Doveri dell’uomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto*
Intervista di Roberto Conti a Renato Rordorf
1. Caro Renato, secondo Te, il nostro tempo ha bisogno di tornare a riflettere sui doveri dell’uomo, tema assai caro a Giuseppe Mazzini che ad esso dedicò il suo celebre saggio?
Confesso che in passato mi era capitato solo saltuariamente di imbattermi in citazioni tratte dal libro di Mazzini Dei doveri dell’uomo[1]¸ che però non avevo mai letto integralmente. L’iniziativa di Giustizia insieme mi ha spinto ora a farlo e ne sono davvero grato, perché è stata una lettura che non esiterei a definire appassionante. Le idee di Mazzini, ovviamente, si possono condividere o meno, e certamente oggi appaiono sotto molti aspetti alquanto invecchiate; ma quello che non si può non ammirare è la straordinaria passione, la forza morale, la sincerità ed il rigore che traspaiono dalle pagine di questo piccolo libro, tanto più ove si rifletta a come la vita stessa di Mazzini sia stata sino alla fine coerente con i principi che egli professava e quale prezzo egli abbia pagato per restarvi fedele.
Già solo per lo straordinario impegno civile di cui esse recano testimonianza credo che le pagine mazziniane meritino tuttora di essere lette e che si debba perciò rispondere positivamente alla domanda se vi sia ancora bisogno di riflettere sul tema dei doveri dell’uomo che vi è trattato. In una società oggi tendenzialmente apatica ed assai poco propensa ad impegnarsi per un qualche ideale, quelle pagine, anche laddove se ne dissenta, possono avere una benefica funzione di stimolo. D’altronde si tratta di un tema che investe, nella sua apparente semplicità ma nella sua reale complessità, il modo stesso degli uomini di stare in società: è quindi un tema che non esiterei a definire insito nel concetto di società civile e che perciò è attuale in ogni tempo.
Se poi guardiamo, in particolare, al tempo nostro, quello in cui ora viviamo, l’esigenza di riflettere sui doveri dell’uomo (e sulla loro inscindibile connessione con i diritti) mi pare ancor più evidente. Basterebbe a dimostrarlo la discussione che nel mondo intero ha suscitato la necessità di rendere doverosi determinati comportamenti per attenuare i rischi e gli effetti della pandemia da Covid-19 ed il loro non sempre facile contemperamento con i diritti di libertà di ciascuno. E’ poi appena il caso di aggiungere che il drammatico affacciarsi del pauroso spettro della guerra nel cuore stesso dell’Europa pone inevitabilmente milioni di persone di fronte a drammatici dilemmi morali, che naturalmente evocano il tema dei doveri verso la propria comunità di appartenenza e verso l’umanità intera. Proprio ciò su cui anche Mazzini, al tempo suo, si interrogava.
2. Per Mazzini i doveri dell’uomo sono quelli che consentono di trovare il punto di equilibrio fra i diversi diritti. È attuale la sua ricostruzione e quanto essa deve misurarsi con il concetto di bilanciamento dei diritti, con la dottrina della atirannicità dei diritti umani?
Vi sono sparse un po’ in tutto lo scritto mazziniano espressioni che rivelano un’austera concezione della vita in cui la rivendicazione dei diritti ad opera dei singoli individui, alla ricerca del loro benessere materiale, è vista come manifestazione di egoismo e nuoce al progresso dell’umanità, mentre invece è l’ottemperanza ai doveri imposti da Dio che affratella gli uomini e costituisce la loro vera missione sulla terra.
Una contrapposizione tra diritti e doveri posta in termini così netti e radicali mi pare abbia perso molta della sua attualità: non giova e rischia di apparire alquanto forzata. Ogni diritto di cui taluno possa vantarsi titolare implica la pretesa di un altrui comportamento, attivo o omissivo, e pertanto si colloca sempre in un contesto di relazione con chi ha il dovere di rispettare l’altrui diritto. Non inganni la tradizionale distinzione tra diritti relativi e diritti assoluti, perché pure questi ultimi assumono rilievo solo quando vengano fatti valere nei confronti di qualcuno, anche se questo qualcuno potrebbe esser chiunque. Neppure il carattere universale dei diritti fondamentali dell’umanità, che non sono un astratto enunciato ma si sostanziano di volta in volta nella pretesa di ben specifici comportamenti e di ben precise forme di tutela, fa venir meno il loro legame con corrispondenti doveri: doveri che fanno capo anche ai governanti e comunque a tutti coloro che quei diritti sono tenuti a rispettare o cui spetta il compito di darvi effettiva attuazione. Diritti e doveri si pongono, quindi, necessariamente in un rapporto di complementarietà e costituiscono la trama giuridica di ogni consesso sociale. Al “diritto di avere diritti” (per riprendere qui la nota espressione di Rodotà), corrisponde specularmente il dovere di avere doveri, che rende ciascuno di noi responsabile versi gli altri dei propri comportamenti.
Ciò, peraltro, non esclude che in tale contesto, nel quale si rispecchia la complessità di qualsiasi forma di vita in comune, possa porsi anche la necessità di operare una qualche forma di bilanciamento, non soltanto tra diritti reciprocamente incompatibili e perciò confliggenti (come talvolta abbiamo visto accadere, ad esempio, nel contrasto tra diritto al lavoro e diritto alla salute ed alla tutela ambientale in presenza di impianti industriali inquinanti), ma anche tra diritti e doveri: si pensi all’obiezione di coscienza, invocando la quale taluno chieda di sottrarsi a determinati obblighi inerenti al suo stato professionale. Non credo esista per questo tipo di operazioni una bilancia universale, utilizzabile nel medesimo modo in ogni tempo ed in ogni luogo, perché il peso delle diverse esigenze in conflitto dipende anche dal contesto storico-sociale in cui ciascuna situazione si colloca. E se può certo predicarsi la primazia del valore della dignità umana, non è detto che sia sempre facile stabilire se o fino a qual punto in determinate circostanze quel valore sia davvero in gioco. Ma quel che vorrei qui soprattutto sottolineare è che anche la dignità non è qualcosa che appartenga unicamente all’individuo isolatamente inteso: la dignità dell’essere umano dipende anche dal suo sentirsi, per l’appunto, “umano”, cioè partecipe del destino comune dell’umanità e perciò solidale con essa (e qui mi pare davvero che le parole di Mazzini siano ancora attuali, ma ci tornerò). La dignità umana non si esaurisce nella rivendicazione di un diritto individuale, ma si manifesta anche nella capacità di assumere responsabilità verso gli altri. Indubbiamente ogni persona è titolare di una serie di diritti, che preservano la sua dignità e che possono essere concettualmente isolati, ma nella sua vita reale quella persona è inserita in una rete di rapporti nella quale vengono in evidenza le interrelazioni tra ciò che essa può o deve fare e ciò che deve attendersi che gli altri facciano per non spezzarli; rapporti se si prescindesse dai quali anche l’enunciazione della dignità dell’individuo rischierebbe di risolversi in mera retorica.
3. Mazzini, ad un certo punto si chiede: E dove i diritti di un individuo, di molti individui, vengono in contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere? In questa domanda si coglie secondo Te la diversità netta fra diritti e doveri dell’uomo? Oppure si tratta di una domanda retorica, che presuppone l’assenza di una risposta in chi la pone? Ed ancora, esiste un piano diverso e non sovrapponibile, in punto di tutela, fra l’attuazione dei diritti umani e quello dei doveri?
No, non credo che quella di Mazzini sia una domanda retorica. Più che volta a risolvere un ipotetico contrasto tra diritti e doveri mi pare, però, che essa riproponga per certi versi l’antico dramma di Antigone: il contrasto tra un diritto avvertito dal singolo (o da un gruppo di persone) come inestirpabilmente radicato nella natura umana ed il diritto positivo di uno Stato sovrano. Tema antichissimo, dunque, ma che ovviamente, nel pensiero di Mazzini, si colora con la tinta delle vicende storiche di cui egli stesso era stato ed ancora auspicava di poter essere protagonista: la realizzazione dell’Italia unita in forma repubblicana e la sua liberazione da regimi che egli considerava tutti variamente tirannici. Mazzini rivendica ripetutamente il diritto-dovere di ribellarsi alla legge ingiusta, in nome di una superiore legge dettata da Dio, che egli vede rispecchiata nella coscienza individuale e che dovrebbe incontrare progressivamente il consenso dell’umanità intera (o almeno della parte di essa sufficientemente educata ed istruita): è quello il tribunale al quale Mazzini immagina di dover ricorrere.
In questi termini il suo pensiero può effettivamente apparire superato, ma ciò non toglie l’attualità della domanda che egli si è posta, la quale suona quasi profetica se si pensa al lungo e difficile cammino che l’umanità ha dovuto percorrere per realizzare, a circa un secolo di distanza, quelle forme di giurisdizione sovranazionale volte alla tutela dei diritti fondamentali alle quali anche gli Stati (per la verità non tutti, e non senza riserve e resistenze) sono assoggettati. Ed è oggi anche a quelle giurisdizioni sovranazionali, in un dialogo costruttivo con gli organi di giustizia dei singoli Stati, che compete il compito di coniugare il piano della tutela dei diritti umani (individuali e collettivi) con quello dei doveri gravanti sui partecipanti al consesso sociale.
4. Antonio Ruggeri, più volte impegnato nella ricostruzione della teoria dei diritti fondamentali, nel delineare la struttura complessa dei diritti fondamentali ha sostenuto che essa, “riguardata sotto la luce della dignità, appare essere composita, in ciascun diritto e in tutti assieme, nel loro fare “sistema” e porsi al servizio della dignità, potendosi a mia opinione cogliere una componente deontica, resa palese dall’osservazione delle relazioni che l’individuo intrattiene con gli altri individui e l’intera società, conformandosi al canone della solidarietà (art. 2 cost.). La componente in parola è, ancora prima e di più, singolarmente evidente proprio nella dignità, da cui quindi si alimenta e per il cui tramite si diffonde, beneficamente contagiandoli, agli “altri” diritti fondamentali.”
La componente deontica dei diritti fondamenti ai quali Ruggeri accenna riconduce tutti i diritti alla dignità umana. Mazzini, per converso, sembra individuare nei Doveri dell’uomo la colla che tiene uniti i diritti per una comunità che diventa Stato. Così almeno sembra fare quando osserva che occorre “trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria (quella dei diritti n.d.r.) che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti”. Quanto secondo Te questa prospettiva si ritrova nell’art.2 Cost. allorché si sofferma sui doveri di solidarietà e quanto se ne differenzia e quanto le due prospettive sono realmente fra loro diverse? E ancora, a Tuo giudizio, può dirsi che la Carta costituzionale sia, almeno in parte, debitrice nei riguardi della lezione mazziniana sui doveri, specie per ciò che concerne il rilievo centrale assegnato al principio di solidarietà?
Mi sembra che la componente deontica dei diritti fondamentali, ed in particolare della dignità, confermi quanto poc’anzi dicevo: che, cioè, la dignità umana non si esaurisce nell’astratta titolarità di un diritto o di un insieme di diritti dell’individuo ma implica un modo di stare in società e, quindi, anche la responsabile assunzione di doveri verso gli altri; ed il suo fare “sistema” comporta quella necessità di bilanciamento tra diritti e doveri cui sopra accennavo.
La particolare enfasi di Mazzini nel sottolineare l’importanza dei doveri, in qualche modo contrapponendoli ad una visione individualistica dei diritti, credo sia dovuta, per un verso, all’afflato religioso che permea il suo pensiero (forse non privo di influenze gianseniste derivanti dall’educazione materna) e, per altro verso, dall’impulso all’azione da cui quel pensiero è sempre costantemente animato. Per Mazzini i doveri discendono dal comandamento divino. Egli lo dice in modo assai perentorio: “L’origine dei vostri doveri sta in Dio”[2] e, commentando il precetto evangelico del dare a Cesare quel che è di Cesare, Mazzini non esita ad affermare che “Nulla è di Cesare se non in quanto conforme alla Legge Divina”[3]. Ma, poiché è Dio ad aver dato a ciascun popolo la propria patria, è dovere degli italiani battersi per l’unità nazionale. Tale concezione del dovere, nella visione mazziniana, è l’unica capace di saldare i legami sociali, e non soltanto prevale su qualsiasi pretesa di laicità dello Stato ma si contrappone esplicitamente tanto agli ideali liberali quanto a quelli del socialismo o del comunismo allora ancora agli albori.
Mi sembra chiaro che un’impostazione di tal genere difficilmente sarebbe accettabile al giorno d’oggi, in una società permeata di laicismo e che, dopo il tragico ventennio fascista, è assai restia a santificare la Patria. Ciò nondimeno, pur senza indulgere in anacronismi, nelle pagine mazziniane si possono tuttora cogliere spunti di notevole attualità. Mi pare di poterli scorgere, in particolare, nella sua critica al liberismo che, esaltando sopra ogni cosa la concorrenza, ponendo perciò gli uomini in perenne competizione tra loro e “dimenticando interamente la missione educatrice della società”, conduce “alla ineguaglianza ed all’oppressione dei più”; ed altrettanto attuale è l’osservazione secondo cui, ove riuscisse ad affermarsi, il comunismo condannerebbe “a pietrificarsi la società togliendole ogni moto e ogni facoltà di progresso”; donde la conclusione che di queste due ideologie la prima “ci ha dato tutti i mali dell’anarchia” e la seconda “ci darebbe l’immobilità e tutti i mali della tirannide”[4].
La Carta costituzionale, come è ben noto, ha realizzato una sintesi – direi una felice sintesi – tra culture politiche e filosofiche diverse, conciliando per quanto possibile gli ideali liberali con quelli del cristianesimo sociale e del marxismo. Anche il mazzinianesino, pur se espressione di un pensiero minoritario rispetto a quello che si esprimeva nei grandi partiti di massa, ha avuto il suo ruolo, come appare evidente a chiunque rilegga la straordinaria (ed ancora per molti aspetti modernissima) Costituzione della Repubblica Romana del 1849, di cui proprio Mazzini fu il principale ispiratore, la quale anticipa in diversi punti i contenuti della nostra Carta costituzionale. Non mi sembra perciò arbitrario ritrovare l’afflato mazziniano, tra l’altro, proprio nella formulazione dell’art. 2 della Costituzione, che affianca i diritti inviolabili della persona umana, come singolo e nelle formazioni sociali, ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Nella solidarietà si rispecchiano i molteplici legami esistenti tra i partecipanti ad un medesimo consesso sociale che, nel pensiero mazziniano, è prima di tutti quello nazionale, ma non inteso in contrapposizione con nazioni o etnie diverse, bensì destinato ad un’armonica convivenza con gli altri popoli nel comune sforzo di realizzare il Progresso dell’intera Umanità (parole tutte che Mazzini scrive sempre con iniziali maiuscole), da lui concepito quasi in chiave messianica. Oggi ci esprimeremmo con toni diversi, forse meno enfatici e profetici di quelli adoperati da Mazzini nel lontano 1860; ma non credo sia inattuale sostenere che la solidarietà evocata dal testo costituzionale implichi, al tempo stesso, tanto il riconoscimento delle radici identitarie su cui poggia la costruzione dello Stato nazionale quanto il sentirsi partecipi di un destino che accumuna tutto il genere umano. E chissà che anche Mazzini non avesse in mente quel bacio rivolto al mondo intero nell’Ode alla Gioia di Schiller (Diesen Kuß der ganzen Welt!), musicata da Beethoven, che tuttora non cessa di commuoverci e che, non casualmente, risuonò in piazza a Berlino all’indomani della caduta di quel muro che era divenuto simbolo di divisione tra gli uomini.
Ma la solidarietà resterebbe parola vuota, un’empatia fine a se stessa, se non la si intendesse anche come dovere di adoperarsi per favorire l’armonia tra i consociati e sforzarsi di migliorare lo stato della società in cui si vive. E’ quel medesimo dovere che, nei rapporti giuridici tra privati (ma anche tra privati e pubblica amministrazione), si traduce nell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza, e che non si esaurisce nell’astenersi dal danneggiare illecitamente gli altri ma impone di farsi carico anche dell’altrui interesse e di proteggerlo almeno fin quando non pregiudichi ingiustificatamente il proprio. Il che, a ben guardare, non mi pare sia poi tanto distante dall’idea di dovere che Mazzini pone a fondamento del vivere in società, quando afferma che “Non basta il non nuocere: bisogna giovare ai vostri fratelli”[5].
5. Il collegamento che Mazzini fa dei doveri a Dio come deve intendersi e quanto è secondo Te oggi attuale in una società intesa come laica per Costituzione? E per altro verso, la radice divina che sembra potere orientare l’uomo verso la legge giusta o ingiusta che pure traspare dalle pagine mazziniane è ancora oggi attuale quando si parla di disobbedienza civile alle leggi in nome di valori fondamentali?
Ho già accennato al fondamento religioso (ma non certo confessionale) che ispira tutto il pensiero di Mazzini ed al carattere sacrale da lui attribuito ai doveri dell’uomo. È chiaro che, in società fortemente laiche quali sono attualmente le nostre, almeno nel cosiddetto mondo occidentale, una simile impostazione ha ben poca presa. Vi sono pagine mazziniane che oggi davvero ci sembrano assai lontane, quali ad esempio quelle nelle quali egli evoca il “Dio lo vuole” delle Crociate per farne il grido nazionale del popolo italiano in cerca di unità[6]. Vorrei però sottolineare che, pur non senza forse qualche contraddizione, al pensiero di Mazzini era completamente estranea qualsiasi forma di fondamentalismo. Egli è chiarissimo nell’affermare che “Nessuno ha diritto di persecuzione, d’intolleranza, di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose: nessuno, fuorché la grande pacifica voce dell’Umanità, ha il diritto di frapporsi tra Dio e la vostra coscienza”[7]. Direi che la sua è un’impostazione schiettamente giusnaturalistica, ed è proprio a quest’impostazione che si collega la primazia dell’imperativo morale in nome del quale Mazzini considera doveroso ribellarsi alla legge degli uomini, se essa appare ingiusta dinanzi al tribunale della propria coscienza e nel confronto con quella legge del Progresso dell’Umanità di cui gli sembra di scorgere l’impronta nel corso della storia: il “disegno provvidenziale che governa il mondo e che è via via rivelato dalle ispirazioni del Genio virtuoso e dalle tendenze dell’Umanità nelle epoche diverse della sua vita”[8]. Parole che forse al nostro orecchio di uomini del ventunesimo secolo appaiono arcaiche, un po’ sopra le righe, se non proprio del tutto stonate, perché ci sentiamo probabilmente più vicini al pessimismo leopardiano che non alla fede nella manzoniana provvidenza o nelle magnifiche sorti e progressive. E, tuttavia, credo che su quelle parole, liberate dalla polvere del tempo e spogliate della loro veste retorica, si debba continuare a riflettere, soprattutto dopo che le drammatiche esperienze dei totalitarismi novecenteschi hanno mostrato come sia pericoloso rompere ogni legame tra il diritto e la morale e quale grande valore possa risiedere nella disobbedienza civile in determinate situazioni storiche, che purtroppo non è escluso possano ripresentarsi nemmeno nell’epoca in cui viviamo, nella quale non mancano nuovi esempi di totalitarismo.
6. “Quand’io dico, che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli.” Così Mazzini. Nel nostro tempo, secondo Te, come può concretizzarsi questa riflessione?
Torno a dire che vi è una necessaria interdipendenza tra diritti e doveri, che concorrono entrambi a formare la trama del tessuto sociale. Ciò non toglie che, a seconda delle circostanze e delle esigenze suggerite dal momento storico, si possa esser portati a porre l’accento più sugli uni o più sugli altri. Nel caso di Mazzini è evidente che la particolare accentuazione dei doveri dell’uomo nasceva anche dalla volontà di esortare alla lotta per realizzare l’unificazione nazionale in forma repubblicana, con tutto l’impegno ed i sacrifici che questo necessariamente comportava.
Mazzini, come ho già ricordato, non nega però affatto l’importanza dei diritti individuali, ai quali anzi riconosce un fondamento giusnaturalistico, soprattutto valorizzandoli come diritti di libertà, e proprio alla libertà dedica pagine molto eloquenti nelle varie declinazioni che essa può assumere – libertà di pensiero, di stampa, di associazione, ecc. – in termini che palesemente richiamano la già citata Costituzione della Repubblica romana del 1849 e che non mancheranno di riecheggiare poi nella vigente Costituzione italiana.
L’aspetto di maggiore interesse del pensiero mazziniano, a questo riguardo, mi sembra però consista nella ripetuta affermazione secondo cui senza libertà non esiste morale, perché non v’è assunzione di responsabilità, ma le libertà di cui ciascuno dispone non sono fine a se stesse, non hanno lo scopo di soddisfare gli interessi materiali dei singoli, ma vanno usate – doverosamente usate – per la realizzazione del bene comune. La libertà, insomma, “non deve mai degenerare in un fatale egoismo”[9]. Sta qui, mi sembra, il nesso indissolubile che Mazzini individua tra diritti (individuali) e doveri (verso la collettività).
Su come si configuri questo nesso si può, ovviamente, discutere assai a lungo, giacché ne sono evidenti le implicazioni ideologiche e politiche. Quel che mi pare però fuor di dubbio è che siamo in presenza di problemi attualissimi, perché, a fronte dell’indubbia esigenza di assicurare una più forte tutela ai diritti fondamentali della persona umana, che si è andata manifestando sin dall’indomani della seconda guerra mondiale, sono a mano a mano emerse preoccupazioni per un uso talvolta strumentale ed eccessivamente aggressivo di quei medesimi diritti, intesi quasi a modo di scudi o di lance in una guerra di tutti contro tutti nella quale solo le istanze del singolo contano davvero ed ognuno ha qualcosa da rivendicare ma nessuno si sente obbligato ad assumere responsabilità verso gli altri. Di certo quel che Mazzini auspicava non era un mondo popolato in prevalenza da consumatori sospettosi e risentiti, bensì una società di cittadini consapevoli del proprio ruolo e partecipi della cosa pubblica.
La contrapposizione tra l‘io ed il noi è tuttora al centro anche del dibattito sociologico: non la si può certo affrontare qui in poche righe, ma credo di poter dire che la riflessione di Mazzini conservi a questo riguardo un notevole margine di attualità proprio nella misura in cui richiama al dovere sociale di non ipostatizzare i diritti dell’individuo ma di calarli nel contesto del vivere in comune. Ed un’eco di questa riflessione mazziniana mi pare d’altronde si possa rintracciare anche nel dovere imposto ad ogni cittadino dal secondo comma dell’art. 4 della Costituzione: “il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.”
7. Nella nostra società, sempre più plurale, sempre più aperta e porosa verso esperienze sovranazionali e sempre più impegnata nel coltivare la cooperazione fra Paesi diversi, quanto è attuale il concetto mazziniano di Patria? E, per altro verso, il parimenti continuo richiamo all’umanità aiuta a spiegare meglio il significato della prospettiva della doverosità che Mazzini propugna?
Nel quadro internazionale di oggi che vede sempre più intensi i vincoli discendenti da tale principio e interconnesse le relazioni tra gli Stati, ritieni dunque che la lezione mazziniana possa o, addirittura, debba esser motivo d’ispirazione per lo svolgimento delle relazioni stesse, come pure di quelle che si svolgono tra i consociati e tra questi e i pubblici poteri?
A queste domande mi pare di avere già in precedenza almeno in parte risposto. Aggiungerei solo che l’esaltazione mazziniana del concetto di patria è ovviamente da collocare in un contesto storico – correva l’anno 1860 – nel quale la lotta per realizzare l’unità nazionale era al suo culmine ed il patriottismo ne era uno dei principali moventi ideali. E’ fatale che oggi le pagine dedicate da Mazzini ai doveri verso la Patria siano lette con occhi diversi, soprattutto dopo che il patriottismo ha costituito uno dei principali strumenti retorici del regime fascista ed in un momento in cui la bandiera dei diversi nazionalismi viene da molte parti agitata in contrapposizione ai valori fondanti dell’Unione europea. Ma, come ho già avuto occasione di sottolineare prima, il concetto mazziniano di patria non implica alcuna chiusura verso l’esterno ma si coniuga, ed è in certo senso subordinato, ad un valore più alto, facente capo all’intera Umanità, che impone a ciascuno di intervenire “ovunque la dignità della natura umana è violata dalla menzogna o dalla tirannide”[10].
E qui di nuovo giova richiamare la Costituzione della Repubblica romana del 1849, che nel quarto dei suoi Principi fondamentali propugnava sì l’italianità, ma dopo avere solennemente affermato che la Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli. Né va dimenticato che già in precedenza Mazzini, dopo la Giovine Italia, aveva dato vita anche alla Giovine Europa, uno dei primi tentativi di fondare un’istituzione sovranazionale tesa all’affermazione di ideali democratici. Troppo poco, ovviamente, per farne un predecessore delle odierne istituzioni europee, ma non è male tenerlo presente per ricordarsi che all’origine di queste non v’è solo un’anima mercantile.
8. L’opera mazziniana si conclude con questa frase: L’emancipazione della donna dovrebb’essere continuamente accoppiata per voi coll’emancipazione dell’operaio e darà al vostro lavoro la consacrazione d’una verità universale. Quali reazioni Ti suscita questa affermazione, da magistrato e da giurista?
Anche qui mi pare che sia necessario scrostare la patina antica che ricopre alcune espressioni mazziniane per farne emergere i contenuti tuttora moderni. La definizione della donna come “Angelo della famiglia” e l’invocarla con i termini di “Madre, sposa, sorella” attribuendole la funzione di “carezza della vita” e “dolcezza consolatrice”[11] mal si conciliano con il pensiero femminista sviluppatosi in epoca successiva. Una volta però riconosciuto che simili espressioni, al pari di quelle dedicate più in generale alla santità della famiglia, sono manifestazioni di una cultura ancora pressocché universalmente diffusa quando Mazzini scriveva quelle pagine, val piuttosto la pena di soffermarsi su altri passaggi che, a quei tempi, dovevano apparire assai meno scontati. Così è, soprattutto, per l’inequivocabile negazione di ogni superiorità dell’uomo nei confronti della donna, che Mazzini non esita a definire un “lungo pregiudizio” alimentato da “una educazione diseguale e una perenne oppressione di leggi”[12]; ed egli è chiarissimo nel predicare la necessità che l’eguaglianza tra l’uomo e la donna, pur nella diversità delle rispettive finzioni, deve sussistere “nella vita civile e politica”, quasi fossero “le due ali dell’anima umana verso l’ideale che dobbiamo raggiungere”[13]. Sarebbe di certo esagerato fare di Mazzini un campione del femminismo, ma è innegabile il suo impegno per l’emancipazione della donna, che non a caso è invocata quasi a mo’ di suggello (accanto a quella dell’operaio) proprio nella conclusione del suo scritto.
9. E infine, la recente riforma degli artt. 9 e 41, con i richiami fatti all’ambiente ed all’ecosistema, la cui salvaguardia viene riconosciuta come espressiva di un principio fondamentale dell’ordinamento, può, a Tuo avviso, per la sua parte concorrere a far rivedere sotto una luce diversa dal passato il dovere di solidarietà in parola, in ciascuna delle sue molteplici forme espressive ed in tutte assieme?
La solidarietà tra le persone umane non è solo, per così dire, orizzontale: non è un legame che si istituisce solamente tra contemporanei. V’è anche una solidarietà verticale, ossia intragenerazionale, che ci rende guardiani e tutori del mondo in cui viviamo, del quale non possiamo disporre a nostro piacimento perché non è opera nostra ma lo abbiamo ereditato dai nostri padri e siamo tenuti a renderlo fruibile per i nostri figli e nipoti.
Già per questo il secondo comma dell’art. 9 della Costituzione impegnava sin dall’origine la Repubblica a tutelare il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione, ma ciò appare adesso ancor più evidente con l’aggiunta del nuovo terzo comma, che, nel prescrivere la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, fa espresso riferimento proprio all’interesse delle future generazioni. La medesima logica ispira le modifiche recentemente apportate all’art. 41 della Costituzione, che consente di porre limiti all’iniziativa privata non più solo quando questa possa recare danno alla libertà, alla sicurezza ed alla dignità umana, cioè a valori radicati soprattutto nel presente, ma anche se dovesse risultare dannosa per la salute e per l’ambiente. Ed il riferimento all’ambiente, ora ripetuto anche nel comma successivo a proposito delle finalità perseguite dai controlli e dai programmi economici disposti dal legislatore, nuovamente suggerisce una visione di più lungo respiro nella quale anche la tutela delle generazioni avvenire è compresa.
Senza bisogno di sacralizzare la natura e di indulgere in visioni vagamente panteistiche, a me sembra che stia proprio lì – nei doveri che la condizione di esseri mortali ci impone verso i nostri discendenti – il solido fondamento del principio di salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema che si è inteso introdurre negli artt. 9 e 41 della Costituzione.
La sensibilità ecologica è particolarmente avvertita ai giorni nostri. I movimenti giovanili se ne sono fatti interpreti in diverse parti del mondo e, sia pure con difficoltà e non senza resistenze e contraddizioni, essa si sta diffondendo anche tra i governanti, come in Italia è confermato dal larghissimo consenso parlamentare che le suaccennate modifiche costituzionali hanno riscosso.
Anche a questo proposito, però, mi sembra che il pensiero di Mazzini, pur senza volerlo forzatamente attualizzare, offra delle suggestioni e degli spunti che non vanno trascurati. Mi riferisco, in particolare, alle molte pagine mazziniane in cui è evocata l’idea di un’Umanità in cammino, del lascito delle generazioni precedenti di cui noi fruiamo e dei conseguenti doveri e responsabilità che ci competono verso quella stessa Umanità, quale sarà formata da coloro che ci seguiranno. Parlare di un Mazzini ambientalista sarebbe manifestamente esagerato, ma non è invece fuor di luogo evidenziare che i doveri dell’uomo ai quali egli è così attento sono anche verso le future generazioni.
[1] G. Mazzini, Dei doveri dell’uomo, Rizzoli, Milano, 2021
[2] Ibidem, pag. 38.
[3] Ibidem, pag. 44.
[4] Ibidem, pagg.50-51.
[5] Ibidem, pag. 51.
[6] Ibidem, pag. 45.
[7] Ibidem, pag. 94.
[8] Ibidem, pag. 99.
[9] Ibidem, pag. 95.
[10] Ibidem, pag. 66.
[11] Ibidem, pag. 75.
[12] Ibidem, pag. 77.
[13] Ibidem, pag. 78.