Sommario: 1. Riaprire Basaglia come strumento di conflitto – 2. Ciò che resta nascosto dalla monumentalizzazione – 3. Deistituzionalizzare la salute mentale – 4. Aspetti in un certo senso contrastanti – 5. Indicazioni conclusive.
1. Riaprire Basaglia come strumento di conflitto
«Ma, al momento attuale, siamo sicuri di poter incominciare a dedicarci alla «malattia»? Ciò che - nella nostra istituzione psichiatrica - è rimasto, dopo la serie di riduzioni successive che ha liberato il malato mentale dalle incrostazioni istituzionali e scientifiche di cui era coperto, è da ritenersi la «malattia»? O il peso dei ricoverati che - non avendo all’esterno una soluzione sociale - siamo costretti a continuare a gestire, ci impedisce ancora di essere ciò che vogliamo, obbligandoci a creare una nuova istituzione per poter sopravvivere? Questo è il segno della nostra impotenza, o dell’impossibilità di agire all’interno del sistema?»
Questa domanda proviene da “Il problema della gestione”, testo di Franco Basaglia che si trova tra le appendici del libro “L’Istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, uscito per la prima volta nel 1968[1]. Il brano testimonia delle riflessioni che si svolgono nel momento in cui l’equipe goriziana ha portato alle estreme conseguenze il lento processo di messa in questione delle rigide pratiche custodialistiche che vigevano nell’ospedale psichiatrico tradizionale[2] e si interroga su quello che avverte come un necessario passo avanti, costituito dall'apertura di traiettorie esistenziali fuori di esso, dalla possibilità, cioè, che il lavoro riabilitativo possa continuare a realizzarsi come vettore di modificazione della realtà esterna da cui la necessità del manicomio è prodotta, decostruendone praticamente le ingiunzioni e i mandati (“violentando” la società, dirà Franco Basaglia altrove[3]). All’interno dell’ospedale psichiatrico - che ormai è stato ampiamente “rimodernato” secondo i principi tolleranti della comunità terapeutica - si svolge una situazione in cui il paradigma dell’internamento non è stato ancora disinnescato ma all’interno dell’istituzione totale si sono messi a nudo i processi di spoliazione della soggettività e di copertura dell’esclusione sociale che la psichiatria del tempo pretendeva di coprire con l'artefatta neutralità della sua disciplina; in altri termini, «l'istituzione è contemporaneamente negata e gestita, la malattia è contemporaneamente messa tra parentesi e curata, l'atto terapeutico viene contemporaneamente rifiutato e agito». Ma, occupando tale posizione contraddittoria, si corre il rischio che le ideologie intervengano a coprire un vuoto caratterizzato da ansia e bisogno di elaborazione: «le contraddizioni rese esplicite da un’azione di rovesciamento istituzionale possono essere ricoperte sotto un’ideologia tecnico scientifica che le giustifichi (un’azalea che copra il puzzo di cadaveri)» scrivono infatti Franco Basaglia e Franca Ongaro nel testo che introduce “Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerato e Gianni Berengo Gardin",[4] citando un verso di Bertold Brecht.
Questa posizione di interstizialità nello spazio disagevole che si apre tra contraddizioni incomponibili, questa capacità di stare tra irriducibili polarità, viene individuata da Paolo Peloso in uno scritto di qualche anno fa come l’azione fondamentale di ogni «psichiatria che non voglia essere pietrificata e pietrificante»[5]. Estendendo i confini di questo posizionamento al di fuori del contesto specifico a cui si riferisce - l’ospedale psichiatrico di Gorizia nel 1968 - l’autore intende evidenziare un elemento qualificante della teoria e della prassi Basagliana, di cui è utile fare tesoro in ogni condizione storica. Tale caratteristica si potrebbe riassumere in questo modo: la capacità di cogliere in ogni situazione la parzialità di una soluzione organizzativa determinata, considerando l’aspetto relativo di ogni posizionamento tattico e strategico, l'attenzione a non essenzializzare le formulazioni momentaneamente utili in ogni passaggio storico e politico. Adottando tali precauzioni diventa possibile cogliere la dimensione processuale e conflittuale del reale, nella cognizione della impenetrabile opacità della dimensione soggettiva, mai totalmente oggettivabile in nessun sistema diagnostico o organizzativo, anche il più ammodernato e tollerante; questo contemporaneamente alla consapevolezza dell'irriducibilità delle questioni esistenziali, relazionali, sociali a qualsiasi modello di incontro clinico. Su un piano più generale la posizione Basagliana si potrebbe caratterizzare come consapevolezza dell'irriducibilità della dimensione politica ad alcuna posizione identitaria: in quanto sempre aperta alle smentite della prassi, a sua volta sempre caratterizzata dal confronto con l'imponderabile - se vuole essere liberatoria - e con la possibilità dell’incidente.
In occasione del centenario della nascita di Franco Basaglia è utile riaprire l’interrogazione sulla vicenda del movimento anti-istituzionale italiano, indagandone esiti, limiti ed eredità. Questo consente di esercitare un recupero della figura di Franco Basaglia che non sia una mera celebrazione ma che ne renda le pratiche e le riflessioni strumenti di azione nel presente. Si tratta quindi di capire quanti, dei sopra citati elementi qualificanti della prassi e della teoria Basagliana, sono vivi e operanti nella situazione attuale e quanti invece sono finiti inabissati man mano che il significante “Basaglia” diveniva un vuoto e formale riferimento utile alla legittimazione di strutture di potere, al nascondimento di lacune e carenze - strutturali e di pensiero - oppure funzionava come mero richiamo consolatorio, nell’assenza di possibilità di agire concretamente sulla storia presente.
Partiamo dal riprendere gli elementi potenzialmente conflittuali che in una gestione amministrativa della 180 non si sarebbero risolti. In primo luogo la consapevolezza che il modello di gestione dei sistemi assistenziali determina la condizione problematica a propria immagine: «in epoche successive la malattia e i suoi sintomi sono sempre stati influenzati e condizionati dai nuovi orientamenti terapeutici […], noi produciamo una sintomatologia - il modo di esprimersi della malattia - a seconda del modo col quale pensiamo di gestirla, perché la malattia si costruisce e si esprime sempre a immagine delle misure che si adottano per affrontarla»[6]. Tale consapevolezza, qui espressa in termini che non si riferiscono affatto allo specifico manicomiale ma pretendono di generalizzarsi ad ogni modello di gestione, dovrebbe - se vogliamo oggi Basagliare - divenire strumento di interrogazione sui sistemi attuali con cui, nei servizi e fuori di essi, affrontiamo l’incontro con l'alterità e la sofferenza, la questione della cura, le problematiche delle relazioni e le dinamiche gestionali ad esse connesse.
2. Ciò che resta nascosto dalla monumentalizzazione
Come ha spiegato Pierangelo Di Vittorio[7], la monumentalizzazione della figura di Basaglia ne rende unidimensionale la vicenda, risolve la sua prestazione dentro una concezione lineare della storia secondo cui, in un passato mitico, esprimendo una illuminata posizione unitaria - rappresentata da un eroe singolare (maschio, bianco, borghese, peraltro) - si é portata a compimento una domanda implicita nella sensibilità comune, dietro la spinta incoercibile del progresso[8]. Tale personalità eroica, necessariamente rappresentata senza limiti o contraddizioni, avrebbe in questa visione indicato precisi modelli di gestione e confitto nella struttura formale delle norme giuridiche gli insuperabili principi da cui essi discendono. Questa posizione produce inevitabilmente due insiemi di conseguenze, a loro volta polarizzati: da una parte la sua azione, di questo Basaglia monumentalizzato, non può che risultare incompiuta, dall’altra le sue proposte non possono che risultare superate. Guardiamo al primo punto, spesso criticamente citato da Angelo Fioritti[9]: se si prende il portato di Basaglia come una modellizzazione di come dovrebbero essere organizzati i servizi di salute mentale per erogare buone prestazioni di riabilitazione ma anche su come dovrebbe essere la società per permettere la cura delle malattie mentali, inevitabilmente il senso di incompiutezza non può che essere la posizione conseguente; tali letture, bloccando in una definizione reificata la descrizione di strutture e articolazioni, oscurano la questione centrale del metodo e dell’elaborazione basagliana: la continua ricerca scientifica, la verifica popolare e la capacità di azione soggettiva, legata ai processi conflittuali in atto. Riducendo specifiche articolazioni storiche a modelli se ne minimizza il peso. Il secondo punto, che potremmo definire dell'inattualità, permette di ricordare che la tensione tra utopia e realtà si nutre proprio attraverso questo movimento del pensiero. La capacità autocritica che ne consegue permette anche di notare come alcuni concetti qui centrali (“salute mentale” o “riforme”, per esempio) abbiano subito degli slittamenti semantici che proprio su questa tensione, necessariamente irrisolta, trovano il loro terreno di esistenza, non sempre in un verso compatibile con le pratiche anti-istituzionali.
Per quanto necessarie in certi momenti storicamente determinati, queste interpretazioni di Basaglia costituiscono una riduzione rispetto a una possibile lettura che, oltre a restituirne l’eponimo a una più ampia dimensione storica, collettiva, frammentaria, anche conflittuale tra diverse posizioni, elaborazioni e strategie (prima di tutto riconoscendo che Basaglia è anche Franca Ongaro Basaglia, sua moglie, fulcro teorico dell'elaborazione e protagonista attiva di questa storia fino al 2007) permetta di attualizzarne le riflessioni e le pratiche. Ciò che è in gioco è la possibilità di aprire un campo di contraddizioni attuali, situato nelle condizioni del presente e legato alla capacità di agire in esso. Per evidenziare due nodi particolarmente critici e attuali ci concentreremo qui su due possibili declinazioni della riflessione Basagliana che nella monumentalizzazione restano necessariamente oscurate: quello tra tecnica e politica e quello tra movimenti e istituzioni. Lungo la linea contorta di questi nodi - in una lettura monumentalizzata impossibili da dipanare - si sono giocate le polifonicità e i conflitti di un movimento immerso nei passaggi del proprio tempo: le lacerazioni della sinistra (nel 1978 il Partito Comunista Italiano appoggia sostanzialmente il teorema Calogero ai danni di un gruppo di intellettuali in vario modo legati alle organizzazioni extraparlamentari - si vedano su questo Xenia Chiaramonte e Dario Fiorentino[10] - difficile esagerare il significato di questo passaggio per le vicende del movimento basagliano negli anni ‘80) e le limitate elaborazioni sul rapporto tra le tecniche psicoterapeutiche e il servizio pubblico di salute mentale sono le questioni che maggiormente hanno inciso sulla storia di questo movimento.
La contraddizione, oggi ancora aperta, tra tecnica e politica è stata nuovamente illuminata dalle odierne riflessioni sul problema della trasmissibilità delle elaborazioni relative alla cura o sul rischio di una loro irrecuperabile assenza (si vedano a questo proposito Negrogno e Saraceno)[11]. Con Saraceno abbiamo provato a dare voce a questa crisi della psichiatria anti-istituzionale, che oggi prende forma attraverso due possibilità: la prima è che una clinica tradizionale (con contenuti di controllo, di oggettivazione, di neutralizzazione artefattamente oggettivistica di contraddizioni politiche e sociali) si eserciti in servizi che però nel frattempo si rappresentano come innovativi, avendo interiorizzato alcune linee guida dell’approccio Basagliano - per lo meno nella sua riduzione monumentalizzante a indicazione su come dovrebbero essere organizzati i servizi per erogare buone prestazioni riabilitative; oppure che la clinica anti-istituzionale esista, si svolga in un afflato difficilmente oggettivabile nei sistemi categoriali e nosografici che oggi egemonizzano la formazione di operatori e operatrici, la pratica e l’organizzazione dei servizi; che di conseguenza in qualche modo essa esista silenziosamente principalmente perché non sappia come definirsi. Questa seconda possibile interpretazione assume particolare forza quando vediamo i contenuti basagliani funzionare fuori dai contesti specifici della psichiatria o per esempio in Brasile come strumenti delle lotte e delle elaborazioni locali: lì risultano fungere da dispositivi in grado di autolimitare la loro invadenza coloniale e aprire a riflessioni impreviste che contribuiscono ad attivare il protagonismo di popolazioni razializzate, sex workers, psicanalistə lacanianə atipichə, variamente congiunte in peculiari fenomeni di lotta politica in cui è chiaro che riflettendo di riabilitazione ne va di diritti civili e, soprattutto, sociali (si veda Stella Goulart[12]).
Con Benedetto Saraceno abbiamo notato, in linea con il movimento delle persone che nel nord globale hanno avuto a che fare con la psichiatria e che variamente in ambito anglosassone si definiscono come users, survivors o refusers, l'aumento dei trattamenti sanitari obbligatori e della reclusione in strutture residenziali senza il consenso delle persone interessate, nonostante l'enfasi sui servizi territoriali/comunitari e sulle politiche di inclusione, anche quando queste contrapposte tendenze insistono nei medesimi territori. Tra gli altri aspetti critici - di cui ci sembra che la prassi che si richiama agli epigoni della lotta anti-istituzionale non abbia mantenuto sufficiente contezza - abbiamo notato la richiesta di risposte psicofarmacologiche poco messa in questione, la acritica accettazione di concetti come “recovery” e “partecipazione”, pur quando questi sono declinati come sinonimi della mera esortazione individualistica alla produttività, la natura ecumenica e superficiale della concezione "bio-psico-sociale", che non discute adeguatamente i propri limiti epistemici e le proprie articolazioni interne.
3. Deistituzionalizzare la salute mentale
Mario Colucci[13] ha provato a ricostruire una figura storica utile a questo recupero demonumentalizzante insistendo sul superamento del modello medico, ponendo cioè al centro della riflessione una questione che, ben lungi dall’esaurirsi nella critica al dispositivo manicomiale e alle sue successive articolazioni “diffuse”, incontra una critica epistemologica oggi espressa con forza dai movimenti delle persone disabili\disabilitate\con disabilità (a seconda di come preferiscano definirsi): «Basaglia, e successivamente Foucault, comprendono che bisogna provare a emancipare l’esperienza della follia dalla sola spiegazione di ordine medico che viene attribuita ai comportamenti, alle sofferenze, ma anche ai sentimenti e ai pensieri delle persone che la attraversano. In altri termini, bisogna affrancarsi dal sapere tradizionale della psichiatria, bisogna smontare i suoi metodi di produzione di una verità scientifica positiva.»
Riccardo Ierna, approfondendo la denuncia delle condizioni attuali, che nulla hanno a che vedere con il prendere sul serio l’eredità basagliana, getta luce sulla questione strutturale dei servizi. «Dai dati raccolti nell’annuario statistico del servizio sanitario nazionale relativo al 2020, emerge infatti che il 48,8% delle strutture ospedaliere del nostro paese sono gestite dalla sanità privata, così come il 60% dei servizi ambulatoriali, il 78% dei servizi riabilitativi e addirittura l’82% delle strutture residenziali, dando l’idea del peso che la sanità privata accreditata esercita oggi sul nostro sistema sanitario nazionale. Da questi numeri appare evidente che a farne le spese sono state soprattutto la qualità e l’efficacia del servizio pubblico, ulteriormente gravato dai tagli di spesa e dalla carenza di personale e in particolare quello della salute mentale territoriale[14].»
Difficile, nella situazione che Ierna tratteggia, pensare ad un sistema di salute mentale in cui le funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione siano unitariamente trattate a livello territoriale attraverso pratiche di partecipazione - vale a dire di indirizzo, monitoraggio e riappropriazione popolare - e non invece compartimentate attraverso dinamiche che tornano ad annodare i vettori di tecnicismo, monetizzazione e prestazionismo sanitarizzante, in una dimensione di complessiva spoliticizzazione, anche della partecipazione (molto spesso evocata e rappresentata, piuttosto che agita). Effetto anch’esso nocivo della monumentalizzazione, si è venuto a creare un sentore diffuso secondo cui la salute mentale riguarda quelle articolazioni tendenzialmente residuali (integrazione sociosanitaria, partecipazione comunitaria, inclusione sociale) destinate a poco più che alla gestione povera della cronicità mentre il lemma “psichiatria” sta a sottolineare il core business della pratica tecnica che si occupa di gestione della pericolosità, controllo dei rischi sociali, amministrazione della devianza - sulla base di una stringente egemonia del sapere medico. Anche appoggiandoci a tali considerazioni, nel numero 398 della rivista Aut Aut dal titolo “La psichiatria e il futuro della salute mentale”[15] abbiamo provato a spiegare che
«al di là delle risorse, a mancare è anche la qualità del dibattito culturale pubblico. Psichiatria e salute mentale vengono fatte cozzare l’una contro l’altra come avversarie irriducibili. Viene descritto un contrasto artificioso tra le due, come se si trattasse di uno scontro tra modernità e arretratezza, quasi che la prima sia all’insegna dell’innovazione e dell’affidabilità perché centrata su un insegnamento universitario di impostazione biomedica e su un solido impianto scientifico basato sull’evidenza e sulla ricerca; e la seconda, invece, pur di gran lunga prevalente per numero di servizi e di utenti in trattamento, porti avanti soltanto un lavoro routinario di assistenza territoriale di scarsa qualità scientifica e disattento agli aspetti di rivoluzione tecnologica.
(...)
Si può onestamente dire che questo discorso imperante sia sulla stessa linea dell’originaria vocazione della salute mentale italiana immaginata da Basaglia? Nonostante la celebrazione dell’epopea trionfante della lotta al manicomio, ben poco è rimasto di quella tensione etico-politica. Siamo nell’epoca dei manager della salute mentale, che si qualificano come specialisti delle buone pratiche in funzione di un efficiente governo clinico della sofferenza, ma spesso nascondono le concessioni più inaccettabili accordate alle esigenze di controllo sociale e di sicurezza urbana. Il processo di deistituzionalizzazione era tutt’altra cosa.»
In altri termini, la riduzione del pensiero e della prassi basagliana ad una riflessione sulla struttura organizzativa dei servizi in vista dell'erogazione di prestazioni tecnico riabilitative rappresenta oggi una delle forme assunte dalla monumentalizzazione della figura di Basaglia; all’ombra di questo forzoso riduzionismo si è generata una polarità artefatta tra un cuore tecnico della disciplina psichiatrica e una serie di addentellati sociopolitici relativi alle formule organizzative del rapporto tra servizi e territorio, incapaci però di tematizzare la natura stessa di questo territorio al di fuori dalla sua dimensione amministrativa e oggettivistica (sul tema del territorio e delle sue diverse formulazioni si vedano i lavori di Massimiliano Minelli[16]). Se, in una prima fase immediatamente successiva alla promulgazione della legge 180, la presenza di una varietà di proposte alternative nel contesto nazionale aveva permesso un processo di embrionale produzione di nuovi saperi - il quale, seppur in misura limitata era riuscito a stimolare nuove articolazioni del rapporto tra tecnica e politica, anche inducendo i saperi psy a confrontarsi sul terreno di un’epistemologia pubblica di salute mentale - gli anni successivi hanno segnato il richiudersi di questo dibattito.
4. Aspetti in un certo senso contrastanti
All’interno della riflessione politica più generale, la vicenda di Franco Basaglia e delle vicissitudini dei suoi epigoni permette di mettere in evidenza in modo esemplare la parabola del riformismo in Italia. Avviatosi sulla spinta dei governi di centro sinistra degli anni '60, profondamente rinnovato dell’incontro con la contestazione antiautoritaria, con la crescita di coscienza della classe operaia, con le nuove istanze poste dal femminismo e dal proletariato giovanile, il percorso paradossale del riformismo italiano attraversa passaggi di importante formalizzazione mentre iniziano a farsi strada le tendenze reazionarie del neoliberismo e del restringimento della funzione redistributiva dello Stato[17]. Franco Basaglia ha subito viva consapevolezza della fragilità di tali conquiste giuridiche come anche della loro natura intimamente ambivalente.
«Man mano che i margini di lotta si chiudono ed il paese va strutturandosi con fatiche enormi, in una logica di paese industrializzato (...), si rende necessario programmare anche un nuovo tipo di assistenza. (...) È stato portato avanti un discorso di riforma sanitaria che colloca la psichiatria all'interno della sanità ed esce una legge, estrapolata dalle forze unitarie, che è indubbiamente molto interessante anche se presenta aspetti in un certo senso contrastanti. Da una parte, infatti, c'è il rischio che essa riproponga quella che è la mistificazione della psichiatria, dall'altra può essere considerata rilevante risultato delle lotte condotte in questi anni. (...) La nuova legge sull'assistenza psichiatrica e la nuova legge sulla regolamentazione dell'aborto (...) sono il risultato di un compromesso politico (...). Il cammino di queste leggi (...) sarà indicativo del destino stesso della riforma sanitaria nel nostro paese. Dal momento infatti che ambedue queste leggi inseriscono il sociale nell'ambito della medicina, che è quello di vecchio stampo (...), è sempre presente il pericolo che esse favoriscano ancora una volta una specie di mistificazione della realtà, medicalizzando i problemi ed ostacolando la presa di coscienza della dimensione sociale dei medesimi. Prevenzione è innanzitutto presa di coscienza. Il problema è che la gente capisca i propri bisogni e comprenda l'alienazione in cui vive[18].»
Se da una parte è stato possibile vedere nella l.180 la realizzazione delle proposte del movimento, con la sua promulgazione si è aperto un campo molto problematico di elaborazione le cui alterne vicende sono state pesantemente influenzate, a partire dagli anni ‘90, dai profondi slittamenti semantici che hanno attraversato lo stesso concetto di riformismo: la fase creativa apertasi tra gli anni ‘80 e ‘90 in modalità peculiari in ciascuno dei territori attivi nella sperimentazione e in assenza di un piano nazionale di governo dei servizi (si veda su questo l’impegno parlamentare di Franca Ongaro Basaglia negli anni ‘80, recentemente documentato da Anna Carla Valeriano[19]), attraverso grandi cesure legislative, politiche e istituzionali, ha visto progressivamente scollarsi l’elaborazione teorica dalla pratica dei servizi ed emergere in ruoli di sempre maggiore protagonismo il volontariato, l’associazionismo e il terzo settore. Nonostante i tentativi di elaborazione progressista delle possibili forme di riarticolazione istituzionale di questi concatenamenti[20], i modelli organizzativi che in essi hanno affondato le loro radici si sono affermati mentre si dispiegavano le forze dell’aziendalizzazione, le tendenze alla professionalizzazione del sociale e il richiudersi corporativo dei corpi professionali e disciplinari.
Mentre il concetto di riformismo veniva riarticolandosi come mera acquiescenza ai programmi di aggiustamento strutturale in senso neoliberale, la perdita di contatto con le elaborazioni dei saperi psi - nell’ambito della formazione universitaria e delle organizzazioni professionali - ha aperto all’invasione del campo della salute mentale da parte delle formulazioni tecniche più consone al progetto moderno di gestione medica delle popolazioni, riduzione della prevenzione a prestazionismo predittivo, rifunzionalizzazione in senso governamentale dei concetti potenzialmente emancipatori elaborati dai movimenti di utenti.
5. Indicazioni conclusive
Riccardo Ierna[21] ha descritto come praticamente questo processo si realizza nei servizi mettedone in luce la spoliticizzazione e il neutralismo. Per quanto astrattamente ricondotta a un quadro di diritti e libertà civili, la salute mentale che emerge dalle pratiche - più che apparire l’esito di un rivolgimento in termini anti-istituzionali della vecchia psichiatria - risulta essere una modalità del suo innervamento sociale che opacizza le questioni reali sovrapponendovi risposte artificiali, la cui declinazione pratica risulta però molto lontana dalle dichiarazioni cui allude. Si potrebbe parlare a tal proposito di una nuova “ideologia di ricambio” (concetto formulato da Franco Basaglia e Franca Ongaro Baasglia, per utilizzazioni recenti di questo concetto si veda Emma Catherine Ghainsfort[22]) con cui si è ripreso un secolare percorso di innovazione della disciplina psichiatrica oltre e contro il momento di sospensione basagliana. Simili constatazioni portano Pietro Barbetta a dire, commentando il concetto di salute mentale, che si tratta di «un sistema di significati controverso; contiene la buona intenzione di teorizzare il benessere, ma la smentisce. Subito arriva l’elenco dei disturbi: ansia, depressione, stress, insonnia, ecc. Per dare una definizione di “salute mentale” bisogna evocare i nomi del disagio. Questo il paradosso del campo semantico “salute mentale”[23].»
Agostino Pirella, di cui Marica Setaro ha messo in luce il costante impegno per l’elaborazione un paradigma complesso capace di fronteggiare le sfide della deistituzionalizzazione negli anni ‘80 e ‘90[24], descriveva l’andamento di un processo politico in cui il movimento, superata la sintesi manicomiale, doveva predisporsi a nuove alleanze e alla costruzione di nuovi strumenti concettuali. In un momento in cui l’egemonia culturale e politica reazionaria tende a ravvivare le tendenze di controllo sociale intrinsecamente legate alla psichiatria, Pirella raccoglie la sfida di elaborare strumenti concettuali compatibili con la “crisi della ragione”[25]. Similmente oggi riemerge la necessità di costruire un nuovo dialogo tra tecniche e politiche, rinnovando l’attenzione epistemologica, antropologica e sociologica a quello che succede dentro e fuori dai servizi, nelle pratiche dell'incontro con l’alterità e nelle forme della sua oggettivazione e negli spazi della sua soggettività. Allo stesso modo si fa urgente riaprire l’interrogazione sul rapporto tra movimenti e istituzioni, anche sulla base di una più profonda lettura dei nostri archivi.
[1] Franco Basaglia, “L’Istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, Einaudi, 1968, ora Baldini + Castoldi.
[2] La descrizione pratica di questo processo si snoda lungo i vari capitoli del libro “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”. Oltre a quelle di Franco Basaglia, nel libro sono raccolte le riflessioni di Lucio Schittar, Antonio Slavich, Agostino Pirella, Letizia Jervis Comba, Domenico Casagrande, Giovanni Jervis, Franca Basaglia Ongaro e Gian Antonio Gilli, più l’importante documento iniziale curato da Nino Vascon sulle riunioni di equipe, lo svolgimento delle assemblee interne, i racconti e i punti di vista dei/delle infermieri/e e dei/delle pazienti internati/e, le esperienze delle altre figure coinvolte nel processo di trasformazione (suore, volontari, assistenti sociali); sono inoltre raccolte le narrazioni e le riflessioni relative alla progressiva trasformazione dei singoli reparti e le elaborazioni derivanti dal confronto tra il processo in corso a Gorizia e ciò che accade nel modello inglese di Comunità Terapeutica.
[3] Franco Basaglia, “Conferenze Brasiliane”, Cortina, 2018.
[4] A cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro nel testo che introduce “Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerato e Gianni Berengo Gardin", Einaudi, 1969, ora Il Saggiatore.
[5] Paolo Peloso, “Ancora su L'Istituzione negata…perché 50 anni dopo è proprio da lì che dobbiamo ripartire” disponibile su http://www.psychiatryonline.it/node/7445.
[6] Basaglia, Franco; “Ideologia e pratica in tema di salute mentale”,(1975) in “Scritti”, 2, Einaudi, 1981, ora Il Saggiatore.
[7] “Costellazioni. Tra presente e passato: la salute mentale e le sfide della trasmissione” di Pierangelo Di Vittorio, in Di VIttorio, P. Cavagnero, B. (a cura di) Dopo la legge 180. Testimoni ed esperienze della salute mentale in Italia, Franco Angeli, 2019.
[8] “La “Repubblica dei matti” di John Foot ha avuto negli anni recenti il merito di problematizzare questa visione; “soltanto col senno di poi riusciamo a rimestare tra quelle braci accese, tentando di fare un po’ d’ordine» scrive l’autore nelle conclusioni, rispondendo al bisogno di ricostruire la visione complessa di una storia fatta di conflitti e sviluppi dialettici aperti. John Foot, “La «Repubblica dei matti». Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978”, Feltrinelli, 2017.
[9] Angelo Fioritti: “Chi non innova perde il proprio passato”, disponibile su Quotidiano Sanità, https://www.quotidianosanita.it/m/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=107853.
[10] Xenia Chiaramonte e Dario Fiorentino, “Il caso 7 aprile. Il processo politico dall'Autonomia Operaia ai No Tav”, Mimesis, 2019.
[11] Luca Negrogno e Benedetto Saraceno, “Ma come si curano le malattie mentali?”, disponibile su https://www.machina-deriveapprodi.com/blog/categories/freccia-tenda-cammello.
[12] Stella Goulart, “Reabilitar: uma perspectiva basagliana”. Porto Alegre: Rede Unida (in via di pubblicazione).
[13] Mario Colucci, “Effetto ‘61”, disponibile su https://www.news-forumsalutementale.it/conoscere-e-sperimentare-per-evolvere/.
[14] Riccardo Ierna, “Attualità e contraddizioni della via italiana al dopo riforma”, Aut Aut, Vol. 398: “La psichiatria e il futuro della salute mentale”, Il Saggiatore, 2023.
[15] A cura di Mauro Bertani, Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio, Aut Aut, Vol. 398: “La psichiatria e il futuro della salute mentale”, Il Saggiatore, 2023.
[16] Massimiliano Minelli, “Salute mentale e territorio”, Rivista della Società italiana di antropologia medica/49, giugno 2022.
[17] Scrive a proposito Vanessa Roghi: «In Italia, per un incredibile scherzo della storia, il nuovo paradigma neoliberale inizia a diffondersi proprio mentre stanno prendendo corpo alcune delle più avanzate leggi dello Stato democratico come, per esempio, quella sulla chiusura dei manicomi, sull’aborto e, last but not least, quella che istituisce, con cinquant’anni di ritardo rispetto all’Inghilterra, il sistema sanitario nazionale» in “Eroina. Dieci storie di ieri e di oggi”, Mondadori, 2022. Come scrive Maria Grazia Giannichedda nell’introduzione all’edizione italiana delle Conferenze Brasiliane, nel 1979 «Basaglia parla da un passato presente nel quale i segni del cambiamento oggi compiuto erano già visibili, da una fase già "post-manicomiale" potremo dire, di cui Basaglia rintraccia le radici nei riformismi del secondo dopoguerra, guardando all'Europa e all'Italia ma anche agli Stati Uniti. Questo gli consente, per esempio, di evidenziare le due opposte anime politiche che anche in Italia vedremo all'opera nella chiusura dei grandi istituti pubblici di internamento: l'anima "reaganiana" dei tagli alla spesa pubblica e dell'abbandono dei malati, e quella dei diritti di cittadinanza e dell'"offerta di un'alternativa di cura", che qualifica la nuova legge italiana e che per Basaglia è la sola che potrebbe portare davvero "al superamento dei manicomi come distruzione dei meccanismi dell'istituzione”»; Maria Grazia Giannichedda, “Introduzione” in “Conferenze Brasiliane”.
[18] Intervista a Franco Basaglia a cura di Luigi Onnis e Giuditta Lo Russo, in “Dove va la psichiatria?” Feltrinelli, 1980.
[19] Anna Carla Valeriano, “Contro tutti i muri. La vita e il pensiero di Franca Ongaro Basaglia”, Donzelli, 2022.
[20] Il più significativo è senza dubbio in Ota De Leonardis, Diana Mauri e Franco Rotelli, “L'impresa sociale”, Anabasi, 1994.
[21] Riccardo Ierna, “Attualità e contraddizioni della via italiana al dopo riforma”, in Aut Aut, Vol 398: “La psichiatria e il futuro della salute mentale”, Il Saggiatore, 2023.
[22] Si veda Emma Catherine Gainsforth, “La razza, la classe e l’inclusione neoliberale”, 2023. Disponibile su: https://www.dinamopress.it/news/la-razza-la-classe-e-linclusione-neoliberale/.
[23] Pietro Barbetta, “Che cos’è la Salute Mentale” disponibile suhttps://www.doppiozero.com/che-cosa-e-la-salute-mentale.
[24] Marica Setaro, “Diario teorico di uno psichiatra. Un profilo di Agostino Pirella”, in Aut Aut, Vol 385: “Agostino Pirella. Il sapere di uno psichiatra”, a cura di Massimo Bucciantini e Mario Colucci, Il Saggiatore, 2020.
[25] Il riferimento è agli studi di Agostino Pirella ricostruiti da Marica Setaro.
La foto in copertina è di Archivio Basaglia.