Bobby McGee e me
Ricordo di Kris Kristofferson
Mickey Raphael e il chitarrista Merle Haggard accordavano gli strumenti.
Insieme a Jody Payne erano “The Family”, la band di Willie Nelson; e ora erano diventati la band degli Highwaymen.
Mentre sorseggiava il caffè in attesa del concerto, pensò che l’armonica di Mickey Raphael era la più dolce e serena che avesse mai sentito.
Ascoltarla gli ricordava quando, dopo l’uscita di John Wesley Harding, avevano suonato insieme I’ll Be Your, Baby Tonight, il primo vero pezzo country di Bob Dylan.
Era una canzone calda che assomigliava alla sua Help Me Make It Through The Night.
Come questa, parlava di una notte d’amore, invocata come una richiesta d’aiuto e immaginata così intensa da dover essere vissuta senza poter essere rimpianta.
Ma, a ben vedere, tutte le sue canzoni invocavano amore; un amore esaudente, più compassionevole che empatico, come Come Here Comes That Rainbow Again, dove la luce del giorno, resa pesante dal temporale, si colora dell’arcobaleno quando l’umanità esaudisce il desiderio di due bambini.
Come For The Good Times, ove si implora all’amore di essere allegro oltre la crisi, abbandonandosi sul cuscino dell’altro, nel sussurro delle gocce di pioggia sulla finestra, senza dire una parola sul domani o per sempre, in nome dei bei tempi.
I bei tempi erano quelli in cui la libertà era solo una parola per dire che non hai niente da perdere.
Avevano viaggiato dalle miniere del Kentucky al sole della California e lei indossava jeans sbiaditi e una bandana sgualcita; una volta, a Baton Rouge, la macchina si era rotta e lui, prima che iniziasse a piovere, aveva rimediato un passaggio fino a New Orleans; durante il tragitto, avevano suonato blues e lei, soffiando sull’armonica, aveva liberato i capelli al vento del Mississippi, rossi e sontuosi come le foglie dei faggi in autunno.
Ci pensava ancora alla ragazza rossa di Houston, una delle voci più belle che avesse mai sentito. Erano ragazzi e avevano condiviso i segreti delle anime; ma lei aveva voluto scambiare tutti i suoi domani per un solo ieri nella stanza fredda di un Hotel, mentre lui, sospinto dal dolore, aveva percorso una nuova strada, sempre ascoltando la stessa canzone.
Su quella strada una volta gli era capitato di baciare la più bella ragazza di Brooklyn. La ragazza che portava il nome di una poesia di Jacques Prévert: quella della pioggia incessante su Brest e di lui che parte per la guerra. Una poesia che invocava l’amore e biasimava la guerra, come le sue canzoni.
Poi aveva cavalcato con James Coburn nella Contea di Lincoln e insieme al menestrello di Duluth aveva bussato alle porte del Paradiso.
Le canzoni di Bob Dylan gli piacevano da sempre, ma non era vero che fosse stato lui a togliere l’ascia dalle mani di Pete Seeger quel 25 luglio 1965 a Newport.
Il 16 ottobre 1992, invece, era stato proprio lui ad accompagnare sul palco del Madison Square Garden lo Zio Bobby del trentennale, prima di una cavernosa Song To Woody e delle lacrime di Sinead O’Connor, che aveva asciugato con un abbraccio e un fazzoletto bianco della sua città, creando il mistero di Brownsville Girl e dei segreti che si sarebbe portato sino a Maoui, proprio mentre Lou Reed attaccava Foot Of Pride.
L’uomo del back stage gli portò un altro caffè.
Dopo essersi bagnato le labbra, prese la chitarra: gli Highwaymen stavano arrivando.
«Con che cominciamo?» Sussurrò Willie Nelson a Johnny Cash.
«Sunday Morning Comin’ Down», rispose Johnny.
Salendo sul palco, Bobby McGee rise: anche questa era una sua canzone; anche questa una invocazione d’amore.
Come il suono della domenica mattina, che incombe sui marciapiedi della città che dorme.
Immagine: photo of Kris Kristofferson, Michael Ochs Archives/Getty Images.