di Antonio Balsamo e Alessia Fusco
Sommario: 1. Le ragioni di interesse per il tema, a partire dalla trasformazione della “natura” del procedimento di prevenzione patrimoniale – 2. Tassatività processuale e ragionamento probatorio – 3. Un nuovo calcio d’inizio per la partita U.E. sulla confisca: la proposta di una nuova direttiva – 4. NCB, istruzioni per l’uso: il documento ECCD del Consiglio d’Europa – 5. Alcuni rilievi conclusivi.
1. Le ragioni di interesse per il tema, a partire dalla trasformazione della “natura” del procedimento di prevenzione patrimoniale
Uno dei più importanti fattori di evoluzione degli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione è rappresentato oggi dal percorso di costruzione di “regole giuridiche comuni europee e persino universali (…) che incoraggiano la confisca di beni collegati a reati gravi come la corruzione, il riciclaggio, le attività illecite in materia di sostanze stupefacenti e così via, senza la precedente esistenza di una condanna penale”[2].
In questo contesto, emerge una evidente centralità del tema dell’asset recovery: il “recupero dei patrimoni” derivanti dalle attività delittuose di maggiore gravità costituisce un importante terreno di dialogo e di impegno comune anche tra paesi aventi strutture istituzionali ed economiche profondamente diverse tra loro.
Anche nella cultura giuridica italiana, negli ultimi decenni, si è manifestata una chiara consapevolezza della speciale rilevanza del sistema delle misure di prevenzione patrimoniali, disciplinato dal “Codice antimafia”.
Oggi, da parte degli studiosi più autorevoli, questo sistema non viene più considerato come una “anomalia italiana”, ma come uno dei più significativi esempi, a livello internazionale, del modello della confisca non basata sulla condanna (non-conviction based confiscation).
È significativo che proprio il sistema italiano della prevenzione patrimoniale sia divenuto il modello ispiratore delle riforme recentemente introdotte in altri Stati interessati a costruire un rapporto più stretto con l’Unione Europea: ad esempio, la riforma adottata nel 2017 in Albania rispecchia in modo evidente numerose previsioni del nostro “Codice antimafia”.
Nella categoria generale della non-conviction based confiscation rientrano, oltre alle misure di prevenzione patrimoniali italiane, anche una serie di tipologie conosciute da altri ordinamenti, non solo di common law (ad es. quelli del Regno Unito, dell’Irlanda, degli Stati Uniti, dell’Australia) ma anche di civil law. Tra gli esempi più noti, vi sono la civil forfeiture, la confisca in rem, le unexplained wealth procedures.
Tutte queste tipologie sono contrassegnate da una medesima tendenza evolutiva, consistente nella progressiva concentrazione dell’accertamento processuale sugli aspetti economici di un intero fenomeno criminale, in vista della applicazione di misure che incidono essenzialmente sul patrimonio ed hanno una funzione prevalentemente preventiva o compensativa, senza comportare la irrogazione di sanzioni restrittive della libertà personale (le quali, per loro natura, richiedono necessariamente la pronunzia di una condanna penale).
Dall’Analysis of non-conviction based confiscation measures in the European Union pubblicata il 12 aprile 2019 dalla Commissione Europea emerge un dato di indubbio rilievo: in tutti gli Stati dell’Unione Europea sono state introdotte forme di confisca non basate sulla condanna, quantomeno nelle ipotesi in cui è impossibile pervenire ad una sentenza affermativa della responsabilità penale dell’imputato.
Il modello in questione ha ricevuto un forte sostegno anche da un consesso politico internazionale contrassegnato da una intensa cultura garantistica come l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale nella risoluzione n. 2218 del 26 aprile 2018 ha qualificato la non-conviction based confiscation come “il modo più realistico per gli Stati di affrontare l'enorme, e inesorabilmente crescente, potere finanziario della criminalità organizzata, al fine di difendere la democrazia e lo stato di diritto”.
Si assiste, in effetti, a quello che la dottrina ha definito come lo sviluppo inarrestabile della “giustizia penale patrimoniale” (o “processo al patrimonio”)[3]. A ben vedere, l’affermazione della più evolute forme di “confisca senza condanna” è espressione di un percorso di ripensamento delle tradizionali categorie giuridiche che prefigura un vero e proprio passaggio storico: quello della costruzione di un diritto penale “mite” di stampo postmoderno, capace di superare il vecchio modello “individualistico” fondato su un orizzonte stato-centrico e sul primato della pena detentiva, per indirizzarsi decisamente verso la percezione della natura collettiva e della dimensione economica dei più gravi fenomeni criminali, la progressiva diversificazione dei modelli sanzionatori, e la costruzione di nuovi metodi di intervento inseriti nel più ampio scenario delle molteplici forme di reazione affidate non solo al sistema istituzionale ma anche alle iniziative di solidarietà della società civile.
Viene così promossa – per usare le parole di Francesco Palazzo[4] - una giustizia penale dal “volto umano”, aliena da ogni furore punitivo e capace di apprestare una risposta efficace alle sfide della modernità.
Si tratta di un percorso che nel nostro Paese ha ricevuto una spinta decisiva negli anni ’80, quando nella lotta alla mafia sono stati sperimentati metodi di intervento del tutto nuovi, dove efficienza e garanzia sono state viste come due fattori capaci di rafforzarsi a vicenda. Particolarmente significativo, al riguardo, è il pensiero espresso, proprio all’indomani dell’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre, da due dei magistrati più impegnati nella lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Giuliano Turone, secondo cui «il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro, connessi alle attività criminose più lucrose», e di conseguenza «lo sviluppo di queste tracce, attraverso un’indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra, l’aspetto decisamente da privilegiare nelle investigazioni in materia di mafia, perché è quello che maggiormente consente agli inquirenti di costruire un reticolo di prove obiettive, documentali, univoche, insuscettibili di distorsioni, e foriere di conferme e riscontri ai dati emergenti dall’attività probatoria di tipo tradizionale»[5].
Questa impostazione è alla base della dinamica evolutiva che ha valorizzato le potenzialità del sistema italiano delle misure di prevenzione patrimoniali, applicate attraverso un procedimento ad hoc, parallelo e complementare al processo penale. Esso è stato contrassegnato da una incessante evoluzione normativa, che ha progressivamente rafforzato il ruolo della giurisdizione e la tutela dei diritti fondamentali.
Allo stesso modo, nel contesto internazionale, la consapevolezza che l’efficacia della lotta alla criminalità va necessariamente di pari passo con il pieno riconoscimento delle ragioni del garantismo, si è tradotta in una intensa valorizzazione del ruolo della giurisdizione.
Ciò è particolarmente evidente nel settore del contrasto al terrorismo internazionale, dove, per effetto del “dialogo tra le Corti” in tema di congelamento dei beni delle persone fisiche e delle organizzazioni inserite nelle liste formate presso l’ONU dal Comitato per le Sanzioni del Consiglio di Sicurezza (c.d. listing), si è sviluppata una rilevante estensione della “doppia funzionalità” dell’intervento giurisdizionale, visto come uno strumento indispensabile per realizzare un tessuto connettivo tra i diversi ordinamenti e per coniugare la tutela dei diritti con l’effettività della risposta preventiva.
In questo settore si è assistito alla crescente utilizzazione di strumenti già collaudati contro la criminalità organizzata, sulla base dell’avvertita esigenza di adeguare la reazione giuridica all’attuale realtà del finanziamento del terrorismo, che si caratterizza per la diffusa compresenza di risorse lecite e illecite, l'utilizzo di canali informali e lo sfruttamento dell'economia legale[6].
Sono assai numerosi e rilevanti i fattori che hanno condotto ad una crescita di interesse, nelle più diverse sedi di produzione normativa a livello nazionale e internazionale, nei confronti delle forme più moderne di sequestro e di confisca dei beni della criminalità organizzata, divenute ormai il costante modello di riferimento per le strategie di prevenzione e repressione di tutte le principali forme di illecito penale con una precisa dimensione economica, comprese quelle di matrice terroristica, tecnologica o amministrativa.
Il concetto di “dimensione economica” della criminalità organizzata, che sin dagli anni ’80 del secolo scorso è stato il più diffuso paradigma utilizzato nell’analisi scientifica per illustrare le caratteristiche di tale fenomeno, è divenuto parte integrante del sistema giuridico delle Nazioni Unite per effetto della risoluzione 10/4 adottata il 16 ottobre 2020 a Vienna dalla Conferenza delle Parti della Convenzione ONU di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale: un atto che la comunicazione istituzionale[7] e i mass media[8] hanno immediatamente presentato come la “risoluzione Falcone” in quanto essa - con una indicazione nominativa che è rarissima nell’ambito dei documenti ufficiali adottati nel contesto delle Nazioni Unite - menziona specificamente la grande eredità ideale del magistrato italiano che con la sua vita e il suo impegno ha aperto la strada alla stessa Convenzione.
La strada così tracciata è proseguita con la “Dichiarazione di Kyoto”, adottata il 7 marzo 2021 in apertura del Congresso ONU sulla prevenzione della criminalità e la giustizia penale, che presenta tra i propri punti più innovativi e qualificanti l’impegno di affrontare la dimensione economica della criminalità.
Il concetto di “dimensione economica” è idoneo a ricomprendere sicuramente i seguenti profili:
- le radici economiche della criminalità;
- i mercati illegali gestiti dalle organizzazioni criminali;
- l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale;
- gli effetti macroeconomici della criminalità organizzata sulla libertà di concorrenza e sullo sviluppo.
Non si tratta solo di una indicazione di principio, ma di un preciso orientamento di politica criminale, da attuare attraverso una serie di misure concrete. Ai fini del potenziamento delle attività di prevenzione e di contrasto incidenti su quella vastissima rete di beni e rapporti economici destinati alla conservazione ed all’esercizio dei poteri criminali, occorre tenere conto di tre esigenze fondamentali:
- quella di un approccio integrato che comprenda criminalità organizzata e corruzione in una strategia coerente di contrasto;
- quella della armonizzazione delle normative di tutti gli ordinamenti interessati, allo scopo di evitare che le organizzazioni criminali possano approfittare dei vuoti di tutela presenti nei paesi dove non si sono ancora formati i necessari “anticorpi”;
- quella del rafforzamento della cooperazione giudiziaria internazionale, assolutamente indispensabile per affrontare un fenomeno divenuto ormai globale ed estremamente complesso.
2. Tassatività processuale e ragionamento probatorio
Per realizzare congiuntamente le suesposte tre esigenze, può assumere un ruolo di speciale rilevanza la capacità del nostro Paese di dare vita a un “giusto processo al patrimonio”, che divenga un preciso modello di riferimento sulla base del quale dare impulso, da un lato, all’armonizzazione delle legislazioni adottate da numerosi Stati per il contrasto alle diverse forme di criminalità e, dall’altro lato, alla piena circolazione delle misure patrimoniali sia nello spazio giuridico europeo, sia nel contesto internazionale.
Com’è noto, le forme di non-conviction based confiscation solo in epoca recente hanno formato oggetto di disciplina nell’ambito della normativa “eurounitaria”, che in passato aveva già applicato il principio del reciproco riconoscimento alle decisioni giudiziarie della più diversa natura.
Precisamente, il Regolamento (UE) 2018/1805 del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca, dovrebbe applicarsi, secondo il “considerando” n. 13, a tutti i provvedimenti di congelamento e tutti i provvedimenti di confisca emessi “nel quadro di un procedimento in materia penale”, con la precisazione che quello di “procedimento in materia penale” è “un concetto autonomo del diritto dell'Unione interpretato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, ferma restando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo”.
Si tratta di un concetto che comprende tutti i tipi di sequestro e di confisca “emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato” e va sicuramente oltre i confini della Direttiva 2014/42/UE, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea, la quale aveva perseguito l’obiettivo della armonizzazione delle legislazioni nazionali in questa materia, limitando però il proprio ambito di operatività al settore penale.
Nel suddetto “considerando” n. 13 viene, infatti, espressamente affermato che il nuovo Regolamento “contempla inoltre altri tipi di provvedimenti emessi in assenza di una condanna definitiva”, e si aggiunge che “benché tali provvedimenti possano non esistere nell'ordinamento giuridico di uno Stato membro, lo Stato membro interessato dovrebbe essere in grado di riconoscere ed eseguire tali provvedimenti emessi da un altro Stato membro”. Per converso, però, si precisa che i provvedimenti di sequestro e confisca “emessi nel quadro di procedimenti in materia civile o amministrativa” dovrebbero essere esclusi dall'ambito di applicazione del Regolamento.
Si è, dunque, in presenza di un persistente problema applicativo a proposito della inclusione nella sfera di operatività del Regolamento delle misure di prevenzione patrimoniali italiane, le quali, al pari di analoghe ipotesi contemplate da altri ordinamenti, da un lato sono qualificabili come provvedimenti “emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato”, ma dall’altro lato, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, restano soggette soltanto ai principi del “processo equo” valevoli per le controversie su diritti ed obbligazioni di carattere civile, di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, in quanto sono applicate attraverso una procedura in rem, si sostanziano in forme di regolamentazione dell’uso dei beni in conformità all’interesse generale, e sono quindi riconducibili alla previsione dell’art. 1, § 2, del Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU[9].
Per eliminare ogni dubbio sulla inclusione delle misure di prevenzione patrimoniali nell’area di operatività del nuovo regolamento, la soluzione preferibile sembra essere quella di una estensione al relativo procedimento di tutte le garanzie previste dall’art. 6, §§ 1 e 3, della CEDU in rapporto alla materia penale.
Viene così ulteriormente sviluppato l’approccio culturale sotteso all’attività di quella parte della giurisprudenza di merito che, valorizzando lo strumento delle misure di prevenzione patrimoniali, ha circondato il relativo procedimento di una serie di garanzie tale da rendere possibile la circolazione dei provvedimenti di sequestro e di confisca sia nello spazio giuridico europeo, sia nel territorio di paesi posti al di fuori dell’Unione Europea.
Di particolare interesse sono, al riguardo, le già citate sentenze adottate dal Tribunale Penale Federale della Svizzera il 2 giugno 2016, il 21 gennaio 2011 e l’1 dicembre 2010, che hanno accolto le richieste di cooperazione giudiziaria internazionale formulate dall’autorità giudiziaria italiana in relazione a beni situati nel territorio elvetico.
Muovendo dalla premessa che la cooperazione giudiziaria internazionale può essere attivata solo nell'ambito di un procedimento penale, il Tribunale Penale Federale ha affrontato la questione concernente la natura giuridica del procedimento di prevenzione, sul presupposto della non vincolatività esegetica della qualificazione giuridica adottata dal legislatore nazionale.
In questa prospettiva, i giudici svizzeri, hanno ravvisato la sussistenza dei presupposti della mutual legal assistance nell'ambito di ogni procedimento che, sebbene non formalmente penale, sia preordinato all'apertura di un procedimento penale, all'esercizio dell'azione penale o sia comunque collegato ad un procedimento penale.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Tribunale elvetico ha accolto la tesi della natura sostanzialmente penale del procedimento di prevenzione patrimoniale, richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ne conferma la piena compatibilità con i principi dell'equo processo e del diritto di difesa, sanciti dall’art. 6 della CEDU.
Dunque i profili garantistici effettivamente applicati, assimilabili a quelli di un procedimento penale in senso stretto, costituiscono elementi inferenziali, per i giudici elvetici, della natura penale del procedimento di prevenzione[10].
Evidentemente, alla base di questa valutazione compiuta dall’autorità giudiziaria estera, vi è stata la capacità della magistratura italiana di costruire un “diritto vivente” del contrasto alle basi patrimoniali della criminalità organizzata connotato in senso ampiamente conforme agli standard internazionali del “processo equo”[11].
Nelle migliori esperienze applicative, infatti, il procedimento di prevenzione patrimoniale ha rivelato una sicura idoneità ad attuare pienamente i principi di efficienza e di garanzia, grazie alla riconosciuta possibilità di utilizzare il complesso dei mezzi di prova tipici del sistema penale (avvalendosi anche di banche dati basate sulla più moderna tecnologia), di concentrare l’accertamento processuale sull’analisi delle dinamiche finanziarie e di accumulazione patrimoniale avvalendosi anche del contributo di esperti provenienti da altre istituzioni (come la Banca d’Italia), di consentire una ampia esplicazione del diritto di difesa, e di fondare la decisione finale su un elevato livello di approfondimento degli aspetti fattuali e giuridici. Si tratta di una linea di pensiero che risale alla teorizzazione del modello delle indagini finanziarie contro la criminalità organizzata da parte di Giovanni Falcone e al suo «forte richiamo allo Stato di diritto ed al rispetto della legalità, proprio nel momento in cui l’accresciuta virulenza del crimine organizzato suscita suggestioni crescenti di interventi autoritari e di leggi eccezionali»[12].
I risultati concreti di questa costruzione giurisprudenziale meritano adesso di essere cristallizzati in una appropriata regolamentazione legislativa, la cui necessità appare sempre più evidente nello scenario aperto dalla sentenza de Tommaso della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo[13], che, nel ribadire l’esigenza della previsione legislativa delle misure di prevenzione, ha posto in evidenza il profilo della qualità della legge, nel duplice senso della accessibilità del testo normativo per gli interessati e della prevedibilità dei suoi effetti.
Nel prendere in esame le conseguenze “sistemiche” della suddetta pronuncia sul piano del diritto interno, la Corte Costituzionale[14] ha tracciato una rilevante distinzione tra il concetto di tassatività sostanziale - attinente al rispetto del principio di legalità sulla base degli artt. 41 e 42 Cost., nonché dell’art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla CEDU, ed inteso quale garanzia di precisione, determinatezza e prevedibilità degli elementi costitutivi della fattispecie legale che costituisce oggetto di prova - e il concetto di tassatività processuale.
Quest’ultimo concetto, secondo il Giudice delle leggi, attiene alle modalità di accertamento probatorio in giudizio, ed è quindi riconducibile a differenti parametri costituzionali e convenzionali – tra cui il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e il diritto a un “giusto processo” ai sensi dell’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU – i quali sono comunque dotati di «fondamentale importanza al fine di assicurare la legittimità costituzionale del sistema delle misure di prevenzione».
Il ruolo del principio di tassatività processuale in questa materia è rimasto finora quasi del tutto inesplorato; esso però sembra sicuramente destinato a crescere in un prossimo futuro, anche per la sua connessione con la garanzia della certezza del diritto affermata dalla Corte europea come requisito implicito essenziale del “processo equo”.
La tassatività processuale forma quindi oggetto di un preciso obbligo di matrice costituzionale e convenzionale, che grava non solo sul legislatore ma anche sull’interprete, riferendosi agli standard qualitativi – in termini di precisione, determinatezza e prevedibilità – di una nozione di legalità che include in sé, oltre al materiale normativo, anche il formante giurisprudenziale.
A fronte di quest’obbligo, la disciplina contenuta nel Codice antimafia appare ancora assai carente, risolvendosi in una regolamentazione vistosamente sommaria e antiquata di una materia di estrema rilevanza e attualità. Le norme dedicate dal Codice antimafia al procedimento di prevenzione patrimoniale sono, per molti aspetti, così scarne da rendere possibili prassi applicative del tutto diverse tra loro, e per nulla prevedibili dai soggetti interessati.
Emerge quindi con chiarezza la necessità della costruzione di un “giusto procedimento di prevenzione” con una riforma legislativa che riempia i vastissimi “spazi interstiziali” lasciati vuoti dalla lacunosa disciplina attualmente contenuta nel Codice antimafia, implementando in modo efficace tutte le garanzie processuali previste dall’art. 6, § 3, della CEDU in rapporto alla materia penale: si tratta di un passaggio che assume una valenza decisiva sia per assicurare il rispetto dei principi costituzionali e convenzionali, sia per internazionalizzare le strategie di contrasto alle basi economiche delle organizzazioni criminali[15].
3. Un nuovo calcio d’inizio per la partita U.E. sulla confisca: la proposta di una nuova direttiva
Nell’ambito delle iniziative adottate sul piano sovranazionale per incrementare le potenzialità dello strumento della confisca di prevenzione ai fini del contrasto alla criminalità organizzata, merita specifica considerazione la proposta di direttiva riguardante il recupero e la confisca dei beni adottata a Bruxelles il 25 maggio del 2022 dal Parlamento e dal Consiglio.
Sin dalle prime battute, le istituzioni dell’U.E. sottolineano quanto lo strumento della confisca sia essenziale per garantire la sicurezza all’interno dell’Unione. Attraverso un riferimento esplicito alla Strategia dell’U.E. per la lotta alla criminalità organizzata 2021-2025[16], si pone il focus sulla necessità di colpire il profitto economico, scopo principale delle reti della criminalità organizzata. In questa prospettiva, introdurre disposizioni normative a ulteriore presidio delle operazioni di confisca e recupero dei beni si pone come una priorità dell’Unione per conseguire l’obiettivo che «il crimine non paghi»[17].
Un nuovo atto normativo in materia si è reso per di più necessario all’indomani dello scoppio del conflitto russo-ucraino. Misure restrittive che colpiscono il patrimonio – sotto forma di congelamenti di beni, restrizioni all’ammissione, clausole anti-elusione – sono state irrogate nei confronti di Russia e Bielorussia, sulla scorta di quanto già disposto nel 2014 in risposta all’annessione illegale di Crimea e Sebastopoli.
Sul piano internazionale, la proposta di direttiva è sinergica rispetto ad alcune misure adottate su scala mondiale. In particolare, si pone in linea con le Convenzioni ONU sulla criminalità organizzata e i relativi protocolli, la Convenzione ONU contro la corruzione, la Convenzione di Varsavia del Consiglio d’Europa e la raccomandazione n. 4 del GAFI, il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale: il cuore normativo di tali atti è l’imposizione agli Stati parte di introdurre provvedimenti atti a congelare e confiscare I beni che risultino connessi ad attività criminali.
L’art. 83 TFUE costituisce la base giuridica della direttiva in oggetto: esso è uno dei fulcri della cooperazione giudiziaria in materia penale e include la criminalità organizzata nel novero delle «sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale». Insieme con l’art. 83, anche gli art. 82 e 87 contribuiscono a delineare la base giuridica delle nuove misure, rispettivamente per i meccanismi di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale e per la cooperazione transfrontaliera in materia di indagini.
Di facile deduzione risultano la necessarietà e l’opportunità dell’intervento U.E. in tema di contrasto alla criminalità organizzata: il rispetto del principio di sussidiarietà si evince per tabulas dalla pervasività del fenomeno e dalla fatica che i singoli Stati membri incontrano nel combatterla motu proprio e, in questa direzione, l’introduzione di una norma minima comune si impone in ossequio al principio di proporzionalità.
La direttiva in commento accorpa in un unico atto la decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio, la decisione del Consiglio relativa agli uffici per il recupero dei beni e la direttiva relativa alla confisca, stabilendo norme comuni per il reperimento e l'identificazione, il congelamento, la gestione e la confisca dei beni. La scelta di procedere alla riunione in un’unica direttiva di più atti normativi vigenti va oltre mere esigenze di drafting e si mostra maggiormente idonea a perseguire la realizzazione dello scopo principale attraverso una strategia più efficace anche sul piano normativo. La scelta della direttiva, fondata sulle basi giuridiche predette, assegna agli Stati un margine di manovra rilevante nell’individuazione, attraverso gli atti normativi di recepimento, delle linee di azione realizzative degli scopi fissati dall’Unione.
Misure restrittive della capacità patrimoniale del soggetto, come quelle attualmente in discussione, chiamano in gioco numerosi diritti fondamentali. La proposta di direttiva contiene un rimando esplicito al rispetto di questi ultimi, per come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., e segnatamente a quella clausola, contenuta nell’art. 52, che pone in stretta connessione principio di proporzionalità e finalità legittima di realizzare obiettivi di interesse generale dell’U.E. e salvaguardia dei diritti e delle libertà di tutti.
L'ingerenza delle misure proposte nei diritti fondamentali (compresi segnatamente i diritti di proprietà) è giustificata dalla necessità di privare efficacemente i criminali e in particolare la criminalità organizzata dei loro beni illeciti, in quanto questi rappresentano sia la principale ragione che li induce a commettere reati, sia i mezzi per proseguire ed espandere le loro attività criminose. Le misure proposte sono limitate a quanto necessario per conseguire tale obiettivo. Il nuovo modello di confisca introdotto è giustificato dalle difficoltà intrinseche nel ricondurre i beni a specifici reati nei casi in cui il proprietario è coinvolto in attività della criminalità organizzata che consistono in molteplici reati commessi lungo un arco di tempo prolungato. Infine, il rispetto dei diritti fondamentali sarà assicurato mediante garanzie che comprendono efficaci mezzi di ricorso a disposizione dell'interessato per tutte le misure previste nella direttiva proposta, comprese le nuove prescrizioni riguardanti le vendite pre-confisca o il nuovo modello di confisca.
Non va tralasciata, da ultimo, l’attività di stakeholders engagement avviata in fase di redazione della proposta di direttiva. Law Enforcement Agencies, soggetti privati, enti territoriali, università, organizzazioni non-governative, organizzazioni internazionali, istituzioni europee, centri di ricerca sono stati opportunamente consultati per individuare le misure normative più opportune alla luce degli interessi concretamente presenti nella realtà fattuale.
Monitorando l’iter di formazione dell’atto legislativo, si osserva che il 22 maggio 2023 la Presidenza del Consiglio U.E. ha trasmesso al Comitato dei Rappresentanti permanenti e al Consiglio un general approach relativo alla proposta della Commissione[18]. Si tratta di uno strumento attraverso cui l’istituzione U.E. si preoccupa di fornire agli Stati membri indicazioni circa il recepimento della Direttiva che verrà, in particolare per quel che concerne le operazioni di individuazione dei beni, che saranno organizzate secondo le regole degli ordinamenti interni, e che si dovranno svolgere in sinergia con i recovery offices. È meritevole di attenzione il riferimento al trattamento dei dati, il cui accesso diretto e immediato dovrà essere garantito, con speciale riferimento alle categorie di dati sensibili, quali i dati fiscali e i dati nazionali di sicurezza sociale: per quanto concerne tali categorie, gli Stati membri dovranno garantire ai recovery offices «un accesso rapido in conformità al diritto nazionale e nella misura in cui ciò sia necessario al fine del rintracciamento e dell’identificazione di proventi, strumenti e proprietà»[19].
L’interesse delle istituzioni U.E. nei confronti dei problemi oggetto della direttiva è pressante. Nella seduta dell’8 e 9 giugno 2023, il Consiglio ha avuto modo di adottare alcune posizioni comuni, prodromiche alla negoziazione con il Parlamento europeo nel contesto della procedura legislativa ordinaria, relative a temi cui esso assegna una rilevante priorità nelle sue strategies: tra questi, appunto la lotta alla criminalità organizzata, che l’istituzione intende rafforzare nel rispetto della tutela dei diritti fondamentali[20].
4. NCB, istruzioni per l’uso: il documento ECCD del Consiglio d’Europa
Nell’aprile del 2021, il Consiglio d’Europa, attraverso l’Economic Crime and Cooperation Division (di seguito: ECCD), ha ribadito quanto lo strumento della NCB possa essere decisivo per la lotta alla criminalità organizzata e, in un paper, ha consegnato alla comunità della c.d. “Grande Europa” alcune “istruzioni per l’uso” riferite a tale strumento[21]. Come noto, il tema non è nuovo per il Consiglio d’Europa, che vi ha profuso la sua attenzione anche sul piano normativo, introducendo, nel 1990, la Convention on Laundering, Search, Seizure and Confiscation of the Proceeds from Crime[22], in cui la confisca è definita «following proceedings in relation to a criminal offence or criminal offences resulting in the final deprivation of property». Sul piano delle fonti del diritto internazionale convenzionale, tra quelle che maggiormente disciplinano l’oggetto in questione, è opportune fare riferimento alla Convenzione ONU di Palermo, alla Convenzione di Vienna e alla Convenzione di Merida[23].
La lettura del paper del 2021 aiuta a rinvenire la genesi della NCB sul terreno anglosassone. A tal proposito, è riportato un passo assai significativo di uno speech parlamentare di Lord Goldsmith:
Someone at the centre of a criminal organisation may succeed in distancing himself sufficiently from the criminal acts themselves so that there is not sufficient evidence to demonstrate actual criminal participation on his part. Witnesses may decline to come forward because they feel intimidated. Alternatively, there may be strong evidence that the luxury house … the yachts and the fast motor cars have not been acquired by any lawful activity because none is apparent. It may also be plain from intelligence that the person is someone engaged in criminal activity, but it may not be clear what type of crime. It could be drug trafficking, money laundering or bank robbery. However, the prosecution may not be able to say exactly what is the crime, and thus the person will be entitled to be acquitted of each and every offence. If, in a criminal trial, the prosecution cannot prove that the person before the court is in fact guilty of this bank robbery or that act of money laundering, then he is entitled to be acquitted. Yet it is as plain as a pikestaff that his money has been acquired as the proceeds of crime[24].
L’ECCD compie un’interessante rassegna della confisca in vari ordinamenti - non solo degli Stati parte del Consiglio d’Europa - volta a dimostrare come lo strumento della NCB si sia inverato in modi differenti nelle esperienze dei singoli Stati e come, in alcuni Paesi, la cattura dei proventi illeciti non sia condotta in alcun modo. Degno di nota è il riferimento all’ordinamento italiano e alle previsioni del codice antimafia. Sul punto della definizione della pericolosità generica, non appare corretto il riferimento all’art. 1 del Codice antimafia, in particolare ove si afferma che il carattere di detta pericolosità è da provarsi in relazione alle stesse regole che presiedono la prova nel processo penale. Il tratto distintivo della NCB che si ricava dall’analisi dei vari modelli presentati è da rinvenirsi in una base probatoria solida su cui fondare lo strumento e nella remissione della valutazione in capo all’applicazione della confisca a un tribunale specializzato o a un giudice anziano.
Centrale è altresì l’analisi dei benefits e challenges compiuta dall’ECCD.
Il piano delle sfide è dominato dai rischi connessi al mancato presidio delle garanzie processuali penali. Applicare una NCB significa incidere in modo massiccio nell’ambito dei diritti fondamentali della persona, che viene spogliata dei suoi beni, senza che tale procedimento sia garantito dalle regole del processo penale. In particolare, non dovrebbero essere sottovalutati lo stress e lo stato di incertezza giuridica arrecati al preposto. Un pregiudizio serio si misura in relazione all’ambito della civic constitutional culture e all’impatto che un procedimento di prevenzione potrebbe avere sul cittadino. Un soggetto cui è applicata la misura della confisca – che comporta un depauperamento della sua capacità patrimoniale – potrebbe erroneamente credere di essere coinvolto in un procedimento penale, a motivo della rilevanza delle accuse a suo carico.
Da un lato, a ben vedere, la confisca dei beni acquisiti illegalmente - che pure colpisce le proprietà e non la persona - ha effetti che si avvicinano nella percezione sociale a quelli dei procedimenti penali. Dall’altro, una puntuale informazione dei soggetti coinvolti è resa necessaria dall’assenza di connessione automatica tra sequestro dei beni e comportamento illecito del loro detentore, laddove la proprietà confiscata sia passata nelle mani di terzi, i quali non siano direttamente responsabili di comportamenti di rilevanza penale. Questi ultimi devono in ogni momento poter esercitare il loro diritto alla conoscenza della natura dei procedimenti in corso ed essere in grado di opporvisi.
Un’ulteriore criticità collegata alla NCB risiede nella debolezza dell’onere della prova e nel conseguente rischio che la sanzione comminata risulti sproporzionata rispetto all’entità delle situazioni contestabili sulla base delle prove fornite. La relativa facilità con cui è possibile accedere a misure gravemente penalizzanti sul piano patrimoniale potrebbe incoraggiare le autorità giudiziarie a servirsi di preferenza della via civile, anziché della via penale, come strumento di sanzione dell’illecito. Strategie di questo tipo, emerse per esempio nel Regno Unito (nell’ambito della causa Regina vs. Innospec Limited), hanno suscitato i rilievi critici degli osservatori, colpiti dalle potenzialità delegittimanti che, agli occhi dell’opinione pubblica, può avere la scelta di perseguire comportamenti criminali gravi - in quel caso, la corruzione di pubblici ufficiali - con dei mezzi civili, i quali del resto, non prevedendo misure di custodia, rischiano di essere inefficaci nel disincentivare dai reati contestati.
Garanzie per i soggetti coinvolti e uso non arbitrario sono, insomma, le condizioni necessarie di un efficace esercizio della NCB, che non può servire come un surrogato del processo penale laddove questo sia possibile e opportuno, ma si rivela efficace nella misura in cui, venuta meno la possibilità di perseguire penalmente i presunti criminali, permette di danneggiarli concretamente sul piano economico.
5. Notazioni conclusive
Nell’analisi svolta si è cercato di far emergere quanto sdrucciolevole sia il terreno, sostanziale e processuale, della prevenzione patrimoniale. Nata come strumento potente della lotta contro la criminalità organizzata, essa sconta alcune lacune vistose sul piano della fairness procedimentale, a cominciare dallo scarso inveramento del principio di tassatività processuale. L’introduzione di maggiori e più adeguati presidi nell’ambito procedimentale è postulata con forza dalla delicatezza degli interessi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale: da un lato, l’interesse dello Stato a emettere provvedimenti ablativi del patrimonio che colpiscano al cuore nuclei criminogenetici; dall’altro, l’interesse del singolo a confidare su regole formulate in modo chiaro e prevedibile, che siano in linea con gli standard sovranazionali. Appunto in questa direzione, volgendo lo sguardo al panorama sovranazionale, si ha come la percezione di uno iato esistente tra la prescrizione - o, in ogni caso, l’indicazione - da parte di istituzioni dell’U.E., da un lato, e di organi internazionali, dall’altro, di soglie di legalità atte a garantire il cittadino nei procedimenti di prevenzione e l’ubi consistam delle misure di prevenzione patrimoniale sul terreno dei singoli ordinamenti nazionali.
In questa prospettiva, il caso italiano mostra dei tratti emblematici, a cominciare dalla vexata quaestio inerente la natura penale dell’intero sistema processuale della prevenzione. Trattasi di una discussione che si connota a tratti come stantia e poco aggiornata: copiosa giurisprudenza di merito, di legittimità e costituzionale italiana, che si rifà anche a precedenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, argomenta la natura civile-amministrativa del procedimento di prevenzione basandosi su precedenti della Corte europea dei diritti dell’uomo[25] che trovano la loro origine in un momento storico in cui l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali era effettuata congiuntamente a quella delle misure di prevenzione personali. Sinora, però, non è rintracciabile un precedente in cui la Corte europea abbia scrutinato la questione della natura della confisca di prevenzione - misura patrimoniale - applicata disgiuntamente dalle misure personali.
Nell’ambito del procedimento di prevenzione patrimoniale, le carenze applicative del principio di tassatività processuale rendono evidente la “frode delle etichette”[26]: la scarsità delle garanzie non aiuta di certo a costruire il rispetto delle regole del giusto processo in un procedimento che, appunto in quanto autonomo rispetto al procedimento penale, esige un intervento chirurgico dello Stato nella costruzione dei suoi presidi. Il recupero della vera natura del procedimento di prevenzione patrimoniale passa anche attraverso la costruzione di un giusto procedimento della prevenzione.
*Lo scritto riprende, con alcune modifiche, il contributo destinato a Galileu – Rivista di Diritto ed Economia del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Autonoma di Lisbona.
[1]Sebbene frutto di una riflessione congiunta dei due autori, i paragrafi 1 e 2 sono stati scritti da Antonio Balsamo, mentre i paragrafi 3, 4 e 5 da Alessia Fusco.
[2] Corte europea dei diritti dell’uomo, 12 maggio 2015, Gogitidze e altri c. Georgia.
[3] Luparia, Contrasto alla criminalità economica e ruolo del processo penale: orizzonti comparativi e vedute nazionali, in Processo penale e giustizia, 2015, n. 5, 5.
[4] Palazzo, Diritti, pena e…Antigone, in disCrimen, 2020.
[5] Falcone - Turone, Tecniche di indagine in materia di mafia, in AA.VV., Riflessioni ed esperienze sul fenomeno mafioso, Quaderni del CSM, Roma, 1983, 46.
[6] Balsamo, La prevenzione ante-delictum, in AA.VV., Contrasto al terrorismo interno e internazionale, a cura di Kostoris-Orlandi, Giappichelli, 2006.
[7] Cfr. la lettera dei Ministri degli Esteri, dell’Interno e della Giustizia, "Su quali gambe cammineranno le idee di Falcone", in Corriere della Sera, 13 dicembre 2020.
[8] V. ad esempio Ribaudo, L’Onu vota la «risoluzione Falcone». Il metodo del giudice ispirerà la lotta alle mafie del mondo, in www.corriere.it, 17 ottobre 2020; Mafie, ok a Vienna a "risoluzione Falcone". La sorella Maria: "Grande traguardo", in www.repubblica.it , 17 ottobre 2020.
[9] Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; 15 giugno 1999, Prisco c. Italia; 5 gennaio 2010, Bongiorno e altri c. Italia. Con riguardo alle forme di forfeiture previste nell’ordinamento inglese rispettivamente dal Drug Trafficking Act 1994 e dal Criminal Justice (International Co-operation) Act 1990, v. Corte europea dei diritti dell’uomo, 27 giugno 2002, Butler c. Regno Unito, e 10 febbraio 2004, Webb c. Regno Unito, che le qualificano come misure preventive non assimilabili a sanzioni penali, in quanto finalizzate a togliere dalla circolazione denaro presumibilmente connesso al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, all’esito di un procedimento che non implica una decisione su un’accusa penale.
[10] In proposito, si rinvia a Balsamo – Luparello, La controversa natura delle misure di prevenzione patrimoniali, in Le misure di prevenzione, a cura di Furfaro, Utet, 2013.
[11] Sull’argomento si rinvia a Balsamo – Recchione, Mafie al Nord. L'interpretazione dell'art. 416 bis c.p. e l'efficacia degli strumenti di contrasto, in www.penalecontemporaneo.it, 18 ottobre 2013.
[12] Falcone, La lotta alla mafia - perché si vince coi giudici, in La Stampa, 6 novembre 1991.
[13] Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, su cui v. i commenti di Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in www.penalecontemporaneo.it, 3 marzo 2017; Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità̀ generica: la Corte Europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità̀ della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in www.penalecontemporaneo.it, 6 marzo 2017, 13 ss.; Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità̀ convenzionale del sistema della prevenzione, in www.penalecontemporaneo.it, 26 aprile 2017.
[14] C. cost., 24 gennaio 2019, n. 24.
[15] In proposito, si rinvia a Balsamo, Le misure di prevenzione patrimoniali. profili processuali, in La legislazione antimafia, a cura di Mezzetti - Luparia, Zanichelli, 2020.
[16] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52021DC0170.
[17] Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, Recupero e confisca dei beni: garantire che "il crimine non paghi" (COM(2020) 217 final del 2.6.2020.
[18] Disponibile all’URL https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9314-2023-INIT/en/pdf.
[19] Ibidem, § 17 (trad. nostra).
[20] Così il Ministro della Giustizia svedese, Gunnar Strömmer: «Combatting organised crime is a top priority for the Swedish presidency. The important decisions made today will improve the capability of law enforcement to fight organised crime, at the same time respecting fundamental human rights. This will strengthen the freedom and security of all citizens in the EU member states» (cfr. https://www.consilium.europa.eu/en/meetings/jha/2023/06/08-09/).
[21]https://www.coe.int/en/web/corruption/-/eccd-publishes-a-paper-on-the-use-of-non-conviction-based-seizure-and-confiscation.
[22] Council of Europe Convention on Laundering, Search, Seizure and Confiscation of the Proceeds from Crime (ETS No.141), Article 1(d).
[23] Un esame dei profili convenzionali sul tema è compiuto da Balsamo, Le misure patrimoniali tra armonizzazione e cooperazione giudiziaria internazionale, in Balsamo-Mattarella-Tartaglia, La Convenzione di Palermo: il future della lotta alla criminalità organizzata transnazionale, Giappichelli 2020, 257 ss.
[24] House of Lords Debate 25 June 2002, vol 636, cols 1270-71, per Lord Goldsmith.
[25] CtEDU Raimondo c. Italia, Prisco c. Italia e Bongiorno c. Italia.
[26] Già denunciata, ad esempio, nei confronti dell’ordinamento italiano, dal giudice portoghese Paulo Pinto de Albuquerque nella sua opinione dissenziente in CtEDU, De Tommaso c. Italia. Attesa la natura di «incubatrice dell’indirizzo giurisprudenziale di domani» (l’espressione, del Presidente della Corte suprema federale Earl Warren, è riportata da P. Barile, Risposta a Per un miglioramento della comprensione e della funzionalità della giustizia costituzionale, in Democrazia e diritto, 1963, 509) posseduto dalle opinioni dissenzienti e, in generale, separate, non sorprenderebbe se il contenuto argomentativo dell’opinione del giudice Pinto potesse essere ripreso in un nuovo arresto della Corte europea sul punto.
(Immagine: Victor Dubreuil, Take One, olio su tela, circa 1886)