I
“Perciò eleggiamo la Sicilia a nostra diletta fra le terre e la scegliemmo a residenza della nostra dimora, perché noi, cui irradia lo splendore del titolo di Cesare, non ci teniamo meno gloriosi di chiamarci uomo d’Apulia; e ci sentiamo, per dir così, pellegrini fuori della nostra casa, quando, chiamati ovunque nel mare tempestoso dell’Impero, veleggiamo lontano dalle corti e dai porti di Sicilia… Sempre trovammo unanimi i nostri coi vostri desideri, unanime sempre il vostro col nostro volere”.
Questo disse Federico II della Sicilia. La Sicilia era stata sempre la terra agognata dagli imperatori tedeschi, il paradiso sognato da tutti i Germani. Ciò che non era stato ottenuto con le guerre, un imperatore tedesco, Enrico VI, padre di Federico, lo aveva ottenuto con un matrimonio, quello con la normanna Costanza d’Altavilla. La terra che per Goethe era “la chiave di tutto” era, con le Puglie, la terra promessa di Federico II, che, quando ebbe visto la Sicilia di là dal mare disse, con la sua inclinazione al motto blasfemo, che Jehova certo non aveva conosciuto la Sicilia, la Puglia e la Terra Laboris, sennò non avrebbe avuto parole così alte di elogio per la terra promessa degli ebrei”.
Forse nessun siciliano amò la Sicilia come la amò il grande imperatore normanno-svevo. La Sicilia, che doveva intendersi per lui, politicamente, tutta l’Italia meridionale, comprese la Puglia, la Calabria e la Basilicata, era la terra promessa, i siciliani erano il suo popolo eletto, col quale si sentiva tutt’uno. Federico amava i siciliani come un padre ama i suoi figli, lo splendore della civiltà di Sicilia irradiava luce vivissima sul tempo e sulla storia. Come il Dio di Israele si era scelto un popolo nella moltitudine dei popoli così lui, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, il Re dei re, aveva scelto come suo popolo eletto il popolo di Sicilia. Come Napoleone diceva di avere solo un’amante, la Francia, come Hitler diceva che era sposato con la Germania, così Federico II diceva di avere solo una passione, quella che lui chiamava “la pupilla dei miei occhi”, la Sicilia, “la terra che supera ogni dolcezza terrena”, “porto nel mare tempestoso, giardino di delizie nella foresta selvaggia”, che egli cercava sempre “colmo di nostalgia”. La Sicilia. Un amore sconfinato. Soprattutto perché vi visse un’infanzia felice. Nonostante le lotte accanite fra i suoi reggenti, nonostante alcuni anni di stenti, egli visse un’infanzia meravigliosa in Sicilia. Lo nutrirono le famiglie palermitane, a turno, secondo le loro possibilità. La Sicilia lo amava. A nove anni vagava solitario per i vicoli del mercato e i giardini di Palermo, sotto il monte Pellegrino, fra genti e popoli di tutte le razze e religioni, fra califfi e sultani, fra imam mussulmani e preti cristiani, e maestri ebrei, fra moschee e sinagoghe e cattedrali normanne, tra mosaici d’oro bizantini e colonne greche, e il nome di Allah inciso in ogni angolo della capitale. Come poteva fare crociate contro l’Oriente? Fra parchi popolati di animali esotici e castelli normanni, all’ombra degli ulivi o rinfrescato da fontane zampillanti che incantavano i poeti arabi, nelle piazze e nei mercati affollati dalla più varia e bella umanità, in mezzo a una babele di lingue che imparai ben presto, visse un’infanzia meravigliosa e coltivò un sogno diverso da quello di tutti gli altri figli di re: il sogno dello Stato universale. Un’educazione di strada ma meravigliosa. Federico non fu educato da preti dotti o nel silenzio di un convento, ma dal popolo. Arabi furono i suoi primi precettori, araba fu la sua prima lingua che egli sentì e parlò arabe le prime favole che ascoltò, arabo il mondo fantastico in cui visse nella sua prima infanzia, fiabe in cui parlavano cose e animali. Per il resto, egli fu il prodotto non di un maestro o di una scuola, ma della vita che lo costrinse a vivere nella strada. Suoi maestri furono le vie, le piazze, i mercati, le chiese e le moschee di Palermo, la cultura e la conoscenza del mondo. Oh, i giardini palermitani! Che mondo fantastico, cosmopolita, eclettico, fascinoso! Nel quale incontrava intellettuali e medici arabi, filosofi, astronomi, astrologi, scienziati. Lo affascinava non la religione ma il pensiero dell’Islam. Nel suo vagabondare trovò il senso della vita. Nel suo vagabondare fortificò anche il suo corpo. Si esercitò in tutte le attività diventando esperto e abile nell’uso delle armi, nell’esercizio dell’arco e dell’equitazione, nella scherma, nel maneggio, nell’amore per i cavalli e nella passione per la caccia. Appena dodicenne, faceva tutto questo sotto la memoria della storia di Roma e col sogno di un mondo nuovo. Sì, il più grande dei siciliani, l’unico siciliano che ebbe un sogno voleva creare l’uomo nuovo, e la Sicilia era il luogo perfetto per questo progetto, luogo d’incontro di mille culture e di mille civiltà, di grandi popoli. La Sicilia era il luogo adatto per creare l’uomo nuovo. Che sogno! Un grande impero internazionale, una nuova società, l’uomo nuovo. La Sicilia perse la sua grande occasione: dopo di me, il vuoto. La Spagna, l’arretratezza, l’inquisizione. Da qui doveva partire la fondazione dell’uomo nuovo. L’uomo nuovo: prodotto di razze e di culture, altro che razzismo! Non c’è solo il razzismo, non c’è solo Hitler, tra i Tedeschi. In quel tempo, forse solo Dante comprese la sua grandezza. Tutta la Divina Commedia è percorsa dalla storia del grande imperatore normanno-svevo, Federico II, Pier della Vigna, Manfredi, Costanza d’Altavilla, la Divina Commedia è un’apoteosi della dinastia sveva. Dante mette Manfredi, il grande figlio naturale di Federico II, nel Purgatorio, dunque in grazia di Dio, è il re “biondo, bello e di gentile aspetto”. E sua madre Costanza è “la gran Costanza”, l’”imperadrice”, e suo padre Enrico VI è il “secondo vento di Soave”, e lui è “l’ultima possanza”.
Quest’è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento di Soave
generò ‘l terzo e l’ultima possanza.
Dante non poteva non mettere all’inferno lo Stupor Mundi, ma aveva esaltato il grande imperatore svevo anche nel Convivio e nel De vulgari eloquentia. Federico II è stato il più grande dei siciliani. Anzi, il più grande dei tedeschi. Anzi: il più grande degli europei. Perché Federico II ha creato uno Stato, ma soprattutto ha creato un popolo. Ha dato orgoglio e fierezza a una terra senza nome, unità di lingua, di fede, di storia, di diritto.
II
Gli arabi definirono Palermo la più superba metropoli del mondo. Palermo era una città meravigliosa al tempo di Federico II, con palazzi sontuosi e giardini ameni e profumati. Era la città delle Mille e una notte, con le sue cinquecento moschee e i suoi trecento minareti, più bella di Cordova e di tutte le altre città dell’Islam. Tutti amavano la Sicilia. Anche gli avi normanni di Federico II – che rispettarono comunque tutti i popoli - amarono disperatamente la Sicilia, non solo gli arabi e Ibn Hamdis.
Federico dunque amò disperatamente due terre, la Sicilia e le Puglie. La Sicilia era la sua terra promessa! La terra a cui si era affidato, a cui si era abbandonato, con cui era cresciuto. Come Napoleone – lo abbiamo detto - aveva una sola amante, la Francia, così lui ebbe una sola compagna: la Sicilia. Lui che ebbe ascendenti svevi, normanni, sassoni, francesi, figli in tutta Europa, forse venti, da altrettante donne, mogli giovani e anziane, amanti, e anche il figlio suo prediletto, Manfredi, dall’amatissima Bianca Lancia, lui ebbe un solo vero amore, il suo amore più grande, la Sicilia. Federico II scrisse poesie e parole d’amore solo per lei – “oh, pupilla dei suoi occhi è il suo regno del Sud, l’amabilità della sua terra supera ogni dolcezza terrena, porto nel mare tempestoso, giardino di delizie nella foresta selvaggia, che io bramo e cerco, colmo di nostalgia, quando sono sbattuto nel mare dell’impero”.
Federico II mise ordine in una terra preda dell’anarchia e del disordine - forse fu l’unica volta nella sua storia. Nella piccola Sicilia cozzavano fra di loro tutte le forze e il fior fiore delle potenze del tempo, scorrazzavano nei campi di Puglia e di Sicilia come forze primigenie devastanti e incontrollate tedeschi e francesi, siciliani e pugliesi, genovesi e pisani, saraceni, italici, papali, perfino spagnoli. Tutti volevano profittare della ricchezza della Sicilia a spese di un re infante. Impadronirsi del re, la parola d’ordine. Agnus inter lupos, passò di mano in mano fin quando l’età e il senno non li vinse. La Sicilia era il sogno dei Germani. Federico II ebbe nella testa solo la Sicilia, non la Germania: in questo, la politica del più grande papa del Medioevo, Innocenzo III, di tenere separate le due corone di Germania e di Sicilia per molto tempo, fu anche il suo obiettivo. Dal tempo del visigoto Alarico, il regno di Sicilia era per i tedeschi una terra da favola, un paradiso da conquistare. Tutti gli imperatori tedeschi cercarono di conquistarla, soprattutto gli Staufen, fino all’ultimo Corradino. Solo il nonno di Federico II, il Barbarossa, ci riuscì, facendo sposare suo padre Enrico VI con una normanna, Costanza d’Altavilla. La Sicilia era il lontano paese delle meraviglie, la terra dei Greci e dei Romani, della poesia, dell’arte, della cultura. La Sicilia era Taormina, la terra di Dedalo, era l’Etna, il mito di Vulcano, la leggenda di Sant’Agata, era Girgenti l’araba e la greca, Siracusa, Balaarm dei giardini profumati di aranci e limoni, la terra delle palme e dei datteri. E poi Napoli e le Puglie… La Sicilia era l’Eldorado dei sultani d’Oriente. Quando il padre di Federico II, Enrico VI, prese possesso della Sicilia, giunse al castello imperiale di Trifels, in Germania, una carovana di centocinquanta muli carichi d’oro, sete, gemme e oggetti preziosi.
I tedeschi amavano la Sicilia ma la Sicilia non amava i tedeschi. Perciò Federico fece di tutto per farsi amare dai siciliani. La Sicilia amava Costanza d’Altavilla e i normanni ma non i tedeschi. Anche la madre di Federico II, Costanza d’Altavilla, figlia del normanno Ruggero II re di Sicilia, odiava i tedeschi, di cui conosceva la violenza. Alla morte di suo padre, lei voleva che Federico fosse solo il figlio di Costanza d’Altavilla, regina di Sicilia. Certo, Federico non voleva essere solo tedesco, intendeva creare una monarchia universalistica fondata non sulla volontà di dominio di una razza sulle altre, come era nelle corde di suo padre Enrico VI, ma sulla collaborazione dei popoli, sulla pace e sull’amore. Suo padre, anche se per pochi anni, ebbe in mano l’intera Europa. Tutti gli Stati d’Europa erano suoi vassalli. Dalla Danimarca alla Borgogna, alla Castiglia. L’Italia tutta era assoggettata, trampolino di lancio per la conquista dell’intero bacino del Mediterraneo e per la restaurazione dell’Impero Romano dei Cesari. Tutto l’Oriente era suo tributario, i mussulmani, tutti i sultani e principi e re pagavano tributi. Enrico VI in pochi anni aveva messo in ginocchio il mondo intero. Ma lui voleva creare un impero universalistico con una politica aggressiva e violenta, dura, di una durezza però senza prospettiva futura. Il suo era un Impero fragile, non si poteva governare sempre col terrore.
La nascita di Federico II fu anche la fortuna di Enrico VI. Il potere di Enrico VI era precario, mancava di unità. Lui ne era consapevole: troppe etnie, troppi ordinamenti nei territori dell’impero: la Germania era una monarchia elettiva, la Sicilia una monarchia ereditaria. Troppi cani sciolti tra i principi e duchi e feudatari. Concesse l’ereditarietà dei patrimoni ai Principi tedeschi e la libertà di scegliersi i successori ai Vescovi per avere un impero più forte. La nascita di Federico II fu benedetta: egli avrebbe continuato il suo progetto di collocare il Mezzogiorno d’Italia al centro del suo Impero e di fare della Sicilia un dominio personale.
Ma Federico II intendeva agire su altre basi, con altri metodi. Egli aveva sangue romano-germanico nelle vene - svevo-burgundo dal lato paterno, normanno-bassolorenese da quello materno. Questo già lo predisponeva a una universalità di spirito, in una capitale e in una terra dove si fondevano tutte le civiltà del mondo. Fece suoi lo spirito, le lingue, i riti, i costumi, l’umanità di infiniti mondi. Solo dalla Sicilia sarebbe potuto nascere un nuovo mondo.
Per questo, in seguito, storici e non solo storici considerarono Federico II il più grande degli europei. Perché diede il diritto. Dopo Giustiniano e il suo Corpus Iuris, realizzò la più grande - e unica - codificazione dell’epoca, che riscosse l’ammirazione del mondo intero. I suoi modelli furono Cesare, Augusto, Giustiniano. Unificò le leggi siciliane, poi emanò le Costituzioni di Melfi, che ebbero un’influenza enorme sulla formazione del diritto degli Stati assoluti d’Europa.
Il mondo, l’Europa, l’Italia, e al centro la Sicilia: era un sogno. Ma era un sogno che, secondo alcuni storici, si poteva realizzare. L’uomo che ha dato più lustro alla Sicilia, al Meridione d’Italia, all’Italia, all’Europa, l’uomo nuovo, il primo imperatore moderno, fu il primo che voleva unificare l’Italia. Sia sul piano legislativo che amministrativo, politico, e soprattutto sul piano linguistico, letterario, culturale. Forse era anche l’unico capace di poterlo fare, per intelligenza e energia; per genialità e intuito. L’Italia aveva tutte le risorse per diventare il più grande, il più cosmopolita Stato del mondo. Il più grande Stato del Medioevo. Il perno attorno al quale si sarebbe formata l’Europa Unita. Forse Federico era un precursore, aveva anticipato i tempi."
III
Certo, Federico era anche un uomo del Medioevo. Ma fu anche un titano, in un tempo di profondo cambiamento, dibattuto fra stato laico e integralismo cattolico, fra dogmatismo ed eresie e libero pensiero, fra superstizione e scienza nascente. Fu medievale e moderno. Medievale perché viveva nel tempo del mito dell’Impero e del potere universale che si scontrava col Papato, moderno perché aveva compreso che il futuro dell’uomo e della storia si sarebbe potuto realizzare con l’integrazione delle culture e delle razze, delle religioni e delle ideologie, attraverso l’universalità del sapere.
Un tedesco strano, straordinario. Che parlava nove lingue. Tutte meglio del tedesco. Che nella Magna Curia fondò la Scuola poetica siciliana, cui Dante riconobbe il primato nel poetare in lingua volgare e nella nascita del linguaggio poetico e letterario d’Italia. La letteratura italiana non sarebbe nata senza Federico II. Certamente, al centro del suo impero laico, al centro del mondo, era la Sicilia. Fu un’occasione persa, anche a causa dei comuni del Nord. I lombardi erano un grave ostacolo, non solo alla monarchia universale, ma anche alla nascita dell’Europa, dell’Italia, della stessa Germania.
Innocenzo IV - ma anche gli altri papi - ragionava in termini piccini. L’accerchiamento dei domini pontifici da parte dell’imperatore. I papi, secondo Federico, non capivano che i comuni lombardi erano contro la loro stessa pretesa di essere sovrani universali. Crociate contro l’Imperatore, scomuniche, non comprese nemmeno dagli stessi cristiani. Federico II combatteva contro il papa, contro i comuni, contro il suo stesso sangue, i tedeschi. Forse per questo era destinato alla sconfitta.
L’uomo che fondò la prima monarchia assoluta d’Occidente, una monarchia assoluta e illuminata, con cinquecento anni di anticipo; l’uomo che fu l’ultimo tedesco fondatore di Stati su suolo italiano: per la prima volta nella storia, tutti, l’Occidente cristiano e l’oriente musulmano, guardavano a quest’uomo come all’imperatore equilibrio del mondo. Egli fu l’ultimo grande imperatore, dopo di lui il nulla: finì l’ultimo sogno di una monarchia universale, e venne il tempo delle Nazioni e dei particolarismi, e con i particolarismi fu stroncato un sogno, il sogno di un’Europa unita, con i particolarismi, accadde quel che accade oggi, il mondo che va verso la rovina.
È evidente che un uomo come Federico II era anche odiato. Ci fu chi credette che egli fosse come il nuovo Messia, il nuovo San Pietro, il secondo Mosè, chi vide lui come il nuovo Messia, il puervirgiliano, il nuovo Augusto riformatore del mondo.
Ma ci fu anche chi pensava che fosse un convertito all’Islam. Per i suoi avversari era l’Anticristo, come si diceva allora, perché si accolse la leggenda che egli fosse nato dal rapporto peccaminoso di una smonacata di cinquant’anni con un frate, il suo cavalier servente, Fra Pacifico, prima poeta, poi coautore del Cantico di frate sole, compagno di Francesco d’Assisi. O che fosse, addirittura, figlio di un macellaio.
Lasciando perdere le fantasie e le dicerie dei guelfi, Costanza d’Altavilla diede alla luce Federico a Jesi in una tenda, pubblicamente, mostrando il suo seno ancora turgido di trentanovenne, anche se ebbe una sola gravidanza dopo nove anni.
Forse, fu anche per quelle dicerie che Federico II fu scomunicato più volte.
Ne collezionò tre, di scomuniche, il record per un imperatore. Ma Federico se ne impipava delle scomuniche, sapeva che l’Europa moderna e la collaborazione fra i popoli non potevano nascere dal particolarismo egoistico della Lega Lombarda e del Papato. Che sarebbero stati travolti da un’altra calamità, ben più perniciosa, la nascita delle grandi monarchie nazionali. Partiva anche scomunicato per le crociate, ma sapeva che il tempo delle crociate era finito. Per questo cercava accordi diplomatici coi sultani orientali e col Saladino. Egli stesso si incoronò Re di Gerusalemme, avendone diritto: del resto, non poteva combattere popoli che facevano parte del suo stesso Regno di Sicilia. Durante le sue assenze per le crociate, il papa e la Lega Lombarda, e anche i nobili tedeschi, ne approfittavano e devastavano il suo regno. Nonostante le sue concessioni e la restituzione – a questi ultimi - dei beni sottratti a monasteri e chiese.
Federico II creò un grande Stato. Con le Costituzioni di Melfi, una delle più grandi opere nella storia del diritto, con l’aiuto del suo fidato notaio Pier delle Vigne, creò lo Stato centralizzato, burocratico, moderno, con funzionari pagati dallo Stato, limitando il potere e i privilegi dei nobili e dei prelati, e migliorando la condizione sociale delle donne. Ridusse il potere dei feudatari locali, favorì la scuola medica salernitana. Con la Confoederatio cum principibus ecclesiasticis, dovette concedere molto ai principi-vescovi, una forte autonomia economica e legislativa, ottenendo tuttavia un migliore controllo nella parte continentale dell’Impero. Abolì leggi feudali come l’ordalia, diviso in province l’impero per amministrare la giustizia, e fu il primo sovrano a introdurre interventi diretti statali nei processi economici.
Introdusse addirittura il monopolio del sale, creando il primo monopolio di Stato del Medioevo, affidandone direttamente la gestione alla Corona. I re normanni, invece, si erano limitati a mettere una tassa sul trasporto del sale. E in politica estera, lo ripetiamo, Federico II non guardava all’Oriente come al nemico dell’Occidente. Il Sultano d’Egitto era più vicino alla Sicilia della Germania, e la Sicilia doveva diventare centro di irradiazione della civiltà dell’Occidente e di unione tra i popoli.
Fu un grande legislatore. Fondò università, a Napoli creò la prima università statale e laica della storia dell’Occidente. Napoli divenne un grande centro intellettuale e culturale. Favorì la scienza e l’economia. L’algebra, la matematica, la filosofia, l’astrologia. La medicina. Con le Costituzioni di Melfi e l’attività legislativa, riorganizzò lo Stato, costruì città e castelli, edificò, innalzò monumenti, dimore sontuose, palazzi, abbazie. Fu un grande costruttore. Favorì il gotico nell’architettura con artisti e monaci cistercensi.
Non ci fu scienza o arte che non ricevette il suo aiuto. Fu un mecenate eclettico, immenso. Egli stesso fu poeta e scrittore, scienziato, scrisse un trattato di falconeria, De arte venandi cum avibus, L’arte della caccia con gli uccelli, che fece epoca e sensazione, nel tempo in cui la falconeria – che egli amò quasi quanto la Sicilia - non era un passatempo ma era una scienza.
Costruì a Palermo un meraviglioso zoo con splendidi animali esotici. Che cosa si vuole di più da un sovrano? Vivevano alla sua corte i più grandi uomini di cultura di tutti i tempi, matematici, filosofi, giuristi, letterati. Di tutti i popoli e di tutte le razze, greci, ebrei, arabi, normanni, svevi, francesi, catalani, castigliani. Furono tradotti i più grandi testi scientifici, culturali, filosofici, greci, arabi, ebraici.
Fu il fondatore della letteratura italiana. Creò, infatti, la più grande scuola poetica dell’epoca, la Scuola siciliana, che, ingentilendo il volgare siculo-pugliese con il più evoluto provenzale, influenzò fortemente, con la sua poetica, le tematiche cortesi e i suoi moduli espressivi, la Scuola toscana, e quindi Dante. Anch’egli avrebbe potuto avere un futuro di poeta – scrisse sonetti e canzoni – se non ne avesse avuto un altro, da imperatore. I suoi funzionari erano intellettuali di prim’ordine, a tutto tondo. Che ebbero, come lui, una sterminata sete di conoscenza.
IV
Federico II si muoveva come un sovrano universale, con al seguito baroni, soldati, dignitari, voleva apparire come una figura maestosa, imperiale. Ostentava potere e bellezza, voleva abbagliare, più di un papa, fra i contadini nei borghi meridionali in un tempo in cui l’uomo era nulla. Aveva con sé al seguito letterati, notai, ministri, burocrati, scrivani, filosofi, matematici, musici, ma anche ballerine di straordinaria bellezza, odalische, eunuchi, saltimbanchi, poeti, anche animali esotici, cammelli, cani da caccia, animali feroci, anche uomini in cerca di fortuna, perché no?, e avventurieri, guerrieri saraceni. Tutti, vedendolo, lo ammiravano, restavano a bocca aperta, i papi, gli altri re, rimanevano stupefatti da tanto splendore, intimoriti, sconcertati. Girava per le strade d’Europa con una corte sontuosa, era uno spettacolo inenarrabile che destava stupore, sfilava un lunghissimo corteo di cavalli saraceni purosangue, e al centro del corteo c’era lui, il divino, l’uomo eccezionale, l’uomo nuovo. In una carrozza, col suo eccezionale portamento, o in sella al suo splendido cavallo moro preferito, Dragone, vestito da cacciatore.
Federico VII Hohenstaufen di Svevia, Federico I di Sicilia, Federico II Imperatore del Sacro Romano Impero, re di Borgogna, re di Gerusalemme, re d'Italia e re di Germania, e soprattutto Re di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua, Stupor mundi, puer Apuliae; nipote di Federico I Barbarossa di Svevia, figlio di Enrico VI imperatore e di Costanza d’Altavilla regina di Sicilia, figlia di Ruggero II il Normanno: visse un curioso tempo di morte.
Fatale gli fu un avvelenamento di un traditore, i traditori si annidano dappertutto. Si avverò la profezia dell’astrologo di corte che sarebbe morto sub flore, ed egli, che evitò sempre Firenze, morì nella domus di Fiorentino di Puglia. Morì assolto dai suoi peccati e avvolto nel saio grigio dei Cistercensi. Per sua volontà le sue esequie dovevano avvenire senza pompa, ma Manfredi non fece mancare onori e gloria alle sue spoglie. Lasciò il cuore in Puglia e l’anima in Sicilia. La sua salma fu tumulata in Palermo da lui amata più di ogni cosa, nel sarcofago di porfido rosso dei suoi avi, accanto alla sua gloriosa ascendenza. Le genti videro in lui il Pantocratore, meraviglia del mondo. L’invitto, il sommo dei principi dell’orbe. L’ultimo imperatore dei Romani, che salì alle stelle e fu deificato. Il Signore della fine, l’uomo apparso alla fine del tempo nello splendore del fuoco. Videro in lui la forza attesa in eterno, il Messia, il sovrano del regno apollineo del sole vaticinato dalle Sibille. Tramontato è il sole del mondo che splende sopra le genti, disse suo figlio Manfredi; tramontato il sole della giustizia, colui che dava la pace. Con lui si chiuse un’epoca, l’Impero romano. Il Papa lo diceva sempre che l’Impero era finito e l’imperatore morto. Ignorava, però, di essere morto anche lui. Molti non credettero alla sua morte, lo vedevano nel cielo o in mare, a capo di migliaia di armati.
I tedeschi non lo amarono. I tedeschi videro in lui solo la dissoluzione nel nulla dell’Impero, l’immagine terribile dell’Anticristo sopra le nuvole, il fustigatore della Chiesa corrotta. I tedeschi gli attribuirono saggezza, maestà, nobiltà, splendore, ma, in realtà, non lo amarono. Sarebbe tornato per loro come restauratore dell’Impero romano della nazione germanica. Ma, in realtà, il popolo tedesco non lo comprese, né seppe realizzare le sue aspirazioni. Ora le sue ossa giacciono in un sepolcro di porfido rosso scuro, secondo la tradizione dei re normanno-svevi, accanto a sua madre Costanza d’Altavilla, a suo padre Enrico VI e a suo nonno Ruggero II. Insieme con la sua prima moglie Costanza II d’Aragona, con duchi, regine, re e imperatori. Hanno aperto la sua tomba due volte, per scoprire solo il mistero di una donna sconosciuta accanto a lui. Una delle sue quattro mogli accompagna la sua eternità. Non occorre cercare ancora misteri nella sua tomba.
Federico II aveva statura media, equilibrata, volto gentile, nobile. Era biondo, bello e ben fatto, con fronte serena e occhi brillanti, viso espressivo, animo ardente e ingegno pronto. Aveva portamento regale, maestoso, liberale, era amabile, pieno di grazia e di nobili aspirazioni. Federico II leggeva, scriveva, cantava e componeva melodie. Solamente questo potrebbero trovare dentro lo spesso marmo di porfido rosso del suo sarcofago.
Dissero pure che era sanguigno, insofferente, talvolta collerico, con atteggiamenti a volte triviali, retaggio dei rozzi contatti e delle non raffinate amicizie dell’infanzia palermitana. Dissero tante altre cose. Che fu l’Anticristo, l’Apocalisse. No. Federico Ruggero Costantino II fu lo Stupor Mundi, il più grande sovrano illuminato, che dedicò la sua vita all’unificazione dei popoli e delle culture, attraverso la promozione dell’arte e delle lettere, nella terra che amò più di ogni altra cosa, la Sicilia. Egli fu il rinascimentale. Il moderno. Egli fu l’uomo nuovo, l’uomo totale. L’uomo che ebbe un sogno. Eppure dissero che non volle dare una patria al popolo tedesco. Che non volle fondare uno Stato tedesco. Come forse ancora credono le algide orde di turisti tedeschi che ogni giorno passano indifferenti davanti alla sua tomba, guardano distratti, e in silenzio se ne vanno.