L'articolo esplora il tema della mediazione dei conflitti focalizzandosi principalmente sulla chiave di volta: scioglie il conflitto il desiderio di riparare: prezioso per ogni tipo di contenzioso, non solo quello penale.
Valorizza un approccio filosofico-umanistico che integra aspetti etici, teologici, giuridici e psicologici. Offre una trattazione multidisciplinare con esempi concreti, riflessioni teoriche e riferimenti a nomi autorevoli, oltre a un caso pratico reale che illustra i limiti della giustizia formale rispetto alla mediazione riparativa.
Sommario: 1.Introduzione: Il valore della cura nell'era del consumismo - 2. L’insufficienza della giustizia formale: un caso studio - 3. Le radici multidisciplinari del dovere di riparare - 3.1. La riparazione in ambito psicologico: la cura intergenerazionale - 3.2. Prospettive etiche e filosofiche: responsabilità e bene comune - 3.3. Giustizia dialogica e diritto fiduciario - 3.4. Fondamenti teologici: dovere di giustizia e amore - 4. Conclusione: trasformare la crisi in rigenerazione.
1. Introduzione: Il valore della cura nell'era del consumismo
La mediazione dei conflitti, in particolare nel suo modello filosofico-umanistico, trova la sua chiave di volta nel far scattare nei contendenti il desiderio profondo e autentico di riparare.
Il verbo "riparare," rischia di dissolversi nel mondo consumistico contemporaneo, ove la cura e il recupero sono stati soppiantati dalla logica dell'usa-e-getta. Se un tempo si dava nuova vita alle calze smagliate e le scarpe venivano risuolate, oggi le cose vengono gettate e sostituite. Questo progressivo allontanamento dalla pratica di "ridare vita alle cose" si riflette inevitabilmente anche nel vissuto umano e nelle dinamiche relazionali.
Viviamo in un’epoca definita da Zygmunt Bauman come quella delle relazioni "liquide[1] ," caratterizzate dalla tendenza a scartare ciò che non appare più immediatamente utile, anche nelle interazioni tra persone. La conseguenza più grave è l'amnesia rispetto a quelle relazioni che, se trascurate, lasciano nel cuore e nell’anima una voragine—un "buco nero" che ostruisce la crescita autentica e le conquiste umane. Le incomprensioni diventato muri e le differenze diventano distanze come baratri. Ignoriamo il monito di Italo Calvino:” Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”.
La mediazione si pone l'obiettivo di cucire con cura proprio queste relazioni incrinate.
L’esito delle sedute della mediazione, praticata secondo il modello filosofico-umanistico, non si misura tanto né esclusivamente in base all’accordo formale raggiunto, bensì nella nascita del bisogno autentico di riparare il male e risarcire la dignità lesa. La vera mediazione apre, infatti, lo spazio per il desiderio di cura e ristoro, andando ben oltre la mera contesa giuridica.
2. L’insufficienza della giustizia formale: un caso studio
Il divario tra la giustizia formale e la riparazione umana emerge con chiarezza in recenti episodi. Si pensi al caso di una disputa tra comproprietari in un borgo lombardo, dove la richiesta ostinata di stacco da un contatore d’acqua comune ha trasformato la mediazione in un palcoscenico di sopraffazione e scontro. La parte istante non era assolutamente interessata alla ricerca della verità e di una soluzione rispettosa di Nonostante l'infondatezza della richiesta, la parte convenuta ha dovuto affrontare oneri economici, stress emotivo e la sofferenza dell'ingiustizia percepita.
La mediazione fallisce — come previsto e auspicato dalla parte più aggressiva, che cercava "un giudice a Berlino" piuttosto che il dialogo. Non era assolutamente interessata alla ricerca della verità e di una soluzione rispettosa ma di un modo per imporre il suo volere[2].
Segue ovviamente il ricorso al tribunale che ha prolungato la sofferenza dell’altro proprietario per tre lunghi anni. Quando finalmente si è giunti a una soluzione tecnica e a un accordo, questo è risultato privo di ogni gesto di riconoscimento o scusa. La parte lesa è rimasta gravata da spese e amarezze, senza alcun risarcimento morale, vittima di una giustizia che è stata mera forma senza sostanza.
Questo esempio dimostra perché la mediazione filosofica-umanistica miri a qualcosa di più del diritto: mira alla riparazione, intesa come un atto di responsabilità e umanità che coinvolge sia chi ha commesso il torto sia chi ne ha sofferto, permettendo così la ricostruzione di un tessuto di dignità e relazione. Solo un riconoscimento delle reciproche responsabilità e un risarcimento, anche simbolico, le cosiddette scuse, avrebbero riequilibrato i rapporti e, forse, consentito una ripresa. La chiusura giudiziaria del problema che li opponeva non ha smosso di un centimetro i motivi veri della lite.
La mediazione appartiene alla “restorative justice” (“giustizia che reintegra” di derivazione anglosassone), alternativa alla giustizia di tipo retributivo (la giustizia che stabilisce con una sentenza, in diverso modo, il risarcimento dei danni alla vittima ). Comunque l’accento viene posto sull’azione del riparare. Dove l’applicazione della pena tradizionale potrebbe apparire in relazione sia al destinatario (il reo) che alla vittima, inutile o addirittura controproducente.
La giustizia riparativa processo informale in cui vittima e autore del reato, che si assume pienamente responsabilità del suo comportamento, guidati da un mediatore insieme alla vittima, familiari delle parti in conflitto e alcuni componenti fondamentali delle rispettive comunità di appartenenza decidono collettivamente le modalità con cui gestire la soluzione del conflitto. Guidati da un mediatore si incontrano, discutono sviscerando cause ed effetti del fatto reato.
Ciò che non esclude affatto l’istituto della pena, ma ne modifica e chiarisce il profilo di utilità sociale mediante azioni di reale riconoscimento della vittima, riparazione dell’offesa nella sua dimensione globale, autoresponsabilizzazione del reo, coinvolgimento della comunità nel processo di riparazione, rafforzamento degli standard morali e contenimento dell’allarme sociale.
Ma è riduttivo ascrivere questo concetto solo alla mediazione penale. È il nocciolo di ogni mediazione che tratti il cuore del conflitto (le ferite e le offese relazionali) e il conflitto con il cuore (con la comprensione, il riconoscimento, il racconto di sé, la rielaborazione, la crisis e la catarsi). Qualunque sia l’oggetto del contendere, nella lite la persona viene coinvolta e travolta nei suoi vissuti più profondi, nelle sue vulnerabilità, nelle sue paure, nella sua dignità. Sono queste le ferite relazionali che è doveroso, e possibile, sanare o almeno curare.
Si annoverano quindi numerose e diversificate forme operative a elevato grado di flessibilità, in relazione al tipo e all’intensità del conflitto da affrontare, ma sempre resta fermo il senso del non giudicare ma di promuovere e vigilare sulla riparazione.
3. Le radici multidisciplinari del dovere di riparare
Il valore del riparare è un concetto universale, oggetto di riflessione oltre che da parte giuristi, anche dei teologi, filosofi, e psicologi.
3.1. La riparazione in ambito psicologico: la cura intergenerazionale
In ambito psicologico, la riparazione si traduce anche nella cura intergenerazionale. La psicogenealogia[3] insegna che eventi traumatici o dinamiche familiari irrisolte possono essere trasmesse inconsciamente, influenzando il benessere dei discendenti. In questa logica la riparazione psicologica è dunque il processo di presa di coscienza e guarigione delle ferite emotive che attraversano le famiglie. Il discendente "ripara" quando riconosce queste "eredità invisibili" e interrompe le catene di sofferenza attraverso l'elaborazione terapeutica e simbolica. L'obiettivo è duplice: liberare la persona dal peso emotivo degli antenati e permetterle di costruire un’identità più libera e autentica.
3.2. Prospettive etiche e filosofiche: responsabilità e bene comune
Il concetto di riparazione è centrale nell'etica delle relazioni, come dimostrato dai contributi di Paolo Bettineschi e Salvatore Natoli.
Paolo Bettineschi definisce la riparazione come un impegno etico profondo di presenza e responsabilità[4]. Richiede l’adesione attiva di entrambe le parti (chi ha causato il male e chi lo ha subito) in un processo di manifestazione e riconoscimento reciproco. Non è mera compensazione materiale, ma un'etica che integra memoria, fiducia e cura, rigenerando ciò che è stato ferito, coinvolgendo anche la dimensione esistenziale e l'ambiente.
Salvatore Natoli colloca la riparazione in un contesto politico e sociale[5]. La vede come un imperativo morale finalizzato alla costruzione del bene comune. Sottolinea la necessità di un'etica della pietas, vista come il legame umano fondamentale per la cura e la salvezza della specie. La riparazione diviene un compito etico e politico concreto per la giustizia sociale e la riconciliazione.
3.3. Giustizia dialogica e diritto fiduciario
Tommaso Greco introduce la prospettiva giuridico-fiduciaria[6], dove la riparazione richiama la giustizia dialogica. Essa non è né mero perdono né condanna, ma la ricostruzione della fiducia attraverso la responsabilità e la tutela del bene comune. Greco sostiene che il diritto si fonda sulla fiducia tra le persone. La riparazione, in questo quadro, è un atto che rinnova la relazione sociale, in cui la mediazione funge da ambiente per sperimentare questa "etica relazionale".
3.4. Fondamenti teologici: dovere di giustizia e amore
Nella teologia cristiana, e in particolare nella tradizione cattolica, la riparazione ha radici profonde: è un dovere fondamentale di giustizia e amore verso Dio e il prossimo, espressione della riconciliazione comunitaria spezzata dal peccato. Il credente è chiamato a riparare l'offesa fatta a Dio con le proprie colpe, unendo i propri atti di zelo e sacrificio all'azione redentrice. La riparazione, in questo senso, non riguarda solo l'offensore ma anche l'Offeso, cioè Dio e si manifesta in tre forme concrete: 1. Affettiva: preghiere e partecipazione ai sacramenti. 2. Effettiva: azioni quotidiane ispirate alla carità e alla giustizia.3. Afflittiva: sofferenze e tribolazioni accettate in unione a quelle di Cristo. La riparazione è quindi un percorso spirituale di conversione e giustizia, distinta concettualmente dall'espiazione (l'atto salvifico di Cristo, a cui l'uomo partecipa) e dalla penitenza (il sacramento e mezzo pratico per la soddisfazione e la correzione).
4. Conclusione: trasformare la crisi in rigenerazione
Da queste diverse angolazioni emerge un quadro convergente sull'essenziale: riparare è un atto che plasma sia la persona che la società, richiedendo il riconoscimento del danno, la disponibilità al cambiamento e l'inclusione di chi ha subito l'offesa in un percorso di recupero.
Nel percorso della mediazione filosofico-umanistica, il vero valore della pratica si incarna in questa tensione vitale al riparare. Non si tratta di un nostalgico ritorno al passato o di una rinuncia al conflitto, ma di una sfida contemporanea: trasformare la crisi in rigenerazione, la lacerazione in cura e l'offesa in responsabilità condivisa. In un tempo dominato dall'effimero, la mediazione chiama al coraggio di interrompere questa deriva e di riscoprire, con consapevolezza e passione, la forza di riparare, rigenerando non solo le cose, ma soprattutto le relazioni e, in definitiva, noi stessi.
[1] Zygmunt Bauman e la teoria delle "relazioni liquide": Bauman Z., Liquid Love: On the Frailty of Human Bonds, Polity Press, 2003.
[2] Storiella o metafora delle interazioni umane? Si racconta che due uomini stavano litigando. La discussione era: “Una fetta di pane cade con il lato imburrato sopra o sotto?”. Il primo disse: “Con il lato imburrato sotto, ovviamente”. Il secondo: “Con il lato imburrato sopra”. “Facciamo la prova”, disse il primo, “e vedrai che ti sbaglierai!”. Così la fetta di pane fu ben imburrata e lanciata in aria. Ricadde con il lato imburrato sopra. “Ho vinto!”, disse il secondo. “Solo perché io ho commesso un errore”, disse il primo. “Quale errore?”, riprese il secondo. “Ovviamente ho imburrato il lato sbagliato”, rispose il primo.
La persona che litiga non cerca la verità ma la conferma delle proprie convinzioni.
[3] Anne Ancelin Schützenberger, Gli Antenati e noi: Scoprire i numeri simbolici nelle storie familiari, Mondadori, 1991
[4] Paolo Bettineschi, Etica della responsabilità, Cantagalli, 2008
[5] Salvatore Natoli, Etica della pietà, Laterza, 2010.
[6] Greco T., Il diritto fiduciario e la giustizia dialogica, Giuffrè, 2015; la legge della fiducia, Laterza 2023
Immagine: Paul Troger, L'Armonia tra Religione e Scienza, Affresco della Seitenstetten Abbey (Austria), 1735.
