La risposta unanime al nazifascismo da parte di coloro che lo avevano osteggiato e ne avevano subito la violenta oppressione fu la Resistenza. Un fenomeno complesso, ancora oggi tema di discussione e di confronto tra gli storici ma anche tra coloro che fanno fatica a riconoscere l’origine dell’Italia repubblicana sulla base della Costituzione frutto della guerra di liberazione partigiana antifascista.
In tutta l’Europa la Resistenza ebbe i suoi centri nelle città, nelle campagne, in tutti i luoghi dove fu possibile organizzare la lotta delle formazioni partigiane: dalla Iugoslavia alla Grecia, alla Polonia, alla Francia, all’Italia centro-settentrionale.
Dal punto di vista sociale si può dire che nei vari paesi europei furono attivi nella lotta per la liberazione operai, contadini, ceti piccolo borghesi, intellettuali, guidati per lo più dai partiti di sinistra che combattevano con la grande fiducia nel cambiamento e nella rinascita dopo la rovina della guerra. I comunisti, in modo particolare, guardavano all’Unione Sovietica come patria, di una rivoluzione realizzata, mentre la componente borghese della Resistenza italiana ebbe come modello e punto di riferimento gli anglo-americani.
L’Italia centro-settentrionale dopo l’8 settembre del 1943 visse la svolta più complessa e drammatica determinata dagli effetti degli ultimi eventi. Senza Badoglio e senza il re, essa fu occupata dai tedeschi che promossero la “rinascita” del fascismo e diedero vita ad un nuovo governo fantoccio manovrato secondo i dettami di Hitler.
Il governo neofascista nacque a Salò, il partito fascista si chiamò “repubblicano” e il nuovo regime prese il nome di Repubblica sociale italiana con le forze armate sotto il comando tedesco con funzione squisitamente antipartigiana.
L’Italia spaccata in due, tra regno del sud e repubblica di Salò visse le sue più gravi e intricate contraddizioni: da un lato la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del governo monarchico e il riconoscimento di “cobelligeranza” da parte degli alleati; dall’altro i partiti antifascisti che dopo il congresso di Bari (gennaio 1944) non riconoscevano alcuna autorità al re e a Badoglio e chiedevano l’abdicazione del sovrano traditore e compromesso col fascismo. Tutto questo in attesa che la questione istituzionale fosse risolta a liberazione raggiunta da una Assemblea Costituente eletta a tale scopo.
Fu Togliatti, con la svolta di Salerno nel marzo del 1944, a superare l’impasse. In nome dell’unità nazionale furono riconosciuti gli anglo-americani e fu promossa la nascita di un nuovo governo Badoglio con la partecipazione dei partiti per poter combattere tutti uniti il nazifascismo, rinviando a guerra finita la questione “monarchia o repubblica”. Formatosi il nuovo governo, il re abdicò in favore del figlio Umberto e dopo la liberazione di Roma il 5 giugno del 1944 si dimise. A parte le quattro giornate gloriose della resistenza napoletana, il movimento di liberazione si sviluppò al massimo nell’Italia centro-settentrionale con i vari CLN e il CLNAI che ne era a capo con funzioni direttive e di coordinamento. Con l’accordo di dicembre del ‘44 gli alleati riconobbero il movimento partigiano e lo trasformarono in una vera e propria forza militare, il Corpo dei volontari della Libertà, con a capo il generale Cadorna e i vicecomandanti Longo comunista e Parri azionista.
In questa situazione i tedeschi inasprirono la rappresaglia, la vendetta, i crimini, con azioni efferate: bastino per tutte le Fosse Ardeatine e la strage di Marzabotto. Nonostante gli alleati avessero la chiara intenzione di limitare il contributo del movimento partigiano, popolare e democratico, solo al conseguimento della vittoria sui tedeschi, l’iniziativa della Resistenza reagì ad ogni forma di compromesso ed ebbe la forza di garantire una svolta irreversibile tra l’Italia prefascista e l’Italia contemporanea.
Come concorda gran parte della storiografia nella “primavera dei partigiani” le forze popolari hanno messo nel paese quelle radici profonde che erano mancate all’esperienza del Risorgimento e la lotta antifascista ha assunto quel significato di riappropriazione dal basso della nazione e della patria che era venuta meno nel corso dell’esperienza storica dell’Ottocento.
Il giorno conclusivo della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo ha dunque un valore assoluto che trascende il tempo, i governi, le posizioni di quelli che ancora oggi lo considerano, in pubblico o in privato, un evento divisivo.
Divisivo tra chi? Tra coloro che ancora non hanno fatto i conti col fascismo e quelli che hanno piena coscienza delle basi su cui è stata fondata e si fonda a tutt’oggi l’Italia repubblicana? Bisogna finalmente pretendere che le ombre siano dissipate, che i fantasmi di un passato tenebroso siano dispersi per sempre.
Ci possono e ci devono essere chiavi di lettura molteplici della Storia, purché non si trucchino i fatti!
Per ripetere una frase di Gesù Cristo: solo la verità rende liberi.
La pietà per i morti, anche per quelli che “morirono dalla parte sbagliata” non conosce confini, ma il giudizio storico non può non essere un giudizio di valore.
Se rimanessimo nell’ottica neo-hegeliana di stampo crociano, ovvero che il giudizio storico è di natura teoretica non pratica, allora dovremmo affermare che esso non assolve e non condanna, dunque giustifica. In tale ottica di perfetta identità tra reale e razionale dovremmo giustificare tutti i misfatti della Storia, dalla Crociate ai lager, alle dittature, ai genocidi… Lo stesso Benedetto Croce fu poi costretto ad assumersi la responsabilità del giudizio sul fascismo che per lungo tempo aveva “giustificato” come passaggio da sopportare in vista della rinascita di uno stato liberale forte.
Mai come oggi è tempo di prendere posizioni nette rispettando la lezione dei fatti. Le nuove generazioni hanno bisogno di chiarezza nella difesa delle nostre radici perché specialmente ai giovani spetta il compito di rinnovare e difendere libertà, giustizia e pace sociale in una fase storica in cui si accentuano i conflitti e si annunciano mostruosi scontri epocali.
(Immagine: Milano, tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 1945, fonte il Manifesto)