La spada penale trafigge i rave party. Osservazioni attorno al nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi (art. 434 bis c.p.)” di Licia Siracusa
Sommario: 1. La genesi politico-criminale del nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi” - 2. Il primo comma dell’art. 434 bis c.p.: la condotta di invasione arbitraria a scopo di raduno - 3. I soggetti attivi del reato - 4. Note conclusive - 5. La proposta di emendamento del Governo volta a “normalizzare” la disposizione.
1. La genesi politico-criminale del nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi”
Con il Decreto-legge 31 ottobre 2022 n.162, il governo in carica ha introdotto nel codice penale, all’art. 434 bis, la nuova figura delittuosa dell’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Il fine dichiarato dell’intervento normativo è di prevenire e contrastare il fenomeno “dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (c.d. rave party)”; come si legge testualmente nella - per la verità, stringatissima - relazione illustrativa della disposizione.
Mai, come in questo caso, la sintesi giornalistica utilizzata dai mezzi di comunicazione per commentare una nuova fattispecie di reato è riuscita ad esprimere in maniera tanto precisa le reali finalità politico-criminali perseguite dal legislatore e le effettive intenzioni del Governo: l’art. 434 bis c.p. è stato concepito sin dal principio come una norma penale “anti-rave party[1]”. Tanto la citata Relazione illustrativa, quanto le dichiarazioni ufficiali rese dalla Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro degli Interni hanno chiaramente confermato come l’obiettivo dell’esecutivo sia di punire i partecipanti e soprattutto, i promotori e gli organizzatori dei c.d. “rave party[2]”.
Altrettanto di rado, lo slogan securitario posto alla base di un’opzione di politica-criminale è stato palesato in modo tanto inequivoco e senza alcun tipo di infingimento da parte delle forze politiche promotrici: si intende colpire con durissime sanzioni penali il fenomeno dei rave party. Poco importa se, così facendo, vi è il rischio di introdurre norme penali incostituzionali; o se ciò determina una pericolosa deviazione dai canoni di sussidiarietà, frammentarietà ed extrema ratio che dovrebbero guidare le scelte di incriminazione del legislatore verso un modello di diritto penale razionalmente orientato. Il fine giustifica i mezzi.
A fronte di cotanta nettezza, risulterebbe dunque ridondante - oltre che scientificamente improficuo - restringere le ragioni di un’analisi dettagliata della nuova incriminazione esclusivamente all’urgenza di stigmatizzarla come un’ennesima manifestazione di populismo penale da parte del legislatore[3]. Che si tratti di un intervento normativo generato dall’irrazionale “passione di punire” che affligge l’età contemporanea[4], non vi è alcun dubbio. Lo stesso legislatore non ne ha, del resto, fatto mistero.
Più che per i profili di politica-criminale, la nuova fattispecie incriminatrice suscita invero interesse per aspetti squisitamente tecnici. Dal punto di vista lessicale e strutturale, essa appare talmente farraginosa, sciatta e tautologica da mettere a dura prova l’abilità esegetica anche di penalisti di chiara fama[5]. Il tentativo di attribuirle un qualche plausibile significato mette di fronte ad un vero e proprio rompicapo da cui si può ricavare una cartina di tornasole rispetto ad una modalità di errato utilizzo delle categorie penalistiche; un esempio paradigmatico di come non andrebbe (mai) scritta una norma penale incriminatrice.
2. Il primo comma dell’art. 434 bis c.p.: la condotta di invasione arbitraria a scopo di raduno
Il primo errore tecnico commesso dal legislatore nella formulazione della nuova fattispecie si rinviene nell’incipit della stessa. La norma non si apre con la descrizione del fatto tipico, ma con una definizione esplicativa della rubrica che viene peraltro tautologicamente ripetuta nel contenuto della disposizione.
Com’è noto, le norme di carattere definitorio hanno lo scopo di chiarire il significato di elementi costitutivi del fatto tipico o di nozioni utilizzate dal legislatore penale con riferimento ad una pluralità di fattispecie incriminatrici (es. la definizione di pubblico ufficiale ex art. 357 comma 2 c.p.; la nozione di cosa mobile rilevante nell’ambito dei reati contro il patrimonio - art. 624 comma 2 c.p. etc.). Spetta invece alle norme penali incriminatrici il compito di descrivere la condotta tipica penalmente rilevante ed i soggetti attivi della stessa (es. chiunque cagiona la morte di un uomo etc.); ossia, contengono il precetto penalmente rilevante che opera nei confronti dei destinatari come un divieto.
Nel caso dell’art. 434 bis c.p., il legislatore compone la norma penale incriminatrice alla stregua di una norma definitoria, confondendo nella sostanza i due tipi di disposizioni e commettendo un imperdonabile errore tecnico. Bisogna così scorrere la disposizione sino ai commi successivi per riuscire ad individuare i soggetti attivi del reato; rispettivamente, i promotori e gli organizzatori dell’invasione (comma 1) e i partecipanti all’invasione stessa (comma 2). All’insolita scelta di impiegare una tecnica normativa di tipo definitorio nella redazione di una norma incriminatrice si aggiunge poi la sciatteria linguistica dell’aver utilizzato un verbo - “consistere” - che nel contesto della disposizione incriminatrice risulta del tutto pleonastico.
L’espressione “consiste” viene in genere usata per indicare gli elementi costitutivi di un dato di realtà, empiricamente definito. Il “consistere di qualcosa” ha infatti a che fare più con la dimensione ontologica di un ente materialmente esistente, che non con gli elementi di una fattispecie normativa astratta. Se anche si vuole utilizzare tale verbo per delineare i contrassegni di una fattispecie normativa tipica, l’impiego dello stesso all’interno di una norma incriminatrice suona come un’evidente tautologia. È come se, nel descrivere la condotta tipica del reato di omicidio, il legislatore esordisse nel seguente modo: «l’omicidio consiste nel cagionare la morte di un uomo». Si tratta di una trascuratezza linguistica davvero inaccettabile da parte di chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il lessico delle norme penali.
Dopo aver superato l’ostacolo espressivo, il lettore si imbatte finalmente nella descrizione degli elementi costitutivi del fatto tipico. Viene sanzionata l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici e privati. Evidente è, qui, il rinvio alla condotta tipica del reato di invasione arbitraria di terreni o edifici pubblici o privati commessa al fine di occupazione o di trarne altrimenti profitto (art. 633 c.p.). In entrambe le fattispecie incriminatrici, si punisce la condotta di invasione di un immobile realizzata arbitrariamente; ossia, commessa contra ius o in assenza di un legittimo titolo di accesso e per un periodo di tempo apprezzabile[6].
Rispetto alla fattispecie gemella, l’art. 434 bis c.p. presenta però una serie di elementi eterogenei. La prima differenza si rintraccia nel numero dei partecipanti all’invasione che nel nuovo delitto deve essere necessariamente superiore a cinquanta. Il secondo elemento differenziale investe invece il dolo specifico. Nella norma “anti-rave”, il fine di occupare o di trarre altrimenti profitto che connota l’invasione lesiva dell’altrui patrimonio viene sostituito dallo scopo di organizzare un raduno.
Nonostante le numerose affinità, la neonata disposizione non sembra tuttavia norma speciale rispetto all’art. 633 c.p.[7]; a meno di non voler ritenere che essa sia legata all’omologa fattispecie patrimoniale da un rapporto di specialità reciproca. Ciascuna delle due disposizioni incriminatrici presenta in effetti un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici rispetto ai corrispondenti elementi dell’altra norma incriminatrice. Non si può, dunque, escludere che le due norme incriminatrici concorrano effettivamente; anche tenuto conto che ciò verrebbe avvalorato dall’eterogeneità dei rispettivi beni giuridici oggetto di tutela: il patrimonio nell’art. 633 c.p.; l’incolumità pubblica, la salute pubblica e l’ordine pubblico nel nuovo delitto di invasione arbitraria per raduni.
Dal punto di vista del reale disvalore penale sostanziale però, la soluzione del concorso effettivo non convince però del tutto. Essa determina un’irragionevole duplicazione sanzionatoria rispetto ad un fatto che esprime un significato unitario. Per questo, è preferibile ritenere che il più grave reato di invasione arbitraria a scopo di raduno assorba la più lieve fattispecie di invasione arbitraria, commessa al fine di occupazione o di profitto.
Non vi è dubbio, infatti, che perlomeno in alcuni casi, il dolo specifico di organizzare un raduno implichi anche il correlativo scopo di occupare. Nell’ambito di un normale quadro di vita, può accadere che l’orientarsi finalistico della condotta verso lo scopo di organizzare un raduno implichi una previa occupazione dell’immobile invaso, per un periodo di tempo sufficiente a consentire alla moltitudine di persone che compongono il raduno di accedervi. Non è perciò infrequente che un gruppo composto da più di cinquanta persone, il quale intenda avvalersi arbitrariamente di un’area o di un edificio altrui per organizzare un rave party, permanga nell’immobile invaso per un tempo apprezzabilmente maggiore a quello necessario ad integrare la semplice invasione, compatibile anche con la condotta di “occupare”. Ciò si verifica, in effetti, quando la carovana dei partecipanti al rave sosta con furgoni, camper o roulotte nell’area invasa per più giorni, prima e dopo lo svolgimento dello stesso rave party.
Da quanto detto emerge peraltro come l’oggettività giuridica del reato di cui all’art. 434 bis c.p. comprenda necessariamente anche la lesione patrimoniale, in quanto la condotta di invasione arbitraria risulta già di per sé offensiva del possesso e della proprietà altrui[8].
Con riguardo all’oggetto del dolo specifico di organizzazione del raduno invece, è stato correttamente osservato come il legislatore paia riprendere ivi una terminologia del codice fascista; in particolare, l’art. 655 c.p. che punisce le c.d. “radunate sediziose[9]”. Per esegesi consolidata, si ritiene che il nucleo della condotta tipica di tale norma incriminatrice imponga di leggere la nozione di radunata come inscindibile dall’aggettivo che la qualifica. A rendere penalmente rilevante la riunione di più persone è il fatto che essa risulti, per l’appunto, oggettivamente sediziosa; ossia, idonea a mettere in pericolo l’ordine pubblico in quanto volta a disconoscere i valori costituzionali dello Stato o ostile all’integrità, all’unità o all’indipendenza dello stesso; oppure, in quanto tende a determinare la discordia o il malcontento nella popolazione o atteggiamenti di ribellione e disobbedienza alla pubblica autorità[10]. Come nell’invasione arbitraria lesiva del patrimonio sussiste un nesso di interdipendenza teleologica fra la condotta materiale dell’invadere e il fine di occupare, anche nel reato di cui all’art. 655 c.p., la radunata trae interamente il proprio significato di disvalore penale dal suo orientarsi oggettivo a fini di “sedizione[11]”.
Tuttavia, la finalità di sedizione scompare nella radunata oggetto del dolo specifico della nuova norma “anti rave”; qui, è sufficiente che il raduno risulti astrattamente idoneo a porre in pericolo l’ordine pubblico, la salute pubblica o l’incolumità pubblica. La volontà di far convergere un numero indeterminato di persone nell’edificio o nel terreno arbitrariamente invaso deve, cioè, dirigersi verso l’organizzazione di un raduno di individui che non è necessario sia volto a realizzare uno specifico scopo collettivo, purché risulti potenzialmente in grado di porre in pericolo i beni collettivi sopra citati.
Come nel reato di cui all’art. 633 c.p. è il rapporto tra l’invasione e il fine di occupare l’immobile che determina il nucleo di significato penale della condotta punita, così, anche, l’invasione arbitraria ex art. 434 bis c.p. deve risultare oggettivamente conforme alla realizzazione della specifica finalità di organizzare un raduno che ne connota il vero contenuto di disvalore. L’invasione di immobili penalmente rilevante non può, cioè, che essere quella oggettivamente connotata dall’idoneità di realizzare il fine del raduno, il quale concorre a rafforzare l’offesa al bene giuridico del patrimonio, già realizzatasi con la semplice invasione arbitraria.
Dalla formulazione letterale della norma sembra poi che la capacità astratta di porre in pericolo l’incolumità pubblica, la salute pubblica o l’ordine pubblico costituisca una qualità del raduno, oggetto del dolo specifico; non una condizione obiettiva di punibilità, né un evento di pericolo che scaturisce dall’invasione arbitraria. L’espressione «quando dallo stesso può derivare un pericolo per…» è infatti chiaramente riferita nel testo della disposizione al contenuto del dolo specifico[12].
Trattandosi di un contrassegno offensivo della finalità specifica della condotta, non occorre che il pericolo si verifichi in concreto; come del resto non è necessario che abbia effettivamente luogo lo stesso raduno, essendo sufficiente che l’invasione arbitraria sia animata dalla voluntas di dar vita ad una radunata potenzialmente pericolosa per i beni protetti; a prescindere dal fatto che questa avvenga.
D’altro canto, neppure, la natura plurioffensiva dell’incriminazione può riuscire a ritagliare un qualche ambito di legittimazione ad un’incriminazione che si pone in irrimediabile contrasto con il criterio della necessaria dannosità sociale del reato. La particolare severità del trattamento sanzionatorio previsto dimostra, infatti, in modo inequivoco come nell’ottica del legislatore, l’offesa al patrimonio cagionata dall’invasione arbitraria abbia un rilievo secondario rispetto alla centralità della messa in pericolo dei beni collettivi indicati.
3. I soggetti attivi del reato
Soggetti attivi del reato sono gli organizzatori e i promotori dell’invasione. La norma non incrimina chi organizza o promuove il raduno, ma chi pianifica e dirige l’invasione arbitraria finalizzata al raduno. L’invasione arbitraria diviene però penalmente rilevante ai sensi dell’art. 434 bis c.p. soltanto se commessa da più di cinquanta persone; sicché, laddove ad invadere l’immobile sia un gruppo più ristretto di soggetti, i promotori e gli organizzatori non verranno comunque puniti, neppure se in seguito dovesse effettivamente svolgersi il raduno pericoloso di una moltitudine di gente. La soglia numerica minima di soggetti agenti è infatti riferita all’invasione, non alla radunata.
Quanto ai partecipanti all’invasione arbitraria, il comma 3 dell’art. 434 bis c.p. stabilisce che essi vengano puniti meno severamente rispetto ai promotori e agli organizzatori, ma non indica l’entità della diminuzione di pena. In assenza di espliciti riferimenti, per quantificare il relativo trattamento sanzionatorio non resta altra strada che ricorrere alle regole generali in materia di circostanze attenuanti e ritenere che ai sensi dell’art. 65 c.p. la pena debba essere diminuita in misura non eccedente un terzo. Va da sé che tali soggetti saranno puniti, anche laddove prendano parte soltanto all’invasione arbitraria e non altresì al successivo (eventuale) raduno.
Si tratta in definitiva di un reato a concorso necessario di proporzioni davvero elefantiache. Il numero minimo di compartecipi va bene oltre la soglia di tre persone richiesta per le ben più gravi fattispecie associative. Ad essere punita è, cioè, l’invasione di edifici o terreni realizzata da una massa indefinita di persone che deve essere superiore a cinquanta, ma che può anche sfiorare l’ordine delle decine di migliaia. Non vi è chi non si avveda come sia proprio la natura “massiva” della condotta materiale di ingresso nella proprietà altrui, in quanto teleologicamente orientata al successivo raduno, a venire considerata dal legislatore come di per sé sintomatica della pericolosità di quest’ultimo. Se così non fosse, non si spiegherebbe l’urgenza del legislatore di stabilire un requisito così elevato di numerosità dei soggetti attivi.
Ebbene, pur tralasciando i molteplici problemi pratici che una previsione di questo tipo genera sul versante processuale - dato l’obbligo di procedere d’ufficio nei confronti di una moltitudine di indiziati e di potenziali indagati - resta del tutto oscura la ratio che ha ispirato la scelta di fissare in più di cinquanta il numero minimo di soggetti agenti. Per quanti sforzi si facciano per rintracciare una qualche dimensione di senso, l’indicazione di tale soglia appare sostanzialmente illogica ed arbitraria.
4. Note conclusive
Numerosi, e per verti versi, insuperabili, appaiono i profili critici della norma in commento: imprecisioni linguistiche, approssimazione nell’uso della tecnica di redazione delle norme penali, eccessiva anticipazione della soglia di tutela penale, arbitrarietà nella determinazione del numero dei compartecipi necessari al reato, eccessivo rigore sanzionatorio, vaghezza delle nozioni impiegate nella descrizione del fatto tipico etc.
La ragione dell’incriminazione risiede interamente nella presunta pericolosità intrinseca dei raduni di “folle” e, soprattutto, dei soggetti che li organizzano e li promuovo. La massa indistinta di individui che si concentra in un luogo pubblico o privato - soprattutto se composta da giovani dai costumi inusuali e “alternativi” - viene ritenuta di per sé idonea a porre in pericolo l’ordine pubblico o il più indefinito interesse della collettività alla propria sicurezza; a prescindere dal fatto che il raduno si svolga poi in maniera ordinata o che esso ex post non si sia rivelato un’occasione per la commissione di reati più gravi (traffico di stupefacenti, devastazione etc.). Il raduno è avvertito dal legislatore come una minaccia talmente seria per i beni collettivi da giustificare la punizione della semplice intenzione di realizzarlo; come una sorta di istigazione collettiva alla violazione delle regole.
È sin troppo evidente, infatti, che l’oggettività giuridica della fattispecie si concentra sul dolo specifico di organizzare la radunata, più che sull’invasione arbitraria di immobili altrui, la quale viene utilizzata dal legislatore soltanto per schivare il rischio che la norma incriminatrice dei rave party finisca con il punire le mere intenzioni. Occorreva, in sostanza, individuare un fatto materiale (l’invasione arbitraria, in questo caso) cui poter ancorare l’anticipazione della tutela penale rispetto alla sanzionabilità della mera voluntas di radunarsi.
Ne è derivata una norma incriminatrice dalle incontenibili potenzialità espansive; d’ora in avanti, qualunque organizzatore o partecipante ad un’occupazione abusiva e pacifica di aree, spazi o edifici, commessa per scopi leciti, o per finalità moralmente e socialmente approvate (per esempio, per finalità di protesta politica o sociale) rischia una sanzione che va dai tre ai sei anni di reclusione, per il promotore; e sino a cinque anni e undici mesi, per il partecipante.
All’evidente effetto boomerang generato da una diposizione il cui ambito applicativo travalica di gran lunga lo specifico fenomeno dei rave party, si affianca poi l’oggettiva sproporzione dello strumento sanzionatorio impiegato, rispetto allo scopo di prevenzione prefissato. Non vi era alcuna necessità politico-criminale di prevedere una nuova incriminazione per prevenire il fenomeno. Si rinvengono già nell’ordinamento giuridico disposizioni adeguate a fornire una sicura base normativa per eventuali interventi preventivi delle forze dell’ordine, in caso di occupazione arbitraria di un terreno e di un edificio per tenervi un rave party.
Rilievi segnaletici, sgomberi e sequestri possono essere disposti dall’Autorità di pubblica sicurezza in caso di violazione dell’art. 18 del Testo Unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza (TULPS), il quale prevede che i promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico nei diano avviso, almeno tre giorni prima, al Questore. Quest’ultimo, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica, può impedire che la riunione abbia luogo e può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo alla riunione.
La violazione dell’obbligo di preavviso è di per sé punibile a titolo contravvenzionale, ai sensi del comma 1 del suddetto art. 18 TULPS; così come, viene sanzionata penalmente - sempre in forma contravvenzionale - l’inosservanza delle prescrizioni imposte dal Questore (art. 18 comma 4 TULPS). Mentre l’art. 17 TULPS prevede, in via sussidiaria, la punibilità con l’arresto o ammenda di tutte le violazioni al TULPS che non siano altrimenti sanzionate con pena o sanzione amministrativa. Infine, non è un caso che in perfetta coerenza con la finalità di prevenzione che le pertiene, la legislazione complementare di polizia stabilisca che non sia comunque punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’autorità o per obbedire ad essa, si ritiri dalla riunione non autorizzata (art. 18, ultimo comma TULPS). Una sorta di premialità del recesso volontario che sovente rende possibili gli sgomberi pacifici.
Il quadro normativo vigente appare dunque tutt’altro che carente di strumenti adeguati a contenere il fenomeno dei rave e a prevenire gli eventuali pericoli per beni collettivi e individuali, di varia natura che da essi possono derivare. La scelta di ricorrere ad una norma penale ad hoc, sostanzialmente superflua rispetto ai fini di prevenzione generale perseguiti, rappresenta piuttosto l’eterno ritorno della tendenza del legislatore a far assurgere l’interesse generico alla sicurezza pubblica ad oggetto diretto della tutela penale; nell’erronea convinzione che spetti alla sanzione penale il compito di rafforzare le misure extrapenali di prevenzione dei pericoli, altrimenti ritenute ineffettive[13].
Rispetto all’art. 434 bis c.p., il segno evidente di tale approccio securitario si rintraccia nell’assoluta evanescenza del nesso di offensività tra il fatto punito e l’incolumità pubblica, la salute pubblica o l’ordine pubblico. Invece di orientarsi teleologicamente verso la prevenzione di una relazione di pericolo - epistemologicamente fondata - nei confronti dei beni giuridici meritevoli di protezione penale, la fattispecie incriminatrice risulta asservita alle funzioni di controllo e di prevenzione delle persone e delle folle pericolose; funzioni che sono però tipiche del diritto amministrativo di polizia[14]. Essa interviene, cioè, a coprire un bisogno, più o meno, irrazionale di sicurezza pubblica e trae in ciò la propria legittimazione.
Il meccanismo è, purtroppo, tristemente noto e di frequente reiterato dal legislatore contemporaneo. Alla base dell’incriminazione ricorre la precisa volontà di fare un uso strumentale del diritto penale per fini di consenso elettorale. Si passa dal paradigma del diritto penale quale extrema ratio, all’idea che la funzione primaria della sanzione penale consista nel tranquillizzare l’opinione pubblica, attenuandone gli stati emozionali di insicurezza collettiva[15].
Le legittime istanze di sicurezza di cui il diritto penale può farsi carico perché rivolte a fini di tutela dei beni giuridici meritevoli di protezione cedono, così, il passo alla tutela diretta di un indistinto interesse alla sicurezza tout court, che finisce con il fagocitare la sfera delle libertà individuali[16]. Quando infatti, come nel caso del delitto in questione, l’equilibrio del «rapporto obbligato tra sicurezza e libertà[17]» viene alterato e distorto, ne deriva l’effetto finale di rendere insicure le libertà fondamentali degli individui; esposte al rischio, tutt’altro che evanescente, di un’ingiusta compressione attraverso la coercizione penale.
5. La proposta di emendamento del Governo volta a “normalizzare” la disposizione
Nelle more della pubblicazione di questo contributo, l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia ha depositato una proposta di emendamento alla Legge di conversione del Decreto-legge n. 162/2022 che interviene sulla fattispecie in commento, modificandone la collocazione cocidicista ed alcuni elementi strutturali[18].
Senz’altro apprezzabile è la scelta di trasferire la disposizione incriminatrice dal titolo dei reati contro l’incolumità pubblica al titolo dei reati contro il patrimonio; in particolare, al nuovo art. 633 bis c.p. Ciò serve ad evidenziare la segnalata simmetria con l’omologa fattispecie di invasione arbitraria di immobile a scopo di occupazione (art. 633 c.p.) e rende palese la dimensione plurioffensiva del reato, necessariamente comprensiva anche dell’offesa al patrimonio, che era invece rimasta in chiaroscuro nella prima versione della disposizione. Di più, la revisione della collocazione topografica denota la precisa volontà di assegnare alla lesione patrimoniale quel rilievo centrale che nella formulazione vigente non sembra possedere.
Si restringe inoltre la tipicità della fattispecie ai soli raduni «musicali o ad altro scopo di intrattenimento», con l’intento di evitare il sopra menzionato effetto boomerang di estensione dell’area applicativa della norma a raduni realizzati anche per scopi di altra natura; per esempio, alle adunate collettive per fini di protesta, politica o sociale. Circa la ragionevolezza di tale restrizione, permangono nondimeno non pochi dubbi; non è infatti del tutto chiaro quale sia il contenuto sostanziale di (maggiore) disvalore che connoterebbe i raduni musicali o di intrattenimento, rispetto ai raduni volti ad altre finalità. La scelta conferma piuttosto l’idea che alla base dell’incriminazione vi sia una presunzione di intrinseca pericolosità oggettiva nei confronti dei c.d. “rave-party”.
Non a caso, l’emendamento si preoccupa di prevenire eventuali future obiezioni sul punto, definendo in maniera più stringente i contorni dell’offesa penalmente rilevante. Occorre che il pericolo per la salute pubblica, l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica si verifichi in concreto, a causa dell’inosservanza delle norme in materia di stupefacenti, o di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento; anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi. Il reato diviene dunque di pericolo concreto e l’evento lesivo è posto in connessione causale con la condotta di invasione; e non più con l’oggetto del dolo specifico. A cagionare la situazione di concreta messa in pericolo dei beni collettivi protetti deve, cioè, essere l’invasione arbitraria.
Il tentativo di rimediare in tal modo all’oggettivo deficit di offensività della precedente versione della norma non può che essere accolto con favore. Qualche perplessità suscita invece il requisito dell’inosservanza delle norme in materia di stupefacenti o di igiene e sicurezza degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento. Si tratta in questo caso di una clausola di illiceità speciale che opera come contrassegno dell’offesa tipica. La messa in pericolo dei beni collettivi cagionata dall’invasione costituisce conseguenza di un’invasione non soltanto arbitraria, ma anche realizzata in violazione delle regole indicate, le quali possono tuttavia integrare tanto meri illeciti amministrativi, quanti illeciti penali. In tale seconda evenienza, la commissione di altri reati, - per esempio, in materia di stupefacenti - da parte dei promotori e degli organizzatori dell’invasione rileva sia in modo autonomo, che come indice di concreta idoneità lesiva o di offensività della condotta di occupazione. Il che può generare evidenti problemi di coordinamento tra la nuova fattispecie e le altre norme incriminatrici la cui violazione integri il suddetto requisito di illeceità speciale. Non è invero affatto scontato che gli illeciti penali sussidiari o accessori possano considerarsi assorbiti nella nuova incriminazione.
A ciò si aggiunge poi la complessità del rapporto strutturale instauratosi fra il requisito dell’arbitrarietà dell’invasione e la violazione delle norme in materia di igiene e sicurezza degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento. Considerato che le relative autorizzazioni, ove richieste, vengono rilasciate a condizione che siano garantiti i necessari standard di igiene e sicurezza, l’arbitrarietà dell’invasione può ora, di per sé, rilevare anche ai fini del diverso requisito dell’inosservanza delle specifiche regole cautelari e di prevenzione, menzionate dalla disposizione.
Nell’ottica di meglio precisare i contorni offensivi del fatto punibile, l’emendamento sopprime inoltre la necessaria numerosità dei soggetti attivi e le attribuisce un rilievo soltanto indiretto (peraltro svincolato dalla quantificazione di una precisa soglia numerica), quale possibile indice o indicatore sintomatico della pericolosità del fatto rispetto ai beni collettivi oggetto tutela; insieme alla valutazione dello stato dei luoghi. La natura massiva dell’invasione e il fatto che essa comporti un’alterazione, di qualsiasi genere, dello stato dei luoghi (es. danneggiamento, devastazione, deturpamento etc.) rilevano quali eventuali elementi di contesto; utili ad accertare la sussistenza dell’accadimento di pericolo, ma che non occorre si realizzino in ogni caso, ai fini dell’integrazione del reato.
Viene meno infine la punibilità dei partecipanti all’invasione, i quali sarebbero sanzionabili soltanto ai sensi del meno grave reato di cui all’art. 633 c.p.; mentre si indicano come unici soggetti attivi del reato i promotori e gli organizzatori. Invariata l’entità del trattamento sanzionatoria, con tutte le conseguenze che ne derivano in materia processuale. Scompare invece molto opportunamente il riferimento alla possibilità di applicare misure di prevenzione personale.
Dalla lettura della proposta di emendamento, si ricava la sensazione - peraltro confermata dalla Relazione illustrativa al testo - che il legislatore abbia voluto concentrare la principale ragione dell’incriminazione nell’offesa al patrimonio, considerando la messa in pericolo dei beni collettivi una conseguenza lesiva ulteriore, idonea a legittimare la previsione di un trattamento sanzionatorio più severo di quello stabilito nella fattispecie base di cui all’art. 633 c.p.
Sennonché, rispetto alla nuova struttura del fatto, appare eccentrica la previsione di restringere l’ambito applicativo della norma attraverso il dolo specifico del raduno musicale o per altro scopo di intrattenimento. Se, infatti, lo scopo della fattispecie è davvero quello di punire più severamente le occupazioni di edifici o immobili che siano sfociate in un’effettiva messa in pericolo - in via alternativa - dei beni collettivi selezionati, dal punto di vista empirico, non si può escludere che tale pericolo possa in concreto derivare anche da invasioni arbitrarie di immobili finalizzate a realizzare altri tipi di raduni. Vi è in sostanza un’errata generalizzazione alla base dell’idea che il fenomeno dei rave sia di per sé portatore di una carica di pericolosità oggettiva maggiore, rispetto a quella di qualunque altra riunione di una moltitudine di persone cui una condotta lesiva dell’altrui patrimonio risulti orientata.
[1] Espressione utilizzata, tra gli altri, da Micromega, 2 novembre 2022 e dal Corriere della sera online, 2 novembre 2022.
[2] Testualmente, la Presidente del Consiglio dei ministri, on. Giorgia Meloni, alla conferenza stampa del Consiglio dei ministri, 31 ottobre 2022: «Ci aspettiamo di non essere diversi dalle altre Nazioni d’Europa. Quando ci fu il famoso rave di Viterbo, mi colpì che migliaia di persone arrivate in Italia a devastare, provenivano da tutta Europa, perché l’impressione che in questi anni ha dato l’Italia è stata di lassismo rispetto alle regole. Ora l’Italia non è più la Nazione in cui si può venire a delinquere, ci sono le norme e vengono fatte rispettare, Vedremo se con l’applicazione della norma accadrà ancora o se si dovrà migliorare. Questo può essere un deterrente per proibire di venire qui a devastare».
In un’intervista rilasciata al Corriere della sera il 2 novembre 2022, il Ministro degli Interni Piantedosi ha dichiarato: «Credo sia interesse di tutti contrastare i rave illegali. Trovo invece offensivo attribuirci la volontà di intervenire in altri contesti, in cui si esercitano diritti costituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento. In ogni caso la conversione dei decreti si fa in Parlamento, non sui social. In quella sede ogni proposta sarà esaminata dal governo».
[3] Sulla nozione di «populismo penale» si rinvia al volume di Donini M., Populismo e ragione pubblica, Modena, 2019 ed al suo più recente contributo dal titolo Populismo penale e ruolo del giurista, in Sist. pen., 7 settembre 2020.
[4] Il riferimento è al saggio di Fassin D., Punire. Una passione contemporanea, Milano, 2018.
[5] Invitato dalla trasmissione televisiva, Di martedì, del 1° novembre 2022 a fornire un commento a caldo della nuova norma, il prof. Tullio Padovani non ha esitato a definirla «un caso di analfabetismo legislativo»,
[6] Nel reato di cui all’art. 633 c.p., la permanenza deve tuttavia perdurare per un periodo di tempo sufficiente a rendere evidente il nesso della condotta con la finalità di occupare tenuto conto che l’occupazione di un immobile si realizza soltanto se la presenza all’interno di esso dei soggetti attivi non sia momentanea, ma apprezzabilmente duratura. Si veda, Pagliaro A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, Milano, 2003, p. 252.
[7] Ritiene invece che fra le due incriminazioni vi sia un rapporto di specialità, Ruga Riva. C., La festa è finita. Prima osservazioni sulla fattispecie che incrimina i “rave party” (e molto altro), in Sist. pen., 3 novembre 2022.
[8] Sul significato offensivo della condotta di invasione, si veda Pagliaro A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., p. 249 e 250.
[9] Si veda Cavaliere A., L’art. 5 D.L. 31 ottobre 2022, n.162: tolleranza zero contro le “folle pericolose” degli invasori di terreni ed edifici, in Pen. dir. proc., 2 novembre 2022.
[10] Cass. pen., sent. 17 ottobre 1958; Cass. pen., sent. 10 giugno 1957; Cass. pen., sent. 17 marzo 1953.
[11] Per tutti Panagia S., La radunata sediziosa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1973, p. 570 e ss.; Bettiol R., Sulla struttura del reato di radunata sediziosa (art. 633 c.p.), in Riv. it. dir. proc. pen., 1980, p. 409 e ss.
[12] In tal senso, Forzati F., Gli equilibrismi del nuovo art. 434 bis c.p. fra reato che non c’è, reato che già c’è e pena che c’è sempre, in Arch. pen., 3/2022, p. 16 e ss. Contra, Ruga Riva. C., La festa è finita. Prima osservazioni sulla fattispecie che incrimina i “rave party” (e molto altro), cit., p. 4.
[13] Amplissima la letteratura penalistica in materia, per tutti, si vedano: Militello V., Sicurezza e diritto penale: nuovi sviluppi in Italia, in Gedächtnisschrift zu Ehren von Prof. Dr. C. Dedes, Ant. Sakkoulas, Athen, 2013, p. 127-143; Pulitanò D., Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 147 e ss.; Donini M., La sicurezza come orizzonte totalizzante del discorso penalistico, in Donini M., Pavarini M. (cur.), Sicurezza e diritto penale, Bologna, 2011, p. 11 e ss.
[14] Per una descrizione analitica dei limiti, dei contenuti e degli scopi della funzione amministrativa di «polizia di sicurezza» - la quale essenzialmente consiste nell’attività di prevenzione finalizzata alla conservazione dell’ordine pubblico, della sicurezza, della pace sociale e dell’incolumità pubblica -, si veda Ursi R., La sicurezza pubblica, Bologna, 2022, p. 80 e ss.
[15] Profilo ben evidenziato da Militello V., Sicurezza e diritto penale, cit., pp. 140 e 141.
[16] Non vi è dubbio che nell’ambito del binomio «libertà e sicurezza», il diritto penale sia tenuto a ricercare un corretto bilanciamento e ad evitare pericolosi smottamenti del sistema a favore del primo elemento - la sicurezza - e a discapito del polo delle libertà; in tal senso, tra gli altri, oltre a Militello V., op. ult. cit., pp. 142 e 143, anche Pulitanò D., Sicurezza e diritti. Quale ruolo per il diritto penale, in Dir. pen. proc., 2019, p. 1542 e ss. Come opportunamente segnalato da Ursi R., La sicurezza pubblica, cit., pp. 27 e ss.; 90 e ss., la necessità di stabilire un punto di equilibrio tra libertà e sicurezza rappresenta un contrassegno tipico del paradigma giuridico della sicurezza tanto nella sfera penalistica, quanto in quella amministrativa.
Fortemente critico nei confronti della prospettiva che il diritto penale possa farsi legittimamente carico di istanze di sicurezza, è invece Naucke W., La robusta tradizione del diritto penale della sicurezza, illustrazione con intento critico, in Donini M., Pavarini M. (cur.), Sicurezza e diritto penale, cit., p. 79 e ss.; analogamente, giudica impossibile il raggiungimento di un equilibrio tra i due poli della libertà e della sicurezza, essendo le istanze di libertà destinate a soccombere a fronte della forza espansiva dei bisogni di sicurezza, Prittwitz C., La concorrenza diseguale tra sicurezza e libertà, ivi, p. 106 e ss.
[17] L’espressione è presa in prestito da Militello V., op. ult. cit., p. 143.
[18] Per il testo dell’emendamento si rinvia a https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emendc&leg=19&id=1361683&idoggetto=1364990