I limiti di ammissibilità dell’intervento di terzi nel processo amministrativo (Commento a Cons. St., Ad. plen., 29 ottobre 2024, n. 15)
di Saul Monzani
Sommario: 1. Premessa. Il caso deciso dalla sentenza in commento: l’ammissibilità dell’intervento in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un atto generale riguardante un’intera categoria di operatori economici. – 2. L’evoluzione nel tempo della disciplina dell’intervento nel processo amministrativo. Il rapporto con le norme processualcivilistiche. – 3. Intervento “litisconsortile” e decadenza “dall’esercizio delle relative azioni”. – 4. Intervento adesivo-dipendente ed applicabilità del termine di decadenza. La distinzione tra delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento e limiti soggettivi del giudicato amministrativo. – 5. Conclusioni: la sottoposizione dell’ammissibilità dell’intervento “adesivo-dipendente” al rispetto del termine di decadenza non convince.
1. Premessa. Il caso deciso dalla sentenza in commento: l’ammissibilità dell’intervento in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un atto generale riguardante un’intera categoria di operatori economici.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza (non definitiva) in commento è giunta a fornire importanti chiarimenti in tema di intervento nel processo amministrativo, aderendo all’orientamento tradizionale restrittivo per cui, ai sensi dell’art. 28 del Codice del processo amministrativo, il cointeressato che sia decaduto dalla facoltà di impugnare non è legittimato ad effettuare un intervento nel processo in corso tra altre parti, né in via litisconsortile, né in senso adesivo-dipendente.
I fatti che hanno dato origine al pronunciamento del massimo consesso della giustizia amministrativa si situano nell’ambito di due giudizi proposti da soggetti coinvolti, a vario titolo, nello svolgimento del servizio idrico integrato, i quali hanno contestato il metodo tariffario approvato dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti Ambiente (ARERA) nella parte in cui non vengono riconosciuti agli operatori del settore gli oneri finanziari sostenuti a causa del differimento biennale della corresponsione dei conguagli relativi ai costi ammessi e non coperti da tariffa dell’anno regolatorio di riferimento.
La pronuncia che interessa in questa sede esaminare si è concentrata sul fatto che nei due giudizi predetti è stato effettuato un atto di intervento da parte di un ulteriore soggetto che, in qualità di gestore del servizio idrico integrato sul territorio nazionale, era destinato a risentire in via diretta degli effetti degli atti di regolazione tariffaria impugnati dagli altri due operatori.
Tutto ciò considerato, l’Adunanza plenaria si è trovata, per quanto qui rileva, a prendere posizione sui limiti di ammissibilità dell’intervento, con particolare riferimento a quello adesivo-dipendente, chiarendo se in pendenza di un giudizio amministrativo avente ad oggetto la legittimità di un atto generale, come tale riguardante un’intera categoria di operatori economici, sia ammissibile l’intervento adesivo-dipendente proposto da un cointeressato che non abbia a sua volta impugnato l’atto in questione.
2. L’evoluzione nel tempo della disciplina dell’intervento nel processo amministrativo. Il rapporto con le norme processualcivilistiche.
Come rilevato dalla stessa Adunanza Plenaria, la disciplina dell’intervento nel processo amministrativo si è evoluta nel corso del tempo, riflettendo l’acquisita configurazione del processo stesso non più in senso meramente impugnatorio ma nella più ampia prospettiva di un giudizio che è giunto a riguardare non solo il provvedimento bensì, più in generale, il rapporto giuridico che sorge tra il cittadino e la pubblica amministrazione, con conseguente ampliamento dei poteri del giudice amministrativo e della tipologia di azioni esperibili avanti il medesimo.
Così, all’origine, l’intervento era stato disciplinato dal r.d. 17 agosto 1907 n. 642, il quale prevedeva semplicemente, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 37 e 40, a proposito dell’intervento volontario, che “chi ha interesse alle contestazione può intervenirvi” nello stato in cui essa si trova.
Le successive norme contenute nel r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), nonché nella l. 6 dicembre 1971 n. 1034 istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali, hanno riprodotto sostanzialmente la medesima formulazione.
Il Codice del processo amministrativo (c.p.a.), di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ha introdotto una disciplina in tema di intervento all’interno del titolo dedicato alle “Azioni e domande”, così da evidenziarne la sua derivazione dal principio costituzionale del contraddittorio tra le parti, quale componente del “giusto processo”[1].
Tuttavia, la formulazione rimane piuttosto scarna, limitandosi, all’art. 28, a distinguere, da un lato, le parti necessarie, “nei cui confronti la sentenza deve essere pronunciata”, con riferimento dunque ai controinteressati cui il ricorso deve essere notificato ai sensi dell’art. 42, comma 2, c.p.a., e, dall’altro lato, chiunque altro che non sia parte del giudizio, il quale abbia però un interesse ad intervenire (allo stato e grado in cui esso di trova). Per quanto riguarda quest’ultima fattispecie, ossia quella dell’intervento “volontario”, il Codice limita l’ammissibilità dell’intervento subordinandola al fatto che il soggetto interessato non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni (ossia dalla possibilità di impugnare a sua volta il provvedimento in questione).
Il comma 3 dell’art. 28 del c.p.a. prevede, infine, l’intervento per ordine del giudice, qualora quest’ultimo, anche su istanza di parte, ritenga opportuno che il giudizio si svolga anche nei confronti di un terzo.
In particolare, al fine di ricostruire i caratteri dell’intervento di carattere “volontario” nel processo amministrativo, appare utile riferirsi alla classificazione che risulta dall’impianto del Codice di procedura civile[2], alle cui norme lo stesso Codice del processo amministrativo rinvia per tutto quanto ivi non previsto e purchè esse siano compatibili con il giudizio amministrativo o siano espressione di principi generali (art. 39 c.p.a.).
Ebbene, nella prospettiva appena assunta, l’intervento volontario può assumere diversi connotati. Si può trattare, in primo luogo, di un intervento “principale”: in tale ipotesi, l’interventore fa valere, nei confronti di tutte le parti, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo. Può venire in rilievo, in secondo luogo, un intervento di tipo “litisconsortile” o “adesivo autonomo”, allorquando il terzo deduca in giudizio un rapporto connesso per l’oggetto o per il titolo nei confronti di alcune soltanto delle parti in causa. Infine, si è in presenza di un intervento “adesivo dipendente” quanto l’interventore, in ragione di un proprio interesse, si prefigge di sostenere le ragioni di una delle parti, al fine di favorire l’ottenimento di una sentenza favorevole alla parte adiuvata e, di conseguenza, all’interventore stesso.
Per quanto riguarda il rapporto tra disciplina processualcivilistica e processo amministrativo, in ordine alla possibilità di intervento in giudizio da parte di terzi, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella pronuncia in commento, ammette che i modelli partecipativi elaborati dalla dottrina del processo civile rappresentano un importante punto di riferimento di teoria generale, avendo la medesima funzione di collegare la vicenda sostanziale a quella processuale in presenza di fenomeni di connessione.
Invero, la concezione tradizionale, imperniata sulla visione in chiave meramente impugnatoria del processo amministrativo, ha escluso una generalizzata trasposizione a quest’ultimo delle norme di cui al codice di procedura civile in tema di intervento, tenuto conto delle diversità strutturali tra i due tipi di rito.
Di conseguenza, si tendeva ad escludere l’ammissibilità nel processo amministrativo, perlomeno in sede di giurisdizione generale di legittimità, dell’intervento in via “principale” o anche “litisconsortile”, risultando difficilmente configurabile la prospettazione da parte di un terzo di una domanda autonoma incompatibile con quelle sia del ricorrente che dell’Amministrazione resistente, così che il terzo, più semplicemente, è stato considerato abilitato (solo) ad aderire alla posizione di una delle due parti principali, ad opponendum oppure ad adiuvandum[3]. A tale conclusione si è approdati anche argomentando che, trattandosi di interventi finalizzati alla tutela di interessi autonomi di terzi, il loro intervento in un giudizio radicato da altri soggetti risulterebbe incompatibile con la perentorietà dei termini di decadenza per agire che caratterizza il giudizio amministrativo[4].
A diverse conclusioni, invece, si è pervenuti, anche di recente, con riferimento alle controversie rientranti nella giurisdizione esclusiva, ove, vertendosi in tema di tutela di diritti soggettivi, si dovrebbero ritenere utilizzabili tutte le forme di intervento previste dal codice di procedura civile, non potendosi predicare una limitazione delle facoltà processuali delle parti che non siano espressamente escluse dalle norme processuali amministrative o comunque che non siano con esse incompatibili[5]. In questo senso si è espressa anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, in cui si è statuito proprio che “quando è chiesta la tutela di un diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva, in tema di intervento si applicano senz’altro le regole e i principi desumibili dal codice di procedura civile”. Diversamente, sempre secondo il massimo consesso della magistratura amministrativa, “nell’ambito dell’azione di annullamento posta a tutela di situazioni di interesse legittimo, l’impianto sistematico del codice di procedura civile non può essere automaticamente trasposto nel processo amministrativo, dovendo i meccanismi di intervento adattarsi alle specificità strutturali di ciascuna tipologia di giudizio”.
3. Intervento “litisconsortile” e decadenza “dall’esercizio delle relative azioni”.
Tutto ciò posto, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità, la pronuncia in commento ha tracciato la distinzione tra “intervento adesivo” dipendente e quello “litisconsortile”.
Il primo fa riferimento alla posizione di un terzo titolare di un interesse non direttamente inciso da provvedimento da altri impugnato, ma comunque suscettibile di risentire in qualche misura degli effetti del giudicato. In tal caso, il carattere indiretto e mediato del pregiudizio ipoteticamente subito esclude la legittimazione del terzo che si trovi in siffatta posizione a promuovere un giudizio autonomo, con la conseguenza che l’intervento determina un ampliamento solo soggettivo della controversia dato che l’interventore si limita a sostenere l’attività difensiva di una delle parti, senza potere introdurre domande, fatti, prove e senza potere dare altrimenti impulso al giudizio.
Diversamente, il terzo potrebbe essere titolare di un interesse direttamente inciso dall’azione pubblica, già censurata da altri soggetti tramite un’impugnazione, il quale interesse, pertanto, potrebbe essere fatto valere autonomamente. In tale fattispecie, la ratio cui soggiace l’ammissibilità dell’intervento “litisconsortile” non è più quella consistente nell’intento dell’interventore di favorire un determinato esito del giudizio instaurato da altre parti, dal quale ricavare un beneficio anche nella propria sfera giuridica, bensì, più in generale, lo scopo dell’intervento si identifica con l’esigenza, per ragioni di economia processuale, di cumulo di più impugnazioni su di un unico tema, in modo da prevenire il rischio di giudicati confliggenti.
Per quanto riguarda in particolare quest’ultima forma di intervento, la giurisprudenza ha costantemente assunto una posizione restrittiva, escludendo l’ammissibilità dell’intervento da parte di chi avrebbe potuto (e anzi dovuto) impugnare autonomamente il provvedimento direttamente lesivo della propria sfera giuridica e ciononostante non l’abbia fatto entro il termine di decadenza, prestandovi, così, acquiescenza. In sostanza, si è statuito concordemente che il c.d. cointeressato all’impugnazione “è onerato ad attivarsi tempestivamente in sede giurisdizionale, potendo scegliere se proporre un autonomo ricorso entro il termine di decadenza all’uopo applicabile ovvero limitarsi ad un intervento tempestivo nel processo inter alios pendente, sempre entro il termine di decadenza al riguardo operante, aderendo al ricorso da altri proposto e accettando lo stato in cui il giudizio si trova al momento della costituzione”[6].
Diversamente opinando, si è ritenuto che l’intervento finisca per divenire lo strumento processuale cui “aggrapparsi” allorquando si sia decaduti dalla possibilità di promuovere l’azione di annullamento, dando luogo ad un caso di “abuso del processo” consistente nell’utilizzo di uno strumento di per sé lecito ma per finalità elusive ad esso estranee[7].
Infatti, l’interveniente in via “litisconsortile”, in quanto parte principale, sia pure non necessaria, non incontra limiti nella propria condotta processuale, potendo addurre argomenti propri e diversi da quelli dedotti dalle parti originarie del giudizio: ecco perché tale forma di intervento deve essere effettuata entro il termine di decadenza dall’impugnazione autonoma.
Siffatta impostazione è coerente con quella recepita nel Codice del processo amministrativo che, sul punto, specifica proprio, come si è già avuto modo di rilevare, che l’ammissibilità dell’intervento di chi abbia interesse è subordinata al fatto che quest’ultimo non sia “decaduto dall’esercizio delle relative azioni”.
Se tale previsione si applica concordemente, e condivisibilmente, in tema di intervento “litisconsortile”, più discussa è la sottoposizione dell’intervento adesivo-dipendente a tale condizione restrittiva, come ci si appresta ad illustrare.
4. Intervento adesivo-dipendente ed applicabilità del termine di decadenza. La distinzione tra delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento e limiti soggettivi del giudicato amministrativo.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, richiama l’orientamento giurisprudenziale considerato “maggioritario”, per cui il cointeressato che sia decaduto dalla facoltà di promuovere l’azione di annullamento, così come non è abilitato a spiegare un intervento di tipo “litisconsortile”, neppure potrebbe intervenire in via “adesivo-dipendente”[8].
In realtà, tale posizione non risulta univoca, scontrandosi con l’idea, diffusa a partire da una dottrina tanto risalente quanto autorevole[9], la quale, muovendo dalla considerazione per cui la ratio del termine di decadenza per proporre ricorso sarebbe da ricollegare alla necessità di assicurare la stabilità e la certezza dei rapporti giuridici e delle situazioni giuridiche soggettive, evitando che un provvedimento amministrativo rimanga sindacabile in sede giurisdizionale per un tempo eccessivamente lungo, ne fa derivare la conseguenza per cui, una volta validamente instaurato un giudizio da una delle parti, non vi sarebbe più alcuna ragione di far valere l’intervenuta decadenza, proiettandola, così, non più sul piano oggettivo, bensì su quello soggettivo, precludendo l’intervento del soggetto che, senza ampliare il thema decidendum, e dunque senza svolgere nuove domande o eccezioni, intenda semplicemente sostenere la tesi di una delle parti al fine di ottenere, in via indiretta, un beneficio nella propria sfera giuridica per effetto della sentenza conclusiva del giudizio instaurato da altri.
In tale ordine di idee, si è condotto un parallelismo rispetto al disposto di cui all’art. 105 c.p.c., nel momento in cui esso legittima l’intervento del terzo che abbia un proprio interesse nel giudizio, il quale non sarebbe da identificare nell’interesse ad agire vero e proprio (quale elemento cui si “aggancia” l’operatività del termine di decadenza), bensì assumerebbe la consistenza di una posizione, non di puro fatto ma pur sempre giuridicamente protetta, qualificata e differenziata rispetto alla generalità dei consociati, volta a favorire un esito favorevole anche per sé, sia pure in via indiretta, del giudizio promosso da altre parti e reso in via principale nei loro confronti.
Siffatta impostazione deriva, in altri termini, dalla tradizionale ricostruzione per cui l’interesse ad intervenire si configurerebbe in maniera diversa rispetto all’interesse a ricorrere, dovendo, il primo, risultare qualificato rispetto alla generalità dei consociati, da un lato, ma assumendo una consistenza minore rispetto all’interesse che legittima il ricorso in via autonoma, dall’altro lato.
La riferita posizione è stata recepita da una certa parte della giurisprudenza amministrativa, la quale non ha ravvisato ostacoli nell’ammettere, anche dopo la scadenza del termine di decadenza, un intervento adesivo dipendente del cointeressato, laddove egli sia destinatario di atti ad effetti non frazionabili (il che si verifica quando l’annullamento del provvedimento non può che operare nei confronti di tutti i destinatari)[10].
Sennonchè, la pronuncia oggetto del presente commento, risolvendo il descritto quadro giurisprudenziale non univoco, ha ritenuto di confermare la posizione maggioritaria sopra riferita, non aderendo, per converso, all’impostazione da ultimo illustrata. Ciò per le seguenti ragioni.
In primo luogo, secondo il massimo consesso della giustizia amministrativa, la possibilità di intervento del cointeressato decaduto dal diritto di impugnare contrasterebbe con la “chiara” formula legislativa di cui all’art. 28 c.p.a., la quale, nel precisare che l’interventore non debba essere “decaduto dall’esercizio delle relative azioni”, presuppone che l’intervento del cointeressato, oltre che tempestivo, contenga la domanda di annullamento, configurandosi, pertanto, in termini necessariamente “litisconsortili”.
In secondo luogo, i giudici amministrativi riuniti in consesso hanno argomentato la presa di posizione ora in considerazione sul piano dell’interpretazione sistematica, ricavandola dalla struttura stessa del giudizio di impugnazione.
In tale prospettiva, si è ritenuto che, pure nel caso di provvedimenti con effetti inscindibili nei confronti di una pluralità di soggetti (come gli atti di regolazione tariffaria), ostano all’ammissibilità dell’intervento del cointeressato decaduto dall’esercizio delle relative azioni quelle medesime esigenze di certezza e stabilità dell’azione amministrativa che fondano l’invalicabilità del termine di decadenza per impugnare.
In particolare, secondo l’autorevole pronuncia oggetto del presente commento, occorre considerare la non coincidenza, tra la delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento, da un lato, ed i limiti soggettivi del giudicato amministrativo, dall’altro lato.
In siffatto ordine di idee, si è osservato che il giudicato amministrativo opera esclusivamente tra le parti del giudizio, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 2909 c.c., con la conseguenza che, di regola, i terzi estranei non sono pregiudicati dalle statuizioni della sentenza così come, coerentemente, non possono avvantaggiarsene.
Ciò posto, viene ammesso che vi siano delle fattispecie in cui il giudicato amministrativo produce, di fatto, effetti “ultra partes”, i quali, però, sono ritenuti rappresentare l’eccezione alla regola sopra ricordata, giustificandosi in ragione della oggettiva inscindibilità degli effetti dell’atto o del vizio dedotto.
Così, è stato riconosciuto[11] che produca, eccezionalmente, i predetti effetti “ultra partes” una sentenza di annullamento: di un regolamento a carattere normativo (avente dunque efficacia “erga omnes”), di un atto plurimo inscindibile (ad es. il decreto di esproprio di un bene in comunione); di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari (ad es. il decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale travolto per un vizio comune); di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (ad es. il decreto di scioglimento di un Consiglio comunale).
E’ stato però precisato che in tutti i casi indicati, l’inscindibilità è da ricondurre solo all’effetto caducatorio conseguente all’annullamento, in quanto solo rispetto ad esso verrebbe a crearsi una innegabile situazione di incompatibilità logica per cui un atto inscindibile possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri. In altre parole, l’indivisibilità degli effetti del giudicato, nella prospettiva che si sta riferendo, presuppone l’esistenza di un legame altrettanto inscindibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente, ancor prima che giuridicamente, che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato; per tali ragioni, si è escluso che l’indivisibilità possa operare con riferimento a effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del giudizio[12].
Per tale via, la pronuncia oggetto del presente commento è giunta a precisare che la propagazione dell’effetto di annullamento giurisdizionale anche a favore di terzi che non abbiano proposto tempestivamente impugnazione si giustifica solo nel momento in cui la caducazione di un atto a contenuto inscindibile rilevi come “fatto” di ablazione o, in altri termini, di espunzione di un determinato atto dall’ordinamento generale, il quale inevitabilmente si riflette nella sfera di tutti i consociati che ne siano destinatari, attesa l’ontologica indivisibilità sul piano fattuale e sostanziale. Ciò non toglie, però, sempre secondo l’autorevole ricostruzione in commento, che il vincolo del giudicato continui ad operare solo ed esclusivamente tra le parti del giudizio, essendo legato indissolubilmente all’accertamento delle specifiche posizioni soggettive e delle pretese dedotte nel processo, con la conseguenza che solo le parti sono abilitate a beneficiare della forza esecutiva della sentenza e sono legittimate, nel caso, a farne valere la violazione in sede di ottemperanza. In siffatta ottica, l’effetto conformativo dell’azione amministrativa prodotto dalla sentenza non deve necessariamente riguardare tutti i rapporti astrattamente regolati dall’atto generale annullato, bensì sarebbe da ritenersi circoscritto ai soli rapporti oggetto dell’accertamento giurisdizionale.
In definitiva, la conclusione cui approda l’Adunanza plenaria nella pronuncia oggetto del presente commento è nel senso di non consentire l’intervento “tardivo” del cointeressato decaduto, proprio per evitare che questo, divenuto per tale via parte del processo, possa azionare gli effetti conformativi del giudicato di annullamento; ciò anche con riferimento ad un atto a portata generale il cui annullamento, come detto, non deve necessariamente riguardare “indivisibilmente” tutti i rapporti astrattamente regolati dall’atto stesso.
Secondo i giudici amministrativi, la conclusione appena evidenziata sarebbe particolarmente “calzante” al caso esaminato, riguardante un atto di regolazione tariffaria il quale, per sua natura, è destinato ad essere recepito ed applicato a livello locale. Ebbene, da tale punto di vista, si è osservato che l’eventuale annullamento di un atto di tale genere all’esito di un giudizio instaurato da un determinato operatore economico non potrebbe comportare l’obbligo per tutte le amministrazioni locali di revisionare convenzioni e tariffe praticate da gestori che non abbiano proposto l’impugnazione. In altri termini, consentire ai gestori che abbiamo prestato acquiescenza al sistema regolatorio così come definito dalla competente Autorità di intervenire, a distanza di tempo, nei giudizi proposti da altri soggetti, comporterebbe “evidenti effetti distorsivi sulla stabilità del sistema regolatorio”.
5. Conclusioni: la sottoposizione dell’ammissibilità dell’intervento “adesivo-dipendente” al rispetto del termine di decadenza non convince.
La sentenza in commento nel giungere ad enunciare il principio di diritto per cui è da ritenere inammissibile l’intervento “adesivo-dipendente” del cointeressato che abbia prestato acquiescenza al provvedimento lesivo, anche ove si tratti di un atto generale o comunque ad effetti inscindibili per una pluralità di destinatari, finisce per applicare al predetto tipo di intervento lo stesso trattamento riservato all’intervento di natura “litisconsortile”.
Eppure l’interesse che muove i due tipi di interventori è ben diverso[13]: l’interventore “litisconsortile” è titolare di un vero e proprio interesse legittimo direttamente inciso dall’attività amministrativa autonomo rispetto a quello delle parti originarie e dunque da far valere o tramite un separato ricorso o attraverso un intervento nel giudizio promosso da altri, ma sempre entro il termine di decadenza, dato che in tale ipotesi l’intervento (tempestivo) dà titolo a chi lo effettua a porre in essere tutte le difese ritenute più opportune, senza limiti di sorta, alla stessa stregua del ricorrente originario.
Diversamente, l’interventore in via “adesivo-dipendente”, come riconosciuto nella stessa pronuncia in commento, fa valere, ad adiuvandum oppure ad opponendum, una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale, la quale se, da un lato, si deve differenziare da un generico interesse alla legittimità dell’atto, tuttavia, dall’altro lato, nemmeno può assurgere ad un vero e proprio interesse legittimo all’impugnazione in via autonoma. In altri termini, l’interventore in via “adesivo-dipendente” non è legittimato, a differenza dell’interventore “litisconsortile”, a proporre ricorso autonomo, proprio in quanto la situazione giuridica soggettiva in cui il primo si trova non glielo consente[14], potendo costui, molto più semplicemente, cooperare con la parte adiuvata nella prospettazione difensiva, senza introdurre domande, fatti o prove, o dare altrimenti impulso al giudizio.
Addirittura la costante giurisprudenza, con particolare riferimento all’intervento ad opponendum, ha precisato che “nel processo amministrativo, per essere ammesso ad intervenire come opponente, è sufficiente che l’interveniente abbia un interesse di fatto nella controversia, legato a quello relativo all’azione principale o ad esso connesso, oppure basato sulla necessità di mantenere i provvedimenti impugnati, che gli consenta di ottenere un vantaggio indiretto e riflesso dal rigetto del ricorso”[15].
Tutto ciò considerato, nella già segnalata prospettiva per cui il processo amministrativo non va più inteso in senso meramente impugnatorio, dovendo, viceversa, essere inquadrato nella più ampia prospettiva di un giudizio che riguarda, non solo il provvedimento contestato, ma anche il rapporto giuridico che sorge tra il cittadino e la pubblica amministrazione, come testimoniato dall’ampliamento dei poteri del giudice amministrativo e della tipologia di azioni esperibili avanti lo stesso, la posizione “tradizionale”, come ribadita dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella pronuncia oggetto del presente commento, non appare appagante.
In tale ordine di idee, occorrerebbe ammettere che le posizioni giuridiche soggettive che vengono dedotte in giudizio, pur dovendosi differenziare da quelle della generalità dei consociati, tuttavia, sul piano sostanziale, non possono considerarsi autonome ed isolate rispetto ad una fitta trama di interrelazioni e connessioni, di diverso tipo e contenuto, entro le quali inevitabilmente si collocano. Così, anche il processo amministrativo, distaccandosi dal modello esclusivamente impugnatorio per divenire adeguato ed effettivo strumento di tutela delle posizioni giuridiche soggettive tutelate dalla legge, dovrebbe mostrarsi idoneo a considerare tale sistema di relazioni operante sul piano sostanziale[16].
Così, si potrebbe tentare un superamento della visione tradizionale imperniata su di un certo atteggiamento di chiusura nei confronti dell’intervento nel processo amministrativo.
In particolare, se è vero che l’interesse ad intervenire si configura in maniera diversa rispetto all’interesse a ricorrere e che, pertanto, l’interesse dell’interveniente in via “litisconsortile” si pone in rapporto di “alterità” rispetto a quello di chi intervenga a mero titolo “adesivo-dipendente”, con conseguente profonda differenza tra le iniziative processuali esperibili nell’uno e nell’altro caso, allora forse, nel quadro generale descritto, si potrebbe sottrarre l’ammissibilità dell’intervento “adesivo-dipendente” alla “ghigliottina” della decadenza, avvicinando così il processo amministrativo a quella logica di giudizio sul rapporto, o forse meglio sui rapporti, che più propriamente caratterizza il processo civile[17].
Non pare ostativo a tale evoluzione il timore paventato dai giudici amministrativi circa l’estensione agli intervenienti della possibilità di azionare l’effetto conformativo dell’azione amministrativa prodotto dalla sentenza.
Da tale angolo visuale, si può anche accettare l’assunto per cui il predetto effetto conformativo non deve necessariamente riguardare tutti i rapporti astrattamente regolati dall’atto generale annullato, bensì sarebbe da ritenersi circoscritto ai soli rapporti oggetto dell’accertamento giurisdizionale; ciò ammesso, occorre però notare che l’eventuale estensione del margine di ammissibilità dell’intervento “adesivo-dipendente” anche oltre il termine di decadenza per impugnare non determinerebbe un coinvolgimento di “tutti i rapporti astrattamente regolati dall’atto generale annullato”, bensì solo di quelli che sono entrati a far parte del giudizio, nello stato in cui si trova, tramite l’intervento. Nel caso concreto esaminato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sostanza, il vincolo conformativo derivante dal giudicato di annullamento dell’atto di regolazione tariffaria non comporterebbe l’obbligo di revisione della tariffa da parte di tutti gli enti locali astrattamente destinatari della regolazione, ma solo di quelli coinvolti nel giudizio, anche per effetto di un intervento del corrispondente gestore nel processo originariamente instaurato da altri.
Del resto, sul piano pratico, se l’intervento “adesivo-dipendente” è ormai pacificamente ritenuto ammissibile nel processo amministrativo, subordinare la sua ammissibilità al fatto che l’interveniente lo proponga entro il termine di decadenza per l’impugnazione significa ridimensionare di molto la sua operatività. Infatti, se la posizione fatta valere per tale via è per definizione collegata o dipendente rispetto a quella del ricorrente in via principale e tale, pertanto, da non legittimare la proposizione di un ricorso autonomo, allora, di fatto, l’interveniente in via “adesivo-dipendente” deve agire una volta instaurato il ricorso principale, ossia in un momento in cui, verosimilmente, il termine di decadenza è già decorso o, nel migliore dei casi, è estremamente ridotto.
[1] Sulla disciplina dell’intervento nel Codice del processo amministrativo si v., tra gli altri, M. Ricciardo Calderaro, L’intervento nel processo amministrativo: antichi problemi e nuove prospettive dopo il Codice del 2010, in Dir. proc. amm., 2018, 341 ss. e Id., Recenti sviluppi in tema di intervento e di opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo, in questa Rivista, 2021; V.M. Sessa, Intervento in causa e trasformazioni del processo amministrativo, Napoli, 2012; L. Coraggio, L’intervento nel Codice del processo amministrativo, in Giurisdiz. amm., 2011, IV, 299 ss.; L. Cimellaro, Intervento, in B. Sassani, A. Villata, Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012. In precedenza si v., tra gli altri, M. D’Orsogna, L’intervento nel processo amministrativo: uno strumento cardine per la tutela dei terzi, in Dir. proc. amm., 1999, 381 ss. Più di recente, invece, cfr., in generale sull’argomento, Aa.Vv., L’intervento nel processo amministrativo, a cura di M. Ramajoli, R. Villata, Torino 2023.
[2] Sull’impianto del c.p.c. in tema di intervento volontario si v., tra gli altri, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, I, Milano, 2024, 320 ss.; M. Segatti, Commento all’art. 105, in Aa.Vv., Commentario breve al Codice di procedura civile, Padova, 2023; F. Danovi, L. Salvaneschi, Diritto processuale civile. I principi, Milano, 2023, 333 ss.; A. Carratta, C. Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, I – Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino, 2023, 189 ss.; E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, a cura di V. Colesanti, E. Merlin, Milano, 2021, 88 ss.
[3] In tal senso, ancora di recente, si v. Cons. St., sez. IV, 21 maggio 2024, n. 4519, in www.giustizia-amministrativa.it, per cui “nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale, cd. intervento adesivo-dipendente, escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato, cd. intervento autonomo/principale, cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura; Cons. St., sez. III, 31 marzo 2023, n. 3363, ivi; Cons. St., sez. IV, 14 febbraio 2022, n. 1040, in www.dirittodeiservizipubblici. Nello stesso senso anche Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2018, n. 557, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853, ivi. Nel senso che “nel processo amministrativo l'intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale” si v. anche Cons. St., Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 13, in Foro amm., 2018, 1198. Ancora, in conformità al riferito orientamento, si v. anche T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 17 aprile 2024, n. 7532, in www.giustizia-amministrativa.it.
[4] Così, in dottrina, N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, Napoli, 2015, 158.
[5] Sul punto cfr. S. Foà, Giustizia amministrativa, atipicità delle azioni ed effettività della tutela, Napoli, 2012, 74 ss. In tema, di recente, si v. anche A. Chizzini, L’intervento nella dinamica del processo amministrativo: profili generali, in Dir. proc. amm., 2023, 460 ss., il quale propende per l’ammissibilità di ogni forma di intervento nel processo amministrativo, oltre che con riferimento alla giurisdizione esclusiva, anche per quanto riguarda l’azione di accertamento della nullità di un provvedimento amministrativo oppure in caso di ricorso avverso il silenzio della pubblica amministrazione.
[6] In tal senso, tra le tante pronunce, si v. Cons. St., sez. VI, 15 febbraio 2023, n. 1580, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., Sez. VI, 15 gennaio 2020, n. 384, ivi; Cons. St., sez. V, 29 marzo 2019, n. 2094, ivi; Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2018, n. 4939, ivi; Cons. St., sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2446, ivi; Cons. St., sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 359, ivi; Cons. St., sez. V, 5 novembre 2012, n. 5591, ivi; Cons. St., sez. III, 21 novembre 2011, n. 6125, ivi.
[7] In tema cfr. tra gli altri P.M. Vipiana, L’abuso del processo amministrativo, in G. Visentini (a cura di), L’abuso del diritto, Napoli, 2016, 247 ss.; M.G. Pulvirenti, Riflessioni sull’abuso del processo, in Dir. e proc. amm., 2016, 1091 ss.; G. Corso, Abuso del processo amministrativo?, in Dir. proc. amm., 2016, 1 ss.; G. Tropea, Spigolature in tema di abuso del processo, ivi, 2015, 1262 ss.; S. Baccarini, Abuso del processo e giudizio amministrativo, ivi, 2015, 1203 ss.; C.E. Gallo, L’abuso del processo nel giudizio amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2008, 1022 ss.
[8] Sul punto cfr., di recente, Cons. St., sez. V, 23 agosto 2023, n. 7925, in Foro amm., 2023, 1039; Cons. St., sez. III, 4 aprile 2023, n. 3442, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, in Foro amm., 2022, 1101; Cons. St., sez. V, 12 luglio 2021, n. 5274, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596, ivi.
[9] Il riferimento è a M. Nigro, In tema di intervento volontario nel processo amministrativo, in Foro amm., 1951, 282 ss. In tema cfr. anche, sempre in merito alla posizione “tradizionale”, A. Tigano, Considerazioni critiche in tema di intervento nel processo amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 1991 ss.; A. Romano, In tema di intervento nel processo amministrativo, in Foro amm., 1961, 1264 ss.
[10] In tal senso cfr. Cons. St., sez. III, 27 maggio 2024, n. 4701, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2016, n. 882, in Dir. proc. amm., 2018, 336 ss.; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III ter, 7 gennaio 2019, n. 176, in www.giustizia-amministrativa.it.
[11] Sul punto cfr. Cons. St., Ad. plen., 27 febbraio 2019, n. 4, in Foro amm., 2019, 197.
[12] Così Cons. St., Ad. plen., 27 febbraio 2019, n. 4, cit., resa in una fattispecie relativa all’impugnazione di un decreto ministeriale che aveva disciplinato la procedura per l’aggiornamento e l’integrazione delle graduatorie ad esaurimento (c.d. GAE) per il personale docente ed educativo della scuola, nella parte in cui esso non aveva consentito l’inserimento dei soggetti in possesso di diploma magistrale conseguito entro un certo anno scolastico. Dopo l’accoglimento del ricorso in primo grado, in appello il giudizio è stato rimesso all’Adunanza plenaria per la soluzione di alcune questioni. In tale ultimo tratto del giudizio erano intervenuti ad opponendum soggetti terzi in possesso del diploma magistrale predetto, dichiarandosi parti di analoghi giudizi pendenti innanzi al giudice amministrativo. Ebbene, in tale occasione, l’Adunanza Plenaria ha statuito che l’annullamento dei decreti ministeriali di aggiornamento delle GAE, nella parte in cui non aveva consentito ai diplomati magistrali l’inserimento in graduatoria, aveva prodotto un effetto non propriamente caducante (stante l’assenza nel d.m. di alcuna previsione suscettibile di essere caducata diretta a disciplinare l’accesso in graduatoria da parte di chi non via fosse già inserito), ma, sostanzialmente, di accertamento della pretesa all’inserimento e, di conseguenza, tale annullamento aveva determinato un effetto additivo/conformativo: il giudicato così formatosi, pertanto, a prescindere dalla natura giuridica dei decreti ministeriali, non è stato ritenuto estensibile ai soggetti diversi dagli originari ricorrenti, il cui intervento, pertanto, è stato giudicato inammissibile.
[13] Sul punto Cons. St., sez. V, 23 agosto 2023, n. 7925, cit., conferma come l’intervento adesivo dipendente sia subordinato, di là dagli altri presupposti, alla condizione — di carattere negativo — della “obiettiva alterità” dell’interesse vantato dall’interventore rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, di tal che l’intervento sia volto a tutelare un interesse diverso ancorché collegato a quello fatto valere dal ricorrente principale, con la conseguenza che la posizione dell’interessato sia meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della corrispondente parte principale.
[14] In questo senso, di recente, cfr. Cons. St., sez. II, 25 settembre 2024, n. 7783, in www.giustizia-amministrativa.it, ove si specifica proprio che “E’ inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali poiché, in caso contrario, l'intervento si risolverebbe in un comodo strumento per aggirare l’onere di tempestiva impugnazione”.
[15] Così, tra le tante, Cons. St., V, 14 agosto 2024, n. 7141, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. V, 1° settembre 2021, n. 6142, in Dir. proc. amm., 2022, 162; Cons. St., sez. IV, 7 agosto 2020, n. 4973, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St., sez. III, 22 marzo 2017, n. 1303, ivi.
[16] Nel senso indicato cfr. A. Chizzini, op. cit.
[17] Nell’ordinamento processuale civile si ritiene che l’interventore adesivo dipendente sia portatore di un proprio interesse che, pur non legittimandolo a proporre in via autonoma una sua pretesa, lo abilita a porsi accanto alla parte adiuvata, intervenendo nel giudizio che, nonostante l'ampliamento dei partecipanti, rimane unico in quanto invariato resta l’oggetto della controversia: così, di recente, Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2022, n. 6357, in Giust. civ. mass., 2022.