Pubblichiamo questo contributo in occasione del centenario della morte del Maestro Giacomo Puccini, nato a Lucca il 22 dicembre 1858 e scomparso a Bruxelles il 29 novembre 1924. La prima parte del contributo, apparsa su Questa Rivista il 30 novembre 2024, si può leggere qui.
All’alba vincerò!
La vittoria di Giacomo Puccini sul tempo. PARTE SECONDA.
di Gerardo Casiello
Sommario: PARTE PRIMA 1. Sei generazioni di musicisti – 2. Trenta chilometri a piedi per Aida – 3. Anni difficili a Milano – 4. Tonio Puccini e la fine di una stirpe di musicisti – 5. Un miracolo a Milano – 6. Le Villi, l’esordio operistico di Puccini – 7. L’influenza di Wagner – 8. Edgar: “la cosa più orribile che sia mai stata scritta” – 9. Anni difficili alla vigilia della gloria – 10. In anticipo sulla musica per il cinema – 11. Puccini e i suoi contemporanei – 12. Bohème: una sfida tra amici – 13. Il gioco e la caccia – 14. Caruso e Puccini: due amici ambasciatori dell’Italia nel mondo – 15. E lucean le stelle – 16. Il grammofono di casa Puccini – 17. Puccini e le “sue donne” – 18. Madama Butterfly – 19. Un fortunatissimo fiasco. PARTE SECONDA 20. Una tragedia in casa Puccini – 21. Il figlio illegittimo – 22. La fanciulla del west – 23. La grande guerra e La rondine – 24. Tre opere in una – 25. Un capolavoro incompiuto – 26. “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto” – 27. Puccini ascolta Puccini.
20. Una tragedia in casa Puccini.
Giacomo Puccini ha sempre viaggiato molto nonostante preferisse restarsene in disparte nella sua adorata villa di Torre del Lago. Durante i suoi viaggi che il più delle volte coincidevano con allestimenti delle sue opere, il Maestro aveva la possibilità di confrontarsi con altre realtà sociali, di conoscere nuove persone e suggestionarsi per trovare nuove storie sulle quali lavorare.
Fu nel gennaio del 1907, durante un allestimento a New York della terza revisione di Madama Butterfly, che Puccini ebbe l’occasione di assistere al nuovo dramma teatrale di David Belasco intitolato The girl of the golden west rimanendone fortemente impressionato, tanto da chiedere subito all’autore di poterne trarre un’opera lirica. Nell’autunno del 1907 era già al lavoro; essendo Giuseppe Giacosa morto nel 1906, e con Luigi Illica il rapporto non era proprio dei migliori, per il libretto della nuova opera La fanciulla del West, si affidò al poeta Carlo Zangarini e allo scrittore Guelfo Civinini.
[Giacomo Puccini durante l’allestimento di un’opera]
Gli anni tra il 1907 e il 1910 furono molto tumultuosi nella vita privata di Puccini. La Fanciulla del West ha un modello femminile riconducibile alla vita reale del Maestro: Giulia Manfredi, giovane donna che gestiva, insieme al padre, una trattoria sulla terrazza del molo di fronte casa di Puccini a Torre del Lago.
Giacomo era un assiduo frequentatore del posto, soprattutto dopo le sue battute di caccia. La ragazza, dal carattere forte e deciso, affascinò il compositore a tal punto che divennero amanti. La cugina di Giulia, Doria Manfredi, lavorava da alcuni anni come domestica a casa Puccini ed era il tramite tra il musicista e la sua amante, era colei che recapitava le lettere e i messaggi. La giovane Doria ebbe la sventura di cogliere in flagrante adulterio la figliastra di Puccini, Fosca, con il librettista Guelfo Civinini. Fosca, avendo notato la vicinanza di Doria al Maestro, si vendicò instillando in sua madre Elvira il dubbio di una relazione di Giacomo con la ragazza. La moglie del compositore divenne intrattabile e, dopo aver licenziato la ragazza, la ingiuriò per tutto il paese a tal punto che la giovane, non sopportando più il peso delle calunnie, si suicidò avvelenandosi.
Dall’autopsia risultò che Doria era vergine e la famiglia Manfredi denunciò Elvira che fu condannata a cinque mesi di carcere; non scontò mai la pena perché Puccini pagò 12.000 lire ai parenti della ragazza per chiudere il caso.
La figura di Doria la si ritroverà poi con il personaggio di Liù in Turandot.
Dopo questo scandalo Puccini si separò dalla moglie e vissero divisi per un periodo.
[Giacomo Puccini in uniforme da marinaio]
21. Il figlio illegittimo.
Giulia Manfredi, che fu amante del Maestro per circa 16 anni, nel 1923 si allontanò da Torre del Lago e, nella città di Pisa, diede alla luce un figlio nato dalla relazione con il musicista; il bambino fu chiamato Antonio, come il fratellastro, e portò il cognome della madre. Per più di un anno Puccini mandò regolarmente soldi alla famiglia che cresceva il bambino a Pisa ma poi, dalla morte del compositore avvenuta nel 1924, Giulia dovette provvedere da sola al mantenimento del figlio “segreto”. Ad Antonio fu sempre proibito di andare dalla madre a Torre del Lago.
Nel 1976, alla morte di Giulia, il figlio si recò al paese per prendere tutte le cose ereditate dalla madre, tra cui una valigia rimasta sepolta nella cantina di Manfredi per molti anni. Antonio scomparve nel 1988.
Nel 2008, il regista Paolo Benvenuti, dopo aver fatto interviste a persone molto anziane di Torre del Lago, venne a conoscenza dell’esistenza degli eredi di Giulia Manfredi residenti a Pisa. Benvenuti riuscì a rintracciare Nadia Manfredi nipote di Giulia e, dopo varie interviste che ricostruirono la storia fu recuperata, nella cantina che fu di Antonio, una valigia che conteneva numerosi documenti che riguardavano Giacomo e Giulia, numerosissime lettere e persino un filmino amatoriale risalente al 1915 che ritraeva il Maestro in scene di vita quotidiana nella sua casa.
Grazie a questa scoperta il regista Paolo Benvenuti e la moglie Paola Baroni hanno tratto un soggetto dalla storia e realizzato il film intitolato Puccini e la fanciulla.
22. La fanciulla del west.
Oltre al dramma di Belasco, Puccini fu ispirato anche dalla sua tragedia personale per la composizione de La fanciulla del west.
L’opera è ambientata in California nel contesto della corsa all’oro, un’epoca di grande tumulto e opportunità dove emergono temi di avventura e conflitto. La storia è situata in un saloon e tra i cercatori d’oro, conferendo un’atmosfera western che fu molto innovativa per l’epoca.
La protagonista Minnie è proprio come Giulia Manfredi, una figura forte e autonoma che sa difendersi e prendere decisioni coraggiose.
La donna è disposta a mettere a rischio la sua vita e il suo benessere per difendere il suo amato Dick, facendo emergere sentimenti di amore, sacrificio e giustizia. Puccini incorpora nell’opera scale esatonali, forti dissonanze e passaggi cromatici, mostrando ancora l’influenza di compositori a lui contemporanei come Debussy e Strauss. Questa evoluzione armonica segna una distanza rispetto alle convenzioni melodiche più tradizionali delle sue opere precedenti.
L’uso di accordi di nona e l’impiego di scale per toni interi contribuiscono a creare atmosfere nuove e suggestive.
Puccini utilizza inoltre melodie folkloristiche americane come Dooda dooda day, Ninna-nanna Pellerossa ispirata ai canti indiani, e ritmi di danza americani tipici dell’epoca come il Cakewalk per dare autenticità all’ambientazione western.
Questo approccio non solo arricchisce la partitura ma rende anche omaggio alla cultura statunitense.
A differenza delle opere precedenti di Puccini, i personaggi in La Fanciulla del West non cantano melodie o temi ricorrenti nel modo consueto; piuttosto, il loro stile è più parlato e azione-orientato, riflettendo una nuova direzione nella scrittura operistica.
Altre grandi innovazioni che Puccini inserisce nell’orchestra sono gli effetti sonori che saranno poi ampiamente utilizzati nel cinema: utilizza l’eliofono ossia una macchina che riproduce il suono del vento; si fa costruire apposta uno strumento chiamato Fonica che produce un particolare effetto di vibrato. Specifica inoltre in partitura l’inserimento di fogli di carta tra le corde dell’arpa per imitare il suono del banjo. In quest’opera Puccini porta la sua drammaturgia a un punto molto alto e cerca di fondere insieme tradizione europea e americana.
La fanciulla del west esordì il 10 dicembre del 1910 a New York presso il Metropolitan diretta da Arturo Toscanini con un cast di primordine tra cui Enrico Caruso, Emmy Destinn e Antonio Pini-Corsi.
Fu un clamoroso successo di pubblico ma la stampa specializzata come al solito fu spietata. Alcuni critici, come Sylvester Rawling, contestarono l’autenticità dell’opera, affermando che le melodie all’italiana suonavano fuori luogo nel contesto dei minatori americani. Gustav Kobbé invece sottolineò che l’opera non riusciva a catturare l’atmosfera locale e che i personaggi sembravano solo italiani travestiti da americani.
La storia si svolge nel saloon Polka gestito da Minnie, una giovane donna forte e indipendente. Il locale è frequentato da cercatori d’oro e fuorilegge. Tra i vari personaggi c’è Dick Johnson, un fuorilegge che si innamora di Minnie. Anche se Minnie è affascinata da lui, è insicura riguardo la sua vera identità. I minatori parlano della vita difficile nella miniera e della loro speranza di trovare oro; si fa anche riferimento al fatto che il bandito Jack Rance, il capo dei fuorilegge e sceriffo della zona, ha un interesse per Minnie.
Dick e Minnie approfondiscono il loro legame, lei però scopre che lui è un fuorilegge. Nonostante ciò, i loro sentimenti si intensificano. Nel frattempo, Jack Rance cerca di sedurre Minnie e, scoprendo la presenza di Dick, minaccia di rigorosamente farlo arrestare. La situazione si fa drammatica quando Minnie deve fare una scelta: il suo amore per Dick o la sua lealtà verso la legge.
Dick viene poi braccato dagli uomini di Rance e Minnie, nel tentativo di proteggerlo, affronta le forze dell’ordine e costruisce poi un piano per salvarlo. Con astuzia e coraggio, la donna riesce a salvare Dick dimostrando che il vero amore può superare le avversità. Alla fine Minnie e Dick riusciranno finalmente stare insieme.
23. La grande guerra e La rondine.
Dopo un periodo di separazione, a seguito della tragedia di Doria Manfredi del 1909, Puccini ritornò a vivere con la moglie Elvira; il rapporto però fu sempre conflittuale e il compositore si distraeva immergendosi nella lettura, nella scrittura della sua musica, ricercando sempre materiale per nuovi progetti.
Nel 1913 il Carltheater di Vienna gli commissionò un nuovo lavoro: un’operetta in un solo atto, ma il Maestro fu fortemente insoddisfatto del lavoro dei librettisti Alfred Willner e Heinz Reichert. Il contratto con Vienna fu poi sciolto a causa dello scoppio della prima guerra mondiale e Puccini, liquidati i librettisti affidategli dal teatro di Vienna, ripensò completamente l’assetto drammaturgico e trasformò il progetto iniziale in un’opera in tre atti. Per il libretto contattò il commediografo Giuseppe Adami con il quale intrecciò un rapporto di profonda amicizia e grande intesa professionale.
La Rondine occupa un posto unico nella produzione pucciniana, rappresentando una transizione verso un’opera più moderna e disincantata. È l’unica opera di Puccini priva di dialoghi parlati e può configurarsi come una commedia lirica.
La sua struttura atipica e i numerosi ripensamenti del Maestro mettono in discussione il concetto di capolavoro; l’uso di ritmi di danza riflette le influenze musicali contemporanee, dal valzer al tango, creando un’atmosfera meno drammatica e più giocosa. Mentre molte opere pucciniane esplorano il sacrificio e la tragedia, La Rondine affronta l’amore in modo più leggero e autoironico, con un finale che promuove la consapevolezza e la libertà essendo dunque un esperimento audace nella sua carriera drammaturgica.
Il valzer e il tango non sono utilizzati come elementi di sfondo ma come strumenti narrativi che riflettono le emozioni dei personaggi e la loro evoluzione. Questa scelta contribuisce a rendere l’opera una commedia lirica ibrida, caratterizzata da una varietà musicale che riflette l’influenza viennese, rendendo i momenti coreografici essenziali per la narrazione.
Adami fornì un libretto che permise a Puccini di esplorare temi di amore e libertà in un’atmosfera leggera ma emotivamente complessa. Tuttavia, la scarsa convinzione di Puccini nel progetto e la sua stanchezza creativa comportarono continui ripensamenti durante la gestazione dell’opera, influenzandone il risultato finale.
La storia si svolge a Parigi dove la giovane e bella Magda Civry si intrattiene nel lussuoso salotto della sua casa insieme a un gruppo di amiche, il suo ricco amante Rambaldo, il poeta Prunier e la cameriera Lisette. Magda rievoca con nostalgia il suo amore giovanile per uno studente. Ad un tratto entra nel salotto Ruggero, giovane amico di Rambaldo venuto dalla campagna, Magda resta subito colpita dalla sua serietà e timidezza. Quando Ruggero saluta i presenti per recarsi in un locale a passare la serata, Magda riesce a scoprire la destinazione del ragazzo e, travestendosi, si reca anch’ella al caffè Bullier.
Al locale Ruggero siede da solo a un tavolo non curandosi delle ragazze che gli ronzano intorno; giunta Magda si unisce a lui e iniziano a conversare e poi a danzare.
Intanto arrivano al locale Prunier, Lisette e infine anche Rambaldo che cerca di convincere Magda a tornare a casa con lui ma lei rifiuta dicendogli che si è innamorata di Ruggero.
I due amanti andranno poi a vivere sulla Costa Azzurra e il ragazzo chiede a Magda di sposarlo; Magda gli rivela il suo passato di donna mantenuta dagli uomini e che non avrebbe potuto sposare un uomo così sincero e di sani princìpi. Come una rondine, fa quindi ritorno alla lussuosa vita finta e monotona insieme al suo protettore Rambaldo.
Magda è quindi la bella mantenuta che cerca l’amore autentico. È romantica e nostalgica, ma anche consapevole della sua comoda situazione sociale e delle sue limitazioni; Ruggero è invece un giovanotto provinciale che rappresenta l’innocenza, la ricerca di un amore puro e di una vita semplice e felice.
Rambaldo, ricco banchiere e protettore di Magda, è il simbolo del denaro e dell’amore possessivo. Prunier, poeta cinico e arguto, incarna le nuove e frivole mode amorose parigine; infine Lisette, cameriera di Magda, ragazza concreta e pragmatica, rappresenta il contrasto alle aspirazioni romantiche di Magda.
La prima rappresentazione de La rondine si tenne Grand Théâtre de Monte Carlo il 27 marzo del 1917 e fu accolta da un pubblico caloroso, ma subì una stroncatura dalla critica.
Durante la Prima Guerra Mondiale (1915-1918), Puccini visse un periodo di grande angoscia e preoccupazione; era profondamente turbato dagli orrori del conflitto che definì in una lettera «[…] un’orribile sospensione della vita […]». Grande ansia gli procurò inoltre l’impiego al fronte del figlio Antonio. Il tutto influì pesantemente sulla sua produttività creativa, infatti in una lettera lamentava «[…] ho lavorato poco, questa guerra mi distorna […], che vale? Se non finisce questa guerra, che cosa se ne fa il mondo della musica? […]».
Puccini non si schierò mai politicamente, nel 1915 dichiarò: «[…] Un artista dovrebbe tenersi completamente fuori dalla politica. Almeno, questo è ciò che penso […]». Nonostante tutte le difficoltà continuò a comporre, e riuscì a ultimare un trittico composto dalle opere Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi.
24. Tre opere in una.
Già nei primi anni del Novecento, il compositore aveva avuto l’idea di lavorare a un’opera composta da tre episodi tratti dalla Divina Commedia; per lungo tempo pensò a questo progetto che non si realizzò mai ma di cui se ne ha traccia con l’episodio di Gianni Schicchi per il trittico.
Nel 1812 aveva assistito a Parigi alla rappresentazione del dramma La houppelande di Didier Gold restandone molto colpito e dalla quale pensò di trarre un’opera. Affidò il soggetto al librettista Giuseppe Adami; tra l’estate e l’autunno del 1913 e poi dall’ottobre 1915 al novembre 1916, Puccini lavorò alla composizione de Il tabarro.
Dopo aver messo in scena Le rondini, il compositore pensò di riprendere l’opera in un atto e associarla ad altre due di argomento completamente diverso per avere un’opportunità rappresentativa caleidoscopica sotto il punto di vista musicale, drammaturgico e narrativo. Tra il 1917 e il 1918 compose Suor Angelica e Gianni Schicchi su libretto di Giovacchino Forzano.
Nonostante le sue qualità musicali, Il tabarro è una delle opere meno rappresentate del repertorio pucciniano. La sua narrazione cruda, che affronta il tema del proletariato parigino, l’hanno resa meno popolare rispetto ad altri titoli del compositore. Tuttavia, è considerata un’opera di grande originalità che mostra la capacità di Puccini di inserirsi nelle tendenze musicali europee del suo tempo.
Il Tabarro è caratterizzata da una forte drammaticità e una cupa atmosfera che riflette il tema del tempo che passa simboleggiato dal tramonto e dal lento scorrere della Senna. Puccini utilizza leitmotiv brevi e una struttura musicale basata su grandi blocchi tonali anticipando stilemi tipici dell’espressionismo.
L’opera è ambientata su un barcone da carico ancorato sulla Senna a Parigi, al tramonto. Michele, il proprietario del barcone e marito di Giorgetta, sospetta che la moglie lo tradisca. Giorgetta è innamorata di Luigi, un giovane scaricatore che lavora per Michele. Ogni sera, Luigi raggiunge Giorgetta attratto dal segnale di un fiammifero acceso. Michele, tormentato dalla gelosia e dalla perdita del loro figlio, medita vendetta. Una sera, Michele sorprende Luigi sul barcone, lo costringe a confessare il suo amore per Giorgetta e lo strangola. Nasconde poi il corpo nel suo tabarro. Quando Giorgetta si avvicina a Michele egli le mostra il cadavere di Luigi.
L’opera fu concepita per essere rappresentata insieme a Suor Angelica e Gianni Schicchi, offrendo così un’esperienza teatrale completa e variegata.
Ogni episodio del Trittico esplora temi diversi ma interconnessi.
Il Tabarro si concentra sulla gelosia e la tragedia, rappresentando un mondo cupo e senza speranza che può essere visto come infernale; Suor Angelica tratta l’espiazione e la redenzione, evocando il purgatorio. Infine, Gianni Schicchi offre una visione comica dell’avidità, con un tono più leggero e un finale paradisiaco.
Il Trittico è stato concepito come un percorso dall’oscurità alla luce. Questo viaggio emotivo è reso possibile attraverso la rappresentazione delle diverse sfumature dell’animo umano: passione, redenzione e avidità. L’ordine delle opere è cruciale per mantenere questo equilibrio drammatico.
Le tre opere si distinguono per i loro contrasti stilistici e tematici. Il Tabarro è un dramma realistico ambientato nella Parigi contemporanea a Puccini, mentre Suor Angelica in un convento del XVII secolo seguendo una narrazione lirica e religiosa. Gianni Schicchi è invece una commedia che si svolge nella Firenze medievale.
Suor Angelica è ambientata in un monastero nei pressi di Siena, verso la fine del XVII secolo. La protagonista è una giovane donna di famiglia aristocratica che da sette anni vive nel convento per espiare un peccato d’amore.
Durante questo lungo periodo, Angelica non ha avuto notizie del suo bambino nato da una relazione clandestina e che le era stato strappato subito dopo la nascita. Un giorno riceve la visita inaspettata della zia. Tuttavia, la donna non è venuta per concederle il perdono ma per chiederle di firmare un atto di rinuncia alla sua parte di eredità familiare, necessaria per costituire la dote della sorella minore prossima al matrimonio.
Angelica chiede insistentemente informazioni sul suo bambino e, con fredda crudeltà, la zia le rivela che il bambino è morto da oltre due anni a causa di una grave malattia.
Disperata per la notizia, la ragazza decide di togliersi la vita per ricongiungersi al figlio. Di notte si reca nell’orto del monastero e raccoglie delle erbe velenose con cui prepara una pozione mortale.
Dopo aver bevuto il veleno, Angelica implora il perdono della Vergine Maria e in quel momento avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta e spinge il bambino tra le braccia della madre morente. Angelica muore riconciliata mentre un coro di angeli la accoglie in cielo.
Gianni Schicchi invece è ambientata a Firenze nel 1299. La storia si svolge attorno alla morte del ricco Buoso Donati e alle macchinazioni dei suoi avidi parenti per assicurarsi l’eredità.
L’opera si apre con i parenti di Donati riuniti intorno al suo letto di morte preoccupati per una voce che circola per cui il ricco avrebbe lasciato tutto il suo patrimonio ai frati. I parenti, ansiosi di conoscere il contenuto del testamento, lo cercano freneticamente e, una volta trovato, le loro paure sono confermate: Buoso ha effettivamente lasciato tutti i suoi beni ai frati.
In preda alla disperazione, il giovane Rinuccio suggerisce di chiamare Gianni Schicchi, uomo noto per la sua astuzia. Schicchi arriva insieme alla figlia Lauretta che è innamorata di Rinuccio.
Dopo aver valutato la situazione, Schicchi escogita un piano audace: si sostituirà al defunto Buoso, fingendosi ancora vivo, per dettare un nuovo testamento al notaio.
Schicchi si mette nel letto di Buoso e, imitandone la voce, detta un nuovo testamento al notaio. Con grande sorpresa e disappunto dei parenti, Schicchi lascia la maggior parte dei beni a se stesso, assicurando così un futuro per sua figlia Lauretta innamorata di Rinuccio.
L’opera si conclude con Schicchi che si rivolge direttamente al pubblico chiedendo l’assoluzione per il suo inganno che ha però permesso ai due giovani innamorati di sposarsi.
Puccini tratta questa vicenda, ispirata a un episodio dell’Inferno di Dante, con grande ironia e leggerezza musicale, trasformando il personaggio di Schicchi da tremendo falsario a simpatico furbetto, in una commedia sull’astuzia e la corruzione nella società italiana.
Il compositore utilizza diversi registri musicali per riflettere le diverse atmosfere delle tre opere. La musica de Il Tabarro è intensa e drammatica, con un’orchestrazione densa e dissonante che crea tensione, senza melodie semplici o facilmente riconoscibili. Suor Angelica presenta toni più lirici e spirituali, l’uso della vocalità femminile è predominante con cori celesti che aggiungono elementi eterei. La musica è raffinata e le sonorità sono vicine al canto gregoriano.
Gianni Schicchi, opera buffa dai toni grotteschi e giocosi che offrono un contrasto netto rispetto alle altre due opere, è caratterizzata da una scrittura brillante e ritmica; le melodie sono accattivanti e sottolineano il tono comico e la satira sociale della trama.
La prima rappresentazione italiana del Trittico, sotto la direzione di Gino Marinuzzi, fu l’undici gennaio 1919 presso il Teatro Costanzi di Roma con successo di pubblico e critica anche se, come già successo a New York, Gianni Schicchi fu l’opera più apprezzata; Suor Angelica fu “riabilitata” rispetto alle critiche ricevute in America mentre Il Tabarro fu aspramente criticata perché troppo cruda e violenta.
Arturo Toscanini espresse il giudizio definendola solo “Grand Guignol” (riferendosi al carattere violento e sensazionalistico).
È interessante notare che ci furono giudizi discordi non solo tra il pubblico ma anche tra gli addetti ai lavori. Mentre Toscanini criticava Il Tabarro, il compositore Ferruccio Busoni lo definì un vero capolavoro.
Il musicologo Fedele D’Amico spiegò queste differenze di giudizio sostenendo che Toscanini valutava l’opera secondo “categorie ottocentesche”, guardando principalmente al nucleo del dramma, mentre Busoni la giudicava secondo “categorie novecentesche”, prestando più attenzione all’elaborazione musicale e al paesaggio sonoro. Puccini, presente alla prima rappresentazione, che si dichiarò soddisfatto. Le reazioni contrastanti portarono presto allo “smembramento” del Trittico, con le tre opere spesso rappresentate separatamente negli anni successivi, contrariamente alle intenzioni originali del compositore.
25. Un capolavoro incompiuto.
Nei primi mesi del 1920 Puccini ricevette, dal critico teatrale e commediografo Renato Simoni, il testo della fiaba teatrale Turandot. Originariamente il dramma fu scritto dal veneto Carlo Gozzi e messo in scena nel 1762; il tedesco Friedrich Schiller ne realizzò poi una versione in tedesco che fu successivamente tradotta in italiano dal poeta Andrea Maffei.
Il compositore quindi non lesse la versione originale di Gozzi ma l’adattamento di Schiller/Maffei e ne fu subito profondamente affascinato.
Nella seconda metà del 1920 Puccini era già a lavoro su Turandot insieme ai librettisti Giuseppe Andami e Renato Simoni.
Turandot è un’opera al contempo semplice e complessa, è caratterizzata da forti contrasti enfatizzati da un costrutto simbolico importante, dove il binomio luce/oscurità è scenografato da un tramonto rosso sangue che si contrappone alla fredda luce lunare; la combinazione caldo/freddo è resa dal calore passionale del protagonista Calaf in contrapposizione alla gelida principessa Turandot. Calaf rappresenta la vita e l’amore mentre la morte è impersonata da Turandot.
Abbiamo quindi nei personaggi degli archetipi contrastanti: Liù, schiava devota, è l’emblema dell’amore sacrificale; Calaf è l’eroe redentore portatore di amore; Turandot è la principessa algida e crudele, simbolo di un femminile distruttivo.
Il nodo centrale dell’opera è la trasformazione psicologica di Turandot da principessa gelida e vendicativa a donna innamorata; fondamentali sono anche l’amore sacrificale di Liù e la passione vitale di Calaf. L’opera è intrisa di tragedia, rappresentata dal suicidio di Liù, di lirismo appassionato dato dalle arie di Calaf; troviamo inoltre momenti ironici e grotteschi con il trio dei ministri Ping, Pang e Pong.
Turandot rappresenta l’apice della sperimentazione musicale di Puccini, combinando elementi tradizionali dell’opera italiana con innovazioni armoniche e timbriche.
L’esotismo è un tratto distintivo della drammaturgia musicale dell’intero lavoro; Puccini incorpora autentiche melodie cinesi come l’inno imperiale e la canzone popolare Mo-li-hua, ascoltata su un carillon durante un soggiorno termale a Bagni di Lucca; utilizza scale pentatoniche per evocare l’atmosfera orientale. La partitura include una vasta sezione di percussioni accordate, gong e altri strumenti della tradizione cinese per ricreare sonorità asiatiche.
Essendo fortemente influenzato dalla musica del primo novecento, Puccini introduce dissonanze, bitonalità e cluster tonali. L’opera si apre infatti con un accordo dissonante che simboleggia il conflitto centrale della storia; l’orchestrazione ricca e variegata si avvale del più grande organico orchestrale mai utilizzato dal compositore.
Il coro ha un ruolo molto più prominente rispetto alle opere precedenti, quasi fosse un personaggio aggiuntivo. Puccini riesce con Turandot a coniugare l’innovazione tecnica e stilistica con la tradizione melodica italiana che trova il suo punto massimo nell’aria Nessun dorma, il cui motivo aleggia in molte parti dell’opera.
La storia si svolge a Pechino in un tempo non specificato; tutto ruota attorno alla principessa Turandot, donna bellissima ma dal cuore di ghiaccio, che ha giurato di non sposarsi mai. Per scoraggiare i pretendenti ha stabilito che chiunque voglia sposarla deve risolvere tre enigmi e coloro che falliscono verranno condannati a morte. La narrazione inizia con l’esecuzione dell’ultimo pretendente fallito, il Principe di Persia.
Tra la folla che assiste all’esecuzione c’è il principe Calaf che, folgorato dalla bellezza di Turandot, decide di tentare la prova degli enigmi nonostante le suppliche del padre Timur e della fedele schiava Liù.
Calaf riesce a risolvere i tre enigmi di Turandot, ma vedendo la principessa disperata, le offre una via d’uscita: se lei riuscirà a scoprire il suo nome prima dell’alba potrà farlo giustiziare. Turandot ordina quindi che nessuno dorma a Pechino finché non verrà scoperto il nome del principe. I ministri della principessa, Ping, Pang e Pong, cercano di corrompere Calaf ma senza successo. Liù e Timur vengono catturati e torturati per rivelare il nome del principe. Liù, per proteggere il segreto di Calaf di cui è segretamente innamorata, si uccide. Calaf, rimasto solo con Turandot, la bacia appassionatamente. Questo gesto scioglie finalmente il cuore della principessa che si innamora di lui.
Puccini purtroppo venne a mancare prima di completare l’opera, la sua scrittura si fermò con la morte di Liù.
La figura di Liù, ragazza devota che si toglie la vita per non tradire la fiducia di Calaf, è un riferimento abbastanza esplicito alla vicenda di Doria Manfredi che Puccini volle riabilitare immortalandola nell’opera.
Incredibile coincidenza che il compositore termini la sua carriera e la sua esistenza proprio in questo punto della composizione.
26. «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto».
Sin dall’adolescenza, Puccini fu fumatore incallito. Per tutta la vita amò il profumo e il sapore del tabacco, fu grande consumatore di sigarette ma anche di sigari Toscano. Verso l’estate del 1923 iniziò ad avvertire dei fastidi alla gola che, col passare dei mesi, divennero sempre più insistenti fino a quando non si trasformarono in dolori lancinanti. Il Maestro, assistito dal figlio Tonio, fu visitato dai migliori medici specialisti dell’epoca tra i quali Addeo Toti, Camillo Arturo Torrigiani e in fine, suggerito dalla sempre presente fedele amica Sybil Seligman, Giuseppe Gradenigo al tempo il più esperto chirurgo al mondo e pioniere dell’otorinolaringoiatria.
Gli fu diagnosticato un cancro all’epiglottide in stadio avanzato dovuto dal fumo. Puccini non fu mai messo al corrente della gravità del suo male.
Così scriveva all’amico Carlo Clausetti: «[…] Caro Carlo, il mio male è un papilloma, non grave, ma bisogna levarselo e presto; è situato sotto l’epiglottide. Ho telegrafato al professor Gradenigo, dovrò operarmi... col radio, a Firenze o a Parigi: Bella noia! Ma almeno ora so cos’è il mio male che da mesi m’impensierisce e mi tormenta. Ti prego, appena a Milano, di mandarmi una Tosca e una Bohème e inoltre i tre spartiti del Trittico che non ho, divisi. Vorrei sapere se nel Tabarro fu cambiato il monologo finale, e anche vorrei sapere perché queste tre opere rimangono inerti! Speriamo che possa guarire, che Turandot riprenda. Per ora tutta la musica di casa mia un silenzio doloroso! […]».
Al librettista e fedele amico Giuseppe Adami scrisse «[…] Caro Adamino, che volete che vi dica? Sono in un periodo tremendo. Questo mal di gola mi tormenta ma più moralmente che per pena fisica. Andrò a Bruxelles da un celebre specialista. Partirò presto. Aspetto risposta di là e Tonio che ritorni da Milano. Mi opererò? Mi si curerà? Mi si condannerà? Così non posso più andare avanti. E Turandot è lì. […] Vedremo, quando mi rimetterò al lavoro, al ritorno da Bruxelles. Speriamo che io ne esca bene di questa gola! Vi abbraccio[…]».
Il quattro novembre 1924, accompagnato dal figlio Tonio e dall’amico amministratore di Casa Ricordi Clausetti, Puccini partì alla volta di Bruxelles per curarsi presso la clinica del Dottor Ledoux. Giacomo fu raggiunto anche da Sybil Seligman che, avendo compreso la gravità dello stato di salute di Giacomo, sollecitò più volte sia Elvira sia Fosca a raggiungerli, dopo vari contatti solo Fosca si recò a Bruxelles. Le terapie al radio procedettero bene e gli specialisti avevano scongiurato il peggio e, dopo l’intervento chirurgico, diedero a Puccini certezze di guarigione; purtroppo la sera del 28 novembre sopraggiunse un infarto del miocardio che fece collassare la situazione.
Il Maestro si spense alle undici e trenta della mattina del 29 novembre a Bruxelles lontano dal suo amato paese.
Il primo funerale di Puccini a Bruxelles fu un evento solenne che si tenne il primo dicembre 1924.
La cerimonia funebre si svolse nella chiesa di Sainte-Marie e fu celebrata dal Nunzio Apostolico Micara, conferendo all’evento un carattere di grande importanza e rispetto.
Oltre alla cerimonia religiosa, il Teatro reale De La Monnaie rese omaggio al grande compositore con una rappresentazione speciale di Bohème. Durante questa commemorazione fu posta una grande corona di fiori al centro del palcoscenico, simboleggiando il lutto per la perdita del maestro. Prima dell’inizio dell’opera, il direttore del teatro pronunciò un commosso discorso per ricordare la figura artistica del compositore scomparso.
Il due dicembre 1924, alle ore 17, un treno speciale da Bruxelles giunse a Milano trasportando la bara di Puccini avvolta nel tricolore italiano. La salma fu accompagnata dai figli Antonio e Fosca.
La bara fu inizialmente trasferita nella chiesa di San Fedele dove venne allestita una camera ardente. La chiesa era stata addobbata a lutto e la bara fu disposta su un imponente catafalco circondato da 200 ceri accesi. Per tutta la notte, la salma fu vegliata nella chiesa.
Il giorno seguente, tre dicembre, alle 6:30 del mattino, la bara fu trasferita nel Duomo di Milano per la solenne cerimonia funebre. Qui fu collocata su un maestoso catafalco di velluto nero con frange d’oro, gli stessi paramenti utilizzati per il funerale di re Vittorio Emanuele II.
La cerimonia in Duomo fu particolarmente solenne e significativa:
fu celebrata alla presenza eccezionale del cardinale, un onore concesso in precedenza solo per i funerali di Alessandro Manzoni; l’orchestra del Teatro alla Scala, diretta da Arturo Toscanini, eseguì brani musicali, interpretando in chiave mistica la marcia funebre da Edgar; il coro del Duomo accompagnò la cerimonia; la chiesa e la piazza antistante erano gremite di autorità, figure istituzionali e comuni cittadini.
Dopo la cerimonia al Duomo, si formò un lungo corteo funebre che attraversò le strade di Milano; il percorso incluse una sosta significativa davanti al Teatro alla Scala.
Il corteo si concluse al Cimitero Monumentale di Milano. La bara fu portata a spalla nel Famedio dove si tenne un breve rito funebre. Infine, alla presenza dei parenti e degli amici più stretti, la salma di Puccini fu temporaneamente deposta nella cappella della famiglia Toscanini.
La scelta della sepoltura nella tomba di famiglia dell’amico Arturo Toscanini fu una soluzione provvisoria, due anni dopo, nel 1926, i resti del compositore furono trasferiti nel mausoleo appositamente costruito a Torre del Lago, come desiderato dal Maestro.
Turandot era rimasta incompiuta. La prima rappresentazione era già in cartellone per il febbraio del 1925 ma fu ovviamente cancellata. Puccini, dopo alti e bassi nel rapporto di amicizia con Arturo Toscanini, nei mesi precedenti alla sua morte, aveva riallacciato i rapporti e lo aveva convinto a occuparsi della nuova opera e dirigerne le prime esecuzioni.
Nei suoi ultimi giorni di vita Giacomo disse al figlio: «… se non finisco Turandot voglio che tu la faccia finire a Zandonai».
Scomparso il Maestro, l’editore Ricordi e Toscanini presero in mano l’opera ma affidarono il completamento a Franco Alfano.
La scelta ricadde su Alfano perché era l’autore de La leggenda di Sakùntala che aveva affinità tematiche e stilistiche con Turandot, entrambe le opere avevano un’ambientazione esotica e caratteristiche musicali simili.
Alfano era considerato uno degli ultimi rappresentanti della scuola verista italiana ed era quindi in linea con lo stile pucciniano; in più anche lui stava evolvendo verso sonorità più moderne. L’opera Risurrezione gli aveva dato fama internazionale dimostrando la sua capacità di comporre opere di successo.
Nonostante queste motivazioni, il compito di completare l’opera si rivelò molto complesso. Alfano dovette lavorare basandosi sui 36 fogli di appunti lasciati da Puccini. Produsse inizialmente una versione del finale molto estesa e troppo personale che poi dovette rivedere e tagliare su richiesta di Ricordi e Toscanini, creando così una versione più breve che è quella che viene generalmente eseguita.
La prima rappresentazione di Turandot ebbe luogo il 25 aprile 1926 presso il Teatro alla Scala di Milano sotto la direzione Arturo Toscanini.
Durante la prima, Toscanini interruppe l’esecuzione a metà del terzo atto subito dopo la morte di Liù, nel punto in cui terminava la partitura completata da Puccini, si rivolse al pubblico e disse: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto».
L’impatto emotivo sul pubblico fu enorme. La sera successiva l’opera fu rappresentata nella sua interezza, includendo il finale composto da Alfano.
Turandot ebbe un grande successo di pubblico e critica e fu consacrata come uno dei capolavori di Puccini nonostante fosse rimasta incompiuta.
A cento anni dalla sua scomparsa Giacomo Puccini ha lasciato dunque un’indelebile eredità musicale che ha influenzato, e influenzerà, generazioni di compositori e amanti dell’opera.
27. Puccini ascolta Puccini.
Concludo questo scritto proponendo uno studio che renda omaggio, in modo originale, alla musica del grande Maestro e che ne valorizzi ulteriormente l’importanza: “Puccini ascolta Puccini - 1902/1924: uno studio filologico e comparato delle incisioni discografiche a 78 giri”.
Puccini ascolta Puccini è un ambizioso lavoro di digitalizzazione e restauro dei dischi a 78 giri incisi in Italia dalle società Gramophone-Società Nazionale del “Grammofono” e Fonotipia, dal 1902 al 1924. Questo progetto mira a preservare e diffondere l’opera di Puccini creando una risorsa digitale di inestimabile valore per gli ascoltatori, gli studiosi della musica e gli appassionati del repertorio pucciniano in tutto il mondo.
La parte fondamentale di Puccini ascolta Puccini verte sulla digitalizzazione accurata dei documenti fonografici incisi in Italia dal 1902 al 1924 e sull’individuazione della corretta velocità di rotazione dei dischi con la correzione operata in digitale. Questo processo richiede un attento studio di ciascun documento al fine di garantire che le registrazioni possano essere riprodotte alla veritiera intonazione, cosa che permetterà il fruire dell’interpretazione originale dell’esecuzione.
Poiché la bibliografia esistente relativa alle incisioni italiane del repertorio di Giacomo Puccini si presenta in modo discontinuo e frammentario, l’obiettivo è quello di ricostruire in modo accurato e unitario la discografia italiana del grande compositore, dagli albori della fonoriproduzione sino al 1924, anno della scomparsa dell’illustre Maestro.
Il rilevante ruolo giocato all’interno dell’allora giovane mercato discografico dalle compagnie fonografiche oggetto di studio, la Gramophone-Società Nazionale del “Grammofono” e la Fonotipia, le ha favorite nel porle al centro di questo progetto: è noto infatti il loro fondamentale contributo allo sviluppo e alla diffusione del “nuovo mezzo di comunicazione” in Italia nonché alla veicolazione della musica, sia come intrattenimento che come trasmissione di cultura. Il progetto Puccini ascolta Puccini adotta un approccio filologico rigoroso, enfatizzando l’accuratezza storica e l’integrità delle registrazioni. L’obiettivo è che i documenti sonori digitali siano il più fedeli possibile alle incisioni originali che Puccini e i suoi contemporanei usavano ascoltare con i fonoriproduttori dell’epoca. Questo approccio filologico mira a preservare non solo il suono, ma anche il contesto in cui queste registrazioni furono create. Lo studio dei documenti sonori propone anche la ricostruzione cronologica delle incisioni e la comparazione tecnico-stilistica delle esecuzioni dei vari interpreti; un obiettivo importante di questo lavoro comparativo è la valorizzazione degli esecutori la cui memoria è stata offuscata dallo scorrere del tempo. Grazie a contemporanee tecnologie mirate è dunque possibile fruire delle registrazioni del periodo acustico con un’esperienza di ascolto filologico, fedele il più possibile alle sonorità dell’epoca e che consenta di ipotizzare come Puccini stesso potesse ascoltare le proprie composizioni. Il restauro dei documenti autentici, attingendo a fondi fonografici pubblici e privati, sarà effettuato nel massimo rispetto dell’integrità e della tutela del documento originale, andando a intervenire unicamente sui difetti prodotti dall’usura del tempo, puntando a esaltare il suono originario. Puccini ascolta Puccini mira a ottenere risultati significativi che soddisfino sia il mondo del professionismo musicale e musicologico come quello dei melomani e dei comuni fruitori ed appassionati di musica. La creazione di una collezione digitale di registrazioni “autentiche” delle opere di Puccini consentirà ai fruitori di studiare in dettaglio le interpretazioni del repertorio dell’artista toscano incise da suoi contemporanei. Questo progetto favorirà la conservazione di queste preziose registrazioni preservandone la loro autenticità per le future generazioni. Inoltre permetterà al pubblico di tutto il mondo di accedere a questa eredità musicale unica e di immergersi nelle esecuzioni delle opere di Puccini quando egli era ancora in vita. Puccini ascolta Puccini rappresenta dunque un omaggio straordinario al genio di Giacomo Puccini nel centenario della sua morte. Questa iniziativa, che fonde la ricerca storica e musicologica con l’utilizzo di avanzati sistemi digitali, costituisce un prezioso contributo alla preservazione del patrimonio musicale italiano e alla diffusione della sua bellezza in tutto il mondo. La realizzazione di questo progetto richiede un impegno collettivo, unito dalla passione per la musica e dalla volontà di onorare e celebrare l’eredità di Giacomo Puccini per le generazioni future. La musica di Puccini è destinata a risuonare per sempre nei cuori e nelle orecchie di coloro che si immergono in questo viaggio sonoro.
Immagini tratte dell’Archivio del DMI – Dizionario della Musica in Italia – per gentile concessione del Maestro Claudio Paradiso.