“In qualunque comunità la libertà non è effettiva se non è appannaggio di tutti.”
Sergio Mattarella, Inaugurazione a.a.2022-23,Università degli studi della Basilicata
Diritto e Persone LGBTQI+: progredire nella protezione delle libertà individuali avendo a cuore anche la dimensione sociale in cui si inseriscono e favorire il più possibile una gradualità senza strappi che possano generare una reazione regressiva e nuocere all’effettività del diritto colpendo in primo luogo chi è più vulnerabile.
Sommario: 1. Un libro “diverso” dagli altri. - 2. Alcune fonti internazionali di protezione. - 3. Perduranti vulnerabilità nell’ordinamento, i casi più evidenti. - 4. Ruolo dell’interpretazione giuridica e del diritto comparato in materia. - 5. Libertà di espressione e Hate Speech: quale tutela? – 6. Verso l’individuazione di nuove obbligazioni positive per lo Stato.
1. Un libro “diverso” dagli altri.
I contributi che compongono l’articolato volume “Diritto e Persone LGBTQI+” pubblicato per i tipi di Giappichelli nel 2022 permettono di approfondire diversi profili che compongono il quadro sfaccettato della protezione di molti diritti fondamentali, con riferimento soprattutto al diritto alla vita e alla proibizione di trattamenti inumani e degradanti, al divieto di discriminazione, al principio di uguaglianza, alla libertà di espressione, ai discorsi d’odio, alla protezione della vita privata e familiare. Questo variegato contesto argomentativo stimola molto il lettore attento, sollevando interrogativi in una certa misura trasversali alla netta distinzione civile-penale della protezione accordata ai diritti - e ai correlati doveri -, non pochi dei quali non trovano ancora una risposta pienamente soddisfacente nel nostro ordinamento giuridico.
2. Alcune fonti internazionali di protezione.
Un punto di forza nella protezione dei diritti LGBTQI è sicuramente la pluralità di fonti internazionali in Europa che li presidia e il dialogo tra Corti, anche sovranazionale, teso ad un completamento delle tutele. Si pensa spesso e giustamente alla giurisprudenza della Corte Edu[2], ma non va dimenticato che esiste, nell'ambito del Consiglio d'Europa, anche un'importante Raccomandazione del Consiglio d'Europa agli Stati membri[3] sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Inoltre, l'Unione Europea ha introdotto una serie di disposizioni a tutela del principio di eguaglianza e proibizione della discriminazione a causa dell'orientamento sessuale, sia a livello di Trattati[4], che di Direttive antidiscriminatorie[5], particolarmente pregnanti nel settore del lavoro ed impiego[6] in cui il diritto unionale è, non di rado, una tutela più avanzata della Convenzione stessa. Questa rete di protezione offre scudo a molte fragilità, ma ci sono diverse aree di perduranti vulnerabilità in materia.
3. Perduranti vulnerabilità nell’ordinamento, i casi più evidenti.
I punti di frizione maggiormente acuta tra i diritti LGBTQI e il nostro ordinamento giuridico sono bene messi in evidenza nel volume. In disparte dalla questione del procedimento di riconoscimento giuridico dell’identità di genere[7], si consideri il contesto dell'immigrazione in cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere sono un fattore di discriminazione particolarmente serio[8]. Di questo la Corte di Cassazione è ben consapevole e prende sul serio i doveri motivazionali del giudice allorquando un rifugiato deduca la minaccia concreta di diritti assoluti (vita) per la suddetta discriminazione[9] ai fini del “non refoulement”: se l’inattendibilità del richiedente investe il vissuto posto a fondamento della domanda di protezione, essa potrà giustificarne il rigetto del ricorso solo a condizione che il rimpatrio non debba avvenire verso Paesi nei quali sia esposto a rischio della vita o dell'incolumità fisica[10].
Come noto, un ulteriore aspetto di potenziale vulnerabilità riguarda la posizione dei figli di coppie omogenitoriali[11], affrontato in più contributi nel volume[12] e, tra questi, la tutela del rapporto tra il figlio nato da “gestazione per altri” con il “genitore d’intenzione”. Si tratta di una difficile questione oggetto da anni di un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale che cerca di conciliare, alla luce del criterio di proporzionalità, lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla “gestazione per altri”, sanzionato penalmente dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004 e riconosciuto integrare un principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali quali il rispetto della dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, con il “best interest of the child”, questione sulla quale la Corte Costituzionale ha richiamato l’attenzione del legislatore[13], sino ad ora invano.
Recentemente la Cassazione è tornata ad intervenire a Sezioni Unite[14] giungendo, attraverso un’ampia e argomentata ricostruzione, a quella che è stata definita una sentenza “di sistema”[15]. La Corte ha constatato che “Il legislatore è rimasto finora inerte” e ha confermato che l’adozione in casi particolari, disciplinata dall'art. 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983[16], allo stato attuale dell’evoluzione dell’ordinamento, è lo strumento con il quale tutelare il diritto fondamentale del minore, nato all'estero mediante il ricorso alla “gestazione per altri”, al riconoscimento del legame giuridico sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il “genitore d’intenzione”. Esso consente, ricorda la Corte, da un lato, di conseguire lo "status" di figlio e, dall'altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il "partner" del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita. La vulnerabilità e il mancato raggiungimento del pieno interesse del minore permangono non solo per la lunghezza della procedura, ma plasticamente nel caso in cui l’adozione non sia possibile, come nel caso di premorienza e, a differenza dell’adozione piena e legittimante, vi è necessita comunque del consenso del genitore biologico[17], mentre sul piano dell’efficacia è stata superata l’iniziale assenza di instaurazione di rapporti di parentela dell’adottato con la famiglia dell’adottante grazie alla recente sentenza della Corte costituzionale n.79/2022[18].
Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che lo “status filiationis” è oggetto di una proposta di regolamento armonizzato, presentata dalla Commissione europea il 7 dicembre 2022 e diretta ad introdurre un regime uniforme in materia di giurisdizione e legge applicabile alla filiazione caratterizzata da profili transnazionali[19], iniziativa inclusa tra le priorità della strategia dell’UE sia per l’uguaglianza LGBTQI sia per i diritti dei minori[20]. Il tema è particolarmente sentito in Italia, anche per il fatto che manca una moderna legge sull’adozione e lo spostamento della pratica procreativa all’estero ormai da parte di molte coppie non tradizionali internazionalizza sotto vari profili la tutela del nato la quale, oltretutto, va tenuta distinta dalla tutela del “genitore d’intenzione”, come ricorda la Consulta[21]. La proposta di regolamento non è un modo per aggirare la pratica della “gestazione per altri”, vietata in buona parte degli Stati UE, ma si pone l’obiettivo di proteggere i diritti fondamentali dei minori in molte situazioni transfrontaliere, incrementando la certezza del diritto in tali casi e riducendo i costi e la lunghezza delle procedure per le famiglie e gli Stati membri coinvolti.
4. Ruolo dell’interpretazione giuridica e del diritto comparato in materia.
Questione centrale nell’intero libro, che balza all’evidenza del lettore, è il tema dell'interpretazione giuridica, nel perimetro non ampio dello ius dicere appena ricordato anche dai citati interventi della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite[22], ed è di consistente complessità sia per gli interessi e diritti fondamentali sostanziali da tutelare, sia sul piano tecnico per l’internazionalizzazione della materia.
Ci si può nondimeno chiedere se l’interpretazione giuridica debba essere fondata solo sulla lettera della legge, ad esempio per negare o meno la trascrizione di atti di nascita che indichino una coppia dello stesso sesso come genitori[23]. Vengono talvolta riproposte delle letture 'originaliste' che raramente sono state proprie della nostra tradizione sull'interpretazione ed evoluzione dei diritti fondamentali[24]. Infatti, tale opzione è diffusa nel costituzionalismo nordamericano di common-law[25], il quale privilegia nell’interpretazione l’obiettivo e ragionevole significato originario, ossia l’intenzione dei padri costituenti al momento in cui è stato adottato il testo, e ciò conduce per lo più a letture rigorosamente testuali ed anche ad una significativa restrizione dell’area semantica e di applicazione dei diritti fondamentali. Ad essa si contrappone la “living instrument doctrine”, che si propone di interpretare il testo costituzionale alla luce delle condizioni attuali, accolta dalla Corte EDU già nel 1978 con la sentenza Tyrer[26]. Il principio di diritto, nelle sue elaborazioni successive, è divenuto un metodo di interpretazione del testo costituzionale che deve tener conto anche degli sviluppi del diritto internazionale, e un simile approccio è stato accolto dalla stessa giurisprudenza costituzionale con riferimento all'art.2 Cost., inteso come clausola a fattispecie aperta[27] per giungere all’enucleazione di “nuovi diritti” emergenti dall’evoluzione della coscienza sociale e che oggi sono pacificamente diritto vivente[28].
Un aspetto molto rilevante in punto di interpretazione giuridica è poi il ruolo dell'analisi di diritto comparato per la protezione dei diritti LGBTQI[29]. Questo apporto indiretto al regolamento della fattispecie lega gli ordinamenti tramite la condivisione di prassi normative ed applicative tendenti alla ricerca di una certa omogeneità tra Stati membri del Consiglio d’Europa e, soprattutto, tra Stati aderenti all’Unione Europea[30]. La ricerca delle tradizioni costituzionali comuni è importante nella giurisprudenza della Corte di Giustizia[31] e, più in generale, si consideri il ruolo del diritto comparato nella decisione dei ricorsi più complessi da parte della Corte di Strasburgo. Questo avviene normalmente tenendo conto di analisi di diritto comparato alla ricerca dell’eventuale “consensus” o trend tra Stati membri del Consiglio d’Europa sulla regola data in sede nazionale a questioni analoghe a quella controversa, ricerche condotte al fine di stabilire l’ampiezza del “margine di apprezzamento” di cui gode lo Stato responsabile[32]. Anche nell’ambito dell’Unione Europea e proprio con specifico riferimento ai diritti di cui qui si discute, sono reperibili per gli interpreti attendibili e aggiornate ricerche comparatistiche che coprono gli Stati UE e non solo, presso la Fundamental Rights Agency[33].
L’analisi comparata non è solo appannaggio della Corte Edu, bensì una risorsa che può essere utile ad orientare talvolta anche il giudice nazionale, primo e principale giudice dei diritti fondamentali. Si pensi ad es. al bilanciamento, in materia antidiscriminatoria, tra diritti confliggenti ed egualmente protetti[34]. Oppure, al classico - e non condiviso dalla consolidata giurisprudenza della Corte EDU - argomento della preclusione alla libertà di espressione avente ad oggetto diritti delle persone omosessuali o con relazioni non tradizionali, giustificata con la necessità di perseguire il fine legittimo della protezione della morale, o proteggere i diritti degli altri, individuati nella maggioranza eterosessuale[35].
5. Libertà di espressione e Hate Speech: quale tutela?
Un taglio particolarmente interessante del libro è poi la non rigida distinzione tra tutela civile e penale, con riferimento alla tecnica di protezione: questo a ben vedere emerge anche nelle parti in cui si discute di fattispecie prima facie tipicamente civilistiche, come ad esempio i temi più complessi della omogenitorialità[36], o tipicamente penalistiche, laddove ad esempio si approfondisce la tutela dei detenuti transgender e la somministrazione dei farmaci ormonali richiesti[37]. Dal tessuto narrativo emergono punti di contatto trasversali anche in ragione del fatto che il diritto internazionale in materia è cruciale e, come noto, sia nella giurisprudenza della Corte EDU che della Corte di Giustizia non sempre le categorie utilizzate sono sovrapponibili alla distinzione civile-penale propria del diritto interno nazionale.
Nelle parti del libro in cui si ragiona de iure condendo sugli strumenti più adatti per assicurare il contrasto dell’Hate Speech e della discriminazione, se attraverso il ricorso alla tutela penale o ad altri strumenti[38], sono numerosi gli interrogativi sapientemente stimolati, sia in ragione della peculiare natura dei diritti da proteggere, sia del non omogeneo contesto culturale in Italia in cui la protezione dei diritti dev’essere assicurata.
Emblematica è la tutela della libertà di espressione, funzionale alla protezione di una costellazione di diritti, tra cui quelli in parola, e alla sua nemesi, l’abuso del diritto di parola, ossia l’Hate Speech basato sulla discriminazione di genere e di orientamento sessuale[39].
Personalmente ritengo che in questo segmento dei diritti delle persone, la loro tutela come diritti fondamentali, aiuti a “sdrammatizzare” il problema del rapporto tra i diritti sottesi e libertà di espressione e che, al contrario, la ricerca di una esclusiva repressione penale dei comportamenti lesivi dei diritti, anche quando tecnicamente efficace, rischi di “enfatizzare” tale conflitto[40], con il risultato che il rimedio possa anche rivelarsi in una certa misura controproducente per il bene giuridico che si vuole tutelare.
L’aspetto focale non pare tanto quello del rischio di generare attraverso la repressione penale una c.d. “discriminazione alla rovescia” della maggioranza, profilo da non sottovalutare, ma ragionevolmente superabile con adeguati accorgimenti tecnici, come ad esempio il riferimento, che emerge dall’analisi comparata, ad un ampio “orientamento sessuale e identità di genere” che potenzialmente escluda una discriminazione alla rovescia[41].
Piuttosto, il punto è che la fondamentale libertà di espressione è un diritto per sua natura “relativo”, il quale tradizionalmente si confronta ed entra in bilanciamento - seguendo il paradigma tassonomico elaborato dalla CEDU per i diritti umani - con la necessità di rispettare molti diritti[42], tra cui quelli degli “altri”, ossia la maggioranza che segue orientamenti sessuali, di famiglia e di genere tradizionali. L’intervento lesivo del diritto della persona LGBTQI viene allora per lo più giustificato con la necessità di tutelare dei fini legittimi sensibili, individuati spesso nel rispetto della morale, della salute, della protezione di minori da atti osceni, dei valori tradizionali, della volontà della maggioranza, dell’educazione della prole da parte delle famiglie tradizionali, elementi tutti che in una sfera pubblica entrano in bilanciamento con l’esercizio della libertà individuale. Non solo, vi è una libertà di espressione di contenuto opposto, spesso condiviso dalla maggioranza sia pure con diverse gradazioni, che nel caso concreto può anche giungere a valicare i limiti e, se non contrastata, rivelarsi pericolosa e potenzialmente distruttiva per la persona appartenente alla minoranza.
6. Verso l’individuazione di nuove obbligazioni positive per lo Stato.
La delineata complessa fattispecie bene può essere governata con le categorie del rispetto dei diritti fondamentali e può essere d’aiuto all’interprete nazionale l’ormai articolata casistica e interpretazione fornita dalle Corti internazionali europee, in grado di costituire anche un parametro di omogeneità nel regolamento di gran parte dei casi. Al contrario, una concezione pan-penalistica nazionale della tutela, rimettendo buona parte delle scelte a monte al legislatore e in parte anche al capo dell’ufficio demandato all’esercizio dell’azione penale, rischia di isolare e sottrarre in misura considerevole il caso concreto al confronto sia con le risultanze dell’analisi di diritto comparato[43], sia con la costante evoluzione della giurisprudenza sovranazionale in materia e può rivelarsi di dubbia efficacia.
Infatti, è soprattutto grazie alle decisioni della Corte EDU nei noti casi italiani Sallusti[44] e Belpietro[45] che anche nel nostro Paese si è acquisita maggiore consapevolezza di come l'applicazione della legge penale nella sfera della libertà di espressione possa a volte generare più problemi di quanti miri a risolvere e, in non pochi casi, essere considerata uno strumento sproporzionato in una società democratica, anche quando diretto a tutelare diritti pacificamente meritevoli di protezione[46].
Inoltre, la sanzione penale non è efficace per una omogenea tutela del bene giuridico sul territorio nazionale, se il disvalore del comportamento non è adeguatamente percepito, come è emerso nel caso Sabalić[47]: la Croazia è stata condannata dalla Corte EDU per aver sanzionato in sede penale il comportamento di un uomo che in discoteca aveva preso a pugni e calci una donna che lo aveva rifiutato rivelandogli la sua omosessualità con l’applicazione di una risibile ammenda di 40 euro per interruzione della pace e ordine pubblico, senza individuare e affrontare il grave attacco omofobico perpetrato, attività oltretutto preclusa in un ulteriore processo penale dal principio del ne bis in idem.
In generale, una mera tutela repressiva in sede penale del singolo comportamento lesivo lascia appena scalfito il problema centrale complessivo che è innanzitutto culturale: al di là di reprimere interferenze negative con il diritto protetto, come naturalmente necessario nei casi più gravi, è auspicabile individuare delle precise obbligazioni positive a carico dello Stato responsabile, al fine di assicurare che siano al massimo contenute le discriminazioni per orientamento sessuale e di genere.
L’enucleazione di comportamenti attivi che lo Stato deve tenere[48] - la Corte EDU fa riferimento alla categoria delle “positive obligations” - in una certa misura è possibile anche nelle relazioni orizzontali tra privati, nell’ambito delle quali lo Stato non può permettere discriminazioni nell’esercizio di diritti protetti. Così, fermo restando che dev’essere attinto un livello minimo di severità della discriminazione[49], la condanna per violazione di obbligazioni positive tipicamente può essere fatta valere nei rapporti di lavoro privato, nei confronti dei quali lo Stato responsabile è terzo, ma nei quali questi non può consentire discriminazioni basate unicamente sul genere e orientamento sessuale[50]. Egualmente, è sanzionata anche la violazione di obblighi procedurali per mancata preventiva protezione contro crimini d’odio nei confronti di persone LGBTQI[51], come pure la carente efficace indagine successiva alla violazione motivata da discriminazione e odio[52].
Ci sono significativi sviluppi in corso: nell’ambito del diritto armonizzato, il Parlamento europeo ha adottato il 14 settembre 2021 una risoluzione sui diritti delle persone LGBTQI nell'UE[53], diretta ad affrontare non solo il contrasto alla discriminazione, peraltro non ancora pienamente raggiunta nel nostro ordinamento giuridico, ma anche il perseguimento in senso positivo dell’uguaglianza, delineando un cambio di paradigma e un innalzamento della tutela.
Sulla medesima linea d’azione, l’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU sta individuando progressivamente nuove obbligazioni positive per lo Stato anche nell’ambito del riconoscimento e protezione delle stesse relazioni affettive non tradizionali, sotto l’angolo dell’art.8 CEDU. Si pensi al recente caso Fedotova[54], in cui la Federazione russa è stata condannata per aver mancato di riconoscere giuridicamente e proteggere le relazioni tra tre coppie omosessuali, mancando di adempiere alle proprie obbligazioni positive discendenti dall’art.8 della Convenzione, sia sotto il profilo della vita privata che sotto quello della vita familiare, sempre sulla scorta di un’attenta analisi di diritto comparato, da cui è emersa l’irragionevole eccentricità della posizione dello Stato responsabile. La maggioranza del Collegio di grande Camera non ha ritenuto di dover esaminare separatamente la questione sotto il profilo del contrasto alla discriminazione di cui all’art.14 CEDU, a conferma di un orientamento giurisprudenziale che si va rafforzando nel senso della tutela dell’eguaglianza e di un confronto costante con quanto avviene in situazioni analoghe in simili società democratiche.
Certo, dobbiamo avere a cuore non solo le libertà individuali in sé, ma anche la dimensione sociale in cui si inseriscono, che è soggetta a costanti e talvolta rapidi mutamenti, ma è pur sempre definita a partire dalla identità culturale del Paese la quale, con tutti i suoi limiti e compromessi, costituisce l’assetto valoriale che permette alle persone di essere libere nella nostra società. Quindi libertà individuale e innovazione certo, ma senza umiliare la nostra tradizione e favorendo il più possibile una gradualità senza strappi che possano generare una reazione regressiva e nuocere all’effettività del diritto colpendo in primo luogo chi è più vulnerabile.
È anche opportuno preservare la diversità di visioni su questo tema e sono anzi da valorizzare gli equilibri cangianti che la società determina, per favorire il dialogo e la condivisione di un metodo comune, democratico che, si spera, raggiunga un esito parlamentare durevole. Sfogliando le ultime pagine del libro, si coglie bene l’attesa per un intervento del legislatore che, a differenza della primavera 2023, come nella canzone di Battiato “tarda ad arrivare”.
*
[1] Il contributo riprende spunti proposti da chi scrive all’incontro di studi organizzato da Area Democratica per la Giustizia al Palazzo di Giustizia di Milano il 16 Marzo 2023, in cui è stata discussa l’opera “DIRITTO E PERSONE LGBTQI+” edita da Giappichelli, 2022, a cura di Marco Pelissero e Antonio Vercellone, alla presenza dei curatori.
[2] Solo sull’identità di genere, basti qui richiamare quattro significative sentenze rese dalla Corte EDU: 11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno unito, che ha riconosciuto l’assenza di significativi fattori di interesse pubblico che possano bilanciare l’interesse individuale ad ottenere il riconoscimento legale della riassegnazione di genere; 10 marzo 2015, Y.Y. c. Turchia, che ha riconosciuto come il diritto delle persone transessuali allo sviluppo della propria personalità e alla propria integrità fisica e morale sono diritti umani protetti dalla Convenzione; 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia, che ha dichiarato la violazione dell’art.8 CEDU per aver lo Stato responsabile negato ad una persona transessuale, che non voleva sottoporsi alla riassegnazione di genere chirurgica, il riconoscimento della propria identità di genere, non potendo questa essere condizionata alla perdita del pieno esercizio del diritto alla propria integrità fisica; 31 gennaio 2023, Y. c. Francia, in cui la Corte EDU ha rigettato il ricorso di una persona intersessuale che ha chiesto la sostituzione nel suo certificato di nascita del genere “maschile” con “neutro” o “intersex”, considerato il fatto che la decisione non riguarda solo la tutela della posizione individuale alla rettifica dello status civile, dal momento che il riconoscimento di un genere ulteriore rispetto alla distinzione binaria avrebbe comportato per la Francia la necessità di modificare un grande numero di previsioni del suo ordinamento giuridico, non solo in materia di anagrafe, ma anche previdenziale ecc., e questa valutazione complessiva dei diritti in gioco, per un principio di separazione dei poteri e per le ampie implicazioni che la questione comporta, spetta al potere legislativo nazionale e non a quello giudiziario sovranazionale.
[3] Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei ministri, Discussa e adottata dal Congresso il 25 marzo 2015, per la relazione esplicativa vedi Documento CG/2015(28)9FINAL disponibile sul sito www.coe.int, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[4] Il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale godono di una estesa base giuridica nei trattati dell’UE, individuabile in primo luogo nell'articolo 10 del Trattato sul funzionamento del l'Unione europea (TFUE) e negli articoli 2 e 3 del trattato sull'Unione europea (TUE), oltre che nell’art.13 del trattato che istituisce la Comunità europea (TCE), introdotto dal Trattato di Amsterdam, ora art.19 TFUE, che prevede espressamente una procedura legislativa speciale per prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, attraverso una delibera all’unanimità del Consiglio e consenso del Parlamento.
[5] Cfr. Direttiva 2000/43/EC sull’eguaglianza razziale; Direttiva 2012/29/EU sui diritti delle vittime, che esplicitamente proibisce la discriminazione su base di orientamento sessuale, identità di genere ed espressione di genere.
[6] V. Direttiva 2000/78/EC che specificamente proibisce la discriminazione, oltre che su base religiosa, di disabilità e di età, anche di orientamento sessuale.
[7] In riferimento all’identità di genere, sotto il profilo della tecnica di tutela nel nostro ordinamento giuridico, si veda la recente ordinanza della Corte Cost. n.269 del 28 dicembre 2022.
[8] C. CIRILLO, A. SOGGIA, Diritto di asilo, orientamento sessuale e identità di genere, in AA.VV., Diritto e Persone LGBTQI+, a cura di Marco Pelissero e Antonio Vercellone, Giappichelli, 2022, 195 e ss.
[9] Ad es., tra le molte, Cass. n.37310 del 29 novembre 2021.
[10] Cfr. Cass. n.21929 del 9 ottobre 2020.
[11] Una tappa che non ha trovato continuità nella travagliata evoluzione giurisprudenziale sulla omogenitorialità è costituita dalla sentenza della Cassazione n.19599 del 30 settembre 2016. Secondo questa sentenza è riconoscibile in Italia un atto di nascita straniero, validamente formato, dal quale risulti che il figlio è nato da due donne (una che l’ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), atteso che non esiste, a livello di principi costituzionali primari, come tali di ordine pubblico ed immodificabili dal legislatore ordinario, alcun divieto, per le coppie omosessuali, di accogliere e generare figli, venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie eterosessuali.
La decisione deve confrontarsi con Corte Cost 9 marzo 2021, n.32 a mente della quale è al contrario esclusa “l’esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso” e con la coeva e logicamente analoga pronuncia Corte Cost. 9 marzo 2021, n.33 secondo cui “non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino”.
[12] Oltre a quanto già citato, si veda S. LOLLINI, Il riconoscimento della genitorialità omosessuale: un percorso lungo e tortuoso e V. CALDERAI, Il dito e la luna. Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., rispettivamente pp.91 e ss e pp.137 e ss..
[13] “Al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali poc’anzi ricapitolati attraverso l’adozione, essa dovrebbe dunque essere disciplinata in modo più aderente alle peculiarità della situazione in esame, che è in effetti assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983.”, cfr. Corte Cost. 9 marzo 2021, n.33.
[14] Cass. Sez. U. n.38162 del 30 dicembre 2022, sentenza originata dalla complessa ordinanza di remissione della prima sezione civile n.1842/2022.
[15] Un caso simile alla fattispecie regolata dalla decisione è stato oggetto di un significativo precedente a sua volta reso a Sezioni Unite, la sentenza n.12193 dell’8 maggio 2019 con la quale, pur rigettando la soluzione della trascrizione automatica del provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra il nato a seguito di maternità surrogata e il “genitore d’intenzione” per violazione del principio di ordine pubblico, la Corte si è occupata della sorte dei figli nati da maternità surrogata, giungendo a ritenere adeguata la soluzione dell'adozione in casi particolari, c.d. “Stepchild Adoption” all’interno delle coppie omoaffettive, cfr. M. BIANCA, Le Sezioni Unite e i figli nati da maternità surrogata: una decisione di sistema. Ancora qualche riflessione sul principio di effettività nel diritto di famiglia, su www.giustiziainsieme.it, ultimo accesso 15.3.2023.
[16] L’istituto è nato con finalità diverse, per disciplinare ipotesi eccezionali. Questo è reso evidente dal fatto che nell’istituto è sottesa, tra l’altro, l’esigenza di conservare un legame giuridico tra il minore e la sua famiglia di origine, necessità è radicalmente esclusa nel caso di nascita da “gestazione per altri”.
[17] Cass. Sez. U. n.38162/22 cit. si occupa del profilo sforzandosi di limare il punto di frizione, affermando che l’effetto ostativo del dissenso del genitore biologico all’adozione da parte del genitore sociale dev’essere valutato esclusivamente con riferimento alla conformità al “best interest of the child”, sicché il genitore biologico può validamente negare l’assenso all’adozione del partner solo nell’ipotesi in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e cura nei confronti del nato, oppure, pur avendo partecipato al progetto di procreazione, abbia poi abbandonato partner e minore.
[18] Cfr. Corte Cost. 28 gennaio 2021, n.33: si è subito evidenziato in dottrina come fosse obiettivamente pregiudizievole per il minore in caso di maternità surrogata l’assenza di instaurazione di un rapporto di parentela tra l’adottato e i parenti dell’adottante, per più ragioni: innanzitutto non esiste alcuna famiglia d’origine che giustifichi la superiore limitazione, nell’interesse del minore adottato; in secondo luogo nelle more della pronuncia di adozione il minore resta sprovvisto di tutela giuridica; in terzo luogo l’adozione in casi particolari è rimessa alla volontà del “genitore d’intenzione” ed è condizionata all’assenso da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia, v. A. MORACE PINELLI, La Corte costituzionale interviene sui diritti del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata. Brevi note a Corte Cost. 9 marzo 2021 n.33, su www.giustiziainsieme.it, ultimo accesso 15.3.2023. Con la successiva sentenza Corte Cost. n.79 del 28 marzo 2022 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.55 l. adoz. nella parte in cui, mediante rinvio all’art.300 cod. civ., prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
[19] COM(2022) 695 final, Proposta di regolamento del Consiglio Europeo del 7 dicembre 2022 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento delle decisioni e all’accettazione degli atti pubblici in materia di genitorialità e all’istituzione di un certificato europeo di genitorialità; cfr. Cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, a cura di A. Di Stasi, M.C. Baruffi, L. Panella, Editoriale Scientifica, 2023, pp.347 e ss..
[20] Rispettivamente, COM(2020) 698 final e COM(2021) 142 final, documenti disponibili in https://eur-lex.europa.eu, ultimo accesso 15.3.2023.
[21] Cfr. Corte Cost. 23 ottobre 2019, n. 221 e Corte Cost. 15 novembre 2019, n. 237. L’adozione ha una matrice solidaristica, e non vi è un diritto soggettivo bensì un interesse giuridicamente rilevante ad adottare, che può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato, cfr. C.M. BIANCA, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016.
[22] La sentenza Cass. Sez. U. n.38162/2022, al punto 7 della motivazione ricorda che “la giurisprudenza non è fonte del diritto”, nel senso che non può sostituirsi ad una fonte formale, in primo luogo al legislatore.
[23] Cfr. J.LONG, L’omogenitorialità nell’ordinamento giuridico italiano, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., 79.
[24] Cfr. Con riferimento al dibattito italiano, v. C. TRIPODINA, L’argomento originalista nella giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali, in F. GIUFFRE e I. NICOTRA (a cura di) Atti convegno Gruppo di Pisa Catania il 5 ottobre 2007, Torino, Giappichelli, 2008.
[25] L.H. TRIBE, Taking Text and Structure Seriously. Reflections on Free-form Method in Constitutional Interpretations, in Harvard Law Rev., Vol. 108, No. 6 (Apr., 1995), 1221-1303.
[26] Corte EDU, 25 aprile 1978, Tyrer c. Regno Unito. In dottrina, G. LETSAS, The ECHR as a living instrument: its meaning and legitimacy, in AA.VV., Constituting Europe. The European Court of Human Rights in a National, European and Global Context, Cambridge University Press, 2013, 106 ss..
[27] Cfr., ad es. Corte cost. n.561 del 18 dicembre 1987: essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire.
[28] F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1995.
[29] M. CAIELLI, Tutelare l’identità di genere attraverso la repressione dell’Hate Speech: considerazioni a partire dal disegno di legge Zan, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.218 e ss..
[30] O. POLLICINO, Corte di Giustizia e giudici nazionali: il moto ascendente, ovverosia l’incidenza delle tradizioni costituzionali comuni nella tutela apprestata ai diritti dalla Corte nell’Unione, in Giur. cost., I, 2015, 242 ss..
[31] G. DE VERGOTTINI, Tradizioni costituzionali e comparazione: una riflessione, in rivista AIC, 4/2020.
[32] P. GORI, Evoluzione della CEDU e analisi di diritto comparato, Roma, Aracne, 2013, 18-24.
[33] Cfr. http://fra.europa.eu/en/theme/gender, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[34] Cfr. M. PELISSERO, Il disegno di legge Zan: una riflessione sul percorso complesso tra diritto penale e discriminazione, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., p.250.
[35] Cfr. Corte EDU, 20 giugno 2017, Bayev c. Russia e ampi riferimenti ivi citati.
[36] A. SCHILLACI, “Le” gestazioni per altri: una sfida per il diritto, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.111 e ss..
[37] F. GIANFILIPPI, Omosessuali e transgender in carcere: tutela dei diritti e percorsi risocializzanti, in Diritto e Persone LGBTQI+, cit., pp.326 e ss..
[38] Cfr. M. PELISSERO, Il disegno di legge Zan: una riflessione sul percorso complesso tra diritto penale e discriminazione, cit., pp.251 e ss..
[39] F. CASAROSA, Freedom of Expression and countering Hate Speech, EUI, 2021, p.23; P. GORI, La Libertà di Manifestazione del Pensiero, Negazionismo, Hate Speech in AA.VV. La Corte di Strasburgo, Key Editore, 2019.
[40] Suggestioni sulla libertà di espressione tratte da S. RODOTA’, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2015.
[41] Molto costruttivo e documentato l’apporto di L. GOISIS, Crimini d’odio omofobico, diritto penale e scelte politico-criminali, in Diritto e persone LGBTQI+, cit., 235.
[42] P. GORI, ECHR Article 10: how does the Protection Work?, Aracne, 2014.
[43] In ogni caso, va osservato che l’approfondita analisi comparata del diritto è essenziale anche a costruire una efficace tutela penale de iure condendo per il contrasto all’Hate Speech motivato da discriminazione di genere e orientamento sessuale, sia che si pensi all’introduzione di una fattispecie autonoma di reato, sia che si pensi ad una aggravante.
[44] Corte EDU 7 marzo 2019, Sallusti c. Italia.
[45] Corte EDU 24 settembre 2013, Belpietro c. Italia.
[46] Grande attenzione va fatta soprattutto quando è prevista la pena detentiva, cfr. Corte EDU 8 ottobre 2013, Ricci c. Italia e Corte Cost., 12 luglio 2021 n.150.
[47] Corte EDU 14 gennaio 2021, Sabalić c. Croazia.
[48] Handbook on European non-discrimination law, 2018 edition, p.73, disponibile in http://fra.europa.eu, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[49] Corte EDU 20 ottobre 2011, Stasi c. Francia.
[50] Il riferimento, più sfumato, vale anche per “azioni positive” nel quadro del diritto armonizzato in materia antidiscriminatoria e di promozione dell’uguaglianza, ad es. in materia di genere e sesso, v. Art.7 Direttiva 2006/54/CE “incoraggiare i datori di lavoro e i responsabili della formazione professionale a prendere misure per combattere tutte le forme di discriminazione fondate sul sesso”; Art.6 Direttiva 2004/113/CE: “il principio della parità di trattamento non impedisce ad alcuno Stato membro di mantenere o adottare misure specifiche destinate ad evitare o a compensare gli svantaggi legati al sesso”; specificamente per i diritti LGBTQI, v. Direttiva 2012/29/EU, che fissa standard minimi sui diritti, aiuto e protezione delle vittime di crimini.
[51] Cfr. Corte EDU 12 maggio 2015, Identoba e altri c. Georgia: profili di censura rilevanti sono stati gli artt.3 e 14 CEDU.
[52] V. Corte EDU 12 aprile 2016, M.C. e A.C. c. Romania, che ha sancito la violazione, oltre che dell’art.14, dell’art.3 CEDU sotto l’aspetto procedurale.
[53] Documento 2021/2679(RSP), disponibile in https://www.europarl.europa.eu, ultimo accesso 15 marzo 2023.
[54] Corte EDU 17 gennaio 2023, Fedotova e altri c. Russia.