la riconduzione dei fatti di frode all’archetipo di cui all’art. 640 c.p.
Va detto che la fattispecie, sia nella declinazione aggravata ai sensi del capoverso dell’art. 640 c.p., sia avuto riguardo alla più grave ipotesi di cui all’art. 640 bis c.p., risultano astrattamente suscettibili di ricomprendere anche le condotte artificiose di creazione di falsi crediti di imposta e di inserimento dei medesimi nel portale, laddove l’induzione in errore sarebbe quella dell’Agenzia delle Entrate (che peraltro non compie un atto dispositivo in senso stresso), tentata o consumata in relazione alla sospensione o meno dell’efficacia dell’inserimento dei crediti nel portale. Tuttavia, anche in questo caso, posto che la sorte finale dei crediti di imposta è quella della compensazione con debiti tributari risulterebbe prevalente, in tutte le condotte sopra descritte, la finalità di evasione che rende le norme penal-tributarie applicabili per l’esistenza di profili di specialità ex art. 15 c.p. in relazione all’archetipo costituito dalla norma penale incriminatrice in tema di truffa.
Viceversa, la dimensione patrimoniale dell’offesa risulta presente e in concreto riconducibile alla fattispecie incriminatrice della truffa con riferimento alle condotte di monetizzazione commesse in danno di persone fisiche private ovvero persone giuridiche anche di rilievo pubblicistico (nel quale caso potrà operare la più grave previsione sanzionatoria di cui all’art. 640 bis c.p. cui consegue altresì l’applicabilità della disciplina del sequestro e della confisca anche per equivalente ex art. 240 bis c.p.), che rivestano la posizione di cessionari dei predetti crediti, in tale veste autori di un esborso monetario corrispettivo della cessione medesima. Sicché, nei casi di monetizzazione ad opera di terzi cessionari di buona fede, non concorrenti nel delitto di false fatturazioni presupposto della fraudolenta cessione, i cedenti ed i loro concorrenti potranno incorrere anche in responsabilità per truffa, procedibile a querela se commessa ai danni di soggetto privato anche ove aggravata dall’avere i fatti cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità (ex art. 61 n. 7 c.p.).
Tali cessionari, meri danneggiati dal reato di false fatturazioni, sono invece persone offese del reato di truffa in ragione dell’esborso monetario sostenuto e, a rigore, dovrebbero essere loro destinati eventuali recuperi eseguiti attraverso l’esecuzione di provvedimenti di sequestro.
6. Il sequestro dei crediti e l’opponibilità ai terzi: riflessioni in tema di confisca
Si tratta, forse, della questione di maggiore complessità da affrontare con grande cautela dovendosi in questa ipotesi valutare comparativamente le esigenze preventive e sanzionatorie presidiate dalle norme sul sequestro e sulla confisca, da un alto, e dall’altro quelle di tutela del patrimonio dei terzi estranei al reato (in ipotesi i cessionari i cessionari dei crediti di imposta non realmente esistenti).
È infatti ben possibile l’adozione, in relazione a detti crediti di imposta (la cui materialità consta proprio nell’inserimento del credito nel portale delle cessioni) di provvedimento di sequestro preventivo, tanto ex art. 321 comma 1 c.p.p. che ai sensi del successivo comma 2.
Partiamo dalla previsione di cui al comma 1 del citato art. 321 c.p.p., che ammette l’adozione del sequestro preventivo quando vi sia pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati. Va premesso che il legame pertinenziale tra la cosa e il reato deve intendersi quale collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il retro è stato commesso, ma anche quelle che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto ed altresì quelle legate anche solo indirettamente alla fattispecie criminosa (con la sola esclusione di relazioni meramente occasionali tra la res e l’illecito penale – cfr. sul punto Cass., Sez. 5 Sent. N. 26444 del 28 maggio 2014 Rv 259850)
In primo luogo, occorre valutare se il credito di imposta generato all’esito di operazioni fraudolente costituisca cosa pertinente al reato per cui si procede. Anche in questo caso la riposta è positiva, sia che si valuti la pertinenzialità con riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 8 del D.lgs. 74/00 sia che la si consideri con riferimento all’ipotesi ex art. 316 ter c.p. sia infine in relazione all’ipotesi di cui all’art. 640 cpv o 640 bis c.p., posto che con riferimento a tutte le fattispecie suddette i crediti costituiscono il prodotto dei reati ipotizzati
Vale sul punto richiamare l’insegnamento della Corte di Cassazione che così definisce le differenti nozioni di prodotto, profitto e prezzo del reato: “… In sintesi, il prodotto è il risultato dell'azione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l'attività delittuosa, che con quest'ultima abbia un legame diretto e immediato; si tratta del frutto diretto ed immediato dell'attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente con l'attività illecita. Il profitto comporta invece un accrescimento del patrimonio dell'autore del reato ottenuto attraverso la acquisizione la creazione o la trasformazione di cose suscettibili di valutazione economica, corrispondente all'intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa (vantaggio economico di diretta derivazione del reato, vedi Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Lucci Rv. 264436 - 01: "Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito."). Prezzo, infine, è il compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato, quale fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato.” (cfr. Cass., sez. 2, Sent. N. 37138 del 13 giugno 2023 -dep. 12 settembre 2023).
Parimenti, non vi sono dubbi quanto alla possibilità di adottare un provvedimento di sequestro per pertinenzialità dei crediti di imposta generati attraverso schemi fraudolenti anche con riferimento all’ulteriore requisito previsto dalla legge: la libera disponibilità di tali crediti aggrava le conseguenze del reato, poiché consente al titolare dello stesso di optare per l’utilizzo in compensazione ovvero per la successiva monetizzazione, andando così a produrre ulteriori effetti comunque dannosi o per l’Erario (cui infine si imputeranno gli effetti delle compensazioni in ragione delle quali non introiterà i tributi spettanti) o per i terzi cessionari che avranno monetizzato l’importo delle cessioni.
Trattandosi di sequestro fondato sul legame di pertinenzialità tra res e reato, il vincolo suddetto consente il sequestro a prescindere dalla verifica della condizione soggettiva del terzo che sia venuto nella disponibilità della cosa, cui il sequestro risulterebbe quindi opponibile a prescindere dalla condizione di buona o mala fede (cfr. sul punto Cass Sez. 3, Sent. n. 40865 del 21/09/2022 Cc. (dep. 28/10/2022) Rv. 283701 e Sez. 3 Sent. n. 40480 del 2010 Rv. 248741, nonché Cass. Sez. 2 sentenza n. 28306 del 2019 Rv. 276660).
Sotto altro profilo, il sequestro preventivo dei crediti di imposta generati da false fatturazioni è comunque esperibile anche ai sensi del comma 2 dell’art. 321 c.p.p., quale sequestro funzionale alla confisca. Nella definizione codicistica, la confisca (e quindi anche il sequestro preventivo ad essa funzionale) è prevista con riferimento alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto (art. 240 comma primo c.p.).
Una speciale declinazione della confisca (obbligatoria) è, inoltre, prevista in materia penal-tributaria dal citato art. 12 bis del D.lgs. 74 del 2000, che da un lato impone la confisca del prodotto e del profitto dei reati tributari, dall’altro ne estende l’operatività ai beni (diversi da prodotto e profitto) di identico valore ma conferma, in linea con la previsione penale sostanziale, il limite consistente nella inopponibilità della confisca al terzo estraneo al reato (“salvo che appartengano a persona estranea al reato”). Peraltro, la prospettiva non muta anche ove si consideri l’ipotesi di emissione di documento avente valore analogo alla fattura costituita dall’inserimento nel portale delle cessioni aventi ad oggetto falsi crediti di imposta. Quanto, poi, all’ipotesi che si riconducano i fatti all’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., vale quanto disposto dal successivo art. 322-ter c.p., che prevede l’obbligatoria confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, anche per equivalente, con analogo limite costituito dall’appartenenza del bene a terzi estranei al reato.
Non potrebbe esservi spazio per l’adozione del sequestro preventivo, né ai sensi del comma 1 né ai sensi del comma 2 dell’art. 321 c.p. ove dovesse ritenersi che il terzo, una volta dimostrata la propria buona fede, abbia acquistato “in via definitiva” (cfr. sul punto Cass. Sez. 2, sentenza n. 27895 del 23/06/2022 – rv 283635 relativo però al caso di appropriazione indebita di un veicolo oggetto di successiva alienazione a terzo di buona fede) un bene immune da tutti i vizi originari, non più intrinsecamente pericoloso (quale sarebbe ove si ritenesse prevalente la natura di moneta tributaria contraffatta, la cui detenzione o alienazione è vietata dalla legge penale). e che lo stesso possa poi utilizzarlo in compensazione. Tale conclusione sarebbe possibile ipotizzando, quale premessa, che la cessione del credito di imposta (anche se fraudolentemente creato) dia luogo ad una “novazione totale” del credito in essa dedotto, sicché il terzo di buona fede cessionario del credito acquisti in sostanza a titolo originario un bene (il credito) completamente diverso dall’originaria detrazione di imposta spettante al cedente, trasformando in lecita, in ragione della propria condizione soggettiva, la stessa natura intrinsecamente illecita del credito ceduto.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha compiutamente ricostruito tutti gli indici normativi contenuti nel decreto rilancio che ostano ad una interpretazione per la quale una volta che l’originario titolare del diritto alla detrazione abbia rinunciato a tale diritto, in capo al cessionario sorgerebbe un credito del tutto nuovo e diverso, emendato da ogni originario vizio (sinanche quello della contrarietà a norme imperative del comportamento fonte del fraudolento diritto alla detrazione poi ceduto).
In particolare, la Corte di Cassazione, (cfr. Cass. Sez. 3, sentenza n. 40865 del 21/09/2022 Cc. Rv 283701), ha chiaramente ritenuto che alla teoria dell’acquisto del credito di imposta a titolo originario in capo al cessionario osti, anzitutto, il chiaro tenore dell’art. 121 comma, del più volte citato Decreto Rilancio (D.lgs. n. 34 del 2020).
La norma, infatti, prevede (art. 121 citato, comma 3) che "I crediti d'imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d'imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione".
Ove si fosse trattato, nelle intenzioni del legislatore, di un nuovo diritto di credito di imposta totalmente slegato dal diritto alla detrazione, non avrebbe avuto fondamento la previsione che lo stesso debba essere esercitato con le medesime modalità di esercizio proprie del diritto alla detrazione (rate residue e ripartizione in quote annuali).
D’altronde, come sopra detto, l’originario testo dell’art. 121 comma 1 lett. b) del Decreto Rilancio nel riferirsi al credito di imposta, lo faceva definendolo come “trasformazione” dell’originario diritto alla detrazione, sostantivo assolutamente deponente nel senso di una derivazione del credito di imposta ceduto dalla detrazione originariamente spettante
Analogamente, neppure possono ritenersi decisive in senso contrario le specifiche disposizioni dei successivi commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 citato la cui portata precettiva si rivolge propriamente alla materia tributaria, prevedendo i poteri spettanti ai soggetti preposti al controllo con specifico rinvio al DPR 600 del 29 settembre 1973, l’ambito di responsabilità del cedente (comma 5) e l’eventuale responsabilità del cessionario dettando al contempo specifici presupposti per la responsabilità solidale del fornitore e del cessionario (comma 6) che ha applicato lo sconto e dei cessionari per il pagamento di quanto debba essere recuperato.
Parimenti, deve ritenersi che sia riferibile alla sola materia tributaria la previsione di cui al comma 6bis del medesimo art. 121 del decreto Rilancio, norma che mira a far salva la posizione del cessionari che, per il possesso di idonea documentazione (titolo abilitativo edilizio, notifica preliminare dell’avvio dei lavori, visure catastali, fatture di spesa, asseverazioni, delibere condominiali in caso di interventi su parti comuni documentazione tecnica per interventi di riqualificazione energetica, visto di conformità della documentazione, attestazione di regolarità firmata dal cedente, documentazione relativa ad interventi di riduzione del rischio sismico e contratti di appalto) siano fondatamente in una posizione di assoluta non partecipazione e che pertanto non possono essere ritenuti responsabili in via solidale, sempre nella competente sede tributaria. Ebbene anche questa disposizione si limita ad eccettuare tali soggetti dal concorso nella violazione (tributaria) che determina la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari: non si tratterebbe, neppure in questo caso, di norma che può essere utilizzata quale argomento per ritenere che il credito del cessionario sorga in via autonoma e originaria e quindi possa operare quale fondamento di una disciplina che possa comportare l’inapplicabilità delle disposizioni dettate in materia di sequestro dal codice penale e di procedura penale.
Non sembra possa trarsi diversa conclusione neppure alla luce della previsione di cui all’art. 28 ter del D.L.n. 4 del 2022 convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2022, n. 25 per il quale “1. L'utilizzo dei crediti d'imposta di cui agli articoli 121 e 122 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020, nel caso in cui tali crediti siano oggetto di sequestro disposto dall'autorità giudiziaria, può avvenire, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro, entro i termini di cui agli articoli 121, comma 3, e 122, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 34 del 2020, aumentati di un periodo pari alla durata del sequestro medesimo, fermo restando il rispetto del limite annuale di utilizzo dei predetti crediti d'imposta previsto dalle richiamate disposizioni. Per la medesima durata, restano fermi gli ordinari poteri di controllo esercitabili dall'Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti che hanno esercitato le opzioni di cui agli articoli 121 e 122 del medesimo decreto-legge n. 34 del 2020. 2. L'Agenzia delle entrate effettua il monitoraggio sull'utilizzo del credito d'imposta nei casi di cui al comma 1 e comunica i relativi dati al Ministero dell'economia e delle finanze ai fini di quanto previsto dall'articolo 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.”
Anche questa volta si tratta di norma che disciplina l’utilizzo dei crediti una volta che gli stessi siano stati dissequestrati, non anche di una previsione circa la non sequestrabilità dei medesimi.
Poste tali premesse, si pensi all’ipotesi in cui, una volta intervenuto il sequestro dei crediti generati da operazioni fraudolente, il cessionario, ottenuto lo svincolo dei crediti in ragione della propria estraneità e buona fede e dei limiti posti alla confisca, proceda ad una successiva cessione e/o all’utilizzo di crediti generati da fatture per operazioni inesistenti: l’interrogativo che occorre porsi è se il successivo utilizzo sia comunque lecito, se invece possa generare responsabilità per violazione dell’art. 10 quater del D.lgs. 74/2000 se utilizzato in compensazione.
Occorre inoltre riflettere sulla sorte dei crediti in sequestro una volta concluso il giudizio e disposta la confisca che, come si è detto, viene disciplinata in termini di confisca obbligatoria dal legislatore sia con riferimento al delitto di emissione di fatture o altri documenti aventi analogo valore che con riferimento al delitto di cui all’art. 316 ter c.p.: in entrambi i casi, come detto, l’operatività della confisca incontra un limite insuperabile ove la cosa da confiscare appartenga ad un soggetto terzo estraneo al reato. Nella declinazione giurisprudenziale, terzo estraneo al reato deve ritenersi colui che non partecipi in alcun modo alla commissione del reato o all'utilizzazione dei profitti derivati: in particolare, l'estraneità al reato non deriva in modo automatico dal fatto che il proprietario della cosa non abbia subìto condanna, dovendosi considerare effettivamente estraneo soltanto chi - indipendentemente dall'essere stato o meno sottoposto a procedimento penale - risulti di fatto non aver avuto alcun collegamento con l'azione criminosa.
Sotto altro profilo la giurisprudenza ha ritenuto che è persona estranea al reato il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere - con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - l'utilizzo del bene per fini illeciti (Cass., Sez. 3, 16.11-1.12.2022, n. 45558; Cass., Sez. 3, 17.2.2017, n. 29586). In via di ulteriore considerazione, sempre la Corte di Cassazione ha ritenuto che in caso di confisca obbligatoria, il terzo che invochi la restituzione delle cose sequestrate qualificandosi come proprietario o titolare di altro diritto reale è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa e, in particolare, oltre alla titolarità del diritto vantato, anche l'estraneità al reato e la buona fede, intesa come assenza di condizioni in grado di configurare a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell'uso illecito del bene (Cass., Sez. 3, 17.1.2013, n. 9579 Rv 254749).
A fronte di tali premesse, dirimente diviene quindi individuare gli eventuali indici rivelatori della condizione soggettiva di buona o mala fede del terzo che sia entrato nella disponibilità del credito di imposta prodotto del reato, scongiurando il rischio di tutelare interessi economici di soggetti che non siano in realtà ad esso del tutto estranei: indizi in tale senso possono trarsi dalle tempistiche delle cessioni, dall’esame dei flussi finanziari sottostanti e dalla ricostruzioni di legami particolari tra i soggetti ovvero dall’entità dei corrispettivi pattuiti (particolarmente convenienti), dalla completezza della documentazione a supporto.
Deve però anche tenersi in debito conto quella giurisprudenza citata (Cass. pen. Sez. 3 Sent., 28/02/2013, n. 9579 -Rv. 254749) che fonda la buona fede del terzo anche sulla misura di un parametro di “diligenza” da questi tenuta: vero è che le modifiche introdotte dal legislatore all’originario testo dell’art. 121 del Decreto Rilancio hanno rafforzato gli oneri documentali posti a carico di chi intenda esercitare le opzioni di legge alternative alla detrazione diretta, prevedendo che l’originario titolare del diritto alla detrazione debba in tali ipotesi munirsi di visti di conformità e di asseverazioni sicché il cessionario che abbia ragionevolmente confidato nella genuinità di tali evidenze documentali avrebbe maggior agio a dimostrare la propria buona fede ed estraneità al reato commesso. Diverso discorso potrebbe, però, farsi con riferimento ai crediti movimentati sotto la vigenza dell’originaria formulazione della norma, quando ancora tali oneri documentali non erano previsti quali requisiti di legittimità della procedura di cessione.
Certamente, una volta conclusa la vicenda processuale, ove l’opzione interpretativa prescelta sia nel senso non solo della inefficacia della cessione del credito ma altresì della confisca opponibile al terzo, resta impregiudicata l’esperibilità da parte del cessionario che abbia subito danno di rimedi ripristinatori dell’integrità del proprio patrimonio ed è ovviamente legittimato ad esperire apposite azioni civili, anche mediante costituzione di parte nel processo penale (trattandosi di danneggiato da reato quanto alle ipotesi di cui all’art. 8 e/o 10 quater del D.lgs. 74 del 2000 ed anche con riferimento alla diversa ipotesi di cui all’art. 316 ter c.p. - cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 20847 del 21/05/2010 Rv. 247390).
Peraltro, solo una soluzione interpretativa (o normativa) che comportasse comunque un divieto di successivo utilizzo dei falsi crediti anche da parte dei terzi acquirenti di buona fede terrebbe indenne l’Erario dagli effetti negativi del successivo utilizzo in compensazione di crediti non fondati su operazioni reali: al contempo, tale soluzione negativa produrrebbe effetti di rilevante impatto sul patrimonio dei soggetti cessionari non concorrenti nel reato e comunque ignari, al momento dell’acquisto, della provenienza da delitto dei crediti acquistati.
7. Contabilizzazione dei crediti generati da operazioni fraudolente
Il tema offre all’interprete una serie di spunti di riflessione.
Si vuole qui fare cenno del problema della sorte contabile dei crediti provento di operazioni fraudolente ceduti a terzi di mala fede e della sorte altresì dei crediti ceduti in favore di terzi di buona fede volta che anche questi ultimi siano divenuti consapevole della relativa provenienza da delitto. Si tratta di questione diversa da quella relativa alla utilizzabilità in dichiarazione annuale ovvero per le compensazioni (posto che per tali casi l’utilizzo successivo alla conoscenza della provenienza da reato per come sopra detto in astratto potrebbe comportare profili di specifica responsabilità penale): occorre piuttosto verificare se il soggetto (ad esempio una società di capitali) che abbia acquisito questi crediti e che sia obbligato per legge a tenere una contabilità e che fosse ab origine consapevole della provenienza da reato ovvero ne sia venuto a conoscenza all’esito della adozione di provvedimenti giurisdizionali ovvero di natura amministrativa possa inserire tali crediti nella propria contabilità e se debba valutarli come componente dell’attivo, ovvero svalutarli o, infine portarli a “perdita”.
Sul punto deve richiamarsi la previsione di cui all’OIC 15: come noto, il d. lgs. 38 del 2015 prevede che L’Organismo Italiano di Contabilità, istituto nazionale per i principi contabili tra l’altro emani i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile. L’OIC 15 è specificatamente destinato a disciplinare i principi che presiedono alla contabilizzazione dei crediti: in particolare, al punto 13 del paragrafo dedicato alle definizioni, descrive la nozione di svalutazione e quella di perdita come segue:
- “la svalutazione è la riduzione di valore di un credito, derivante da una stima, al valore di presumibile realizzo riconducibile alla data di bilancio.
- “la perdita è un evento certo e definitivo che coincide con la parte del credito non più recuperabile”.
Nell’ipotesi che interessa, ove si opti per una interpretazione delle norme vigenti nel senso che le stesse escludano il successivo utilizzo dei crediti tributari generati da operazioni di frode, pur se acquistati in buona fede, il credito tributario originato da operazioni fraudolente del tipo descritto, ove se ne accerti la non recuperabilità, andrà, pertanto, in conformità al principio citato e, più in generale, nel rispetto dei principi normativi che presiedono la materia (art. art. 2423 c.c., per il quale “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell'esercizio.”) non già meramente svalutato, ma censito come credito non più recuperabile ed anzi inesistente con ogni conseguente contabilizzazione come perdita.
Va comunque valutata altresì la necessità o meno che sia intervenuto un accertamento definitivo circa la non recuperabilità: tale sarebbe una eventuale confisca disposta in via definitiva anche ove il credito sia collocato nel patrimonio del cessionario. Sino all’adozione di provvedimenti definitivi, occorrerà comunque fornire adeguata rappresentazione contabile delle conseguenze di un provvedimento che incida sulla utilizzabilità del credito di imposta acquisito.
Ne discende ogni opportuna valutazione circa le conseguenze di tale contabilizzazione, posto che da un lato l’entità delle perdite produce inevitabili riflessi sugli equilibri di bilancio, dall’altro occorre anche attentamente valutare il penale rilievo di contabilizzazioni non conformi all’effettiva esigibilità dei crediti di imposta provento di condotte artificiose (quantomeno sotto il profilo dell’eventuale sussistenza di ipotesi di condotte penalmente rilevanti ex artt. 2621 e 2622 c.c.)
8. Conclusioni
Gli strumenti penali potenzialmente applicabili alle ipotesi di illeciti correlati alla creazione fraudolenta di crediti di imposta, sono certamente numerosi e si è tentato di illustrarli nei loro tratti essenziali.
Risulta evidente che la precipua natura fiscale degli interessi lesi dalle condotte di frode (che in ultima analisi risultano tutte strumentali condotte di illecita compensazione dei crediti provento di reato con debiti di imposta realmente sussistenti) impone all’interprete una attenta ponderazione dei profili di specialità che, valutati in adesione al canone ermeneutico di cui all’art. 15 c.p., portano a ritenere concretamente applicabili le norme sanzionatorie penal-tributarie con riferimento alle condotte di artificiosa creazione dei crediti e di inserimento di tali falsi crediti nel portale delle cessioni, di poi delle disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 640 e 640 bis c.p. avuto riguardo alla successiva fase delle monetizzazioni.
Altro snodo applicativo di non poco momento è quello relativo alla sorte dei crediti acquistati in buona fede da terzi cessionari, laddove ogni valutazione al riguardo deve essere compiuta non solo utilizzando gli strumenti giuridici previsti dal sistema ma anche considerando sia l’interesse dell’Erario a non essere gravato, quale ultimo destinatario dei crediti di imposta fraudolentemente generati, degli oneri conseguenti alle compensazioni dei crediti inesistenti con debiti reali, sia le ragioni patrimoniali (anche correlati alle informazioni di bilancio destinati ai soci e al pubblico) dei soggetti cessionari.
(Immagine: Charles Bloud,