Premio “Giulia Cavallone” – anno 2024
Oggi 4 ottobre 2024, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma 3, nell’ambito di un seminario sul tema “Procura europea e diritto di difesa transnazionale”, sarà conferito il premio “Giulia Cavallone” edizione 2024, premio nato da un’iniziativa della Fondazione Piero Calamandrei e della Famiglia Cavallone per ricordare e onorare la memoria di Giulia Cavallone, una giovane donna, magistrata, scomparsa a soli trentasei anni dopo una lunga lotta contro la malattia. Una malattia che peraltro non le impedì di amministrare giustizia fino all’ultimo in quell’aula del Tribunale Penale di Roma che, per tale motivo, da allora porta il suo nome.
Come è stato già più volte ricordato in occasione delle precedenti edizioni del premio, Giulia Cavallone è stata una donna e una giurista di respiro internazionale.
Dopo essersi laureata in Giurisprudenza con il massimo dei voti presso l’Università Roma Tre, con una tesi dal titolo “Il reato transnazionale in materia di terrorismo”, conseguì successivamente il dottorato di ricerca presso l’Università “La Sapienza” di Roma, in cotutela con l’Universitè Paris II – Panthéon Assas, con una tesi dal titolo “Obblighi europei di tutela penale e principio di legalità in Italia e in Francia”.
Grazie a numerose borse di studio vinte, svolse periodi di ricerca anche presso l’Università di Losanna e presso l’Istituto di diritto penale straniero e internazionale “Max Planck” di Friburgo, in Germania.
Svolse altresì uno stage presso la Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, a Bruxelles, ove ebbe modo di approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni europee.
Fu giudice penale presso il Tribunale di Velletri, sino all’ottobre 2018, e successivamente ricoprì le medesime funzioni presso il Tribunale di Roma sino alla data della sua scomparsa, prematura e ingiusta, avvenuta in una tiepida mattina del 17 aprile 2020.
In considerazione dell’apprezzamento unanime della sua figura professionale e umana, del prestigio acquisito in Italia e all’estero nonostante la giovane età, del suo instancabile esercizio della funzione giurisdizionale, che la portò a presiedere sino all’ultimo le udienze di un delicato processo d’interesse nazionale, nonché del suo impegno sociale nel promuovere in prima persona l’emancipazione e la difesa dei diritti delle donne lavoratrici in Senegal, sia il Tribunale di Roma, sia il Tribunale di Velletri, hanno deliberato di intitolarle le aule dove ella era solita tenere le sue udienze.
In linea con la sua storia personale, il Premio “Giulia Cavallone” ha pertanto lo scopo di finanziare soggiorni di studio presso Università e altri centri esteri di riconosciuto prestigio per consentire a giovani dottorandi nel campo del diritto e della procedura penale di ampliare le loro conoscenze, così da formare giuristi sensibili alle diversità culturali, con una mente aperta, critica e disposta al confronto, la cui azione sia improntata ai valori della solidarietà e della tutela della persona, così com’era Giulia Cavallone.
Come hanno già scritto di lei, Giulia Cavallone “era arrivata in magistratura dopo anni di vita vissuta, dedicati con passione alla ricerca e all’accademia, da giurista (e da persona) matura e raffinata, cui erano bastati pochi mesi di preparazione per superare il concorso. Pochi mesi in cui Giulia studiava di sera, in un monolocale al sesto piano senza ascensore dal cui abbaino si vedeva la Tour Eiffel, di ritorno da lunghe giornate passate all’Institut de Droit Pénal china sulla sua tesi di dottorato. Pochi mesi durante i quali aveva vinto prestigiose borse di studio internazionali, aveva fatto la spola tra Parigi ed Heidelberg, aveva pubblicato articoli scientifici in lingue diverse, e diverse dalla propria, si era fatta ospitare a casa degli amici la sera prima delle conferenze internazionali in cui aveva relazionato. Mesi in cui aveva portato avanti il suo impegno nel volontariato, dando il via a nuovi importanti progetti, partendo per l’Africa. Tutto questo senza mai mancare una serata a teatro, una mostra, un concerto, un’occasione di viaggio, una cena con gli amici. E a cena Giulia dava il meglio di sé. Era una delle persone più brillanti che si potesse sperare di avere intorno. Il suo senso dell’umorismo era la punta dell’iceberg della sua intelligenza. Portava la propria erudizione ed il proprio spessore come si portano un paio di jeans, con la stessa leggerezza con cui, poi, avrebbe portato il fardello della malattia. Che non le avrebbe impedito di continuare a viaggiare, di costruire una casa con il suo compagno, di rinsaldare e coltivare le sue amicizie ed i suoi interessi, ed anzi l’avrebbe spinta a farlo con sempre maggior convinzione. La fatica fisica e morale delle cure, l’apprensione con cui parlava della malattia, l’estenuante alternarsi di speranza e sconforto, nel suo quotidiano sbiadivano dietro l’ironia con cui sapeva celarli …. La gentilezza di cui tutti raccontano era il sintomo di una grande maturità e consapevolezza di sé: non solo indole, ma frutto delle tante esperienze fatte, di un convinto e profondo umanismo. Di pari passo con la dedizione per il lavoro in cui così tanto credeva andava l’impegno che metteva in ogni altro aspetto del vivere, la cura che dedicava alle proprie relazioni, ai propri interessi e passioni, al costruire la propria esistenza di essere umano. Giulia aveva compreso che l’unico modo per essere un buon giudice, un giudice giusto, è essere una persona giusta, qualsiasi cosa voglia dire. Rispettosa della vita e del mondo. Studiosa non solo del diritto, ma dell’umano. (Sibilla Ottoni, Giustizia Insieme, 17 Aprile 2021)”
L’eredità che ci lascia Giulia Cavallone è quella di un esercizio della funzione giurisdizionale come servizio da rendere, mai come un privilegio, sempre con competenza, compostezza, garbo e umanità, aspetti della sua personalità particolarmente ammirabili in un momento storico in cui sembrano prevalere su tutto l’incompetenza, la superficialità, l’incontinenza verbale ed emotiva, il desiderio di fama e di potere come massima realizzazione dell’essere umano.
In questo spirito, il Premio si propone quindi come obiettivo di contribuire a formare non soltanto migliori operatori del diritto ma, anche, migliori cittadini del mondo.
Nell’edizione 2024 il Premio, che, come detto, sarà formalmente consegnato il 4 ottobre 2024, è stato attribuito alla dottoressa Lavinia PARSI, dottoranda presso l’Università di Milano, relativamente al progetto di ricerca “Forced Displacement in International Criminal Law”.
La dottoranda di ricerca in diritto penale internazionale propone di perfezionare presso l’Università di Berlino la ricerca sul trasferimento forzato delle popolazioni, esaminato nell’ottica del Diritto penale internazionale, in linea con gli argomenti affrontati sin dalla tesi di laurea che ha toccato i temi del diritto umanitario internazionale, con particolare attenzione all’applicazione del diritto nei conflitti armati.
Pur risultando l’interesse originario della dott.ssa PARSI concentrato sul conflitto palestinese, esso nel progetto di ricerca si è allargato ad altre manifestazioni contemporanee del forced displacement, a partire dall’invasione russa dell’Ucraina e dal conflitto in Nagorno-Karabak, passando ad esaminare altri contesti, non necessariamente correlati a conflitti interstatali, come nel caso dei Rohingya e del Sudan. L’ampio spettro della ricerca consente di ritenere che l’indagine non sarà limitata al pur attualissimo tema del conflitto Israelo-palestinese.
Il progetto di ricerca mira a definire il quadro normativo degli atti di “forced displacement” ai sensi del diritto penale internazionale ed indagarne i profili critici e l’applicabilità in contesti odierni.
Particolarmente rilevante, nell’impostazione proposta, è l’indagine sull’impiego di combinazioni di politiche diverse, con le quali gli Stati possono violare il diritto internazionale. Considerando i fenomeni di cosiddetta “ingegneria demografica”, ossia le politiche di spostamento di civili utilizzate dagli Stati per alterare la composizione demografica di un determinato territorio, si osserva che l’obiettivo prefissato può essere perseguito attraverso diversi tipi di movimenti, come l’insediamento di una maggioranza in regioni abitate da minoranze, il trasferimento di gruppi minoritari all’interno di un territorio e l’espulsione di minoranze dallo Stato. Si argomenta nel progetto di ricerca che anche le modalità di attuazione possono essere diverse, spaziando da mezzi violenti a misure amministrative e politiche o a una combinazione di entrambi.
L’individuazione di metodi differenti correlati a contesti diversificati porta il progetto di ricerca a interrogarsi sull’adeguatezza delle previsioni normative che qualificano le condotte di trasferimento forzato. Infatti, le politiche innanzi menzionate pongono complesse questioni di individuazione della soglia di rilevanza penale e di definizione degli elementi costitutivi del reato, anche con riferimento ad altre ipotesi di delitti contro l’umanità, dal genocidio ai crimini di guerra.
È stato altresì giustamente segnalato dalla Commissione aggiudicatrice del Premio come, in parallelo all’attività di ricerca, vi sia nella vita della dott.ssa PARSI l’impegno continuativo nel promuovere nei fatti il sostegno alle vittime di gravi crimini. Ella infatti partecipa alla Clinica legale in diritto penale internazionale dell’Università degli Studi di Milano, occupandosi anche di casi concreti di potenziali violazioni. Tale impegno rimanda inevitabilmente a quello di Giulia Cavallone per l’emancipazione delle donne lavoratrici in Senegal, in un ideale passaggio di testimone nelle attività a favore dei soggetti più deboli.
È auspicio della Fondazione Calamandrei e della Famiglia Cavallone che, anche per il futuro, l’esempio di Giulia possa contribuire a cambiamenti verso una società più giusta, in armonia con quello che può essere ricordato come il suo invito rivolto a tutti noi: “Siate giusti, siate gentili”.