Parecchio tempo fa Paolo Murialdi ha scritto un bel libro per l’editore Laterza che si intitolava: “Come si legge un giornale”, in cui oltre a fornire una dettagliata spiegazione di cosa sia un quotidiano dalla prima all’ultima pagina, egli indicava pure una serie di regole da seguire per una corretta e ragionevole lettura di esso. Lo scopo era quello di diffondere la lettura del quotidiano nelle scuole sulla scia e in continuità con l’impegno di altri intellettuali orientati in tal senso. Per tutti Roberto Berardi, (“Insegnare a leggere il giornale” nel volume Didattica della Storia, Giappichelli, Torino) il quale riconosceva nel giornale un potente strumento di conoscenze dell’oggi, ma anche un documento insostituibile per lo storico di domani che in esso cercherà le testimonianze dei fatti e dei costumi che si appresta a ricostruire. I testi di cui sopra sono comparsi negli anni ’70 del secolo scorso, eppure mantengono una significativa attualità specie se si tiene conto della crisi dei giornali in carta stampata e della proliferazione di giornali online non sempre di buona qualità. Quelli che si appassionano alla lettura in genere sono spinti dalla curiosità, dalla coscienza critica, dal bisogno di confrontare opinioni, commenti, chiavi di lettura, posizioni ideali, filosofie di pensiero. Un giornale si legge e si consuma in un giorno, in poche ore. Può essere questo un argomento per convincere le persone a distogliere un po' lo sguardo dal cellulare? A quanto risulta dalle statistiche i lettori di giornali diminuiscono e molte edicole chiudono anche nei luoghi storici delle grandi città dove si era abituati a comprarli e, nel passato, a leggere titoloni in bella vista sulle loro pareti esterne. Se si passa dai giornali ai libri sicuramente il discorso è più complesso. C’è chi fin da giovane ha capito che la lettura, nelle sue varie forme, oltre che un impegno è un piacere, un divertimento, un’avventura. Sei tu che scegli, non c’è qualcuno sopra di te che ti assegna un compito. In libreria, tra le varie sezioni, ti muovi come fossi in viaggio: devi prendere una direzione, qualche volta guidato dall’umore del momento, più spesso da una serie di esperienze, di stati d’animo, di bisogni, comunque e sempre dalla curiosità. Ma chi può leggere e che cosa? A mio avviso tutti possono leggere di tutto, tranne le idiozie. Nella prefazione ad un testo di Kant, l’autore si chiedeva: "può leggere Kant chi è ancora inesperto di problemi di filosofia? Crediamo di sì. Può smettere di leggere Kant chi è ormai molto esperto di filosofia? Crediamo di no”. Già Schopenhauer diceva che la lettura di Kant è come l’operazione della cataratta: dà la vista a chi non ci vede. D’altra parte, questa convinzione suffragata da così illustri pareri è avvalorata anche dal fatto che non c’è lettura più ardua di quella dei libri sacri e non per questo ogni volta che una persona apre la Bibbia deve avere accanto a sé un maestro che ne fa una dotta esegesi. Certo, ben venga l’esegesi, ma è anche avvincente misurarsi col testo, ricavarne suggestioni, provare a intenderne il contenuto senza mediazione. Non nego, con questo, la difficoltà oggettiva di districarsi, oggi, in una produzione vastissima dove spesso nei vari generi predomina la moda, il conformismo, la falsa novità, la babele delle lingue. Non sempre è chiaro il rapporto funzione-produzione-circolazione perciò bisogna mantenersi vigili, non seguire l’onda, quell’effetto alone che di solito nasconde la fregatura. Molti titoli mi hanno disturbata, incuriosita o intrigata negli ultimi anni specialmente nella saggistica e nella letteratura. Di tutti vorrei raccontare una briciola, ovvero l’impatto che ebbe e continua ad avere su di me un piccolo grande libro di Gustavo Zagrebelsky, noto professore di diritto costituzionale e presidente della Corte Costituzionale nel 2004. Si tratta di: Il “Crucifige!” e la democrazia, Einaudi Contemporanea. Il contenuto è di una attualità sconcertante, direi che esso è frutto di una visione profetica della società in cui adesso viviamo. Attraverso l’analisi del processo a Gesù, l’autore esemplifica le varie, possibili forme della democrazia. È affascinante la descrizione di quel mondo in cui si muoveva Gesù Cristo, quel mondo dove i poteri erano chiari e gli strumenti dell’affermazione erano deboli. Il Sinedrio e Caifa sono espressioni di una democrazia “dogmatica” tutta risolta nella legge, nell’inoppugnabilità dei principi che vengono opportunisticamente riproposti come litanie: “Il dogmatico può accettare la democrazia solo se e fino a quando serve come forza, una forza indirizzata ad imporre la verità. Lo scettico a sua volta poiché non crede in nulla, può tanto accettarla che ripudiarla”. Pilato è il campione della “democrazia scettica”; a lui che, come narra Matteo, si rimette alla folla per la scelta tra Gesù e Barabba, importa solo il potere, il suo e quello di Roma. “Blandire la folla, allora, può essere in certe circostanze, non un cedimento ma un accorgimento prudente di quanti hanno a cuore prima di tutto la salvezza del governo…La vicenda di Gesù dimostra come possa esserci un’alleanza, apparentemente impossibile tra l’assolutismo del dogma e il nichilismo della scepsi, e come questa alleanza possa assumere esteriormente un aspetto democratico”. C’è dunque la folla, il popolo che urla “crucifige”: è la massa manovrata, è la parte per il tutto; essa ha un valore rappresentativo. L’autore si riferisce senza mezzi termini a ciò che avviene anche oggi (mentre scrivo queste modeste riflessioni), in modi solo apparentemente diversi, quando si ricorre alla piazza, quando si fanno i sondaggi come campioni rappresentativi, quando la parte sta per il tutto. Dalla democrazia dogmatica, alla democrazia scettica, alla democrazia dispotica (la chiamano adesso democratura): quante parvenze di democrazia! Oggi è possibile una democrazia critica? Qui è la pars construens di questo lessico civile, il luogo in cui l’autore analizza la possibilità di una democrazia in cui il popolo non diviene dispotico, non ha poteri illimitati, non è divinizzato, ma riesce a vivere nel rispetto delle singole individualità, nella “reciproca mitezza”. Un libro così me lo porterei sulla famosa isola deserta e anche lassù…davanti agli occhi di Dio. Perché spesso mi chiedo come fossi bambina: ma lassù si potrà leggere? Tutti quelli che amo li rivedrò secondo la fede e secondo la kantiana ragionevole speranza, ma i libri? Se non li avessi…me ne morrei di nostalgia!
(In foto la biblioteca privata del professor Richard Macksey, Baltimora, fonte New York Times)