Interdittiva antimafia tra norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie (Nota a Consiglio di Stato, sez. III del 25 ottobre 2021, n. 7165)
di Renato Rolli e Martina Maggiolini*
Sommario: 1. Premessa: la vicenda contenziosa - 2. Sulla legittimità costituzionale, euro unitaria ed internazionale delle norme in materia di interdittiva antimafia - 3. La necessità di riforma: uno sguardo al D.L. 6 novembre 2021, n. 152.
1. Premessa: la vicenda contenziosa
L’interdittiva antimafia è manifestazione tangibile della volontà di recidere il rapporto tra organizzazioni criminali e cosa pubblica [1]. In tale complesso sistema va segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III del 25 ottobre 2021, n. 7165.
I Giudici di Palazzo Spada hanno reso la sentenza in commento sulla riforma della pronuncia del Tar Latina, sez. I, n. 303/2020 che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società ora appellante.
Quest’ultima aveva presentato domanda per il rilascio dell’autorizzazione a svolgere l’attività di facchinaggio all’interno del MOF (Mercato Ortofrutticolo di Fondi) nonché della possibilità di accedere al Mercato per i propri soci e dipendenti, depositando la documentazione richiesta e fornendo i dati necessari.
La MOF, al fine di tutelare la libertà delle attività commerciali all’interno del Mercato (oggetto di vari episodi di infiltrazione criminale), sottoscriveva protocollo di legalità con la Prefettura di Latina e, dunque, faceva richiesta di informazione antimafia alla Banca Dati Nazionale Antimafia; nelle more dell’esito, rilasciava in favore della società appellante l’autorizzazione richiesta per l’anno in corso.
La Prefettura, alla luce del protocollo di legalità, comunicava alla MOF di aver emesso provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della detta società; tuttavia a tale informazione non seguiva alcun provvedimento da parte della MOF in quanto la società appellante non aveva presentato domanda di autorizzazione nei termini prescritti per l’anno d’interesse e, pertanto, non avrebbe comunque potuto operare all’interno del Centro Agroalimentare, in quanto non autorizzata.
La società presentava ricorso innanzi al TAR per il Lazio, sede di Latina, chiedendo l’annullamento, previa tutela cautelare, dell’informativa antimafia interdittiva, del protocollo di legalità per il Mercato Ortofrutticolo di Fondi, della segnalazione all’Autorità Anticorruzione e della stessa annotazione nel Casellario Informatico dei contratti pubblici.
Il TAR accoglieva la domanda di tutela cautelare, con ordinanza che, appellata dal Ministero dell’interno, veniva poi annullata dal Consiglio di Stato. Successivamente, la società presentava ricorso per motivi aggiunti, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario. Ricorso principale e motivi aggiunti venivano poi entrambi rigettati.
La sentenza di merito veniva appellata sollevando anche alcune questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 84, 85, 89 bis, 91 co.6 e 94 del D.Lgs. 159/2011 per violazione dei principi di uguaglianza, di solidarietà e di sussidiarietà, ex articoli 2, 3, 4, 22 e 118, ult. co. della Costituzione, e lamentando inter alia la violazione degli artt. 1 e 2 c.c., dell'art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, degli artt. 6 e 13 della CEDU.
Nel merito, chiedeva al Consiglio di Stato, accertata e dichiarata l'illegittimità della sentenza del TAR Lazio, nonché degli atti impugnati, di accogliere l’appello e, per l’effetto, i ricorsi introduttivo e per motivi aggiunti di primo grado ed annullare i provvedimenti con questi impugnati.
Il Consiglio di Stato, nel vagliare i motivi addotti dalla società appellante ed alla luce delle ampie deduzioni dell’appellato Ministero dell’interno circa le infiltrazioni mafiose in atto, riteneva l’appello non fondato al pari delle questioni di legittimità costituzionale e di legittimità sotto il profilo euro unitario ed internazionale pattizio e pertanto, definitivamente pronunciandosi, respingeva l’appello.
2. Sulla legittimità costituzionale, euro unitaria ed internazionale delle norme in materia di interdittiva antimafia
Preliminarmente la pronuncia in commento, richiamando consolidata giurisprudenza, rappresenta come l’interdittiva antimafia costituisca "una misura volta alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione" [2]. Il provvedimento prefettizio ha, dunque, il precipuo fine di prevenire possibili infiltrazioni mafiose nell’economia che inevitabilmente andrebbero a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione costituendo al contempo un presidio dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, previsti dall'art. 97 Cost. [3]. Dunque, le misure interdittive antimafia sono inserite a sistema per la tutela sia dello svolgimento di una effettiva concorrenza tra le imprese sia di un apprezzabile utilizzo delle risorse pubbliche [4].
Chiarita la condivisibile ratio ispiratrice dei provvedimenti interdittivi prefettizi, la complessa sentenza in commento si palesa di grande interesse nella parte in cui tratta le questioni di legittimità costituzionale sollevate avverso le disposizioni dettate dal libro II del D.Lgs. 159/2011 ed in particolare, avverso gli artt. 84, 85, 89 bis, 91 co.6 e 94 del D.Lgs. nonché dei diritti fondamentali previsti dalla carta CEDU e dai protocolli addizionali [5].
Il Collegio, ritenendo tali censure infondate, precisava che secondo la normativa nazionale le misure interdittive antimafia si concretizzano, non nell’intervento su di “uno status generale di capacità giuridica” bensì, nella previsione di “limiti e divieti temporanei e specifici di contrattazione con la pubblica amministrazione e di esercizio di attività economiche sottoposte a vaglio autorizzativo a tutela di interessi pubblici generali” nonché a tutela della stessa possibilità di un loro libero esercizio da parte di tutti i competitoreconomici, nel rispetto dei principi di libertà d’iniziativa economica privata e di concorrenza sanciti dall’art. 41 della Costituzione e dal Trattato UE [6].
Pertanto, il giudice adito, richiamando un Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato riconduce ad una incapacità di agire temporanea l’effetto dell’interdittiva, essendo previste, a suo avviso, adeguate misure per poter ristabilire le condizioni di affidabile partecipazione della società all’economia, nella sua espressione più libera e incondizionata da possibili infiltrazioni.
In realtà, lo studio della casistica degli ultimi anni ci mostra come tali misure non siano affatto temporanee in quanto revocate esclusivamente nel caso in cui affiorino nuovi elementi pro imprenditore, determinando inevitabilmente un illegittimo rovesciamento dell’onus probandi e causando conseguentemente un’inerzia procedimentale ingiustificata.
Inoltre, i giudici di Palazzo Spada ritengono che le misure interdittive, estranee al sistema sanzionatorio penale in ragione del loro carattere cautelare ed anticipatorio, sono sottoposte ai principi di legalità e del giusto procedimento ammnistrativo, secondo criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità [7].
Invero, a parere di chi scrive, la misura interdittiva spiega i propri effetti in modo molto più incisivo per il destinatario rispetto a qualunque misura cautelare personale cui un soggetto possa essere attinto e da ciò si palesa la necessità di ancorare le garanzie che devono seguire e presupporre tali provvedimenti [8]. La portata di tali provvedimenti si comprende estendendo l’angolo di osservazione e interpretando gli effetti devastanti che produce nei confronti di soggetti terzi ovvero soggetti che lavorano presso l’impresa attinta dall’interdittiva che vedono limitato un proprio diritto fondamentale.
Ancora bisogna ricordare che la normativa antimafia non prevede una partecipazione necessaria del soggetto in fase procedimentale andando ad inficiare probabilmente la garanzia di una piena istruttoria assicurata solo da un effettivo contraddittorio delle parti [9].
Il Collegio, poi, richiama la Corte Costituzionale (n. 57 del 2020) che già respingeva i dedotti dubbi di incostituzionalità, affermando che: “...queste complesse valutazioni che – come si è rilevato - sono, sì, discrezionali, ma dalla forte componente tecnica, sono soggette ad un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo. Di fatto è questa la portata delle numerose sentenze amministrative che si sono occupate dell’istituto. Esse non si limitano ad un controllo “estrinseco” e, pur dando il giusto rilievo alla motivazione, procedono ad un esame sostanziale degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza.”
Tuttavia, è discutibile sostenere che il Prefetto svolga attività di discrezionalità tecnica nell’emissione di un provvedimento interdittivo poiché esso si traduce in una valutazione di elementi di fatto, sovente di natura indiziaria e acquisiti a valle di un’attività istruttoria svolta talvolta rivalutando elementi già valutati in sede penale e da cui trae elementi che portano ad una decisione opposta in sede amministrativa.
È poco sostenibile, dunque, che la valutazione di fatti possa essere ricondotta nella discrezionalità tecnica e d’altro lato, appare ancor meno adeguata la limitazione che consegue a livello giurisdizionale poiché il giudice viene privato degli strumenti istruttori che permetterebbero di “investigare in autonomia” i fatti presupposti risalendo alla concreta portata [10].
Pertanto, è inevitabile rilevare come alla discrezionalità della Pubblica amministrazione nella materia in commento non segua una piena capacità istruttoria del giudice amministrativo realizzando sovente una ingiustificata compressione del diritto di difesa dell’operatore economico attinto dalla misura interdittiva.
Il collegio, allo stesso modo, ritiene infondate le violazioni sindacabili innanzi alla CEDU chiarendo che “in considerazione della natura non repressiva ma preventiva, e della varietà di comportamenti con cui le mafie ricercano attrattive occasioni di infiltrazione in società e relativi settori economici, il Consiglio di Stato ha ripetutamente – con la conferma della Corte Costituzionale adita in sede incidentale – affermato che la “tipizzazione giurisprudenziale”, in costante evoluzione, effettuata dal Supremo organo di giustizia amministrativa costituisce “parametro sufficientemente adeguato a evitare ogni pericolo di discrezionali se non arbitrarie azioni, nella vaghezza dei loro presupposti, da parte della autorità prefettizia nel definire i comportamenti sintomatici della infiltrazione mafiosa”. Sulla scorta di ciò, il Collegio adito esclude la pretesa irragionevole limitazione degli strumenti di tutela giurisdizionale dell’impresa sottoposta ad interdittiva antimafia in violazione delle norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie richiamate a tal fine.
E ciò dimostra che anche la discrezionalità ha un limite e che sarebbe finalmente opportuno introdurre in via legislativa una fase di partecipazione del destinatario dell’interdittiva affinché possa dimostrare le sue ragioni sin dalla sede procedimentale.
3. La necessità di riforma: uno sguardo al D.L. 6 novembre 2021, n. 152
A valle dell’orientamento giurisprudenziale e delle opposte posizioni della dottrina è evidente come la materia meriti una rimeditazione da parte del legislatore. Chi scrive, da tempo, sostiene che già in sede procedimentale la disciplina vada ripensata, estendendo garanzie e tutele al futuro destinatario del provvedimento interdittivo. Ciò che si richiede è un ancoraggio della disciplina ai principi dell’agire amministrativo.
L’esigenza della partecipazione effettiva mediante un contraddittorio procedimentale è stata finalmente colta con il D.L. 6 novembre 2021, n. 152 – G.U. 6 novembre 2021, n. 265 che all’art. 48 rubricato “Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell'interdittiva antimafia” prevedendo che: “Il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l'adozione dell'informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all'applicazione delle misure di cui all'articolo 94-bis, e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l'audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall'articolo 93, commi 7, 8 e 9. In ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l'esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. La predetta comunicazione sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio, il termine di cui all'articolo 92, comma 2. (…)”
Assistiamo ad una presa di posizione fortemente auspicata. È pur vero però che ciò non può soddisfare pienamente chi desidera un sistema giusto e lontano dallo Stato della Paura. Negli ultimi anni, si è abusato di uno strumento che per sua natura sacrifica (talvolta in modo sproporzionato) diritti fondamentali del destinatario.
Solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa e pertanto bisogna allontanare ogni possibile ipotesi di riconduzione ad un sistema sciolto e fluido, seppur necessario al contrasto di organizzazioni mafiose che per natura sono mutevoli [11].
*Seppur frutto di un lavoro unitario è possibile attribuire il primo paragrafo a Renato Rolli e i restanti a Martina Maggiolini
[1] Si consenta il rinvio a R. Rolli M. Maggiolini, Informativa antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. St. sez. III, 10 agosto 2020, n. 4979), in questa Rivista, 2020
[2] Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743
[3] Si consenta il rinvio a R. Rolli, L’informativa antimafia come “frontiera avanzata” (Nota a sentenza Cons. Stato, Sez. III, n. 3641 dell’8 giugno 2020), in questa Rivista, 3 luglio 2020
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014 n. 6465
[5] Si consenta in rinvio a R. Rolli e M. Maggiolini, Interdittiva antimafia e questioni di legittimità costituzionale (nota a ord.za TAR - Reggio Calabria, 11 dicembre 2020, n. 732), in questa Rivista, 2021
[6] V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, Napoli, 2019
[7] v. F. FRACCHIA - M. OCCHIENA, Il giudice amministrativo e l’inferenza logica: “più probabile che non” e “oltre”, “rilevante probabilità” e “oltre ogni ragionevole dubbio”. Paradigmi argomentativi e rilevanza dell’interesse pubblico”, il diritto dell’economia, 2019
[8] Cfr. A. Longo, La Corte costituzionale e le informative antimafia. Minime riflessioni a partire dalla sentenza n. 57 del 2020, Nomos, 2020
[9] Cfr. M. Mazzamuto, Interdittive prefettizie: rapporti tra privati, contagi e giusto procedimento, in Giurisprudenza italiana, 2020
[10] v. F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in www.giustamm.it, 6, 2018
[11] Cfr. Cons. St. 5 settembre 2019, n. 6105