“Marie Gulpin” di Marco Mantello l’inedito camouflage dell’odio. Recensione di Paola Filippi
In Francia, in un futuro distopico, l’estrema destra è al potere.
È Marie Gulpin che guida il paese, la leader del partito Figli della Patria.
È arrivata al potere cavalcando le paure e le insicurezze dei francesi. Il collante lo ha facilmente rinvenuto nell’odio razziale che ha sapientemente coltivato, insieme a populismo e complottismo.
Tutti i francesi sono con lei, uniti contro i neri, contro gli immigrati e soprattutto contro i musulmani. Nell’immaginario collettivo, manipolato da Gulpin e dai suoi sodali, gli stranieri sono i nemici mortali della Francia, e il popolo francese è saldamente unito nel comune sentimento di rabbia e istinto di prevaricazione contro il diverso.
La leader del partito Figli della Patria – come già è accaduto in altri paesi europei dove i fasciti sono al governo e il sovranismo ha vinto – reintroduce in Francia la pena di morte.
Chi sarà il primo decapitato, dopo l’introduzione della ghigliottina? Sarà Luigi Gulpin, il figlio, appena diciottenne, di Marie? È lui che, con i suoi amici, ha organizzato il poussez le mannequin e gettato Abdel Hakim Hadiudi, un anziano immigrato di origine tunisina, tra le rotaie del metrò? Abdel Hakim Hadiudi meritava di morire?
Il romanzo di Marco Mantello, scrittore e poeta romano che vive tra Parigi e Berlino, autore del romanzo “La rabbia”, finalista al Premio Strega nel 2012, inizia così, con il drammatico poussez le mannequin, e di lì si dipana, almeno apparentemente, secondo gli ordinari schemi del thriller psicologico; nessuno dei personaggi è veramente come appare, la realtà è presentata su diversi piani e differenti angoli visuali.
Immagini carpite da misteriose riprese video, spedite al narratore Cesare Cannelutti, terzo marito di Marie Gulpin, da un mittente anonimo, restituiscono vicende inaspettate e sconvolgenti. Rappresentazioni di vita vissuta che modificano repentinamente i tratti dei personaggi e i loro ruoli. La storia si fa sempre più avvincente.
Marco Mantello, con “Marie Gulpin”, in maniera magistrale, offre al lettore, intrecciandole in un'unica storia, tre diverse narrazioni: quella che si dipana nel thriller; quella che affronta i temi legati all’ascesa dell’estrema destra, al populismo nazionalista, all’ossessione identitaria e antislamica che attraversa l’Europa, quella che descrive, senza veli, la personalità e l’ascesa della leader sovranista.
Il giallo è intrigante: Luigi Gulpin sarà condannato? Ci saranno altri morti? Chi è veramente Davide? Il Soleil Noir esiste? Quale è il ruolo assegnato all’ultimo discendente dei boia, chiamato a rimettere in funzione la Petite Louison?
L’analisi politica dell’ascesa dell’estrema destra è estremante lucida: la paura droga la ragione, l’odio razziale è il nuovo oppio che obnubila il popolo francese.
Il sovranismo, con la proclamazione dell’obiettivo dell’esclusione è il vessillo che rassicura gli animi. La solidarietà è bandita e i diritti fondamentali sono sostituiti dai valori della patria. Ma in cosa consistono i valori della patria? Quali sono questi valori proclamati e da difendere strenuamente? Ebbene, si tratta di valori dei quali si sa solo che sono da difendere; alla loro mera enunciazione corrisponde il vuoto; un vuoto potente perché riesce a cancellare non solo l’egalité – cancellazione scontata per i diversi – ma anche la liberté e la fraternité.
In questo nuovo regime gli showman e i pagliacci diventano, a pieno titolo, uomini politici di successo, nella facile declinazione di una ideologia populista, senza idee, senza rispetto dei diritti fondamentali dei diversi ove solo i francesi possono ridere, essere felici e vivere. I giudici sono sostituiti dai talkshow.
Il processo mediatico delle vittime è formalizzato – diventa Cour d’Assises con il nome di Giudice delle vittime. Secondo la filosofia per cui “il sangue non si nutre di una colpa dei carnefici ma di un sentimento diffuso di colpevolezza attribuito alla vittima” l’immigrato, vittima, diventa imputato. Il sistema penale è particolarmente repressivo con l’introduzione di crimini tipici dei regimi di polizia, la giustizia oltre che mediatica è sommaria. I nuovi crimini sono quelli da strada, mentre, contestualmente, i reati dei colletti bianchi vengono depenalizzati.
La descrizione della Francia è desolante, trapela come scenario di fondo un occidente ripiegato su stesso, chiuso nelle proprie ossessioni, sterile e contaminato da “democrazie identitarie” e “sovranismi”.
Nella descrizione di Mantello – alla fine non così immaginaria – l’Occidente è in pericolo. Non sono i neri, gli immigrati o l’Islam a collocarlo sull’orlo del baratro quanto piuttosto è l’Occidente che è in fase di autoeliminazione; processo iniziato con la drastica sostituzione della politica dell’esclusione alla politica della solidarietà e dell’accoglienza, con la sostituzione dei principi di Jean-Jacques Rousseau con i vacui valori della patria.
In questo nuovo occidente – con la o minuscola – tutto ruota attorno al doppelwirKung, come scrive nella sua tesi Davide Cannelutti, figlio del narratore e amico di Luigi Gulpin, con lui nel poussez le mannequin. La nuova cristianità che anima l’occidente ha sostituito Dio con il culto dell’apparire, del piacere e della ricchezza; in nome di divinità commerciali e ha poi trovato la regola per autoassolversi da ogni delitto. L’odio verso il diverso è giustificato dall’amore verso l’uguale o l’assimilato. L’introduzione della pena di morte è un atto di amore di Gulpin verso la Francia. In nome della sicurezza degli uguali è stata elaborata la distinzione tra costi umani e omicidi. Il terrorismo islamico è omicida mentre l’occidente è innocente per definizione, perché agisce a difesa di sé stesso e, per il resto, i danni sono effetti collaterali, non importa se le vittime sono civili innocenti o addirittura bambini.
L’intento di Marco Mantello è quello di «recuperare la vista» sulle identità collettive e la violenza in Europa, per accendere i riflettori sui «pericoli insiti in una mentalità collettiva che si alimenta in modo ossessivo del terrore prodotto dagli “altri”»[1].
L’occidente descritto da Mantello è un occidente con la “o” minuscola, che non ha fatto i conti con il suo lato oscuro, che non ha preso le distanze da fenomeni politico-culturali come il nazismo e il fascismo.
La terza narrazione che si intreccia nel racconto riguarda nell’intimo Marie Gulpin.
Gulpin si svela come una donna qualunque, solo ben “lanciata”, altro non è che un marchio di successo, il cui slogan è tratto dall’ancestrale paura della morte.
È instabile e psicotica – straordinario il suo rapporto con il boia della Bastiglia, lo gusterà il lettore – ma ciò non altera il rapporto della Gulpin con il suo popolo. È significativo che la leder del partito nazionalista sia una donna. Come ha scritto Marco Mantello «È un qualcosa di altamente manipolativo, perché si usano argomenti condivisi per rendere incontestabile il fine, reazionario, attraverso la condivisione del mezzo, progressista»[2].
Il messaggio è che chiunque, con un buon lancio pubblicitario, può diventare un leader sovranista, un dittatore; tutto inevitabilmente si snoda attorno al pericolo correlato alla desertificazione della cosa pubblica, al disinteresse per il collettivo e all’abbandono della politica.
Il messaggio di Marco Mantello è chiaro: la partecipazione politica va costantemente coltivata per impedire che vengano occupati da uno solo al comando – una sola nel nostro caso – gli spazi che, in uno Stato democratico devono, necessariamente, essere occupati da una pluralità di soggetti.
Le idee vanno coltivate con il confronto; le ideologie non possono essere sostituite dai c.d. valori della patria, concentrati esclusivamente attorno all’identità nazionale, il centro dell’etica della polis è l’essere umano, senza distinzioni riferite a diversità, come recita la Carta fondamentale dei diritti dell’Uomo.
La pochezza di Marie Gulpin, l’assenza di un’ideologia contro la quale confrontarsi, l’inconsistenza dei valori della patria, cuciti con la stessa stoffa del vestito dell’imperatore[3], avvertono che non è poi così difficile che un leader fascista prenda il potere. La ricetta è sempre la stessa fomentare la paura e assicurare sicurezza e protezione.
Il romanzo di Marco Mantello, con questa stupenda descrizione di una surreale Francia fascista, che purtroppo richiama criminalizzazioni, depenalizzazioni, razzismi e nuove diseguaglianze del nostro quotidiano, richiama alla memoria il monito di Primo Levi “È accaduto, quindi può di nuovo accadere”.
“Marie Gulpin” va letto.
Marco Mantello, "Marie Gulpin", Neri Pozza, 2023.
https://www.ibs.it/marie-gulpi...
Inedito camouflage dell’odio è un’espressione tratta dal titolo dell’intervista a Marco Mantello apparsa su il Manifesto il 25.4.2023 https://media.gruppoathesis.it/media/attach/2023/05/il_manifesto.pdf
[1] V. Marco Mantello e l’inedito camouflage dell’odio dal titolo dell’intervista di Guido Caldiron a Marco Mantello apparsa su il Manifesto il 25.4.2023.
[2] V. nota 1.
[3] Il vestito della fiaba danese di Hans Christian Andersen - Keiserens Nye Klæder.
L'immagine è un’installazione dalla serie «Human condition» di Antony Gormley